L’ordine regna in Polonia: questa è la dichiarazione dei ministri polacchi che stanno assassinando la rivoluzione proletaria che sta sconvolgendo il loro potere così come lo mise in discussione a Poznam nel 1956. Nessuna speranza per gli idioti fascisti e reazionari di utilizzare per i loro loschi fini questa lotta rivoluzionaria: la violenza teppista dei proletari polacchi, così come di tutti i proletari attualmente in lotta, spazza in un colpo solo ogni ideologia, prima tra tutte quella reazionaria che vuole mantenere intatta la miseria sociale su cui può inserirsi la loro provocazione. Ma, nello stesso tempo, nessuna speranza neppure per i porci progressisti che chiedono – come fa il PCI – la “democratizzazione” delle strutture polacche: il proletariato sta mettendo alla gogna la burocrazia mondiale ed il sangue non può che rendere più rossa la prospettiva della RIVOLUZIONE MONDIALE ATTRAVERSO L’INSTAURAZIONE DEL POTERE ASSOLUTO DEI CONSIGLI PROLETARI, così come era avvenuto in Polonia ed in Ungheria nel ’56.
Così facendo i proletari polacchi si sono collegati praticamente con le lotte rivoluzionarie di tutto il mondo: le rivolte dei neri americani, gli scioperi selvaggi degli operai inglesi, l’insurrezione armata di Reggio Calabria. I rivoluzionari polacchi, realizzando la critica concreta della merce e del lavoro, indicano ancora una volta ai proletari coscienti la via da seguire e smascherano definitivamente, coll’incendio e la messa a sacco delle sedi politiche e sindacali, il vero volto dei sedicenti “comunisti” che, fingendo oggi di opporsi all’oppressione del capitalismo italiano ed internazionale, si preparano in realtà ad adottarne gli stessi metodi nel momento della loro ascesa al potere. Per questo sono i COMPLICI attuali della POLIZIA che ha assassinato i compagni di Milano e si preparano a diventare i BOIA DI DOMANI in emulazione all’operato dei loro complici polacchi.
I BUROCRATI DI TUTTI I PARTITI E DI TUTTI I SINDACATI NON SONO COMPAGNI!
I VERI COMUNISTI devono distruggere il potere del capitale, dello Stato e dei suoi servi, siano essi fascisti, poliziotti, burocrati dei partiti e dei sindacati. I sistemi di lotta impiegati dai compagni polacchi contro costoro (saccheggi, incendi, devastazioni, uso delle armi contro la polizia) devono essere attuati subito dai compagni italiani.
COMPAGNI RIVOLUZIONARI, incontriamoci in ASSEMBLEA martedì 22 dicembre alle ore 15 all’Università (Palazzo Nuovo: via S. Ottavio angolo via Verdi) per decidere forme pratiche di assalto al capitale (e realizzarle immediatamente) in modo da collegarci concretamente alle lotte eversive dei compagni polacchi.
La merce, il lavoro, la politica vanno aboliti, compagni, ed i loro servi sciocchi spazzati via.
Seguito da ‟Appendice ad uso degli storici futuri: un processo per magia”.Torino, 1 ottobre 1971.
Opuscolo a stampa, con punti metallici, cm. 15 per 21, senza indicazione di stampatore. In copertina immagine tratta da pubblicazione popolare di ostetricia; in ultima disegno di blasfema crocifissione preso da qualche magazine satirico francese (Hara-Kiri? Charlie Hebdo? Actuel?). Benché privo di colophon, fu diffuso in diverse librerie. Bruttato da un paio di insidiosi refusi. Ha avuto alcune ristampe ad opera di ignoti. Redatto per spiegare la dissoluzione dell’Organizzazione Consiliare, il fascicoletto fu omaggiato anche al presidente della Corte d’Assise che doveva giudicare alcuni componenti del sodalizio. È articolato in tre parti. Nella prima, incalzanti argomentazioni tacciano le forze della sinistra di «condurre un tentativo di sventare la costituzione di un fronte contro il lavoro, accusando la teppa di essere antioperaia». Nella seconda sono ripercorse le brevi vicende dell’O.C. ed individuate con lucidità le ragioni dello scioglimento del gruppo: i Consiliari – si legge – «divennero portatori di una delle tante ideologie: quella della teppa e del disadattamento». Viene anche rappresentato un ipotetico svolgimento del processo: «Alcuni imputati non comparvero scientemente, altri non seppero mai che era stato celebrato un processo a loro carico; i pochi che si presentarono lo fecero per ritrovare il buonumore smarrito. Volevano celebrare la parodia della giustizia». L’ultima parte, di pugno diverso da quello dell’estensore delle parti precedenti, è una gracile (ma altisonante) esortazione di «dover essere», che ruota intorno al roboante slogan: «criminali di tutto il mondo unitevi». (Pier Franco Ghisleni)
Volantino firmato “i compagni consiliari”, Torino 31 maggio 1971.
Versione a colori
I PROLETARI VOGLIONO IL COMUNISMO SUBITO!
Sabato è stato un giorno di festa proletaria. Per diverse ore abbiamo attaccato la realtà di merda che tutti (capitale, burocrati e falsi rivoluzionari) vorrebbero imporci. Il solito corteo del sabato pomeriggio è stato stravolto dall’intolleranza di un migliaio di proletari che si sono posti nella linea di lotta rivoluzionaria che da tempo si sta aggirando per il mondo e che come Detroit Stettino e Reggio insegnano, non dimostra il minimo rispetto per gli schemi ‟civili e democratici” imposti dal capitale ed accettati dagli pseudo‟comunisti”. Il proletariato crea nei momenti più alti delle sue lotte delle forme di autogestione comunista che indicano come la distruzione di tutto il vecchio mondo per la realizzazione del comunismo passa attraverso la violenza collettiva, il gioco della devastazione liberatoria e la rivoluzione nella propria vita quotidiana.
I proletari non vogliono riforme ma l’abolizione del lavoro.
I proletari non vogliono tutto (merda compresa) ma il meglio assoluto.
i compagni consiliari
cicl. in proprio
Torino 31.5.71
(la sede non è indicata per evitare devastazioni dei carabinieri)
DIDASCALIA IMMAGINE:
IL VOLTO OSCENO E GHIGNANTE DEL PROLETARIATO DISTRUGGE CON IL SUO APPARIRE IL MONDO MARCIO DELLA IDEOLOGIA
‟Di fatto, il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità e dalla finalità esterna; si trova quindi per sua natura oltre la sfera della produzione materiale vera e propria” (K. Marx, Il Capitale)
SUL RETRO: IL CAPITALE SGUINZAGLIA I SUOI CANI DA GUARDIA: LA STAMPA – IL P.C.I. – I SINDACATI E TUTTI GLI SCIACALLI CHIEDONO LA REPRESSIONE VIOLENTA DELLA FELICITÀ IN ARMI
7 MAGGIO un giorno qualunque LA SCUOLA NON SI FREQUENTA MA SI ABOLISCE
APPELLO ALLA LATENZA RIVOLUZIONARIA DEI GIOVANI AFFINCHÉ, ROTTI I CEPPI CHE ANCORA LI TENGONO AVVINTI ALLA MISERIA DELLA SOPRAVVIVENZA, INAUGURINO LA GIOIA COLLETTIVA NELLA DISTRUZIONE DELLA MODERNA SOCIETÀ AL FINE DI APPROPRIARSI DELLA VITA.
