L’ordine regna in Polonia: questa è la dichiarazione dei ministri polacchi che stanno assassinando la rivoluzione proletaria che sta sconvolgendo il loro potere così come lo mise in discussione a Poznam nel 1956. Nessuna speranza per gli idioti fascisti e reazionari di utilizzare per i loro loschi fini questa lotta rivoluzionaria: la violenza teppista dei proletari polacchi, così come di tutti i proletari attualmente in lotta, spazza in un colpo solo ogni ideologia, prima tra tutte quella reazionaria che vuole mantenere intatta la miseria sociale su cui può inserirsi la loro provocazione. Ma, nello stesso tempo, nessuna speranza neppure per i porci progressisti che chiedono – come fa il PCI – la “democratizzazione” delle strutture polacche: il proletariato sta mettendo alla gogna la burocrazia mondiale ed il sangue non può che rendere più rossa la prospettiva della RIVOLUZIONE MONDIALE ATTRAVERSO L’INSTAURAZIONE DEL POTERE ASSOLUTO DEI CONSIGLI PROLETARI, così come era avvenuto in Polonia ed in Ungheria nel ’56.
Così facendo i proletari polacchi si sono collegati praticamente con le lotte rivoluzionarie di tutto il mondo: le rivolte dei neri americani, gli scioperi selvaggi degli operai inglesi, l’insurrezione armata di Reggio Calabria. I rivoluzionari polacchi, realizzando la critica concreta della merce e del lavoro, indicano ancora una volta ai proletari coscienti la via da seguire e smascherano definitivamente, coll’incendio e la messa a sacco delle sedi politiche e sindacali, il vero volto dei sedicenti “comunisti” che, fingendo oggi di opporsi all’oppressione del capitalismo italiano ed internazionale, si preparano in realtà ad adottarne gli stessi metodi nel momento della loro ascesa al potere. Per questo sono i COMPLICI attuali della POLIZIA che ha assassinato i compagni di Milano e si preparano a diventare i BOIA DI DOMANI in emulazione all’operato dei loro complici polacchi.
I BUROCRATI DI TUTTI I PARTITI E DI TUTTI I SINDACATI NON SONO COMPAGNI!
I VERI COMUNISTI devono distruggere il potere del capitale, dello Stato e dei suoi servi, siano essi fascisti, poliziotti, burocrati dei partiti e dei sindacati. I sistemi di lotta impiegati dai compagni polacchi contro costoro (saccheggi, incendi, devastazioni, uso delle armi contro la polizia) devono essere attuati subito dai compagni italiani.
COMPAGNI RIVOLUZIONARI, incontriamoci in ASSEMBLEA martedì 22 dicembre alle ore 15 all’Università (Palazzo Nuovo: via S. Ottavio angolo via Verdi) per decidere forme pratiche di assalto al capitale (e realizzarle immediatamente) in modo da collegarci concretamente alle lotte eversive dei compagni polacchi.
La merce, il lavoro, la politica vanno aboliti, compagni, ed i loro servi sciocchi spazzati via.
Volantone che riproduce un caustico scambio epistolare tra Guy Debord, Gianfranco Sanguinetti e Gian Piero Brega della casa editrice Feltrinelli intercorso tra il 18 novembre 1971 e il 14 febbraio 1972. Sanguinetti prende i contatti con l’obiettivo di pubblicare la traduzione italiana dei 12 fascicoli dell’Internazionale Situazionista. Ma Debord interviene, definisce Felrinelli un “rettile staliniano” e diffida l’editore dal pubblicare qualsivoglia testo dell’I.S. Brega non si sottrae allo scontro e consiglia a Debord di “farsi curare” e gli augura di “guarire presto”.
Comunicato della libreria “La vecchia Talpa”, Milano, 13 ottobre 1971.
Commento di Joe Fallisi:
«Il volantino fu scritto da me immediatamente dopo un VERO tentativo di infiltrazione-provocazione subìto e sventato. Durante il 1971 ebbi a Milano, in corso Garibaldi 44, una libreria, La Vecchia Talpa, che rappresentò anche la prosecuzione sui generis delle mie (nostre) attività rivoluzionarie del 69-70 e riuscì a sopravvivere solo, anch’essa, poco più di un anno (quel che rimase del materiale lo passai al mio amico Primo Moroni ‑ costituì la base del settore ‟radicale” della Calusca). Tenevamo quasi unicamente libri, riviste e opuscoli di estrema sinistra antistalinista. La libreria rappresentò, logicamente, un punto d’incontro di vari compagni anarchici (ricordo Steve Del Grosso) e dell’ex-Ludd (Roby Ginosa, per esempio). A una certa epoca, com’è scritto nel volantino, giunse quell’anima nera, SICURAMENTE inviatoci dalle forze statali. L’unica cosa che mi rincresce, e non poco, è che, nell’urgenza di ‟far pulizia” e sventare possibili provocazioni anche peggiori, accomunai (accomunammo) al nome di costui come suo ‟collaboratore”, quasi fosse anch’egli senz’altro un infiltrato, un ragazzo di Parma, ‟Emiliano”, che invece, me ne convinsi poi, era stato solo plagiato dal Mondì. Cosa che successe d’altronde anche a qualcun altro del nostro giro a Milano senza tuttavia condurre a nessun esito catastrofico, perché l’infame, prima che accadessero fatti irreparabili, venne alla fine individuato e allontanato per sempre, durante una notte di tregenda ancora vivissima nel mio ricordo e, ne sono certo, anche in quello di Roby.
Seguito da ‟Appendice ad uso degli storici futuri: un processo per magia”.Torino, 1 ottobre 1971.
Opuscolo a stampa, con punti metallici, cm. 15 per 21, senza indicazione di stampatore. In copertina immagine tratta da pubblicazione popolare di ostetricia; in ultima disegno di blasfema crocifissione preso da qualche magazine satirico francese (Hara-Kiri? Charlie Hebdo? Actuel?). Benché privo di colophon, fu diffuso in diverse librerie. Bruttato da un paio di insidiosi refusi. Ha avuto alcune ristampe ad opera di ignoti. Redatto per spiegare la dissoluzione dell’Organizzazione Consiliare, il fascicoletto fu omaggiato anche al presidente della Corte d’Assise che doveva giudicare alcuni componenti del sodalizio. È articolato in tre parti. Nella prima, incalzanti argomentazioni tacciano le forze della sinistra di «condurre un tentativo di sventare la costituzione di un fronte contro il lavoro, accusando la teppa di essere antioperaia». Nella seconda sono ripercorse le brevi vicende dell’O.C. ed individuate con lucidità le ragioni dello scioglimento del gruppo: i Consiliari – si legge – «divennero portatori di una delle tante ideologie: quella della teppa e del disadattamento». Viene anche rappresentato un ipotetico svolgimento del processo: «Alcuni imputati non comparvero scientemente, altri non seppero mai che era stato celebrato un processo a loro carico; i pochi che si presentarono lo fecero per ritrovare il buonumore smarrito. Volevano celebrare la parodia della giustizia». L’ultima parte, di pugno diverso da quello dell’estensore delle parti precedenti, è una gracile (ma altisonante) esortazione di «dover essere», che ruota intorno al roboante slogan: «criminali di tutto il mondo unitevi». (Pier Franco Ghisleni)
Programma dello spettacolo secondo i suoi veri scopi, ossia AVVISO AI PROLETARI DEL CENTRO STORICO. Genova, settembre 1971.
DI SEGUITO: Alla rappresentazione del ‟Genovese liberale” gazzarra indegna e aggressioni questa notte nel centro storico.
Articolo tratto dal Corriere Mercantile, Genova, 17 settembre 1971.
PROGRAMMA DELLO SPETTACOLO SECONDO I SUOI VERI SCOPI
ossia: AVVISO AI PROLETARI DEL CENTRO STORICO
Amici, questi riflettori che
gettano luce su di voi sono qui perché le potenze dominanti della città vi
hanno messo gli occhi addosso e vi si sono coalizzate contro.
La farsa a cui assistete non
deve farvi soltanto ridere. Se delle marionette teleguidate vogliono farvi
partecipare al loro teatro di burattini è perché gli affaristi che tirano i
fili della città hanno deciso che era ora che anche il centro storico venisse a
vivacizzare la trama dei loro affari.
Vogliono farvi recitare come comparse nello spettacolo della lotta di classe antica
perché hanno paura che viviate da
protagonisti la realtà della
lotta di classe moderna.
Come i mercanti dei secoli passati
mandavano i preti del buon dio a preparare il terreno alle guerre di conquista
per le proprie merci, così gli affaristi di oggi mandano ad aprire il passo
alle retate di polizia ed alle loro speculazioni i preti della cultura e dell’arte.
Al posto di dio, lo spettacolo è diventato il ruffiano del capitale e dello
stato, il cavallo di Troia di tutte le più immonde operazioni di commercio e di
polizia, che vogliono ridurre ogni istante della nostra vita a un ghetto da cui
sia eliminato tutto ciò che non è la compravendita.
