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La rivoluzione sarà una festa, non di poche ore, ma per la vita. La festa dell’umanità non può che essere la rivoluzione proletaria

Distribuito al Palasport di Torino il 3 novembre 1973. Firmato Alcuni “selvaggi” amanti del comontismo.

LA RIVOLUZIONE SARÀ UNA FESTA, NON DI POCHE ORE, MA PER LA VITA.

LA FESTA DELL’UMANITÀ NON PUÒ CHE ESSERE LA RIVOLUZIONE PROLETARIA

La società del capitale si fonda sul lavoro.
Il lavoro significa MORALE, NOIA, SPERANZA, ISOLAMENTO.
La MORALE è quella della repressione, del profitto, del successo.
Repressione di ciò che di umano è negli uomini.
Profitto che nasce dal rapporto schiavi-schiavisti, merci umane-mercanti di umanità, forza lavoro-capitale.
Successo nel bel mondo degli stronzi, per essere infine i carabinieri delle proprie emozioni, gli strozzini dei propri desideri, gli spacciatori della propria infelicità opulenta venduta e contrabbandata come divertimento, come necessità.
La NOIA è quella dei quotidiani suicidi: il trionfo della disfatta, delle viltà, dell’amore bavoso che significa sesso represso, del sesso che significa economia e politica del quotidiano, per il mantenimento del DIO-DENARO, della PATRIA-MERCE, della FAMIGLIA-SPETTACOLO.
La SPERANZA è ciò che voi vi ingegnate di estrarre dalla vostra vita, rinsecchita miniera della miseria, il piacere ad ore fisse, in modi fissi, per ottenere risultati soliti, fissi e fessi.
L’ISOLAMENTO è la cella di punizione della falsa amicizia, dello squallore posto come immotivato orgoglio, della solitudine spacciata per autonomia, dell’indifferenza creduta “libertà”, del noioso coppiettismo con l’illusione di amare, dell’apatia inguaribile, del “lavoro politico” come lavoro.

COMPAGNI,
la nostra esistenza è sotto il minimo che l’essere uomini richiede. Imparaiamo il RISCHIO del vivere e l’AVVENTURA del lottare: unica possibilità per non essere tombe viventi, pagine malscritte di una inutile storia.

COMPAGNI,
ogni festa che non giunga alla TOTALITà (così come è per l’odierno spettacolo) è la pallida e farsesca traduzione infedele di quel reale BISOGNO di festa senza fine né limiti che tutti coviamo come il progetto più amato e più odioso al capitale che ci vorrebbe sempre attori dei suoi miserandi, scontati, inapplaudibili avanspettacoli.

COMPAGNI,
il falso mistero del come essere uomini sta per essere svelato! Il comunismo reale (= COMONTISMO) inizia a vivere nella ribellione profondamente umana e radicale di MOLTI, per essere l’umanità radicale e profonda di TUTTI.

COMPAGNI,
stiamo imparando sulla nostra pelle che la libertà dalla MERCE-MERDA si esprime nella frenesia di tutti per vivere liberi, sfrenati, incontenibili e quindi CRIMINALI contro la normalità del sistema ed il sistema delle normalità.

COMPAGNI,
trasformiamo lo spettacolo di questa sera in una NOSTRA FESTA
PRATICHIAMO SUBITO L’ORGIA DELLA RIVOLUZIONE poiché questo è il solo modo per VIVERE così come vogliamo, così quanto sappiamo.

CONTRO LA POLIZIA DELLA NOIA CAPITALISTA c’è soltanto
IL CRIMINE DEL PIACERE GENERALIZZATO.

alcuni “selvaggi” amanti del comontismo

To, Palasport, 3.11.73

CARCERE dentro… CARCERE fuori… FUORI DAL CARCERE!

Documento dell’estate del 1973 di cui resta la seguente testimonianza: «Lo scrivemmo con Mario Moro e lo facemmo entrare clandestinamente alle Nuove nel fondo di una teglia di lasagne, ma molto probabilmente finì repentinamente nel cesso della cella, le lasagne però furono molto apprezzate. Credo che si possa considerare l’ultimo volantino con riferimento a comontismo. Diffusione zero.» (Sergio Serrao)

Insegnanti e sindacati

Comitato contro linquinamento scolastico – Foglio dintervento n° 1, senza data (circa giugno 1973). Ciclostilato a Genova, via Bombrini 6.

Manifesto per Mario Rossi

Manifesto (92 x 60) stampato da Faina e dal Comitato di difesa della “22 ottobre” contestualmente all’assemblea pubblica organizzata al Teatro della Gioventù il 17 aprile 1973, il giorno prima della sentenza di primo grado della “22 ottobre”. Il testo è collettivo, mentre l’immagine al centro è tratta dall’opera dell’artista Flavio Costantini, allora attivo in Liguria; parte della sua celebre “serie degli anarchici”, l’immagine rappresenta l’arresto del ladro e anarchico individualista Ravachol. Le copie serigrafate del manifesto vennero realizzate in Via Bombrini con l’offset di Ludd e vennero vendute a scopo di finanziamento per le spese processuali.