˚˚˚˚˚˚˚˚˚˚
Appare chiaro a tutti che l’individuazione del nemico è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, affinché ciascuno prenda coscienza dei propri compiti e quindi inizi a lottare.
Gli studenti, nella storia di questi ultimi anni di lotte, hanno individuato vari nemici, volta a volta con discreta lucidità o con cecità ideologico-corporativa assai grave.
Tuttavia, per lo più, non si sono resi conto che il primo nemico da battere è dato da LORO STESSI, dalla grossa parte di miseria che ancora li pervade e rende schiavi supini della sopravvivenza imposta, se non idolatri dell’adulterato mondo di quei fottuti storici che essi considerano adulti.
Gli studenti (cioè tutti coloro che accettano il proprio ruolo sociologico datogli dall’andare in una scuola) sono in pratica i complici dell’OPPRESSIONE QUOTIDIANA che viene perpetrata nei loro confronti.
Costoro, merci da raffinare per essere immesse nel mercato del consumo di ideologia e di consenso, subiscono passivamente anni di sudditanza famigliare (il ricatto affettivo impedisce loro di vedere l’identità tra il poliziotto ed il padre sempre pronto ad adottare i metodi tipici delle polizie di tutto il mondo ogni volta che le cose non vanno come vuole lui, cioè ogni volta che il figlio non si presenta come capitale variabile nell’accumulazione accelerata di “riconoscenza famigliare”).
Costoro, del pari, sono incasellati sin dall’infanzia in quegli schemi di repressione sessuale che li accompagneranno per tutta la loro esistenza e che essi stessi dovranno aver ben cura di riprodurre (la sessualità orale ed anale che fino all’età prescolare si manifestava libera ed aggressiva, castrata con l’inizio delle scuole, si ripresenta in squallide pratiche ideologizzate dalle quali il piacere è bandito e che sono il tremulo fantasma della reale espressione dell’attività genitale di individui liberi).
Costoro infine, per ottenere la dignità dell’esser VISTI e cioè USATI nella società, sono costretti a percorrere un iter scolastico aberrante che significa la peggiore DEFORMAZIONE degli individui messa in atto da quegli infelici sbirri che sono i professori (e lo sono tutti coloro che accettano il ruolo sociale di “insegnante”). Tutta questa merda da ingoiare sorridendo serve loro come PREPARAZIONE per inghiottire di buon grado lo stronzo più grosso che gli viene approntato: l’ergastolo del LAVORO.
Ma la complicità degli studenti con l’oppressione che subiscono (e che subiranno sempre più nella misura in cui diventeranno UOMINI, cioè, per la società del capitale, delle MERCI utilizzabili per il loro valoro di scambio) risulta del tutto evidente quando, allorché genuini sentimenti di rivolta nascono dall’insopportabilità della loro condizione, non sanno far di meglio che affidarsi ad altri infelici loro pari – i cosiddetti parlamentariextra che, da allievi un po’ somari, non sanno far di meglio che sognare di prendere il posto dei loro padroni-professori per cui Mao, espressione della massima concentrazione di spettacolo burocratico, è l’oggetto delle loro eiaculazioni penose –. In questo modo essi pongono se stessi NON come soggetti una RIVOLTA GENERALIZZATA ma come, e nuovamente, MERCI nel mercato della CONTESTAZIONE. E il poter urlare nelle strade slogans a dir poco raccapriccianti è il loro unico modo per sentirsi vivi, mentre sono dei FANTASMI.
È ORA DI AVERNE LE PALLE PIENE DI TUTTO CIÒ.
È ORA CHE GLI STUDENTI, NEGANDOSI COME TALI (E CIOÈ AFFERMANDOSI COME PERSONE, COME PROLETARI RABBIOSI) IMPONGANO LOTTE CHE ABBIANO PER FINE LA FELICITÀ COLLETTIVA ATTRAVERSO LA DISTRUZIONE DELLE STRUTTURE REPRESSIVE (scuola, famiglia etc.).
L’INTOLLERANZA È FONDAMENTALE PER LA VITA.
Scritto di 5 pagine a opera di Valerio Bertello e Pier Franco Ghisleni.
«L’Organizzazione Consiliare era ormai dissolta e i due firmatari elaborarono questo estroso progetto editoriale nel dicembre 1971, durante una vacanza con le rispettive consorti a Bosia, paesetto delle Langhe, ospiti del Rifornimento Pance Vuote, locanda di Cesare, un emigrato nella Parigi degli anni Trenta, poi rimpatriato. Il dattiloscritto fu ciclostilato e diffuso, con le poste di Stato, in alcune decine di esemplari. Il progetto editoriale non ebbe attuazione.» (Pier Franco Ghisleni)
A.A.A. CERCASI LETTERATI,
INDISCUSSA FEDE PROLETARIA, QUINQUENNALE ESPERIENZA NON MILITANTE,
POSSIBILMENTE LOGORATI IN PRATICHE GRUPPUSCOLARI, ATTUALMENTE IN PREDA A
PROFONDA DISPERAZIONE, REFERENZE POLIZIESCHE CONTROLLABILI, FAMA DI PROVOCATORE
GRADITA, PER LA STESURA DI SCRITTI CONCERNENTI I MOMENTI NODALI DELLA VITA
QUOTIDIANA. INVIARE CURRICULUM PENALE.
a) Necessità dell’operazione.
1) Di ordine “politico”.
I rackets politici, in assenze di
lotte popolar-operaie rilevanti tentano oggi di trarre nuovo ossigeno dall’aggressione
di temi nuovi e tradizionalmente trascurati dall’operaismo e dal populismo. Molti
nuovi fronti di lotta sono stati aperti negli ultimi anni e molti stanno per
essere aperti. Il fronte leninista operai-soldati-contadini è stato dilatato
con l’inclusione di nuovi ceti ed esso comprende ora studenti, detenuti, sottoproletari,
hippies, donne, omosessuali, liberi professionisti, artisti, etc. Di alcuni di
questi ceti offertici dalla sociologia la cooptazione a fini frontisti è già avvenuta,
di altri se ne stanno mettendo in piedi le condizioni. L’America ha già offerto
un’anticipazione e colà il raggruppamento tradizionalmente più “politico” – il Black
Panther Party – ed il movimento underground si presentano come i due aspetti di
uno stesso fronte. Lo scimmiottamento dell’involuzione americana sta conducendo
in Italia alla farsa del tentativo di connubio fra la politica e l’underground.
Ciò potrà avvenire con diverse modalità. La meccanica più prevedibile è quella
che, muovendo dalla costituzione in partito unitario di alcuni gruppi ora
separati (L.C., P.O., il Manifesto) e dalla costituzione dell’underground in
partito informale (sull’esempio di Jerry Rubin), condurrà ad una conciliazione
ulteriore in un assembramento più vasto e più potente. Insomma dal connubio fra
politica ed underground si giungerà alla colonizzazione definitiva della vita
quotidiana. Ogni dialettica in tale operazione resterà bandita. Essa avverrà tramite
conciliazioni ulteriori ed al di fuori di ogni antagonismo, se non formale.
La vita quotidiana quindi, quella
tradizionalmente negletta dalla politica, verrà messa a sacco ed ingabbiata a
fini politici. La vita militante, quella tradizionalmente negletta dall’underground,
verrà stemperata come ruolo ripristinando vecchie lagne esistenziali.