È un pezzo ormai che i cani da
guardia del capitale vanno richiamando l’attenzione sui “centri storici”. Ciò
significa che la società capitalistica europea si sta accorgendo che è fallito
il suo tentativo di abolire la storia come il proletariato, e riscopre l’evidenza che esso appunto è il “centro
storico” della sua dissoluzione.
Gruppi di intervistatori,
commissioni di studio, fotoreporters scorrazzano da tempo nei quartieri al
seguito dei poliziotti e dei metronotte e poi abbaiano nei loro ambienti: “zona
di disgregazione sociale” per indicare la disgregazione delle loro vecchie
bande di affari legali ed illegali, “sentina di vizi” come chiamano la nostra
ricchezza di desideri umani, “decadimento del centro storico” ossia decadimento
degli investimenti dei loro padroni.
Sociologi, preti, uomini di
cultura progressisti, e ultimamente politicanti di “estrema sinistra” predicano
sui “disadattati”, “emigrati”, “criminali”, “capelloni”, “travestiti”,
“esclusi”: sono i nomi con cui la loro ridicola cultura si maschera gli esseri
umani radicalmente proletarizzati che questa società produce.
Come tutti i progressisti ed i
falsi rivoluzionari essi «nella miseria non devono che la miseria, senza
scorgerne il lato rivoluzionario, sovvertitore, che rovescerà la vecchia
società» (Marx).
Il basso prezzo delle case, la
forma delle vie e delle piazze che tiene lontano il mostruoso traffico delle
automobili, rende facile la protezione dalla polizia e favorisce l’incontro e
la comunicazione, la posizione centrale che evita la dispersione del pendolare,
fanno del centro storico il centro di una comunità proletaria radicale nel
cuore della città degli affari e della politica su cui tende a riversarsi.
Per questo i porci delle classi
dominanti odiano il centro storico. Non odiano le miserie che la loro civiltà
gli fa subire: le case fatiscenti, la mancanza di luce e di spazio, la vita
imprigionata nel lavoro o nella disoccupazione. Essi odiano i suoi abitanti
perché ne hanno paura e perché con la loro presenza la vita dell’essere umano
contrasta il dilatarsi della vita del capitale.
Quindi quando i porci parlano
di “valorizzare” il centro storico,
essi non intendono dare ai suoi abitanti i mezzi di affermare il proprio valore
realizzando positivamente la propria infinita ricchezza di bisogni umani, ma
vogliono dare alle case, ai loro edifici i mezzi di realizzare il loro valore
mercantile, facendo aumentare gli affitti fino ad espellerne gli attuali
abitanti.
Quando i porci parlano di “risanare” il centro storico è perché
vogliono trasformarlo in un cimitero. Musei, Università, botteghe di
antiquariato e d’arte, “istituzioni culturali” dovranno venire a rinsanguarne
il commercio col commercio che oggi ha più ricche prospettive, quello della
cultura morta e surgelata di cui stasera vi offrono un assaggio. I vermi che
vivono nel suo cadavere puzzolente, mercanti di desideri morti, pensieri morti,
morte sensazioni, mercanti d’arte e di cultura, professori, studenti dovrebbero
sostituire gli attuali abitanti e i loro vivi desideri rivoluzionari. E questi
dovrebbero essere dispersi nelle periferie, confinati ed isolati nei nuovi
lager dell’edilizia popolare.
Amici, non è del domani che
stiamo parlando, ma dell’oggi. Gli abitanti della zona di via Madre di Dio
stanno già subendo questi progetti: una nuova funebre Piccapietra sorgerà al
loro posto. Dovunque il progetto dei porci è lo stesso: distruggere ogni
struttura che rende ancora possibile la vita sostituendovi puri canali di
circolazione del denaro; distruggere la vita, essiccarla per sostituirvi la
morte.
Non vogliamo più essere
spettatori di un’apparenza di vita che si basa sulla nostra passività, sia che
tale vita apparente venga rappresentata nella cultura, sia che venga incarnata
nelle nuove città dove chi non ha denaro da spendere è superfluo.
Rifiutiamo oggi l’invasione
dello spettacolo per essere pronti a respingere l’invasione della speculazione
mercantile e poliziesca.
VIVA i rivoluzionari messicani
che nel ’68 cercarono di distruggere il grottesco spettacolo delle olimpiadi,
farsa della comunità internazionale!
VIVA il proletariato cinese che
approfittando della farsesca “rivoluzione culturale” tentò di distruggere
(oltre al partito) l’arte, la cultura, i loro specialisti.
VIVA i compagni detenuti che in
America stanno distruggendo la farsa del diritto, della giustizia e con essa
l’industria delle carceri.
VIVA il proletariato dei centri
storici d’Irlanda, che col derisorio pretesto della religione sta minando le
basi della rinomata democrazia inglese.
Società per il mantenimento del
carattere “criminale” del centro storico
Volantino firmato “i compagni consiliari”, Torino 31 maggio 1971.
Versione a colori
I PROLETARI VOGLIONO IL COMUNISMO SUBITO!
Sabato è stato un giorno di festa proletaria. Per diverse ore abbiamo attaccato la realtà di merda che tutti (capitale, burocrati e falsi rivoluzionari) vorrebbero imporci. Il solito corteo del sabato pomeriggio è stato stravolto dall’intolleranza di un migliaio di proletari che si sono posti nella linea di lotta rivoluzionaria che da tempo si sta aggirando per il mondo e che come Detroit Stettino e Reggio insegnano, non dimostra il minimo rispetto per gli schemi ‟civili e democratici” imposti dal capitale ed accettati dagli pseudo‟comunisti”. Il proletariato crea nei momenti più alti delle sue lotte delle forme di autogestione comunista che indicano come la distruzione di tutto il vecchio mondo per la realizzazione del comunismo passa attraverso la violenza collettiva, il gioco della devastazione liberatoria e la rivoluzione nella propria vita quotidiana.
I proletari non vogliono riforme ma l’abolizione del lavoro.
I proletari non vogliono tutto (merda compresa) ma il meglio assoluto.
i compagni consiliari
cicl. in proprio
Torino 31.5.71
(la sede non è indicata per evitare devastazioni dei carabinieri)
DIDASCALIA IMMAGINE:
IL VOLTO OSCENO E GHIGNANTE DEL PROLETARIATO DISTRUGGE CON IL SUO APPARIRE IL MONDO MARCIO DELLA IDEOLOGIA
‟Di fatto, il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità e dalla finalità esterna; si trova quindi per sua natura oltre la sfera della produzione materiale vera e propria” (K. Marx, Il Capitale)
SUL RETRO: IL CAPITALE SGUINZAGLIA I SUOI CANI DA GUARDIA: LA STAMPA – IL P.C.I. – I SINDACATI E TUTTI GLI SCIACALLI CHIEDONO LA REPRESSIONE VIOLENTA DELLA FELICITÀ IN ARMI
7 MAGGIO un giorno qualunque LA SCUOLA NON SI FREQUENTA MA SI ABOLISCE
APPELLO ALLA LATENZA RIVOLUZIONARIA DEI GIOVANI AFFINCHÉ, ROTTI I CEPPI CHE ANCORA LI TENGONO AVVINTI ALLA MISERIA DELLA SOPRAVVIVENZA, INAUGURINO LA GIOIA COLLETTIVA NELLA DISTRUZIONE DELLA MODERNA SOCIETÀ AL FINE DI APPROPRIARSI DELLA VITA.
˚˚˚˚˚˚˚˚˚˚
Appare chiaro a tutti che l’individuazione del nemico è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, affinché ciascuno prenda coscienza dei propri compiti e quindi inizi a lottare.
Gli studenti, nella storia di questi ultimi anni di lotte, hanno individuato vari nemici, volta a volta con discreta lucidità o con cecità ideologico-corporativa assai grave.
Tuttavia, per lo più, non si sono resi conto che il primo nemico da battere è dato da LORO STESSI, dalla grossa parte di miseria che ancora li pervade e rende schiavi supini della sopravvivenza imposta, se non idolatri dell’adulterato mondo di quei fottuti storici che essi considerano adulti.
Gli studenti (cioè tutti coloro che accettano il proprio ruolo sociologico datogli dall’andare in una scuola) sono in pratica i complici dell’OPPRESSIONE QUOTIDIANA che viene perpetrata nei loro confronti.
Costoro, merci da raffinare per essere immesse nel mercato del consumo di ideologia e di consenso, subiscono passivamente anni di sudditanza famigliare (il ricatto affettivo impedisce loro di vedere l’identità tra il poliziotto ed il padre sempre pronto ad adottare i metodi tipici delle polizie di tutto il mondo ogni volta che le cose non vanno come vuole lui, cioè ogni volta che il figlio non si presenta come capitale variabile nell’accumulazione accelerata di “riconoscenza famigliare”).
Costoro, del pari, sono incasellati sin dall’infanzia in quegli schemi di repressione sessuale che li accompagneranno per tutta la loro esistenza e che essi stessi dovranno aver ben cura di riprodurre (la sessualità orale ed anale che fino all’età prescolare si manifestava libera ed aggressiva, castrata con l’inizio delle scuole, si ripresenta in squallide pratiche ideologizzate dalle quali il piacere è bandito e che sono il tremulo fantasma della reale espressione dell’attività genitale di individui liberi).