Note di storia contemporanea

Firenze, 25 marzo 1972. Bozza dell’articolo che comparirà con qualche modifica sul numero di Comontismo, con il titolo ‟Note di preistoria contemporanea”.

NOTE DI STORIA CONTEMPORANEA

Fare una genealogia del comontismo non ci interessa certo per riaffermare una continuità, ma anzi per mostrare come esso nasca proprio dalla necessità cosciente di una rottura con il passato in un superamento che, riconquistando i contenuti positivi, rinneghi le forme alienate in cui si manifestavano. In questo senso la risposta alla domanda chi “siamo” non è determinata in noi dall’esigenza di definirci come un “ismo” tra i tanti, merce ideologica più o meno nuova sul mercato del consumismo, e quindi di rivendicare novità sconvolgenti all’interno di vetuste tradizioni, ma dall’esigenza di chiarire cosa effettivamente significhi per noi il superamento di un passato recente che abbiamo vissuto in favore non di una “nuova” ideologia, ma di una riaffermazione coerentemente vissuta della teoria proletaria.
Poiché, se da una parte la critica di cui siamo i portatori riconosce come universalmente validi tutta quella serie di contenuti che la rivoluzione ha saputo esprimere di sé nel passato, e quindi riafferma di fatto la continuità ininterrotta della coerenza della teoria proletaria, d’altro lato il rifiuto delle forme in cui questi ideologicamente furono espressi (e che di fatto erano forme di contenuti opposti), produce una rottura cosciente coll’universo della politica, che altro non è se non produzione di merci ideologiche all’interno di strutture oggettivamente capitalistiche, e quindi il rifiuto di ogni continuità con il passato che ci ha preceduti, e di cui abbiamo fatto parte.

Le origini immediate di Comontismo risalgono, in generale, a tutti quei gruppi che genericamente si definirono, e furono definiti, consigliari. Genericamente poiché con i Consigli storicamente intesi ben poco dl fatto ebbero in comune, nella misura in cui le teorie che vi si affermavano, benché indicassero nei Consigli la forma storica dell’organizzazione del proletariato moderno, e di fatto la possibilità pratica dell’autogestione della società da parte dei proletari stessi, andavano poi ben al di là della semplice affermazione della tematica consiliare, anzi ne erano di fatto la negazione radicale, poiché aspiravano in realtà a forme di espressione ben più evolute e coscienti.
Di fatto però l’ambiguità fu mantenuta sino alle sue estreme conseguenze, poiché, se da una parte si riconosceva l’inadeguatezza della forma Consiglio rispetto elle esigenze della rivoluzione, e se ne vedeva quindi l’intrinseco significato recuperatorio, d’altra parte ne veniva riaffermata la necessità schematica poiché non si era in grado di praticare realmente i contenuti che si intuiva andarne oltre, e si preferiva quindi l’ideologia dei modelli formali alla praticità dei contenuti teorici e alle conseguenze che essi imponevano.
A questo proposito si impone come necessario un chiarimento minimo su cosa abbia effettivamente significato l’esperienza consigliare, prima ancora che per noi, in sé.