Le riviste dell’erigenda nuova
sinistra già oggi incominciano a toccare i temi della vita biologica e sensoriale. Quelle politiche ascrivono l’infelicità
biologica e sensoriale ai rapporti di produzione eterorepressivi nei confronti
del proletario. Quelle underground la ascrivono all’”essere pig”, una specie di
vocazione autoimposta all’infelicità. Ma, tolta la testata, il lettore non
riesce più a distinguere concettualmente “Lotta Continua” da “Re Nudo”.
La nuova sinistra di cui si
scorgono i primi vagiti non sarà altro che il calderone dei ceti oppressi: le
donne rivendicheranno il loro donnismo, i
pederasti la loro emancipazione pederastica, gli hippies il fatto di
avere un udito per ascoltare musica, i drogati la necessità di avere la loro
fiala quotidiana etc.
Tutte queste minoranze verranno
sincreticamente congiunte sotto l’egida della nuova sinistra. Nessun contributo
verrà loro dato per emanciparsi dal minoritarismo se non un’indicazione vaga a
fare ricorso alla politica per perpetuare il proprio racket e permettergli
quindi di operare alla
luce del sole.
Un’operazione del genere va
sventata e certe acquisizioni teoriche ci permetteranno di giocare in
contropiede. Non bisogna più commettere l’errore in cui si è incorsi a
proposito degli ammutinamenti carcerari lasciando ai recuperatori il diritto di
menzogna (eccetto un brevissimo articolo sull’I.S. italiana, sull’argomento non
è comparso null’altro se non volgari menzogne ed oggi qualsiasi rettifica
sarebbe meno efficace che nel ’69.
Il ciclo biologico e sensoriale
dell’individuo, per ora oggetto di studi da parte della sociologia accademica e
specializzata, sta per essere invaso dallo sociobiologia politica e
sloganistica. Nessuno è caduto nella prima trappola, saranno in molti a cadere
nella seconda. Molti “rivoluzionari” ci lasceranno le penne. A meno che non si
riesca a sventare in anticipo la manovra.
2) Come
esigenza di chiarezza individuale.
Non si può più sopportare che certi temi
vengano eternamente messi in disparte con faciloneria o pascendosi in
formulazioni risolutorie precedentemente raggiunte, o facendo appello alle
leggi ineluttabili della natura, o rimandandoli al momento intimo ed
esistenziale dell’individuo, o spostando la loro soluzione alla fase del “comunismo
pienamente realizzato”.
Coloro che hanno alle proprie
spalle un curriculum “politico”, anche quando sono riusciti a realizzare la
critica concettuale della politica, esitano per lo più a passare alla critica
pratica. Passano dalla “disfatta della politica” alla “politica della disfatta”.
Tendono a ridursi al silenzio ed a ripetere la banalità quotidiana. Ciò perché
la critica della vita quotidiana non è stata ancora intrapresa, rimandandola al
futuro o relegandola nell’intimità. In alcuni l’esigenza di soluzione di alcuni
momenti della vita biologica e sensoriale è bensì presente, ma questa esigenza resta
sopraffatta dalla banalità quotidiana, perché essa non viene collegata al
momento della comunicazione. Certe esigenze esplosive restano insolute perché,
per quanto comunicabili, non riescono mai a diventare comunicate. Allora c’è
addirittura da dubitare se siano davvero comunicabili.
Per questo diciamo che l’esigenza
di comunicare queste tematiche non è un fatto libresco. Nessuna soluzione o
dissoluzione delle stesse sortirà da uno sforzo individuale anche se la proposta
della problematica lo è. L’operazione mira quindi a costituire un insieme di individui
che congiuntamente pongano in atto la critica della vita biologica-sensoriale e
non la isteriliscano nella propria individualità, dilatandola invece nella
comunicazione. Un “laboratorio” senza fissa dimora cui partecipino quanti reputino
invivibile oltre a quanto è stato finora dichiarato dalla tradizione
rivoluzionaria anche l’alienazione naturale presente, nonostante essa non la si
possa apparentemente ascrivere ad una causa sociale. Insomma l’intento è quello
di mettere sul tavolo tutte quelle ragioni di infelicità che paiono
ineluttabili e che solo un credente può sperare di vedere risolte dalla “rivoluzione”.
Ciò condurrà – è prevedibile fin d’ora – alla frantumazione del feticcio
rivoluzionario (in qualunque sfumatura verniciato) ed alla introiezione della
rivoluzione (quella oggettiva, esterna) nell’individuo, risolvendosi nella sua
condotta. Il sostrato teorico è dato dalla critica di tutti i dualismi e
dell’ingabbiamento del mondo da loro operato, e la riproposta degli stessi
quali antagonismi di una stessa
dialettica. Alcuni esempi: operai-capitale, lavoratori-refrattari al lavoro,
interno-esterno, bene-male, pensiero-azione, desiderato-vissuto, Dio-uomo, uomo-donna,
ragione-istinto, etc.
Ed infine, in parole povere ,
ci si è accorti che le contraddizioni più dolorose in alcuni di noi non legati
a ruoli sociali cronici, né particolarmente opprimenti erano proprio quelle considerate
naturali ed ineluttabili: l’infelicità procurata dal sesso, la condanna sociale dei brutti, la paura
della morte, il dolore della malattia, l’estraneità rispetto al regno vegetale,
animale e cosale, il ruolo di vecchio, di bambino, di maschio, di femmina etc.
Specialmente per questo vogliamo prendere la parola su queste questioni e non
da soli.
b) In che modo l’operazione può non cadere nella
politica.
Non è possibile oggi esprimere altro che il grado
di dilatazione del nostro io in via di ricostruzione: esso è l’indice più
sensibile del costituirsi del proletariato in classe. Ciò che è possibile a noi
stessi è possibile ad ogni altro, ma non è vero il contrario: può accadere di
dover constatare un nostro ritardo in ogni momento accertabile. Tale grado di
dilatazione si manifesta in ogni realtà vissuta e quindi con modalità diverse,
ma la condotta, quella sì, rimane unitaria. Queste realtà vissute esprimono
apprezzamento verso noi stessi – e quindi una spinta verso
una vita sempre tesa in direzione del meglio assoluto – ed intolleranza verso il
sistema, sistematico organizzatore della morte quotidiana.
Nel momento in cui abbiamo deciso di esprimerci
con la carta stampata, non per questo la nostra condotta varierà, né il tramite
divulgativo potrà essere scisso, pur nella sua particolarità, dalla condotta. La forma
letteraria di queste realtà vissute impedirà che queste siano distinte da ogni
altra nostra forma di espressione: anzi si
illumineranno reciprocamente. Questo affinché l’iniziativa non divenga soltanto un’impresa
editoriale e la nostra vita quotidiana un’espressione
vitalistica.
Se è vero che la linea di classe passa all’interno dei singoli
individui e che il conflitto generale fra vita e non vita è introiettato da ognuno, il punto di partenza per una corretta impostazione è questo: dobbiamo
essere i narratori della parte proletaria di noi stessi. Il che è ben diverso sia dal vecchio populismo russo che
da quello moderno alla Balestrini.
In secondo luogo è necessario far
cadere la barriera fra l’individuo ed il mondo esterno, quello dei fatti, se
non si vuole recuperare un’astratta “dignità ed unicità dell’individuo”, né
collezionare fatti a noi estranei in quanto li si
coglie come fatti che non ci riguardano. Evitare questi rischi significa
soprattutto evitare di vivere in un armadio.