Costoro infine, per ottenere la dignità dell’esser VISTI e cioè USATI nella società, sono costretti a percorrere un iter scolastico aberrante che significa la peggiore DEFORMAZIONE degli individui messa in atto da quegli infelici sbirri che sono i professori (e lo sono tutti coloro che accettano il ruolo sociale di “insegnante”). Tutta questa merda da ingoiare sorridendo serve loro come PREPARAZIONE per inghiottire di buon grado lo stronzo più grosso che gli viene approntato: l’ergastolo del LAVORO.
Ma la complicità degli studenti con l’oppressione che subiscono (e che subiranno sempre più nella misura in cui diventeranno UOMINI, cioè, per la società del capitale, delle MERCI utilizzabili per il loro valoro di scambio) risulta del tutto evidente quando, allorché genuini sentimenti di rivolta nascono dall’insopportabilità della loro condizione, non sanno far di meglio che affidarsi ad altri infelici loro pari – i cosiddetti parlamentariextra che, da allievi un po’ somari, non sanno far di meglio che sognare di prendere il posto dei loro padroni-professori per cui Mao, espressione della massima concentrazione di spettacolo burocratico, è l’oggetto delle loro eiaculazioni penose –. In questo modo essi pongono se stessi NON come soggetti una RIVOLTA GENERALIZZATA ma come, e nuovamente, MERCI nel mercato della CONTESTAZIONE. E il poter urlare nelle strade slogans a dir poco raccapriccianti è il loro unico modo per sentirsi vivi, mentre sono dei FANTASMI.
È ORA DI AVERNE LE PALLE PIENE DI TUTTO CIÒ.
È ORA CHE GLI STUDENTI, NEGANDOSI COME TALI (E CIOÈ AFFERMANDOSI COME PERSONE, COME PROLETARI RABBIOSI) IMPONGANO LOTTE CHE ABBIANO PER FINE LA FELICITÀ COLLETTIVA ATTRAVERSO LA DISTRUZIONE DELLE STRUTTURE REPRESSIVE (scuola, famiglia etc.).
L’INTOLLERANZA È FONDAMENTALE PER LA VITA.
Scritto di 5 pagine a opera di Valerio Bertello e Pier Franco Ghisleni.
«L’Organizzazione Consiliare era ormai dissolta e i due firmatari elaborarono questo estroso progetto editoriale nel dicembre 1971, durante una vacanza con le rispettive consorti a Bosia, paesetto delle Langhe, ospiti del Rifornimento Pance Vuote, locanda di Cesare, un emigrato nella Parigi degli anni Trenta, poi rimpatriato. Il dattiloscritto fu ciclostilato e diffuso, con le poste di Stato, in alcune decine di esemplari. Il progetto editoriale non ebbe attuazione.» (Pier Franco Ghisleni)
A.A.A. CERCASI LETTERATI,
INDISCUSSA FEDE PROLETARIA, QUINQUENNALE ESPERIENZA NON MILITANTE,
POSSIBILMENTE LOGORATI IN PRATICHE GRUPPUSCOLARI, ATTUALMENTE IN PREDA A
PROFONDA DISPERAZIONE, REFERENZE POLIZIESCHE CONTROLLABILI, FAMA DI PROVOCATORE
GRADITA, PER LA STESURA DI SCRITTI CONCERNENTI I MOMENTI NODALI DELLA VITA
QUOTIDIANA. INVIARE CURRICULUM PENALE.
a) Necessità dell’operazione.
1) Di ordine “politico”.
I rackets politici, in assenze di
lotte popolar-operaie rilevanti tentano oggi di trarre nuovo ossigeno dall’aggressione
di temi nuovi e tradizionalmente trascurati dall’operaismo e dal populismo. Molti
nuovi fronti di lotta sono stati aperti negli ultimi anni e molti stanno per
essere aperti. Il fronte leninista operai-soldati-contadini è stato dilatato
con l’inclusione di nuovi ceti ed esso comprende ora studenti, detenuti, sottoproletari,
hippies, donne, omosessuali, liberi professionisti, artisti, etc. Di alcuni di
questi ceti offertici dalla sociologia la cooptazione a fini frontisti è già avvenuta,
di altri se ne stanno mettendo in piedi le condizioni. L’America ha già offerto
un’anticipazione e colà il raggruppamento tradizionalmente più “politico” – il Black
Panther Party – ed il movimento underground si presentano come i due aspetti di
uno stesso fronte. Lo scimmiottamento dell’involuzione americana sta conducendo
in Italia alla farsa del tentativo di connubio fra la politica e l’underground.
Ciò potrà avvenire con diverse modalità. La meccanica più prevedibile è quella
che, muovendo dalla costituzione in partito unitario di alcuni gruppi ora
separati (L.C., P.O., il Manifesto) e dalla costituzione dell’underground in
partito informale (sull’esempio di Jerry Rubin), condurrà ad una conciliazione
ulteriore in un assembramento più vasto e più potente. Insomma dal connubio fra
politica ed underground si giungerà alla colonizzazione definitiva della vita
quotidiana. Ogni dialettica in tale operazione resterà bandita. Essa avverrà tramite
conciliazioni ulteriori ed al di fuori di ogni antagonismo, se non formale.
La vita quotidiana quindi, quella
tradizionalmente negletta dalla politica, verrà messa a sacco ed ingabbiata a
fini politici. La vita militante, quella tradizionalmente negletta dall’underground,
verrà stemperata come ruolo ripristinando vecchie lagne esistenziali.
Le riviste dell’erigenda nuova
sinistra già oggi incominciano a toccare i temi della vita biologica e sensoriale. Quelle politiche ascrivono l’infelicità
biologica e sensoriale ai rapporti di produzione eterorepressivi nei confronti
del proletario. Quelle underground la ascrivono all’”essere pig”, una specie di
vocazione autoimposta all’infelicità. Ma, tolta la testata, il lettore non
riesce più a distinguere concettualmente “Lotta Continua” da “Re Nudo”.
La nuova sinistra di cui si
scorgono i primi vagiti non sarà altro che il calderone dei ceti oppressi: le
donne rivendicheranno il loro donnismo, i
pederasti la loro emancipazione pederastica, gli hippies il fatto di
avere un udito per ascoltare musica, i drogati la necessità di avere la loro
fiala quotidiana etc.
Tutte queste minoranze verranno
sincreticamente congiunte sotto l’egida della nuova sinistra. Nessun contributo
verrà loro dato per emanciparsi dal minoritarismo se non un’indicazione vaga a
fare ricorso alla politica per perpetuare il proprio racket e permettergli
quindi di operare alla
luce del sole.
Un’operazione del genere va
sventata e certe acquisizioni teoriche ci permetteranno di giocare in
contropiede. Non bisogna più commettere l’errore in cui si è incorsi a
proposito degli ammutinamenti carcerari lasciando ai recuperatori il diritto di
menzogna (eccetto un brevissimo articolo sull’I.S. italiana, sull’argomento non
è comparso null’altro se non volgari menzogne ed oggi qualsiasi rettifica
sarebbe meno efficace che nel ’69.
Il ciclo biologico e sensoriale
dell’individuo, per ora oggetto di studi da parte della sociologia accademica e
specializzata, sta per essere invaso dallo sociobiologia politica e
sloganistica. Nessuno è caduto nella prima trappola, saranno in molti a cadere
nella seconda. Molti “rivoluzionari” ci lasceranno le penne. A meno che non si
riesca a sventare in anticipo la manovra.
2) Come
esigenza di chiarezza individuale.
Non si può più sopportare che certi temi
vengano eternamente messi in disparte con faciloneria o pascendosi in
formulazioni risolutorie precedentemente raggiunte, o facendo appello alle
leggi ineluttabili della natura, o rimandandoli al momento intimo ed
esistenziale dell’individuo, o spostando la loro soluzione alla fase del “comunismo
pienamente realizzato”.
Coloro che hanno alle proprie
spalle un curriculum “politico”, anche quando sono riusciti a realizzare la
critica concettuale della politica, esitano per lo più a passare alla critica
pratica. Passano dalla “disfatta della politica” alla “politica della disfatta”.
Tendono a ridursi al silenzio ed a ripetere la banalità quotidiana. Ciò perché
la critica della vita quotidiana non è stata ancora intrapresa, rimandandola al
futuro o relegandola nell’intimità. In alcuni l’esigenza di soluzione di alcuni
momenti della vita biologica e sensoriale è bensì presente, ma questa esigenza resta
sopraffatta dalla banalità quotidiana, perché essa non viene collegata al
momento della comunicazione. Certe esigenze esplosive restano insolute perché,
per quanto comunicabili, non riescono mai a diventare comunicate. Allora c’è
addirittura da dubitare se siano davvero comunicabili.