I Consigli proletari sono stati, all’interno della dinamica delle lotte anticapitaliste che sconvolsero l’Europa dagli inizi del 1900 sino alla caduta del Repubblica Bavarese dei Consigli, la prima forma teorico-pratica di organizzazione autonoma del proletariato come classe per sé. In quanto tale, loro presupposto fondamentale fa l’abolizione immediata, all’interno dell’organizzazione rivoluzionaria che allora per la prima volta si dava in forma cosciente, della reificazione capitalista fondata sulla divisione pratica delle funzioni.
Infatti il coniglio proletario nasce come momento autonomo unificante in cui si fondono dialetticamente, prima, all’interno della lotta, la funzione direttiva e quella esecutiva, il momento politico e quello economico, come conciliazione e superamento dell’antitesi tra scopo immediato e scopo finale; poi, all’interno della dittatura proletaria, il momento esecutivo con quello direttivo e legislativo, come conciliazione definitiva di funzioni non più separate, ma dialetticamente complementari e compresenti. In questo senso il consiglio rappresenta la prima forma autenticamente vissuta dagli scopi reali della rivoluzione: l’abolizione della divisione del lavoro, la riunificazione delle funzioni e il superamento della falsa antitesi voluta dal capitale tra “individui autonomi” e comunità sociale.
Il che, in altri termini, significa che il proletariato, nella misura in cui raggiungeva coscienza di sé all’interno della lotta, divenuta finalmente rivoluzionaria, esprimeva immediatamente come per sé necessaria l’esigenza di una comunità d’azione autenticamente proletaria, che risolvesse al proprio interno le contraddizioni del capitale, ponendosi contemporaneamente come momento di lotta autonoma e come superamento già in sé configurato della comunità reificata del capitale.
Ma nei Consigli ciò che contraddiceva a questo principio in maniera palese era, paradossalmente, proprio la forma storica del Consiglio stesso. Infatti essa, pur nascendo in seguito ad un’esigenza universalmente reale, restava comunque sul terreno del capitale, nella misura in cui poneva ancora il superamento nel regno del quantitativo più che in quello del qualitativo. Rispetto infatti alle esperienze burocratiche (dalla II Internazionale fino alle degenerazioni leniniste) che ancora vedevano la divisione tre essere e coscienza come necessaria ai fini della “lotta”, il Consiglio si poneva più come un allargamento quantitativo del principio democratico, che come un’estensione qualitativa del concetto di comunità.
Infatti si pensava che un’estensione della pratica di democrazia all’interno delle strutture organizzative avrebbe significato un sicuro baluardo alle infiltrazioni del pensiero borghese, dimenticando palesemente che la democrazia è un terreno borghese per definizione. Infatti essa nasce come risposta reificata alle esigenze di comunità autonomizzata, ponendo queste stesse sul terreno dello spettacolo vanificato di sé, in cui l’apparenza della comunità non é altro che la copertura reale dell’interiorizzazione divenuta cosciente del proprio sfruttamento, all’interno di strutture volte a pianificarlo e a mantenerlo.
In questo senso il Consiglio nasceva già in forma storicamente predeterminata e, in quanto tale, ebbe dalla storia la verifica della propria inadeguatezza rispetto al compito che si poneva.
La sconfitta dei Soviet all’interno dello stato bolscevico, dei consigli tedeschi a Berlino e a Monaco, è una conferma storicamente autentica della drammaticità di questo ritardo. Ciò permise, in ultima analisi, che i Consigli, da momento autonomo dell’organizzazione del proletariato, divenissero di fatto momento fondamentale del suo recupero e della sua sconfitta.
Da forma primitiva del superamento dell’ordine reificato del capitale, essi divennero forma definitiva del loro opposto, cioè dell’organizzazione del capitale stesso, nella sua fase più avanzata. In questo modo di Consigli oggi possono liberamente blaterare dalla Sinistra Nazionale (fascista) al recupero più avanzato: Manifesto e Potere Operaio.
La teoria dei Consigli ebbe comunque in Ludd e nell’OC una funzione puramente schematica, in quanto non fu mai organicamente connessa con la critica che in essi si praticava, e più che rappresentarne una conseguenza coerente, ne era il risvolto ideologico.

Al di là della tematica consiliare, Ludd rappresentò invece un tentativo, per altro ancora incoerente, di riscoprire e rendere cosciente il vero significato della rivoluzione moderna, riprendendo l’eredità del pensiero rivoluzionario che, nel frattempo, l’organizzazione del recupero istituzionale aveva cercato di occultare in ogni modo. Alla base della critica di Ludd restava come fondamento il riconoscere la coscienza (nel senso di possibilità oggettiva) come momento inseparabile della prassi, in quanto soggetto di essa, e quindi inconciliabile con ogni separazione (coscienza-proletariato, partito-masse, economia-politica).
Il che significa ricollocare il proletariato al centro del movimento che riconduce alla totalità, negando nella prassi tutti quei momenti fittizi che traggono origine proprio dalla parzialità (avanguardie & partiti).
In questo senso andava rifatta una lettura di Marx, attraverso le esperienze della Luxemburg, Korsch, Lukacs, fino a giungere alla tematica di Socialisme ou Barbarie, e alla identificazione dell’autogestione cosciente come momento di unificazione della classe. Ludd non poteva che negare la validità di qualsiasi esperienza che, non andando al di là della parzialità imposta dal capitale come momento necessario della produzione, teorizzasse la separazione come momento “necessario” dell’organizzazione, contrapponendo a ciò l’esigenza della riunificazione del proletariato non più come oggetto dell’organizzazione, ma come soggetto della propria emancipazione.
In questo senso il contributo dell’Internazionale Situazionista fu determinante, in quanto permise di individuare nella quotidianità immediata del mondo delle merci il momento fondamentale della lotta, che, non più rimandata ai massimi sistemi, diventa processo continuo, sviluppandosi dalla vita immediata degli individui, fino a ricongiungersi nella totalità dell’uomo, e della vita che prevale sull’inumano dell’alienazione del capitale.
Per cui le leggi indiscutibili della realtà mercificata, accettate come insostituibili presupposti di ogni sopravvivenza, a cui ossequienti si inchinarono generazioni di “comunisti”, non sono che i legami che la vita deve abbattere per potersi finalmente affermare.
All’interno di questa critica ogni tentativo di riportare la rivoluzione al livello dei suoi ritardi storici (dall’URSS alla Cina di Mao) assume il significato di riproduzione ideologica della realtà, mentre si riscoprono nella criminale sfrenatezza delle rivolte moderne le vere caratteristiche del movimento. La riscoperta della totalità, come momento fondamentale della lotta che distrugge il potere del capitale sulla vita, significa inevitabilmente la negazione di ogni politica all’interno dell’organizzazione del proletariato, in quanto politica è, per definizione, il terreno delle separazioni gestite e subite, mentre la lotta nasce appunto dalla riunificazione cosciente di ciò che la realtà impone come separato ed inconciliabile.