Ciò impedirà principalmente che la “forma letteraria” della nostra vita reale
stampata sia principalmente il saggio erudito, cioè un tentativo sempre frustrato di fissare uomini e cose in uno schema definitivo e definente, e pertanto fittizio.
Poiché la dialettica rivoluzionaria ha luogo
quando la vita si immette nel sociale e la socialità nella vita, il nostro
intento è quello di esprimere tale evidenza, mentre il
saggio analitico-dimostrativo servirebbe soltanto a dimostrare i nostri ritardi.
Ma questo ritardo lo si può avvertire anche in altri modi quando viene adottato
il tono o la forma persuasiva, o esortativa, o
perentoria, o irosa, o sloganistica, o descrittiva, o comunque noiosa, oscura,
involuta. Le persone colpevoli di ciò andranno poste di fronte alle loro
responsabilità col rigore di sempre.
Infatti questi moduli espressivi sono tipici della
letteratura e della tradizione politica e rispecchiano gravi carenze e spesso
palesi tradimenti. In breve, quelle descritte sono le
formule del modulo di espressione della politica specialistica (politica = arte
del possibile = arte di porre limiti agli individui con l’arma, se possibile,
della parola); ciò va evitato tenendo presente che il nostro
fine è quello opposto: evidenziare che non esistono
limiti alla crescita qualitativa della vita.
Come indicazione generica sarà bene che la parola
scritta non sia diversa da quella parlata e vissuta e che quindi il
“genere letterario” sia analogo ad alcuni classici come il dialogato,
il monologo teatrale, l’epistolario, la biografia, ed altri modi espressivi come
l’articolo giornalistico, il diario, l’invettiva, il prontuario ed altri da
inventare.
È però necessario comprendere che non è possibile fare
l’esatto opposto di ciò che si è fatto finora per ottenere risultati diversi. Infatti non
sarebbe possibile ottenere buoni risultati rovesciando l’astratta
obiettività ed il realismo del saggio, per poi adottare uno stile
delirante ed onirico; ciò è avvenuto in passato ed ha scardinato il
razionalismo della politica il che ci permette oggi l’acquisizione di un
livello superiore di comprensione.
Quanto detto è ancora
insufficiente per definire uno stile di espressione adeguato ai temi vitali che
ci proponiamo di trattare, ma una chiara consapevolezza di ciò che occorre
evitare potrà esserci di valido orientamento.
Da tenere presente inoltre che uno
“stile” che non svilisca i “contenuti” potrà essere
adottato solo se i contenuti sono per noi veramente vitali. Se ciò non è vero nessuna
analisi potrà indicarci qual è la strada migliore.
I temi che la visione
materialistico-volgare della politica ha trascurato sono ad esempio la nascita,
la morte, la natura, il sesso, la vecchiaia, la malattia e la deformazione, il
sonno e la veglia, il tempo, lo spazio e molti altri.
Tali temi sono stati campo
incontrastato dei tromboni della cultura accademica, mentre i politici amanti
della pratica hanno sempre disdegnato di curarsene senza avvedersi che oggi il
momento naturale e quello sociale dell’alienazione non sono più distinguibili
essendosi materializzati negli individui; per cui gli scrittori politici hanno
sempre rivolto la loro attenzione a temi più “concreti” (salario, sfruttamento,
lotta di classe, etc.) e più comprensibili al popolo.
Ora però che il capitale si è fatto uomo e
natura investendo la sfera del biologico, non è più possibile se non per conclamata malafede trascurare
tali soggetti.
Ciò in quanto, tra l’altro, il ricatto del
capitale sugli individui è fondato sulle soluzioni che esso fornisce ai
problemi di ordine biologico-sensoriale, soluzione che non è altro che la “produzione
della vita”, accompagnata dalla divulgazione di
modelli di comportamento e dalla falsa credenza che tali soluzioni siano le
migliori e le uniche possibili.
Altri temi sono già stati trattati ampiamente dalla
letteratura di sinistra, da un punto di vista parziale per lo più politico od
economistico; essi andranno nuovamente affrontati con un taglio che li leghi
unitariamente ai precedenti fornendo una soluzione praticabile subito
individualmente e collettivamente. Tali soggetti sono: il matrimonio, i figli, il
lavoro, la violenza, le istituzioni, la musica, il tempo libero ed altri.
Per questi ultimi sarà estremamente difficile fare
e dire qualcosa di nuovo, ma nonostante ciò tale impresa va iniziata senza
ritardi.
Risulta da questa bozza che i firmatari ed alcuni
altri intendono mettere in piedi una collana di pamphlets intorno agli
argomenti suesposti. Si è ben consapevoli delle difficoltà cui si va
incontro; e non tanto delle difficoltà tecniche isolatamente prese che sono
facilmente appianabili quanto del fatto di risolvere tecnica, divulgazione,
elaborazione, stile in modo unitario e non in momenti logicamente separati. Si è consapevoli
inoltre della necessità che più persone collaborino all’operazione, anche se
non si intende commettere l’errore di volere preordinare tutto assemblearmente ed
in anticipo.
Per cui si vorrebbe fare sì che ogni lavoro sia il
risultato di un’elaborazione collettiva; non solo, ma anche di una convergenza il
più possibile estesa verso condotte materiali comuni. Quindi si richiede ai
compagni destinatari di questa lettera di cercare di entrare in contatto nei
modi più proficui con i mittenti.
Volantino antilaborista diffuso a Torino in occasione del corteo del 1° maggio 1971. Il tono franco e spontaneo del testo, e la sua originale giustificazione tipografica, ottenuta con l’impiego ripetuto del simbolo di “=” (uguale), inducono ad attribuirne la paternità a Carlo Ventura. (Pier Franco Ghisleni)
INDIRIZZO AL POPOLO LAVORATORE ABBRUTITO DALLA PRATICA DEL LAVORO ED ACCECATO DALLA SUA IDEOLOGIA, AFFINCHÉ SCACCI DAL CUORE E DALLA MENTE OGNI AMORE PER QUESTA ABERRAZIONE, FONTE DI TUTTE LE MISERIE E PONGA IN ESSERE LA SUA CONCRETA DISTRUZIONE
Forse che non verrebbe considerato stolto chi, chiuso in una cella di una orribile prigione, benedicesse i suoi aguzzini ringraziandoli perché gli danno tetto e cibo sicuro?
E dieci volte stolto qualora, covando la ribellione nel suo cuore, egli affidasse le sue sorti ai cappellani del carcere, il cui programma fosse il miglioramento delle celle o, al massimo, l’autogestione dei detenuti del carcere stesso?
E cento volte stolto qualora, dimentico di ogni libertà, pensasse che l’unico mondo possibile è quello delle sua orribile prigione e scambiasse i latrati dei cani da guardia per annunci della sua liberazione?
E mille volte stolto qualora, periodicamente ed in unione con altri infelici suoi pari, formasse delle processioni per inneggiare alle grandi conquiste dei prigionieri ed alla libertà, sotto il complice occhio di un direttore benevolo?
Non c’è chi non possa vedere in costui ogni segno della peggiore demenza. Ma c’è poco da rallegrarsi poiché il POPOLO LAVORATORE è come il nostro prigioniero demente. È facile capirne il perché. Basta cambiare alcuni termini:
CELLA=FABBRICA / PRIGIONE=SOCIETà / AGUZZINI=FUNZIONARI DEL CAPITALE E SUOI SGHERRI / CAPPELLANI=PARTITI E SINDACATI / LATRATI=SLOGAN PSEUDO RIVOLUZIONARI SCANDITI PERIODICAMENTE DA GIOVANOTTI DI SINISTRA
La liberazione dal lavoro è la condizione preliminare per il superamento della cosiddetta SOCIETÀ DEI CONSUMI e per l’abolizione nella vita di tutti della separazione tra TEMPO DI LAVORO e TEMPO LIBERO (in realtà il TEMPO per gli individui non esiste se non come quantità vendibile e consumabile e mai come libertà assoluta di organizzare il proprio piacere).