Per questo diciamo che l’esigenza
di comunicare queste tematiche non è un fatto libresco. Nessuna soluzione o
dissoluzione delle stesse sortirà da uno sforzo individuale anche se la proposta
della problematica lo è. L’operazione mira quindi a costituire un insieme di individui
che congiuntamente pongano in atto la critica della vita biologica-sensoriale e
non la isteriliscano nella propria individualità, dilatandola invece nella
comunicazione. Un “laboratorio” senza fissa dimora cui partecipino quanti reputino
invivibile oltre a quanto è stato finora dichiarato dalla tradizione
rivoluzionaria anche l’alienazione naturale presente, nonostante essa non la si
possa apparentemente ascrivere ad una causa sociale. Insomma l’intento è quello
di mettere sul tavolo tutte quelle ragioni di infelicità che paiono
ineluttabili e che solo un credente può sperare di vedere risolte dalla “rivoluzione”.
Ciò condurrà – è prevedibile fin d’ora – alla frantumazione del feticcio
rivoluzionario (in qualunque sfumatura verniciato) ed alla introiezione della
rivoluzione (quella oggettiva, esterna) nell’individuo, risolvendosi nella sua
condotta. Il sostrato teorico è dato dalla critica di tutti i dualismi e
dell’ingabbiamento del mondo da loro operato, e la riproposta degli stessi
quali antagonismi di una stessa
dialettica. Alcuni esempi: operai-capitale, lavoratori-refrattari al lavoro,
interno-esterno, bene-male, pensiero-azione, desiderato-vissuto, Dio-uomo, uomo-donna,
ragione-istinto, etc.
Ed infine, in parole povere ,
ci si è accorti che le contraddizioni più dolorose in alcuni di noi non legati
a ruoli sociali cronici, né particolarmente opprimenti erano proprio quelle considerate
naturali ed ineluttabili: l’infelicità procurata dal sesso, la condanna sociale dei brutti, la paura
della morte, il dolore della malattia, l’estraneità rispetto al regno vegetale,
animale e cosale, il ruolo di vecchio, di bambino, di maschio, di femmina etc.
Specialmente per questo vogliamo prendere la parola su queste questioni e non
da soli.
b) In che modo l’operazione può non cadere nella
politica.
Non è possibile oggi esprimere altro che il grado
di dilatazione del nostro io in via di ricostruzione: esso è l’indice più
sensibile del costituirsi del proletariato in classe. Ciò che è possibile a noi
stessi è possibile ad ogni altro, ma non è vero il contrario: può accadere di
dover constatare un nostro ritardo in ogni momento accertabile. Tale grado di
dilatazione si manifesta in ogni realtà vissuta e quindi con modalità diverse,
ma la condotta, quella sì, rimane unitaria. Queste realtà vissute esprimono
apprezzamento verso noi stessi – e quindi una spinta verso
una vita sempre tesa in direzione del meglio assoluto – ed intolleranza verso il
sistema, sistematico organizzatore della morte quotidiana.
Nel momento in cui abbiamo deciso di esprimerci
con la carta stampata, non per questo la nostra condotta varierà, né il tramite
divulgativo potrà essere scisso, pur nella sua particolarità, dalla condotta. La forma
letteraria di queste realtà vissute impedirà che queste siano distinte da ogni
altra nostra forma di espressione: anzi si
illumineranno reciprocamente. Questo affinché l’iniziativa non divenga soltanto un’impresa
editoriale e la nostra vita quotidiana un’espressione
vitalistica.
Se è vero che la linea di classe passa all’interno dei singoli
individui e che il conflitto generale fra vita e non vita è introiettato da ognuno, il punto di partenza per una corretta impostazione è questo: dobbiamo
essere i narratori della parte proletaria di noi stessi. Il che è ben diverso sia dal vecchio populismo russo che
da quello moderno alla Balestrini.
In secondo luogo è necessario far
cadere la barriera fra l’individuo ed il mondo esterno, quello dei fatti, se
non si vuole recuperare un’astratta “dignità ed unicità dell’individuo”, né
collezionare fatti a noi estranei in quanto li si
coglie come fatti che non ci riguardano. Evitare questi rischi significa
soprattutto evitare di vivere in un armadio.
Ciò impedirà principalmente che la “forma letteraria” della nostra vita reale
stampata sia principalmente il saggio erudito, cioè un tentativo sempre frustrato di fissare uomini e cose in uno schema definitivo e definente, e pertanto fittizio.
Poiché la dialettica rivoluzionaria ha luogo
quando la vita si immette nel sociale e la socialità nella vita, il nostro
intento è quello di esprimere tale evidenza, mentre il
saggio analitico-dimostrativo servirebbe soltanto a dimostrare i nostri ritardi.
Ma questo ritardo lo si può avvertire anche in altri modi quando viene adottato
il tono o la forma persuasiva, o esortativa, o
perentoria, o irosa, o sloganistica, o descrittiva, o comunque noiosa, oscura,
involuta. Le persone colpevoli di ciò andranno poste di fronte alle loro
responsabilità col rigore di sempre.
Infatti questi moduli espressivi sono tipici della
letteratura e della tradizione politica e rispecchiano gravi carenze e spesso
palesi tradimenti. In breve, quelle descritte sono le
formule del modulo di espressione della politica specialistica (politica = arte
del possibile = arte di porre limiti agli individui con l’arma, se possibile,
della parola); ciò va evitato tenendo presente che il nostro
fine è quello opposto: evidenziare che non esistono
limiti alla crescita qualitativa della vita.
Come indicazione generica sarà bene che la parola
scritta non sia diversa da quella parlata e vissuta e che quindi il
“genere letterario” sia analogo ad alcuni classici come il dialogato,
il monologo teatrale, l’epistolario, la biografia, ed altri modi espressivi come
l’articolo giornalistico, il diario, l’invettiva, il prontuario ed altri da
inventare.
È però necessario comprendere che non è possibile fare
l’esatto opposto di ciò che si è fatto finora per ottenere risultati diversi. Infatti non
sarebbe possibile ottenere buoni risultati rovesciando l’astratta
obiettività ed il realismo del saggio, per poi adottare uno stile
delirante ed onirico; ciò è avvenuto in passato ed ha scardinato il
razionalismo della politica il che ci permette oggi l’acquisizione di un
livello superiore di comprensione.
Quanto detto è ancora
insufficiente per definire uno stile di espressione adeguato ai temi vitali che
ci proponiamo di trattare, ma una chiara consapevolezza di ciò che occorre
evitare potrà esserci di valido orientamento.
Da tenere presente inoltre che uno
“stile” che non svilisca i “contenuti” potrà essere
adottato solo se i contenuti sono per noi veramente vitali. Se ciò non è vero nessuna
analisi potrà indicarci qual è la strada migliore.
I temi che la visione
materialistico-volgare della politica ha trascurato sono ad esempio la nascita,
la morte, la natura, il sesso, la vecchiaia, la malattia e la deformazione, il
sonno e la veglia, il tempo, lo spazio e molti altri.
Tali temi sono stati campo
incontrastato dei tromboni della cultura accademica, mentre i politici amanti
della pratica hanno sempre disdegnato di curarsene senza avvedersi che oggi il
momento naturale e quello sociale dell’alienazione non sono più distinguibili
essendosi materializzati negli individui; per cui gli scrittori politici hanno
sempre rivolto la loro attenzione a temi più “concreti” (salario, sfruttamento,
lotta di classe, etc.) e più comprensibili al popolo.
Ora però che il capitale si è fatto uomo e
natura investendo la sfera del biologico, non è più possibile se non per conclamata malafede trascurare
tali soggetti.
Ciò in quanto, tra l’altro, il ricatto del
capitale sugli individui è fondato sulle soluzioni che esso fornisce ai
problemi di ordine biologico-sensoriale, soluzione che non è altro che la “produzione
della vita”, accompagnata dalla divulgazione di
modelli di comportamento e dalla falsa credenza che tali soluzioni siano le
migliori e le uniche possibili.
Altri temi sono già stati trattati ampiamente dalla
letteratura di sinistra, da un punto di vista parziale per lo più politico od
economistico; essi andranno nuovamente affrontati con un taglio che li leghi
unitariamente ai precedenti fornendo una soluzione praticabile subito
individualmente e collettivamente. Tali soggetti sono: il matrimonio, i figli, il
lavoro, la violenza, le istituzioni, la musica, il tempo libero ed altri.
Per questi ultimi sarà estremamente difficile fare
e dire qualcosa di nuovo, ma nonostante ciò tale impresa va iniziata senza
ritardi.
Risulta da questa bozza che i firmatari ed alcuni
altri intendono mettere in piedi una collana di pamphlets intorno agli
argomenti suesposti. Si è ben consapevoli delle difficoltà cui si va
incontro; e non tanto delle difficoltà tecniche isolatamente prese che sono
facilmente appianabili quanto del fatto di risolvere tecnica, divulgazione,
elaborazione, stile in modo unitario e non in momenti logicamente separati. Si è consapevoli
inoltre della necessità che più persone collaborino all’operazione, anche se
non si intende commettere l’errore di volere preordinare tutto assemblearmente ed
in anticipo.