In Ludd queste affermazioni restarono però al livello di potenzialità inespresse, nella misura in cui non trovarono mai gli sbocchi pratici che le rendessero operanti nella realtà. In questo senso la critica, divenuta formale, poté spesso trasformarsi nel suo opposto apparente: i “Ludditi” da distruttori dell’universo reificato delle macchine, poterono diventare senza rottura di continuità difensori “radicali” del loro possesso.
Ludd, nonostante la critica della politica e dell’ideologia dominanti, restò un gruppo sostanzialmente politico e, in quanto tale, la teoria praticata restò nel campo della pura ideologia autogratificante.
Infatti, non solo i rapporti tra gli individui restarono al livello dell’inesistenza offerta dall’inorganicità del capitale, ma, di conseguenza, anche la capacità di incidere aggressivamente la realtà rimase al livello di potenzialià inespressa, e, non a caso, Ludd fu «storicamente» del tutto inesistente.1
Per questo i comontisti, se da una parte rivendicano la continuità dei contenuti della teoria, d’altra parte affermano la sostanziale rottura con una realtà, che, se da una parte seppe riaffermarne la validità, dall’altra non trovò mai in sé la volontà di praticarne le conseguenze.
Infatti la possibilità di esistenza di una reale comunità d’azione effettivamente operante passa attraverso la negazione di qualsiasi esperienza parziale, per porsi immediatamente come punto di unificazione coerente in cui tutti i momenti della critica rivoluzionaria trovano la loro sintesi dialettica nella pratica di una comunità di individui, la cui esistenza è già in sé la negazione della reificazione del capitale.
Solo all’interno della comunità infatti vengono abolite realmente le differenze teorico-pratiche immediate della realtà oggettiva, mentre si riscopre positivamente l’unità come momento fondamentale della totalità.
Comunità intesa sia come finalità del movimento rivoluzionario, che come struttura immediata della lotta, quindi come riunificazione totale tra immediatezza pratica e finalità teorica.
Solo in questo senso all’interno del comontismo non può esistere né politica né ideologia, mentre la lotta a queste realtà del capitale diventa momento fondamentale del rovesciamento del presente e della sua distruzione positiva.

Lo scopo di questo articolo è limitato ad una parziale esposizione di alcuni di momenti fondamentali del nostro passato (Ludd & OC), e non può andare al di là di questo suo compito. Sui vari argomenti che qui sono appena accennati non è possibile in quest’ambito pronunciarsi se non in modo evidentemente generico. Sarà comunque compito della nostra pratica riaffermare e riscoprire nella realtà quei contenuti di cui ci riconosciamo in teoria i portatori coerenti.

NOTA

– Anche l’OC, che per altro cercò di andare al di là dell’inesistenza pratica Ludd, restò prigioniera delle medesime contraddizioni (anche se apparentemente opposte), riproducendo al proprio interno la dinamica di un gruppo militante, più che quella veramente nuova di una comunità agente.

Firenze 25 Marzo 1972

Ognuno per sé

Volantino prodotto a Torino (Via Giacosa 4 – 20/2/1973) in polemica con Lotta Continua. La ricostruzione della vicenda è nella pagina del documento “Carello, i provocatori, i carabinieri e i comontisti”.

«L’opportunismo di Lotta Continua e i suoi metodi stalinisti servono unicamente a dimostrare la sua sostanziale identità con il PCI: lo stalinismo che li accomuna al di là di slogan e programmi formalmente differenti nulla ha a che fare con il comunismo, la cui realizzazione implica che vengano spazzate via queste vestigia di 50 anni di controrivoluzione. Il movimento reale del proletariato, superando i suoi limiti, saprà ricacciare queste organizzazioni nelle pattumiere della storia in cui non si rassegnano a restare.»

ENNESIMO COMUNICATO. I comontisti non esistono più

Firmato “Alcuni di coloro che furono i comontisti e che ancora combattono per il comontismo”. Milano, 18 febbraio 1973.