LA NECESSITÀ DELLA RIVOLUZIONE TOTALE È STORICAMENTE POSTA ALL’UMANITÀ
La concentrazione capitalista dei mezzi materiali ed ideologici e la sua distribuzione sociale si trova di fronte sempre più minacciosa l’INSODDISFAZIONE crescente di tutti.
La società del capitale promette ma non può mantenere. Non può mantenere alcuna promessa di felicità poiché il suo fine stesso (produzione) ed i suoi mezzi (lavoro etc.) sono chiaramente OPPRESSIVI.
I proletari stanno lanciando la sfida alla società e non per una società DIVERSA o MIGLIORE ma per l’abolizione di OGNI SOCIETÀ (intesa come agglomerato di individui-merci retti da uno scopo ad essi superiore).
I PROLETARI LOTTANO PER IL COMUNISMO SUBITO
NON VOGLIAMO TUTTO merda compresa VOGLIAMO IL MEGLIO ASSOLUTO
I CONSIGLI PROLETARI (strumento del POTERE ASSOLUTO DI CIASCUNO SULLA PROPRIA VITA) stanno per sorgere sulle rovine di ogni potere separato. La felicità in armi esige di prendere il posto dell’infelicità oggi esistente. La distruzione del dominio del capitale e dei suoi strumenti è l’unica FESTA che il proletariato può desiderare.
È TEMPO DI INIZIARE CONCRETAMENTE LA LOTTA PER UN 1° MAGGIO PERMANENTE, CIOÈ PER L’ABOLIZIONE DEL LAVORO E DEL TEMPO CAPITALISTA.
CHI AMA IL LAVORO
È UN MASOCHISTA
O SI CHIAMA CAPITALE
Volantino fronte/retro. Al recto violenta polemica per un accordo Fiat-sindacati, con insulti al direttore del personale pro tempore, Umberto Cuttica, ed ai sindacati che hanno approvato l’accordo per un aumento salariale di 5mila lire. Al verso surreale strip antisindacale, presa da qualche magazine satirico francese (Hara-Kiri? Charlie Hebdo? Actuel?) ma con lettering modificato. Diffuso agli stabilimenti Fiat di Lingotto e Mirafiori. (P.F.G.)
Lettera senza data. Scritta dalla latitanza da Carlo Ventura, Riccardo d’Este, Ada Fusco e M. Repetto, per il nucleo viaggiante ‟Agostino ’o pazzo” aderente all’Organizzazione Consiliare.
COMUNICAZIONI
DI DUE ASSENTI FORZATI E DELLE LORO COMPAGNE AI MEMBRI TUTTI DELL’ORGANIZZAZIONE
CONSILIARE
La nostra assenza forzata,
resasi necessaria onde sottrarsi al braccio della legge con i suoi intenti
provocatori, non deve assolutamente influire in modo negativo sull’attività
teorico-pratica dell’O.C. Deve invece indurirei e spingerei in modo ancora più
reiterato e rivolto in maniera non equivoca alla completa realizzazione del
progetto di distruzione del sistema sociale esistente.
È pertanto buona cosa che dei
compagni debbano latitare perché si sono dimostrati coerenti con le tesi
formulate; sarebbe però pessima cosa se questo portasse ad una stasi (momento
di riflusso) sia nei latitanti sia in coloro che restano. Il nostro essere
“organizzati” deve saper far fronte a questa contingenza, ed uno dei nostri
maggiori compiti è quello di stravolgere il disegno poliziesco che, colpendo
coloro che essi – con ottusità tipica
dei servi – considerano i “capi”, vorrebbe costringere così tutti gli altri ad
una posizione di difesa. Bisogna pertanto inficiare il programma repressivo il
cui fine non è necessariamente quello di sbatterci in galera (ma anche questo, beninteso,
se gliene si offre la possibilità) ma quello invece di togliere fuori dalla
mischia coloro che, a loro avviso, sono tra i più facinorosi onde acquietare la
virulenza rivoluzionaria dell’O.C. tutta.
D’altra parte noi tutti ci
attendevamo la risposta dura del sistema non appena la nostra azione si fosse
misurata direttamente con il reale, cercando di smuoverlo ed attaccarlo. Ed
oggi sarebbe errato meditare su eventuali “errori tecnici”, poiché solo con una
continuità eversiva sempre più dura ed organizzata sarà possibile evitarli e
darci quella struttura per nuclei violenti che tutti aspettiamo e che la
situazione storica presente sempre più richiede.
È importante quindi assumerci
sino in fondo la paternità rivoluzionaria (ma non soltanto coram populo, ma
ancor più nell’intimo dei nostri cuori) dei gesti sinora compiuti e di tutti
quelli che, con una giusta scalata, vorremo compiere. Così come è indispensabile
vigilare sulla teoria affinché essa sia sempre uno strumento affilato nelle
mani dei rivoluzionari e non si trasformi nell’ideologia della “lotta politica”
e nello spettacolo di noi stessi, quali attori qualsivoglia sul palcoscenico
del sinistrismo e del recupero. La disfatta dei recuperatori è possibile solo
avendo sempre reazioni spropositate (in base alla spropositatezza delle nostre
posizioni teoriche) rispetto a ciò che si attendono i registi della politica. Sconfiggiamo
dunque il disegno poliziesco (cui si prestano i politici, nessuno escluso)
continuando in maniera pertinace la critica teorico-pratica di tutto
l’esistente e dimostrando al capitale ed ai suoi cani da guardia che la
contingenza (due membri coscienti latitanti) non muta l’essenza dell’O.C. il
cui compito rimane la vigilanza teorica e l’eversione violenta, non
trasformando la pratica dell’omogeneità in un “soccorso rosso” sterile ed
impotente.
A questo punto però è
necessario realisticamente trovare le nuove articolazioni, nuove perché la
situazione è diversa, con le quali sia noi che voi possiamo collaborare
attivamente e creativamente al medesimo progetto.
I nostri compiti nella situazione
attuale potrebbero essere:
– elaborazione di testi
fondamentali (opuscoli etc.) ed articoli per Acheronte non esclusi i compiti
più squisitamente redazionali (ci è possibile farlo data la grossa quantità di
tempo, sia pur borghesemente inteso, che abbiamo a disposizione).
– contatto con consiliari
incoerenti e gente varia in diverse città d’Italia (Genova, Roma, Firenze
etc.), onde addivenire alla formazione di O.C. sul tessuto nazionale. A questo
proposito non sarebbe cattiva cosa se vi deste da fare per reperire il maggior
numero di indirizzi e notificarceli o, addirittura, ci fissaste voi
direttamente degli incontri (ciò per essere certi di trovare qualcuno e non
perdere tempo, oltre al rischio di dormire negli alberghi). (Nota: se il
progetto riesce dovremo ringraziare il sistema che con un’azione di forza ci ha
sradicati da Torino in cui, bene o male, c’era il rischio di fossilizzarci, di
porci in una condizione paraburocratica e di chiudere un po’ troppo il nostro
orizzonte (che invece, come tutti sanno, non è altro che una linea
immaginaria).