Per cui si vorrebbe fare sì che ogni lavoro sia il
risultato di un’elaborazione collettiva; non solo, ma anche di una convergenza il
più possibile estesa verso condotte materiali comuni. Quindi si richiede ai
compagni destinatari di questa lettera di cercare di entrare in contatto nei
modi più proficui con i mittenti.
Volantino antilaborista diffuso a Torino in occasione del corteo del 1° maggio 1971. Il tono franco e spontaneo del testo, e la sua originale giustificazione tipografica, ottenuta con l’impiego ripetuto del simbolo di “=” (uguale), inducono ad attribuirne la paternità a Carlo Ventura. (Pier Franco Ghisleni)
INDIRIZZO AL POPOLO LAVORATORE ABBRUTITO DALLA PRATICA DEL LAVORO ED ACCECATO DALLA SUA IDEOLOGIA, AFFINCHÉ SCACCI DAL CUORE E DALLA MENTE OGNI AMORE PER QUESTA ABERRAZIONE, FONTE DI TUTTE LE MISERIE E PONGA IN ESSERE LA SUA CONCRETA DISTRUZIONE
Forse che non verrebbe considerato stolto chi, chiuso in una cella di una orribile prigione, benedicesse i suoi aguzzini ringraziandoli perché gli danno tetto e cibo sicuro?
E dieci volte stolto qualora, covando la ribellione nel suo cuore, egli affidasse le sue sorti ai cappellani del carcere, il cui programma fosse il miglioramento delle celle o, al massimo, l’autogestione dei detenuti del carcere stesso?
E cento volte stolto qualora, dimentico di ogni libertà, pensasse che l’unico mondo possibile è quello delle sua orribile prigione e scambiasse i latrati dei cani da guardia per annunci della sua liberazione?
E mille volte stolto qualora, periodicamente ed in unione con altri infelici suoi pari, formasse delle processioni per inneggiare alle grandi conquiste dei prigionieri ed alla libertà, sotto il complice occhio di un direttore benevolo?
Non c’è chi non possa vedere in costui ogni segno della peggiore demenza. Ma c’è poco da rallegrarsi poiché il POPOLO LAVORATORE è come il nostro prigioniero demente. È facile capirne il perché. Basta cambiare alcuni termini:
CELLA=FABBRICA / PRIGIONE=SOCIETà / AGUZZINI=FUNZIONARI DEL CAPITALE E SUOI SGHERRI / CAPPELLANI=PARTITI E SINDACATI / LATRATI=SLOGAN PSEUDO RIVOLUZIONARI SCANDITI PERIODICAMENTE DA GIOVANOTTI DI SINISTRA
La liberazione dal lavoro è la condizione preliminare per il superamento della cosiddetta SOCIETÀ DEI CONSUMI e per l’abolizione nella vita di tutti della separazione tra TEMPO DI LAVORO e TEMPO LIBERO (in realtà il TEMPO per gli individui non esiste se non come quantità vendibile e consumabile e mai come libertà assoluta di organizzare il proprio piacere).
LA NECESSITÀ DELLA RIVOLUZIONE TOTALE È STORICAMENTE POSTA ALL’UMANITÀ
La concentrazione capitalista dei mezzi materiali ed ideologici e la sua distribuzione sociale si trova di fronte sempre più minacciosa l’INSODDISFAZIONE crescente di tutti.
La società del capitale promette ma non può mantenere. Non può mantenere alcuna promessa di felicità poiché il suo fine stesso (produzione) ed i suoi mezzi (lavoro etc.) sono chiaramente OPPRESSIVI.
I proletari stanno lanciando la sfida alla società e non per una società DIVERSA o MIGLIORE ma per l’abolizione di OGNI SOCIETÀ (intesa come agglomerato di individui-merci retti da uno scopo ad essi superiore).
I PROLETARI LOTTANO PER IL COMUNISMO SUBITO
NON VOGLIAMO TUTTO merda compresa VOGLIAMO IL MEGLIO ASSOLUTO
I CONSIGLI PROLETARI (strumento del POTERE ASSOLUTO DI CIASCUNO SULLA PROPRIA VITA) stanno per sorgere sulle rovine di ogni potere separato. La felicità in armi esige di prendere il posto dell’infelicità oggi esistente. La distruzione del dominio del capitale e dei suoi strumenti è l’unica FESTA che il proletariato può desiderare.
È TEMPO DI INIZIARE CONCRETAMENTE LA LOTTA PER UN 1° MAGGIO PERMANENTE, CIOÈ PER L’ABOLIZIONE DEL LAVORO E DEL TEMPO CAPITALISTA.
CHI AMA IL LAVORO
È UN MASOCHISTA
O SI CHIAMA CAPITALE
Milano, 14/4/1971. Il volantino fu distribuito alle entrate della Fiera di Milano il giorno dell’inaugurazione. Alcuni compagni che aiutavano a dare i volantini vennero fermati e denunciati a piede libero per istigazione a delinquere. I fumetti sono di Enzo Bridarolli, che non faceva parte del gruppo.
CONTRO IL POTERE DELLA MERCE TUTTO A SACCO
Gli Hooligani
Milano, 14 aprile 1971
La Fiera costituisce – nel ciclico ritornare del tempo capitalista – il momento in cui la società mercantile, che parla ovunque di sé sotto falso nome (dalla religione allo sport, dalla politica all’arte), parla di sé in prima persona e, conseguentemente alla propria logica, vende la contemplazione di se stessa. La Fiera è dunque il punto di coagulo di tutte le alienazioni che dominano giorno per giorno la vita di ognuno; essa è insieme lo spettacolo della merce (in quanto esposizione di prodotti) e la mercificazione dello spettacolo (poiché paradossalmente si paga per contemplare il prodotto del proprio lavoro).
Aldilà del valore reale degli oggetti esposti e cioè quel valore che essi acquistano soltanto nell’uso, esiste il potere che essi detengono sull’uomo, nel momento in cui, tramite la mediazione del valore di scambio, la società capitalista se ne serve per sé sotto forma di merci. Tempio del valore di scambio (poiché il valore delle merci risiede precisamente nel loro essere oggetti di compravendita, fra un acquirente che è il produttore stesso e un venditore che va assumendo sempre più la forma astratta di “centro di distribuzione economica” che dà a ciascuno secondo i bisogni del capitale), la Fiera è la negazione del valore d’uso e, quindi, dell’uso reale della vita. Mediata dalle merci, la vita vissuta è stata degradata a contemplazione, a spettacolo di tutti per tutti. Ora, mentre l’estensione della abbondanza mercantile non significa altro che l’impoverimento generale di tutti, la rinuncia a vivere la propria vita, essa è insieme la garanzia per la realizzazione di un’effettiva abbondanza nel momento in cui gli uomini si impossessino dei loro prodotti e li usino. L’abbattimento della società spettacolare-mercantile e l’abolizione del lavoro salariato sono il punto obbligato per la realizzazione di una società in cui la creatività di ognuno assicuri la ricchezza sociale, in cui ciascuno sia padrone collettivamente dei prodotti collettivi, e possa riscoprire il senso dell’amore e dell’amicizia. Il rifiuto del valore di scambio è dunque il presupposto per il rifiuto della realtà mercantile che ne costituisce il modello, la motivazione e il fine ultimo. Si tratta di impossessarsi di tutto ciò che la pubblicità offre astrattamente e di riscoprire, con il furto e il dono, l’uso reale che smentisce la razionalità oppressiva della merce. Gli uomini, distruggendo la merce, impongono il potere della propria soggettività su tutti gli oggetti che li circondano.
Milano, 18/3/1971. Il “Consiglio per lo smantellamento del vecchio mondo” era un gruppo di affinità creato nel 1971 al liceo Vittorio Veneto di Milano, composto da Paolo Ranieri, Claudio Albertani, Walter Rusnighi, Dario Acerboni, Maurizio Pedrinella e Alberto Gaetani. Nel gennaio 1972 Albertani e Ranieri entrarono in Comontismo, mentre gli altri compagni continuarono per la loro strada.
LA COMUNE NON È MORTA
Il 18 marzo 1971 aveva inizio la prima esperienza
storica di società senza classi: la Comune di Parigi. Favoriti dalla fuga dei
borghesi e del loro governo i proletari prendevano in mano il proprio destino.
PER DUE MESI IL POTERE PROLETARIO FU L’UNICO POTERE A PARIGI. Il 21 maggio le
truppe governative entravano in città e dopo una settimana di combattimenti
schiacciavano la rivoluzione nel sangue.
1) Nel quadro della mercificazione forsennata della
storia delle espressioni radicali del proletariato, non poteva essere
risparmiato il centenario della Comune. Proprio in questo periodo recuperatori
e controrivoluzionari, dai cattolici “critici” ai leninisti di tutti i racket,
impegnano le loro forze per spiegare il “fallimento della Comune” (L’Unità, 21/2/71, articolo dello
stalinista Giancarlo Pajetta: «Il proletariato e i lavoratori parigini dovevano
ancora esprimere e conquistare consapevolmente la dottrina della rivoluzione.