ENNESIMO COMUNICATO

I Comontisti non esistono più. Coloro che a suo tempo si autonominarono tali, resisi conto che la loro pratica non aveva la coerenza che definirsi comontisti (il che stava ad indicare che la loro vita era la realizzazione essenziale del comunismo reale) presupponeva, e che – d’altronde – il comontismo, come teoria rivoluzionaria, è il patrimonio di tutti coloro che in ogni parte del mondo, aldilà delle etichette, lottano contro tutte le alienazioni unitariamente, rifiutano ogni ulteriore continuità a comontismo in quanto gruppo politico (perché tale è stato più ancora che sul piano pubblico, nella coscienza medesima dei suoi costitutori) riaffermando il comontismo unicamente come teoria, indipendente da questa o da quella persona, ed in sintonia soltanto col movimento della storia.
In relazione a ciò ogni questione che riguardi la questione dell’appartenenza o meno di chicchessia al gruppo comontista si può riferire, semmai, solo al passato: per il presente nessuno che abbia compreso il senso dell’eversione proletaria si definisce più appartenente a questo gruppo e la questione cade da sé.
Due avvertimenti: non per questo con la putrefazione di quest’altro racket i comontisti non esistono più. Essi sono dovunque vi è violenza anticapitalista, riconquista del senso della vita, qualunque sia il nome che i proletari assumono.
E poi: non ci si illuda che per la dissoluzione dell’unità ideologica che li aveva finora tenuti assieme, i singoli ex-comontisti, come tutti gli altri coerenti eversori, siano più esposti che in passato alle calunnie ed alle provocazioni. Pronti alla dimostrazione de facto, nel malaugurato caso.
Va da sé che queste precisazioni sono destinate soltanto ai […] senza fantasia delle diverse cosche politiche: i proletari coscienti hanno ben altre (e più festose) cose per il capo e per le mani.

Alcuni di coloro che furono i comontisti e che ancora combattono per il comontismo

Carello, i provocatori, i carabinieri e i comontisti. Alla redazione di “Lotta Continua”

In seguito agli arresti relativi al sequestro Carello, il 16 febbraio 1973 il giornale Lotta Continua pubblica un articolo calunnioso che dipinge i comontisti come «una banda di provocatori, nutriti e sostenuti dalla polizia. Più concretamente, questi banditi da strapazzo sono stati costantemente allontanati – coi metodi più persuasivi, come si meritano – dai cortei proletari, dai cancelli delle fabbriche di Torino, e, nel ’71, da una piazza di Pisa, dove avevano cercato di trasferire le proprie provocazioni, a suon di schiaffi dei compagni netturbini.»

“I comontisti, ed altri compagni amanti della verità” inviano questo documento alla redazione, con la nota: «Esigiamo che questa smentita venga pubblicata in toto nel vostro giornale.» La smentita non sarà pubblicata e il 17 febbraio un gruppo di comontisti si reca di persona alla sede di Lotta Continua di Torino. La vicenda è ripresa anche nel volantino “Ognuno per sé”.

In calce al documento, una ricostruzione dei fatti.

ALLA REDAZIONE DI “LOTTA CONTINUA”CARELLO, I PROVOCATORI, I CARABINIERI E I COMONTISTI

Dopo la lettura dell’articolo in seconda pagina del numero del 16 febbraio del vostro giornale a titolo “Chi sono i comontisti”, chiediamo che venga pubblicato quanto segue:

1. Pur solidarizzando con i compagni Dorigo e Piantamore (in merito ai quali abbiamo diffuso anche a voi un comunicato stampa non pubblicato sinora), dobbiamo chiarire che mai essi si dichiararono o furono dichiarati consiliari o comontisti.

Ciò che è stato da voi scritto sui comontisti e l’affermazione, come fosse un dato da voi appurato, che i due arrestati «… fanno parte… del gruppo dei “comonstisti”…» non può avere altro significato che di propalare una falsità, già scritta dalla cosiddetta “stampa di informazione”, accusandoli quindi di essere “provocatori” e “sacrificandoli” per salvaguardare il prestigio (?) della vostra organizzazione.

2. Riguardo alle documentazioni che, dite, da tre anni L.C. ed altre organizzazioni avrebbero fornito intorno ai “nutrimenti” dati dalla polizia ai comontisti e sui rapporti con elementi fascisti, MAI, benché ripetutamente e pubblicamente da noi richiesto, è emerso alcun fatto né tantomeno prova. Ancora una volta vi chiediamo di motivare realmente, e non su basi calunniose, tutto ciò a livello di PUBBLICA ASSEMBLEA o comunque di inchiesta di PUBBLICO dominio.

3. Il metodo della calunnia sistematica da voi applicato non può non accomunarvi alle pratiche deliranti di Avanguardia Operaia nonché del PCI che quotidianamente ne fa uso contro voi stessi ed altri.

4. Quanto ai “banditi da strapazzo”, termine da voi usato per denigrare l’azione di sinceri rivoluzionari, esso qualifica chi lo usa. Ed inoltre è in palese contraddizione con altri testi da voi pubblicati, come “I dannati della terra”, o da voi apprezzati come “L’evasione impossibile” del compagno Sante Notarnicola che, secondo il vostro articolo, dovrebbe essere considerato come un provocatore (o come un ex-provocatore riabilitatosi?).

5. Se in effetti in passato abbiamo partecipato a cortei in cui talora ci siamo scontrati anche fisicamente con militanti di varia appartenenza sulla base di una diversa concezione della violenza e del suo uso rivoluzionario, ormai da lungo tempo abbiamo abbandonato tali pratiche, poiché consideriamo questi momenti ininteressanti per la lotta di classe perché innocui e difensivi, pronti comunque a ritornare sulle piazze e nelle strade tutte le volte che pensiamo possa esservi uno scontro favorevole al proletariato ed alla sua crescita rivoluzionaria.