I vostri compiti,
evidentemente, non possono mutare da quelli già precedentemente e comunemente
fissati. D’altra parte (e lo faremo presto con testi acconci) pensiamo sia
corretto che noi stessi, nella n1isura possibile, partecipiamo alle vostre
scelte non solo teorico-metodologiche, ma anche pratico-organizzate. Questo per
mantenersi comunque conformi, nonostante le difficoltà, alle tesi relative alla
trasparenza ed all’interscambiabilità dei membri.
Comunque, per ora, pensiamo che
sia indispensabile:
1) far funzionare immediatamente
i nuclei di intervento, collegandoli al più generale problema dei nuclei
abitazionali. Sarà necessario interrompere sine die i rapporti con tutti
coloro, che, pur manifestando simpatia o addirittura adesione all’O.C., non si
impegnino (secondo le proprie capacità ed inclinazioni) attivamente al
programma dell’O.C.
2) rendere sempre più autonomo
il lavoro di nucleo, ferme restando scadenze comuni (che vanno peraltro
intensificate) come assemblee, azioni collettive, pubblicazioni etc. A questo
fine sarà inevitabile una ristrutturazione quantitativa dei nuclei (quello di
intervento operaio contro il lavoro ed il suo tempo morto, ad es., è
insufficiente) e soprattutto una intensificazione degli interventi, in modo da
non cadere nella trappola burocratica delle “scadenze politiche” ma imponendoci
noi stessi le nostre scadenze.
3) svolgere un fitto lavoro di
propagazione di teoria con azioni idonee e diffusione di testi, non soltanto
per “reclutare’” compagni ma soprattutto per impedire la messa in atto di
calunnie che vanno respinte con il massimo rigore, così come tutte le
provocazioni anticonsiliari (contro tutta l’O.C. o contro suoi membri) vanno
soffocate con la violenza pratica, nonché teorica.
4) intensificare la vigilanza
all’interno dell’O.C., non solo per smascherare con metodi acconci (il migliore
evidentemente è quello della massima socializzazione della propria creatività)
delatori, provocatori, infiltrati vari, ma, del pari, per smascherare, bollare
e quindi scacciare i pavidi, i volontariamente inetti, gli ottenebrati cronici,
gli ideofagi, i “compagni di strada” (peggio delle troie), gli opportunisti, i
dogmatici etc.
Su tutti questi argomenti (e molti
altri, più specifici ancora) ritorneremo più diffusamente altre volte, con
regolare periodicità (2-3 lettere settimanali, più i vari testi teorici).
Al fine del regolare
svolgimento dei nostri rapporti epistolari vi consigliamo, per non oberare
eccessivamente alcuni compagni più diligenti, di nominare un nucleo ruotante di
corrispondenza ed informazione, in modo che più persone, volta a volta, si
impegnino in questo tipo di lavoro che, se andassero a buon fine i contatti con
altre città, potrebbe diventare un punto essenziale.
È peraltro evidente che tutti
coloro che intendono scriverci per loro conto ci faranno molto contenti.
W LA TEPPA ROSSA ORGANIZZATA
W IL POTERE ASSOLUTO DEI
CONSIGLI PROLETARI
W IL PIACERE DELLA RIVOLUZIONE
E LA RIVOLUZIONE DEL PIACERE.
Per il nucleo viaggiante
“Agostino ’O PAZZO”
aderente all’Organizzazione
Consiliare:
C. Ventura, R. d’Este, A.
Fusco, M. Repetto.
P.S. Gradiremmo notizie sulla
lotta antiGennero del nucleo Babeuf.
((POSTILLA IMPOSTA DA CARLO:
Nel caso la latitanza perdurasse
per molto tempo (un mese o più) potremo svolgere, e di questo se ne occuperebbe
Carlo in maniera specifica, una“consulenza”
sui problemi personali e di vita quotidiana di qualunque genere.
1) un
aiuto concreto
a voi nella vostra continua critica del vecchio mondo e delle sue miserie, vista la provata esperienza di Carlo e
Riccardo e la loro continua
disponibilità ad aiutare ogni compagno che si trovi in difficoltà, poiché essi pensano che la risoluzione di un
problema, anche se “personale”,
superi la contingenza della persona stessa e debba venir socializzato tra tutti i rivoluzionari.
2) servirebbe inoltre a rendere
meno isolati due “esiliati” ed a far loro sentire più da vicino la presenza
dell’organizzazione la quale li tiene in considerazione non soltanto per motivi
squisitamente politici.
PERCIÒ SCRIVETECI.
P.P.S. Mandateci l’indirizzo di
Sergio ed altri indirizzi che voi reputiate a noi utili.
Volantino diffuso (1970) probabilmente alla Fiat Mirafiori contro un piano di riorganizzazione del lavoro in fabbrica, proposto dai sindacati. L’epilogo dello scritto è un’istigazione al luddismo. (Pier Franco Ghisleni)
Volantino diffuso in ambito aziendale (probabilmente Fiat Lingotto) di istigazione al sabotaggio. Senza data.
SLEALTÀ CONTRO IL PADRONE
Compagni, domani lo sciopero indetto dai sindacati dà
inizio ad un nuovo ciclo di lotte operaie dalle quali otterremo, nel migliore
dei casi, alcuni vantaggi economici subito recuperati dal padrone con un
aumento dei prezzi, mentre in sostanza non sarà cambiato nulla. L’UNICO
VANTAGGIO SARÀ DI NON LAVORARE PER QUALCHE GIORNO.
Ma se i sindacati vogliono più soldi per gli operai,
garantendo però la produzione al padrone, gli operai devono impadronirsi di più
soldi e ridurre al minimo la produzione. Ma lo sciopero così come viene
effettuato serve a poco: tutti sappiamo infatti che lo sciopero dichiarato dai
sindacati lealmente e col dovuto preavviso ha un’efficacia limitata in quanto:
1) Dura poco ed il numero di ore annuali è
preventivato dal padrone come tutti gli altri costi.
2) Il padrone conosce già in precedenza le nostre
possibilità di resistenza.
3) È una forma di lotta leale, a viso aperto, in cui
non diamo al padrone la produzione ma nello stesso tempo perdiamo una parte
proporzionale di salario mentre il padrone, anche se resta privo della
produzione, non perde immediatamente soldi. Inoltre ciò che perde può
recuperarlo col taglio dei tempi quando alla fine dello sciopero si torna alla
“normalità produttiva”.
MA LA LOTTA DI CLASSE NON CONOSCE REGOLE; se il
padrone non ha scrupoli neanche noi non ne abbiamo. Ogni possibilità di lotta
ci va bene, specialmente se non ufficiale. Sabotaggio e non collaborazione
vanno bene, come hanno fatto i compagni della Mirafiori che hanno invaso un
sottopassaggio di olio e come fanno ogni giorno centinaia di operai con mille
trucchi. Oltre a ciò si è dimostrato efficace l’ASSENTEISMO che per di più non
comporta alcun rischio. Ogni giorno molti di noi si mettono in mutua e sono pagati
quasi per intero (dal prossimo anno lo saranno completamente). Questo modo è
sleale, non tiene conto delle regole, ma proprio per questo danneggia il
padrone: l’unico che ci perde è lui, in soldi ed in produzione. Noi non
perdiamo nulla ma guadagniamo tempo liberato dalla MALEDIZIONE DEL LAVORO. A
questo punto dobbiamo incominciare a metterci in mutua in massa tenendo però
conto di alcuni rischi:
1) I capi possono spostare i presenti al posto degli
assenti e farli lavorare di più.