Essi mancavano del partito, di una organizzazione politica dell’avanguardia».)
Ma oggi il proletariato, come ogni volta in cui si
assuma il rischio di cambiare il mondo, ritrova la memoria globale della
storia. la riscoperta del passato, dell’esperienza sempre mistificata e
nascosta delle rivoluzioni proletarie, non è che un momento della riscoperta
del proprio avvenire nel progetto storico di una secoietà senza classi.
2) IN REALTÀ LA
COMUNE NON HA FALLITO NESSUNO DEI PROPRI SCOPI. Prima di essere
selvaggiamente soppressa (trentamila insorti fucilati, quasi settantamila
imprigionati o deportati) la Comune aveva già mostrato – nei soli 72 giorni del
suo potere – la possibilità “reale”
del comunismo.
3) È ben vero che negli atti dei comunardi è possibile
individuare il germe che porterà la teoria rivoluzionaria di Marx alle
degenerazioni socialdemocratiche e bolsceviche. Il lavoro come ideologia (uno
dei motivi ricorrenti allora era “chi non lavora non mangia”) come pure il
divieto di eleggere persone che avessero subito condanne penali esprimono una
tendenza che troverà il proprio compimento nella degenerazione leninista e
trozkista del pensiero rivoluzionario in senso idealistico-autoritario. Così
d’altra parte la debolezza con gli ostaggi (alcuni preti e l’arcivescovo non
furono fucilati che quando la situazione era ormai irreparabilmente
compromessa), la rinuncia a prendere possesso delle banche in nome di un
rispetto incomprensibile verso la proprietà privata, la tolleranza religiosa e
soprattutto l’aver consentito a noti controrivoluzionari di partecipare alle
elezioni e poi di fuggire dalla città, appaiono tipici di una concezione ancora
“democratica” e legalista del potere proletario.
4) Ma la grande attualità della Comune sta nell’aver
provato una prima verifica pratica delle teorie comuniste: l’autogestione
operaia della produzione (la maggior parte delle fabbriche abbandonate dagli
industriali fu rimessa in funzione sotto il controllo operaio) e l’unione del
proletariato internazionale (parteciparono alla Comune tedeschi, italiani,
polacchi, svizzeri). Scriverà Marx: «Sotto
gli occhi dell’esercito prussiano che aveva annesso alla Germania due provincie
francesi, la Comune annetté alla Francia gli operai di tutto il mondo». Se
il problema della divisione del lavoro non poté essere radicalmente risolto,
sia per le incertezze teoriche di molti comunardi (legati a ideologie
populiste) sia per le difficoltà oggettive di quel momento, si gettarono però
le basi per la sua abolizione, con il livellamento di tutti i salari.
5) Per un giudizio storico sulla Comune va d’altronde
tenuto presente che la soppressione armata dell’insurrezione ha limitato gli
atti dei comunardi a uno stadio puramente distruttivo. Ciò che a posteriori può
sembrare vandalico (la distruzione di monumenti ed edifici, il tentato incendio
di Nôtre Dame) avrebbe avuto ben altra validità se la Comune avesse avuto modo
di realizzare un nuovo ambiente, l’ambiente della comunicazione liberata. Al
contrario, la critica dell’urbanistica come le altre critiche affrontate
praticamente in quella primavera del 1871 (quella del lavoro salariato, della
divisione dei ruoli, dell’ideologia) sono rimaste a uno stadio potenziale.
6) L’importanza storica della
Comune non va giudicata soltanto sulla base di ciò che essa realizzò, ma di ciò
di cui, «con la sua stessa esistenza in atto», dimostrò la possibilità e del
contributo di esperienza che essa offrì allo sviluppo della teoria radicale.
Per contro, travestita e mistificata dai bolscevichi, la Comune è stata la
principale “giustificazione” della teoria del socialismo di stato, della
dittatura del proletariato ridotta a
forma statale di dittatura sul
proletariato.
7) Ma sono gli atti stessi
dei rivoluzionari parigini ad affermare che la Comune non fu una nuova forma di
stato (il cosiddetto stato proletario, momento di transizione tra il
capitalismo e il comunismo). A Parigi in quei giorni i proletari assunsero
effettivamente il potere totale sulla loro vita: fu abolito l’esercito
permanente, sostituendolo con la popolazione armata, fu stabilito che tutti i
delegati fossero revocabili in ogni momento, fu proclamato che «la Comune era
la bandiera della repubblica mondiale». Questo non era più uno stato, era
l’autogestione di tutti gli aspetti della vita, la più grande festa del
diciannovesimo secolo. ERA REALMENTE LA DITTATURA ANTISTATALE DEL PROLETARIATO.
8) Già Engels scriveva nel
1891: «Volete sapere che cos’è la dittatura del proletariato? Guardate la
Comune di Parigi. Questa era la dittatura del proletariato». Ma nell’attuale
capitalismo avanzato che domina universalmente la vita degli uomini, il connotato
che distingueva il proletariato come classe («la classe che non ha niente da
perdere salvo le proprie catene, e ha un mondo da guadagnare») distingue ormai
la totalità degli uomini come “classe degli sfruttati” (esclusi, beninteso, i
capitalisti, i tecnocrati, i preti, gli ideologi, i leninisti, stalinisti e
maoisti) la dittatura del proletariato si annuncia come la dittatura
dell’umanità su se stessa, come la riconquista da parte di ciascuno del ruolo
di protagonista della propria vita, di autore cosciente della storia
universale. Ed è questa dittatura il segreto finalmente svelato della Comune:
questo era l’aspetto di quel momento storico che nessun burocrate ha saputo
recuperare e che, rimasto allora allo stadio potenziale, attende ancor oggi la
propria realizzazione. Il compito della rivoluzione moderna è quello di «rendere coscienti le tendenze incoscienti
della Comune» (Engels).
9) Se in cento anni la
società ha proposto agli uomini sempre nuove false soddisfazioni, la
rivendicazione radicale del proletariato – da quella primavera del 1871 in poi
– è sempre la stessa: tutto il mondo. E tutto il mondo è ora in discussione.
Testo firmato Gli amici dell’INTERNAZIONALE, Torino, 4 febbraio 1971.
Volantino infarcito di elementi linguistici tardosituazionisti. Non è un elaborato dell’Organizzazione Consiliare. Potrebbe essere attribuito ad un cenacolo di 3-4 persone, allora attivo in un appartamento del Lungo Dora torinese, animato da una giovane donna, tale C.M. (P.F.G.)
LE BOMBE DI CATANZARO SONO ESPLOSE CONTRO IL PROLETARIATO
“Lo stato è sempre al di sopra di ogni sospetto” (da un diario segreto di un agente di P.S.)
Compagni,
lo sciopero generale, lo
scatenamento della guerriglia, le barricate permanenti, ancora una volta
suonano a morto alle orecchie sensibili della borghesia e dello stato capitalista.
In questi giorni il governo, spalleggiato dal partito cosiddetto comunista,
specializzato in repressioni proletarie (esperienze accumulate in oltre 50 anni
di complicità con le dittature sul proletariato dei partiti comunisti nei paesi
cosiddetti socialisti e di astuzie sindacali repressive), ha già fatto scattare
il suo goffo e macabro piano di annientamento della rivolta di Reggio.
Sono di questi giorni le intimidazioni
violente, le bombe provocatorie e poliziesche destinate a tramortire la rivolta
per il tempo necessario a ripristinare l’ordine. La borghesia italiana, dopo
avere tentato invano una repressione a freddo, è costretta a iniziare una
strage a caldo.
Per la prima volta, dopo le
episodiche rivolte di Avola e Battipaglia, una intera città, nel cuore dello
sfruttamento capitalistico, ha organizzato in modo permanente la propria
insurrezione.
Nello scandalo permanente di
una città che, mantenuta in un vero e proprio stato d’assedio si è
selvaggiamente ammutinata, annientando ogni potere statale ed amministrandosi
da sola, i padroni di oggi vedono minacciosamente prefigurarsi la loro
sconfitta di domani. Gli organi burocratico-amministrativi del dominio
capitalistico sono stati ripetutamente saccheggiati e ridicoleggiati dai
proletari rivoluzionari di Reggio. E così l’apparato propagandistico borghese
(radio, televisione, stampa di destra e di sinistra), nel tentativo disperato
di dare a tutti i costi una ragione per lui accettabile del crollo degli organismi
burocratici, economici e sociali, s’invischia in penose contraddizioni e ricorre
a calunnie sempre più spinte. I proletari di Reggio devono essere trasformati
in “squadracce fasciste” (che terrorizzerebbero i bravi cittadini desiderosi di
riprendere al più presto il loro onesto lavoro); si tenta così di prendere
sempre lo stesso piccione con due fave: utilizzando propagandisticamente il miserabile
tentativo di strumentalizzazione da parte di neo-fascisti e contemporaneamente
accreditando la versione interessata degli stalinisti del P.C. sul pericolo
fascista, come arma per coprire ogni voce che non sia quella al soldo dei
padroni.