6. A Pisa vi fu tempo fa uno scontro, ma unicamente tra quattro notri compagni e decine di militanti di L.C., scontro generato da scritte murali da noi fatte a favore della rivolta delle Nuove (per cui due compagni sono stati condannati dalla pretura di Pisa) e per cartelli in difesa del compagno Mario Rossi, mentre i militanti di L.C. dicevano che ciò era provocatorio e Floris un “lavoratore”, mentre noi lo consideravamo un difensore, sia pure oggettivo, del capitale e della morte sociale.

7. Fra i comontisti non esistono anarchici, in quanto nulla abbiamo a che spartire con  tali ideologie, non esistono ex-fascisti ma solo qualche compagno (in numero assolutamente irrisorio) vittima a suo tempo di ideologie adolescenziali e familiari (come altri furono vittima di altre ideologie turpi quali quella cattolica etc.) da MOLTISSIMO TEMPO E PROVATAMENTE abbandonate e derise; non esistono peraltro drogati abituali poiché respingiamo come capitalista il concetto stesso di “droga” e mai esaltammo la tossicomania, che anzi consideriamo un’ideologia borghese, al pari della famiglia, dell’alcolmania, etc.; né tantomeno esistono ricattati dalla polizia ed anzi possiamo sostenere che tutti i nostri compagni e tutti i nostri amici hanno sempre avuto negli svariati processi una condotta di assoluta non collaborazione e di difesa rivoluzionaria.

8. Abbiamo ripetutamente fatto un discorso teorico sulla teppa e sul cosiddetto “crimine” che può essere compreso e valutato solo nel suo contesto generale.

9. Con i fascisti (Avanguardia Nazionale o altro) abbiamo avuto sempre e solo dei rapporti di scontro nelle piazze e nelle strade, come è facilmente comprovabile. Mai alcun altro rapporto è intercorso. Invece dovemmo occuparci del Fronte Nazionale per sventare, castigando loro e la loro immonda sede torinese, una provocazione da loro tentata nei confronti di un gruppo di “Comunisti Libertari” e di altri militanti generici, tra cui anche operai e simpatizzanti di L.C. (documentato su Acheronte n° 2, 1971).

10. Sui volantini “decorati di donnine nude”, è vero che vari nostri testi furono diffusi e lo vengono tuttora ANCHE di fronte alle fabbriche (ma non solo). Mai alcun “mal ce ne incolse” (anche perché talora erano diffusi dagli stessi operai che evidentemente giudicavano diversamente i problemi sessuali dai redattori di L.C.).

11. È ASSOLUTAMENTE FALSO che tali Franco Margaglio e Franco Stangalini, da voi attribuitici come nostri compagni, siano mai stati consiliari o comontisti. Non solo, ma (e ciò ci pare significativo delle vostre documentazioni) nessun nostro compagno li conosce o li ha SENTITI nominare. Non li conosciamo NEPPURE come fascisti. Sta al vostro senso di chiarezza dare informazioni, utili anche a noi, su costoro.

12. Non abbiamo contatti “finanziari” con nessuno, né a SINISTRA, né tantomeno a DESTRA. Se L.C. ne sa qualcosa lo dica documentando; se invece intende sapere come ciascuno di noi vive si formi un gruppo di compagni, non solo di L.C. ma anche di Potere Operaio etc., che ce lo venga a richiedere direttamente. Siamo pronti a dare tutte le risposte necessarie. (Il fatto stesso che voi siate costretti ad ammettere che perlopiù i nostri testi sono ciclostilati è in palese contraddizione con la nostra presunta ma inesistente “ricchezza”!).

13. I nostri interventi contro giudici ed altri ideologi del capitale (ammantati di sinistrismo) all’Unione Culturale e altrove al fine di tacitarli, capiamo benissimo che a voi non piacciano. Ciò non giustifica ASSOLUTAMENTE la vostra affermazione che fossimo protetti dalla polizia, anche in considerazione di tutti i processi che ci sono piovuti e ci stanno piovendo addosso.

14. Il mutamento di denominazione da Organizzazione Consiliare a “Comontismo” è dovuto, non a motivi tattici più o meno biechi, ma ad una precisa critica teorica del consiliarismo, come è AMPIAMENTE DOCUMENTATO dai nostri testi.

Sul resto nulla da dire, visto che sono puri e semplici insulti.

i comontisti, ed altri compagni amanti della verità.

(non ci sembra il caso di mettere nomi e cognomi per questioni di prudenza, ma in separata sede siamo anche disposti a darvi i nomi dei firmatari di questo testo, anche dei molti non comontisti di nome).

NOTA PER I REDATTORI DI L.C.

Esigiamo che questa smentita venga pubblicata in toto nel vostro giornale.