2) Si tratta, come lo sciopero, di una lotta di difesa
e non di attacco; difesa dalla fatica, dalla noia, dall’oppressione della
fabbrica se la nostra assenza è limitata e non definitiva. L’assenteismo, per
dare più danno al padrone e più piacere a noi deve essere organizzato:
1 – Occorre mettersi d’accordo con tutti quelli che
fanno lo stesso lavoro così che i capi non possano sostituirli (ad esempio
tutti i saldatori di un reparto, tutti gli elettricisti della manutenzione,
etc.) provocando l’arresto di interi reparti.
2 – Non andare a lavorare altrove quando si resta in
mutua: è inutile togliere la produzione ad un padrone per darla ad un altro.
GLI ASSENTEISTI DEVONO INVECE TROVARSI PER MEGLIO ORGANIZZARSI E PER TROVARE
FORME DI LOTTA SEMPRE PIÙ EFFICACI.
3 – Se i capi ci minacciano facciamo in modo che anche
loro si assentino: ASPETTIAMOLI FUORI E METTIAMOLI IN MUTUA PER ALMENO OTTO
GIORNI SALVO COMPLICAZIONI. LA LOTTA È EFFICACE QUANDO è DURA, SLEALE, INCIVILE
(ODIAMO LA CIVILTÀ DEI PADRONI).
Finché la fabbrica è dei padroni e sono loro ad
imporci la produzione LA FABBRICA NON CI SERVE; quando sarà nostra e solo
allora potremo usarla per le nostre esigenze.
CONTRO I CAPI, CONTRO LA FABBRICA, CONTRO LA
PRODUZIONE,
Nove tesi dell’Organizzazione Consiliare, Torino 28 novembre 1970. Il testo, che sarà incluso nel secondo numero di Acheronte, erige la turris eburnea che separa i Consiliari da ogni altro individuo. Può anche essere letto come una sorta di decalogo iniziatico, plausibilmente attribuibile a P. F. Ghisleni.
L’AFFERMAZIONE DEL QUALITATIVO ED I NOSTRI COMPITI 1. L’Organizzazione Consiliare, consapevole di non poter esprimere, in questa fase della lotta contro tutti i poteri, altro che la volontà e la coerenza eversiva dei propri membri, non intende ergersi a rappresentanza emblematica del proletariato cosciente poiché essa non mira a gestire l’intermittenza delle lotte attuali, bensì a determinare l’organizzazione della permanenza eversiva, in tensione evidente verso l’instaurazione del Potere dei Consigli Proletari. 2. L’O.C. non intende nemmeno costituire un’avanguardia permanente del proletariato cosciente; l’O.C., o la sua eventuale continuatrice storica, non si scioglierà neanche nel movimento reale nel momento dell’emergere dei Consigli; suo compito, in tale fase, sarà quello di permettere la crescita ed il consolidamento dei consigli stessi smascherando ogni rigurgito stalinoideocratico tendente a bloccarne lo sviluppo. Solo l’autogestione generalizzata, compiuta mediante il potere assoluto dei Consigli, condurrà allo scioglimento definitivo di ogni organizzazione consiliare poiché la felicità in armi saprà porre argine alla speranza ormai disarmata. 3. L’O.C., pertanto, non può intrattenere rapporti con nessuna organizzazione che non riconosca come unico compito l’instaurazione del potere assoluto dei Consigli Proletari e che non miri quindi alla volontaria e consapevole determinazione di forme organizzative pre-consiliari racchiudenti già in sé, tuttavia, mediante l’abolizione di ogni separazione fra l’economico, il politico, il sociale ed il privato, la tendenza verso l’autogestione generalizzata. 4. L’O.C., inoltre, non può intrattenere rapporti nemmeno con coloro che boicottano ogni forma di organizzazione in nome di una presunta e temporalmente indeterminata combattività delle masse – emergente in via spontanea – e di una fantomatica creatività delle stesse nell’individuazione delle forme di organizzazione delle lotte più idonee all’abolizione dello spossessamento. 5. L’O.C., infine, respinge nella fogna della preistoria ogni concezione tendente, in odio al centralismo burocratico, a riprodurne l’errore specularmene opposto: il mito-feticcio dei gruppi autonomi agenti direttamente sul tessuto sociale. Ogni comunista coerente bolla siffatta concezione del più rivoltante opportunismo; il minoritarismo dei gruppi autonomi li conduce, gioco forza, alla sconfitta storica, sia essa sancita dal capitalismo stesso, sia dalle forze social-burocratiche, sue moderne eredi. Il desiderio di essere sconfitti, sia pure con la ragione ideale dalla propria, ed il masochismo ad esso sotteso, rivela la pavidità che comprende tutte le altre: quella di determinare il proprio destino. 6. Per queste ragioni l’O.C. non può riconoscersi alleata di alcuna delle organizzazioni nazionali conosciute anche se, volta a volta, può scegliere i suoi membri tra gli ex-militanti delle stesse. Costoro tuttavia, ed in ciò la vigilanza dell’O.C. sarà ferrea, dovranno disconoscere tutte le loro passate miserie, sconfessando nel contempo le concezioni che le fondavano; riconoscere l’ineluttabilità dell’organizzazione; sciogliere ogni legame con qualsiasi forza burocratica; scacciare dalla propria testa la condanna al minoritarismo ed alla sconfitta; essere tracotanti nel soggiogare il proprio destino. 7. Pertanto ai compagni entrati già in contatto con l’O.C. e che per ciò stesso si riconoscono nell’eversione dell’esistente chiediamo di manifestare esplicitamente la propria adesione e di motivarla teorico-praticamente; ciò non intende essere un atto ufficiale di sottomissione dogmatica, ma è invece un primo attestato per riconoscere la crescita di ognuno nell’individuazione della realtà eversiva di tutti i membri. Rifiuto dell’eversione individuale, necessità dell’organizzazione eversiva e collettiva di noi stessi, abiura del minoritarismo e del mito dei gruppi autonomi, volontà di costituirsi in organizzazione non necessariamente destinata alla sconfitta storica ed invece incidente l’esistente presente, frenesia di iniziare subito a praticare il comunismo nella vita quotidiana, il tutto accompagnato dalla teorica dei Consigli Proletari e dell’autogestione generalizzata: ecco il qualitativo individuale al di sotto del quale l’O.C. non può permettersi di trattare. 8. Perciò l’O.C. deve scegliere i suoi membri sulla base dell’unico parametro possibile: la coerenza tra la volontà eversiva proclamata e la capacità di evertere effettivamente, l’idoneità dei mezzi per realizzare il vissuto sulla base del desiderato. Compito dell’O.C. è vigilare affinché nessun individuo sprovvisto di tale minimo qualitativo possa allignare tra i suoi membri. Ai compagni interlocutori quindi chiediamo: a) di non riconoscere più sé medesimi in qualsiasi altra organizzazione “politica” esistente o preesistente; b) di abbandonare ogni attività “politica” autonoma (individuale o a piccoli gruppi) e sottoporre invece la propria attività unitariamente rivoluzionaria alle decisioni assembleari; c) di porsi nei confronti dell’O.C. come rappresentanti soltanto di se stessi, manifestando subito la propria adesione per poi mettere in marcia tutta la propria efficacia creativa ed il proprio tempo socialmente utile nell’eversione organizzata; d) di guardarsi dal covare qualsiasi tentativo di mettere in atto microfrazioni e disgregazioni in seno all’O.C.. Se è vero che una certa confusione teorica e metodologica caratterizzerà inevitabilmente le prime mosse di ogni nuovo aderente all’O.C. (e, come è chiaro, questo dovrà essere superato con una veloce omogeneizzazione), sarà necessario che ogni compagno eviti lo sproloquio volontaristico prima di aver compreso interamente i fini e i metodi dell’O.C.; il contrario sarà considerato disgregazione controproletaria pura e semplice; e) di comunicare immediatamente – mediante la socializzazione ed una acconcia diffusione – il meglio della propria esperienza eversiva passata, evitando ogni monopolio delle notizie e dell’informazione teorica che ad altro non conduce se non alla dittatura del pensiero individuale; f ) di essere trasparenti con tutti i membri, criticando praticamente ogni razionalizzazione del proprio cumulo di miserie e nel contempo realizzando il massimo di fiducia rivoluzionaria in tutti i membri al fine di abbattere ogni miseria separata e l’unità spettacolare di esse: la vita privata del politico. 9. La crescita dell’O.C. è una necessità proletaria. Il qualitativo è il nostro compito ed il qualitativo delle lotte proletarie lo fonda. È tempo di uscire dalla sotterraneità. L’emersione dell’O.C. dal magma contestatario è il passaggio dallo “ideale comunista” al suo stile di vita. Verremmo meno ai nostri compiti se ciò non venisse socializzato. Per questo ci siamo rivolti ad altri compagni. A costoro l’alternativa: la partecipazione consapevole alla tensione verso l’instaurazione del potere assoluto dei Consigli Operai o il pozzo nero della preistoria.