La
smentita di queste calunniose mistificazioni è venuta cori l’adesione massiccia allo sciopero generale, con il corteo di diecimila persone
sanguinosamente attaccato da
polizia e carabinieri e con le
scritte popolari contro lo stato e la polizia.
I due
poli dell’ideologia capitalista,
quello padronale e quello riformista, si
completano a vicenda. Insieme all’Unità è il giornale di Agnelli
il più coerente ed ostinato nel dipingere la rivolta di Reggio con le tinte
dell’arretratezza semifeudale e
del nostalgico impossibile ritorno al passato. La borghesia di oggi rispolvera l’ideologia
dell’arretratezza ideologica del Sud, in nome della quale lo stato capitalista borghese, meno di cento
anni fa, represse coll’esercito i contadini insorti contro la condanna allo sfruttamento e alla miseria che i padroni
del nord avevano decretato per
loro.
Allora
l’unità d’Italia serviva
ai padroni capitalisti per unificare lo
sfruttamento, articolando territorialmente i modi dello sviluppo
industriale sulla base delle esigenze del profitto.
Oggi invece è contro l’unità
reale del proletariato rivoluzionario che è costretta a difendersi la borghesia
attuale.
L’ideologia borghese dell’arretratezza del Sud mostra di essere in
realtà l’arretratezza dell’ideologia.
La nuova epoca rivoluzionaria
riporta sulle strade e sulle piazze i vecchi nodi storici, perché solo i
problemi più antichi permettono di scoprire le soluzioni più moderne e radicali.
COMPAGNI OPERAI, nella ripresa
produttiva e delle altre attività burocratico amministrative, governo e padroni
concordano nel riconoscere il “ritorno alla normalità”; il ritorno cioè dell’unica
normalità che essi ammettono: quella che li mette in condizioni di sfruttare ed
esercitare un dominio totalitario.
PROLETARI RIVOLUZIONARI ! non
lasciatevi ingannare né da chi vi sfrutta in luoghi di pena chiamati fabbriche,
né dalle canaglie del P.C., le quali hanno mostrato sì di essere all’avanguardia,
ma non della classe operaia, come sostengono, bensì della repressione ad ogni
costo e della menzogna sistematica.
Il potere ha oggi bisogno di
falsi nemici per nascondere quelli veri che annienteranno ogni potere separato:
i proletari-rivoluzionari.
Reggio, a tre riprese
successive, sia pure tollerando troppe confusioni al suo interno, si è
ammutinata cancellando il potere dello stato e dei partiti, calpestando e
prendendosi gioco dei recuperatori e becchini della sua rivolta (il Poliziotto Santillo
ha difeso Ciccia Franco che, cercando di placare le acque, è stato scavalcato più
volte dalle assemblee popolari; l’armatore Matacena che ha partecipato al corteo
delle diecimila persone è stato spazzato via dai proletari allorché cercava di fermare
la folla scatenata contro la polizia. Per questo gesto “civile” il “Corriere
della sera” lo ha elogiato.)
È perché i proletari di Reggio
hanno messo praticamente fuori legge
i partiti e lo stato, che lo stato e i Partiti sono costretti a dichiarare
Reggio intera fuori legge. In realtà
è loro esistenza legale che sono
costretti a difendere.
L’esempio di Reggio che oggi
angoscia il fronte unito della borghesia italiana, non mancherà di essere
raccolto e sviluppato dagli operai selvaggi del Nord.
I giornali fascisti, citando le
scritte dei cartelli sulle barricate: “Reggio come Praga e Danzica”, ostentano
per Reggio la stessa stupida allegria che ostentavano pochi giorni fa per la
rivolta di Danzica e Stettino. S’illudono certamente che il proletariato
rivoluzionario annienti la dittatura del partito cosiddetto comunista per
sostituirne una più congeniale alla loro ideologia. Ma il Soviet operaio che per
tre giorni a Stettino ha riunito in sé tutti i poteri di decisione e di esecuzione,
organizzando l’armamento del proletariato contro la polizia e i burocrati del
P.C., s’incarica di schernire i miserabili tentativi di recupero ideologico di
destra e di sinistra.
A Stettino, come già a
Kronstadt, a Torino nel 1921 e in Ungheria nel 1956, si è dimostrato quale forza
i proletari rivoluzionari possano avere riuniti insieme in consigli operai
autonomi, ma anche (poiché la rivoluzione non ha vinto definitivamente) i
limiti che questi hanno avuto nella misura in cui non si è riusciti a
generalizzare questa esperienza e a smascherare tutti i burocrati,
sindacalisti, leaders-vedettes o sedicenti avanguardie, come ultimi rigurgiti
del vecchio mondo che tenta il loro di sopravvivere, cacciandoli definitivamente.
Compagni, le bombe di Catanzaro
costituiscono un’ulteriore articolazione del piano di annientamento premeditato
della rivolta di Reggio. Se la strategia delle bombe non sarà sufficiente a
tramortire la rivolta, l’esercito è già pronto. A CATANZARO, COME GIÀ A MILANO,
LE BOMBE SONO ESPLOSE CONTRO IL PROLETARIATO ITALIANO.
VIVA i proletari rivoluzionari
di Reggio Calabria!
VIVA lo sciopero selvaggio dei
ferrovieri!
VIVA il granducato di Sbarre!
VIVA il granducato di Sbarre!
VIVA i compagni che nelle
fabbriche di tutt’Italia stracciano la tessera del P.C.I. e del sindacato!
VIVA le lotte selvagge degli
operai nelle fabbriche del nord!
VIVA IL POTERE ASSOLUTO DEI
CONSIGLI OPERAI!
Compagni: non lasciatevi
fermare qui: il potere e i suoi alleati hanno paura di perdere tutto; noi non
dobbiamo avere paura di loro c soprattutto non dobbiamo averne noi stessi: “non
abbiamo da perdere che le nostre catene e tutto un mondo da guadagnare”.
Volantino fronte/retro. Al recto violenta polemica per un accordo Fiat-sindacati, con insulti al direttore del personale pro tempore, Umberto Cuttica, ed ai sindacati che hanno approvato l’accordo per un aumento salariale di 5mila lire. Al verso surreale strip antisindacale, presa da qualche magazine satirico francese (Hara-Kiri? Charlie Hebdo? Actuel?) ma con lettering modificato. Diffuso agli stabilimenti Fiat di Lingotto e Mirafiori. (P.F.G.)
Lettera senza data. Scritta dalla latitanza da Carlo Ventura, Riccardo d’Este, Ada Fusco e M. Repetto, per il nucleo viaggiante ‟Agostino ’o pazzo” aderente all’Organizzazione Consiliare.
COMUNICAZIONI
DI DUE ASSENTI FORZATI E DELLE LORO COMPAGNE AI MEMBRI TUTTI DELL’ORGANIZZAZIONE
CONSILIARE
La nostra assenza forzata,
resasi necessaria onde sottrarsi al braccio della legge con i suoi intenti
provocatori, non deve assolutamente influire in modo negativo sull’attività
teorico-pratica dell’O.C. Deve invece indurirei e spingerei in modo ancora più
reiterato e rivolto in maniera non equivoca alla completa realizzazione del
progetto di distruzione del sistema sociale esistente.
È pertanto buona cosa che dei
compagni debbano latitare perché si sono dimostrati coerenti con le tesi
formulate; sarebbe però pessima cosa se questo portasse ad una stasi (momento
di riflusso) sia nei latitanti sia in coloro che restano. Il nostro essere
“organizzati” deve saper far fronte a questa contingenza, ed uno dei nostri
maggiori compiti è quello di stravolgere il disegno poliziesco che, colpendo
coloro che essi – con ottusità tipica
dei servi – considerano i “capi”, vorrebbe costringere così tutti gli altri ad
una posizione di difesa. Bisogna pertanto inficiare il programma repressivo il
cui fine non è necessariamente quello di sbatterci in galera (ma anche questo, beninteso,
se gliene si offre la possibilità) ma quello invece di togliere fuori dalla
mischia coloro che, a loro avviso, sono tra i più facinorosi onde acquietare la
virulenza rivoluzionaria dell’O.C. tutta.
D’altra parte noi tutti ci
attendevamo la risposta dura del sistema non appena la nostra azione si fosse
misurata direttamente con il reale, cercando di smuoverlo ed attaccarlo. Ed
oggi sarebbe errato meditare su eventuali “errori tecnici”, poiché solo con una
continuità eversiva sempre più dura ed organizzata sarà possibile evitarli e
darci quella struttura per nuclei violenti che tutti aspettiamo e che la
situazione storica presente sempre più richiede.