Non amiamo rifarci, anche se possibile, alle leggi borghesi sulla stampa; ma nel caso vi rifiutiate di pubblicarla dovremo reagire con tutti i mezzi che riterremo opportuni. Voi siete caduti nella provocazione di “La stampa” etc.; noi non intendiamo accettare assolutamente tutto ciò.

Mercoledì 3 gennaio 1973 «Antonio Carello, di 21 anni, nipote di Fausto, il noto industriale torinese morto alcuni mesi fa e che aveva dato il proprio nome alla notissima fabbrica di fari e accessori per auto che occupa 1500 persone, è stato rapito e rilasciato dopo ventiquattro ore da malviventi che hanno chiesto e ottenuto un riscatto di 100 milioni.» (L’Unità, 5/1/1973)

Il giovane, detto Tony, abita in una lussuasa villa a Pino Torinese, «frequenta il primo anno di università ed è particolarmente noto nella “Torino bene” per la sua passione automobilistica. Sono molti infatti i “rallies” cui ha partecipato in coppia con suo fratello.» Ha raccontato di aver ricevuto una telefonata da una sconosciuta che lo invitava a casa sua e, recandosi all’appuntamento, in Strada Rosero è stato fermato da due uomini incappucciati che lo hanno legato, imbavagliato e chiuso in un furgone. Come ricorda L’Unità, si tratta del «primo caso di sequestro a scopo di estorsione che si sia verificato a Torino».

QUI LA TRASCRIZIONE DI PARTE DELL’ARTICOLO de La Stampa

Il 13 febbraio 1973 vengono arrestati Giorgio Piantamore, 21 anni, e Luciano Dorigo, 22 anni. Inizialmente il Gazzettino del Piemonte delle 12,30 e il Telegiornale delle 13:30, riportando indiscrezioni dei carabinieri, dice che sono militanti di Lotta Continua, anche se i CC nella conferenza stampa delle 17,00 lo negano. In quel periodo erano innumerevoli le azioni repressive e proprio in quei giorni, sempre a Torino, erano appena stati arrestati vari componenti di Lotta Continua. Il 27 gennaio 1973, al termine di una manifestazione contro le provocazioni fasciste nel capoluogo piemontese, il corteo si sposta in corso Francia 19, davanti alla sede dell’MSI, e la celere apre il fuoco. Il bilancio è di due giovani militanti di Lotta Continua, Luigi Manconi (responsabile del servizio d’ordine) ed Eleonora Aromando, feriti da arma da fuoco, 25 mandati di cattura e decine di perquisizioni. Guido Viale è arrestato il giorno dopo al termine della conferenza stampa.

Il giornale Lotta Continua pubblica pubblica alcuni articoli riguardanti gli arresti per il sequestro Carello, tra cui:

Il processo inizia il 2 ottobre del 1973. Come riporta l’articolo – calunnioso e tendente a screditare i due imputati come criminali comuni – del giornale L’Unità, «alla fine dell’interrogatorio Giorgio Piantamore ha cavato di tasca un foglio e ha letto una dichiarazione nella quale si presenta come un paladino dei poveri che toglie il denaro ai ricchi per distribuirlo equamente ed e arrivato a sostenere che “tutti i delinquenti comuni sono detenuti politici perché contestano iI sistema”.»

BALBIQUATTRO – Cronaca politica e documenti delle lotte degli studenti di lettere, filosofia e lingue. Genova ’72-’73

Balbiquattro è un opuscolo di 56 pagine, uscito nel febbraio 1973 e stampato in via Bombrini 6, con il vecchio offset della sede di Ludd di via San Luca. Curato da Riccardo Degl’Innocenti contiene una cronaca (pp. 2-7) e i documenti prodotti in quei due mesi di occupazione della Facoltà di Lettere in via Balbi 4 (da inizio dicembre 1972 a fine gennaio 1973). Come firma dell’opuscolo compare la significativa dicitura: «I veri e legittimi autori di questo pamphlet sono gli studenti di Balbi. Coloro cioè che per due mesi, in prima persona e attraverso una continua presenza, hanno condotto la lotta». La componente ex luddista del Comdag fu molto influente all’interno dell’occupazione (Faina, Armaroli, Ghirardi, Degl’Innocenti, Grasso, Calamari), determinando il fatto, come ricorda Giorgio Moroni, che «nelle facoltà universitarie genovesi – a differenza che in altre città – ci sarà ben poco spazio per il marxismo leninismo in ogni sua declinazione». I testi qui riprodotti sono quelli più significativi riconducibili all’area ex-luddista, in particolare quelli con cui l’opuscolo si chiude, dedicati a rispondere alle calunnie giornalistiche sui luddisti a seguito dell’incendio che pose fine all’occupazione.

Cajo Brendel – Sessanta tesi sulla rivoluzione cinese

Le Tesi sulla Rivoluzione Cinese furono pubblicate in due parti nel 1967 sulla rivista olandese Daad en Gedachte (Azione e Pensiero) – Anno 3, numeri 3 (marzo) e 4 (aprile). Nella primavera del 1969 esce la traduzione francese nei Cahiers du Communisme de Conseils, Marsiglia, e nel 1971 la traduzione inglese a cura del gruppo Solidarity di Aberdeen, Scozia. Tradotto in italiano nel 1972 e pubblicato dalle Edizioni G. d. C., Caserta nel 1973. Introduce il testo un articolo di Brendel dell’ottobre 1971 sulla politica estera dello Stato maoista, “La diplomazia cosiddetta rivoluzionaria della Cina”.

Cajo Brendel nacque il 26 ottobre 1915 a Den Haag / L’Aia (Olanda). A 19 anni ruppe con l’ambiente borghese della famiglia e, operaio tra gli operai partecipò alle lotte che a metà degli anni Trenta scossero l’Olanda, il Belgio,
l’Inghilterra. In questi frangenti, fu in contatto con il Gruppo Comunisti Internazionali e con Pannekoek. In seguito, divenne uno dei principali esponenti del movimento consiliare, partecipando nel dopoguerra alla costituzione dello Spartacusbond e poi a numerose iniziative, come le riviste Daad en Gedachte (Azione e Pensiero) in Olanda e Echanges et Mouvements in Francia, nonché all’attività cui esse facevano capo. Negli anni Cinquanta, favorì l’evoluzione consiliarista di Socialisme ou Barbarie. Scrisse, tra le altre cose, una biografia di Pannekoek, un libro sulla Comune di Kronštadt e uno su Rivoluzione e controrivoluzione in Spagna. È morto il 25 giugno 2007.

Nel 1953 pubblicò in brochure anonima, a cura del gruppo dei comunisti consiliaristi olandesi Communistenbond Spartacus, il testo De opstand der arbeiders in Oost-Duitsland – tradotto in italiano come La lotta di classe contro il bolscevismo, L’insurrezione operaia del giugno 1953 nella DDR. Una seconda edizione fu diffusa nel 1978 da parte del gruppo danese Daad en Dedachte, alla quale Brendel apportò alcune piccole variazioni. Da questa versione proviene la traduzione in francese, apparsa nel 1980 sulla rivista Echanges & Mouvement, con il titolo L’insurrection ouvrière en
Allemagne de l’Est – juin 1953
.

Da questa è tratta la versione italiana pubblicata su Autogestione (Rivista trimestrale per l’azione anarcosindacalista) n° 6, Milano 1980. Cliccare sulla immagine sottostante per scaricarla.

Giorgio Cesarano / Gianni Collu – APOCALISSE E RIVOLUZIONE

Scritto nel giugno-settembre 1972 e pubblicato da Dedalo, Bari, nel 1973.

A Eddie Ginosa:
Costoro sono nati per una vita che resta da inventare; nella misura in cui hanno vissuto, è per questa speranza che hanno finito con l’uccidersi. (R. Vaneigem, Banalità di base)

L’occasione fu l’uscita de «I limiti dello sviluppo, rapporto del Gruppo del MIT, ecc.», che mi provocò a sintetizzare le linee generali di un discorso cui stavo lavorando da tempo, e che non ho ancora completato nella stesura più ampia, tendenzialmente più esaustiva. Molti dei punti che qui, nell’urgenza e nello slancio, sono appena accennati, il discorso più ampio – una «Critica dell’utopia capitalista» – li affronterà altrimenti.
«L’utopia capitalista », che insieme con Eddie Ginosa scrissi nel ’69, già contiene, pur con molte ingenuità ( soprattutto per quanto concerne la vocazione «apocalittica» del capitale), i punti di partenza per una «critica dell’utopia capitalista». Stamparlo qui non «realizza» la mia gratitudine verso Eddie Ginosa, che soltanto nell’affermazione del nostro progetto comunista troverà compimento
.
G. Cesarano

Il rapporto MIT sui «limiti dello sviluppo» – prima inequivocabile manifestazione della tendenza in cui la scienza neo-illuminista si fonde definitivamente ma subdolamente con l’apocalittica e l’utopia «cristiana» – ha creato l’esigenza di un approfondimento di quanto in «Transizione» era stato definito come dominio reale del capitale. È quanto si è fatto in questa sede, per appunti, nei tempi stretti dell’urgenza di una prima risposta sia al progetto «scientifico» in se stesso, sia a tutte le miserevoli «prassi rivoluzionarie» in esso ormai riassunte ed in via di realizzazione. Al di là di questo regolamento di conti ciò che deve andare ancora molto avanti, il senso di ogni lavoro futuro, sta nella riscoperta di tutti i sensi profondi e specifici della vita che lotta, la conoscenza della verità e del potere che sono nei corpi e la loro realizzazione: dall’io rappresentativo all’Io organico, dalla democrazia dell’impotenza e servitù per tutti, alla Signoria senza servitù. Quindi nessuna filosofia della «Vita», di triste memoria, ma la vera «guerra» e la vittoria.
G. Collu