È importante quindi assumerci
sino in fondo la paternità rivoluzionaria (ma non soltanto coram populo, ma
ancor più nell’intimo dei nostri cuori) dei gesti sinora compiuti e di tutti
quelli che, con una giusta scalata, vorremo compiere. Così come è indispensabile
vigilare sulla teoria affinché essa sia sempre uno strumento affilato nelle
mani dei rivoluzionari e non si trasformi nell’ideologia della “lotta politica”
e nello spettacolo di noi stessi, quali attori qualsivoglia sul palcoscenico
del sinistrismo e del recupero. La disfatta dei recuperatori è possibile solo
avendo sempre reazioni spropositate (in base alla spropositatezza delle nostre
posizioni teoriche) rispetto a ciò che si attendono i registi della politica. Sconfiggiamo
dunque il disegno poliziesco (cui si prestano i politici, nessuno escluso)
continuando in maniera pertinace la critica teorico-pratica di tutto
l’esistente e dimostrando al capitale ed ai suoi cani da guardia che la
contingenza (due membri coscienti latitanti) non muta l’essenza dell’O.C. il
cui compito rimane la vigilanza teorica e l’eversione violenta, non
trasformando la pratica dell’omogeneità in un “soccorso rosso” sterile ed
impotente.
A questo punto però è
necessario realisticamente trovare le nuove articolazioni, nuove perché la
situazione è diversa, con le quali sia noi che voi possiamo collaborare
attivamente e creativamente al medesimo progetto.
I nostri compiti nella situazione
attuale potrebbero essere:
– elaborazione di testi
fondamentali (opuscoli etc.) ed articoli per Acheronte non esclusi i compiti
più squisitamente redazionali (ci è possibile farlo data la grossa quantità di
tempo, sia pur borghesemente inteso, che abbiamo a disposizione).
– contatto con consiliari
incoerenti e gente varia in diverse città d’Italia (Genova, Roma, Firenze
etc.), onde addivenire alla formazione di O.C. sul tessuto nazionale. A questo
proposito non sarebbe cattiva cosa se vi deste da fare per reperire il maggior
numero di indirizzi e notificarceli o, addirittura, ci fissaste voi
direttamente degli incontri (ciò per essere certi di trovare qualcuno e non
perdere tempo, oltre al rischio di dormire negli alberghi). (Nota: se il
progetto riesce dovremo ringraziare il sistema che con un’azione di forza ci ha
sradicati da Torino in cui, bene o male, c’era il rischio di fossilizzarci, di
porci in una condizione paraburocratica e di chiudere un po’ troppo il nostro
orizzonte (che invece, come tutti sanno, non è altro che una linea
immaginaria).
I vostri compiti,
evidentemente, non possono mutare da quelli già precedentemente e comunemente
fissati. D’altra parte (e lo faremo presto con testi acconci) pensiamo sia
corretto che noi stessi, nella n1isura possibile, partecipiamo alle vostre
scelte non solo teorico-metodologiche, ma anche pratico-organizzate. Questo per
mantenersi comunque conformi, nonostante le difficoltà, alle tesi relative alla
trasparenza ed all’interscambiabilità dei membri.
Comunque, per ora, pensiamo che
sia indispensabile:
1) far funzionare immediatamente
i nuclei di intervento, collegandoli al più generale problema dei nuclei
abitazionali. Sarà necessario interrompere sine die i rapporti con tutti
coloro, che, pur manifestando simpatia o addirittura adesione all’O.C., non si
impegnino (secondo le proprie capacità ed inclinazioni) attivamente al
programma dell’O.C.
2) rendere sempre più autonomo
il lavoro di nucleo, ferme restando scadenze comuni (che vanno peraltro
intensificate) come assemblee, azioni collettive, pubblicazioni etc. A questo
fine sarà inevitabile una ristrutturazione quantitativa dei nuclei (quello di
intervento operaio contro il lavoro ed il suo tempo morto, ad es., è
insufficiente) e soprattutto una intensificazione degli interventi, in modo da
non cadere nella trappola burocratica delle “scadenze politiche” ma imponendoci
noi stessi le nostre scadenze.
3) svolgere un fitto lavoro di
propagazione di teoria con azioni idonee e diffusione di testi, non soltanto
per “reclutare’” compagni ma soprattutto per impedire la messa in atto di
calunnie che vanno respinte con il massimo rigore, così come tutte le
provocazioni anticonsiliari (contro tutta l’O.C. o contro suoi membri) vanno
soffocate con la violenza pratica, nonché teorica.
4) intensificare la vigilanza
all’interno dell’O.C., non solo per smascherare con metodi acconci (il migliore
evidentemente è quello della massima socializzazione della propria creatività)
delatori, provocatori, infiltrati vari, ma, del pari, per smascherare, bollare
e quindi scacciare i pavidi, i volontariamente inetti, gli ottenebrati cronici,
gli ideofagi, i “compagni di strada” (peggio delle troie), gli opportunisti, i
dogmatici etc.
Su tutti questi argomenti (e molti
altri, più specifici ancora) ritorneremo più diffusamente altre volte, con
regolare periodicità (2-3 lettere settimanali, più i vari testi teorici).
Al fine del regolare
svolgimento dei nostri rapporti epistolari vi consigliamo, per non oberare
eccessivamente alcuni compagni più diligenti, di nominare un nucleo ruotante di
corrispondenza ed informazione, in modo che più persone, volta a volta, si
impegnino in questo tipo di lavoro che, se andassero a buon fine i contatti con
altre città, potrebbe diventare un punto essenziale.
È peraltro evidente che tutti
coloro che intendono scriverci per loro conto ci faranno molto contenti.
W LA TEPPA ROSSA ORGANIZZATA
W IL POTERE ASSOLUTO DEI
CONSIGLI PROLETARI
W IL PIACERE DELLA RIVOLUZIONE
E LA RIVOLUZIONE DEL PIACERE.
Per il nucleo viaggiante
“Agostino ’O PAZZO”
aderente all’Organizzazione
Consiliare:
C. Ventura, R. d’Este, A.
Fusco, M. Repetto.
P.S. Gradiremmo notizie sulla
lotta antiGennero del nucleo Babeuf.
((POSTILLA IMPOSTA DA CARLO:
Nel caso la latitanza perdurasse
per molto tempo (un mese o più) potremo svolgere, e di questo se ne occuperebbe
Carlo in maniera specifica, una“consulenza”
sui problemi personali e di vita quotidiana di qualunque genere.
1) un
aiuto concreto
a voi nella vostra continua critica del vecchio mondo e delle sue miserie, vista la provata esperienza di Carlo e
Riccardo e la loro continua
disponibilità ad aiutare ogni compagno che si trovi in difficoltà, poiché essi pensano che la risoluzione di un
problema, anche se “personale”,
superi la contingenza della persona stessa e debba venir socializzato tra tutti i rivoluzionari.
2) servirebbe inoltre a rendere
meno isolati due “esiliati” ed a far loro sentire più da vicino la presenza
dell’organizzazione la quale li tiene in considerazione non soltanto per motivi
squisitamente politici.
PERCIÒ SCRIVETECI.
P.P.S. Mandateci l’indirizzo di
Sergio ed altri indirizzi che voi reputiate a noi utili.
Opuscolo di 53 pagine. «Il testo è stato redatto a Genova nel Gennaio 1971, immediatamente dopo i fatti di Polonia». Stampato dalle Edizioni international, Savona, presso la Tipografia Gazzo, Genova Sampierdarena (Gennaio 1972) in molte copie e con una veste grafica di qualità superiore rispetto alle pubblicazioni del movimento dell’epoca, grazie al finanziamento dell’Università ottenuto da Gianfranco Faina, appena diventato professore incaricato di Storia dei partiti politici. La copertina è in ottone lucido, le pagine in carta patinata lucida; contiene un inserto di sedici pagine disposte in un unico foglio piegato.
Versione originale
Volantone fronte/retro allegato al volume. Contiene una descrizione aggiornata al 1° giugno 1972 della Polonia e due testi scritti e diffusi in Italia nel dicembre 1970 durante la rivolta (Danzica e Poznan come Detroit / Fascisti, democratici e sedicenti comunisti uniti contro la rivoluzione in Polonia) e ascrivibili a Ludd (VEDI QUI)
Qui sotto, la versione reimpaginata (con possibilità di copiare il testo)
Volantone su Mario Rossi e la rapina di Genova del gruppo 22 ottobre. Genova, maggio 1971. Pieghevole di 4 facciate, ciascuna di cm. 23 per 33, su carta pesante. Ancorché testo collettivo, Luigi Grasso ne attribuisce la concezione a Riccardo d’Este. «D’Este era giunto a Genova nel maggio 1971 con un volantone Intrepido che fra altre cose prendeva le difese di Mario Rossi, sia pure in una versione ardita e anche poetica. Non nel volantone ma su un muro, d’Este aveva tracciato una scritta che aveva fatto epoca e contribuito al mito della “22 ottobre”: “Mario Rossi. Con te, nella notte in cui finisce la Preistoria”.» L’Intrepido si pose come un crocevia dell’esperienza postluddista, costituendo uno dei testi alla base della discussione tra i fondatori di Comontismo a Ponte a Egola ma anche, secondo una componente soprattutto genovese dell’ex Ludd, l’inizio di una deriva nichilista che, unita al consolidarsi dei gruppi della sinistra extraparlamentare e all’incipiente lotta armata, fece maturare un distacco disincantato dall’impegno politico.