Torino, 14 novembre 1970. Opuscolo ciclostilato in 200 esemplari, con punti metallici, copertina a stampa in cartoncino lucido rosso-granata. La testata Acheronte e l’epigrafe sottostante sono citazioni tratte da uno scritto di Rosa Luxemburg, probabilmente pubblicato sul giornale Die Rote Fahne, organo dello Spartakusbund, nel 1918. Benché il sottotitolo rechi Comunicazioni interne dell’organizzazione consiliare, il fascicolo, bizzarramente impaginato, fu anche collocato presso alcune librerie per la diffusione.
Per l’Organizzazione Consiliare, d’Este, Ghisleni, Ventura. Torino, 22 ottobre 1970.
Caro compagno,
la situazione presente dello sviluppo delle lotte proletarie
impone, a nostro avviso, delle precise scelte a tutti coloro che intendono porsi
sul terreno dell’eversione
coerente. Scelte che, beninteso, devono articolarsi sul duplice momento della teoria-pressi e
dell’organizzazione minima conseguente.
Ebbene, a noi sembra che l’attuale frammentazione delle forze
che vogliono essere rivoluzionarie (e, per ciò stesso, antigerarchiche e
consiliari) non sia più oltre tollerabile. Infatti ciò, oltre ad impedirci una
seria opposizione alla momentanea canea burocratico-leninista di cui l’esempio
più recuperatorio e spettacolista è senz’altro fornito da “Lotta continua”,
blocca ed isterilisce la ricerca teorica, riduce gravemente la possibilità di
praticare correttamente le nostre ipotesi ed infine ci pone sull’infido terreno
di chi non riesce a concretare la critica dell’ideologia dell’organizzazione
(militantismo) in prassi dell’organizzazione contro l’ideologia coagulata.
È peraltro evidente che è necessario respingere, prima di tutto
in noi stessi, qualsiasi tentativo volontaristico (e quindi velleitario) di
“ricongiungimento” di forze (siano esse determinate da singoli compagni o da
piccoli gruppi) eversive che non sia fondato sul minimo di accordo teorico ed
organizzativo. Il nostro obiettivo pertanto non è quello dell’unione di varie
forze, bensì quello dell’unità tra di esse, fuori da qualsiasi tentazione
gerarchica e burocratica.
Le basi minime di accordo, sotto cui è impossibile scendere pena
la degradazione di noi stessi a “militanti ideologici”, sono, a nostro parere,
le seguenti:
a) il massimo di coerenza tra ciascuna tesi formulata e tra la
formulazione teorica e l’attuazione pratica (divulgazione, comunicazione,
intervento ed azione diretta);
b) la critica cosciente di ogni aspetto separato della
sopravvivenza sociale e, del pari, di tutto l’esistente sociale presente (tra
cui, in primo luogo, la critica delle burocrazie e delle istituzioni);
c) la coscienza della necessità di condurre una lotta spietata
contro l’ideologia, sotto qualunque forma essa si rappresenti, non esclusa
quella “consiliare”, per la riaffermazione del valore rivoluzionario della
teoria;
d) il riconoscimento della parzialità della nostra
organizzazione (come di qualsiasi altra organizzazione rivoluzionaria con cui
si intrattengano rapporti dialettici); questa parzialità è oggi necessaria per
scindersi globalmente dal mondo del parcellare, ma sarà da negare nel momento
della realizzazione della violenza rivoluzionaria, in cui non potremo fare
nulla di meno che riconoscerci nel movimento rivoluzionario che si
autoidentificherà con il movimento reale;
e) la prospettiva dei Consigli Proletari come unica forma
possibile per l’inizio della storia cosciente;
f) il rifiuto del militantismo esecutivo ed autoritario, anche
se camuffato sotto le spoglie dell’autorità del pensiero; il principio
capitalista dell’efficienza, basato sulla logica del valore di scambio, va
rovesciato in quello rivoluzionario dell’efficacia, basato sulla logica del
valore d’uso;
g) il riconoscimento dell’autonomia teorico-pratica di ciascun
compagno, purché essa non sia incoerente rispetto all’insieme delle tesi
formulate e a condizione che sussista il massimo di trasparenza tra tutti i
compagni, a loro volta interscambiabili, sebbene tutti necessari;
h) il rifiuto di presentarsi, in qualsiasi occasione della lotta
contro la società mercantil-spettacolare, come individui e non come facenti
parte dell’organizzazione teorico-pratica che si fonda sui punti suddetti.
Tutti i compagni che si trovano d’accordo su queste basi minime
sono invitati alla RIUNIONE organizzata dai firmatari per DOMENICA 25 OTTOBRE,
alle ORE 15, in via LAGRANGE 31 (presso VENTURA – scala centrale, 2° piano).
La riunione, sebbene sprovvista di un ordine del giorno
burocraticamente tassativo, dovrà avere un valore chiaramente operativo: non
nel senso che si dovranno scegliere necessariamente delle azioni immediate,
quanto piuttosto nel senso che ciascun compagno dovrà assumere una posizione
inequivoca e che tutti dovranno compiere la scelta della prospettiva e della
direzione su cui articolare ogni intervento, anche se teorico.
A questo proposito i temi minimi di discussione non potranno che
essere:
1° lotta all’ideologia nei suoi livelli più alti e determinanti
(ideologia del lavoro, ideologia della merce, ideologia dello spettacolo,
ideologia del consumo, ideologia del consenso),
2° lotta all’ideologia coagulata e materializzata (nuclei
produttivi di merci materiali o di merci ideologiche: es. fabbriche e scuole;
nuclei di trasmissione dell’ideologia e della sua rimanipolazione come
ideologia del consenso: es. carceri, manicomi etc.; nuclei di recezione
dell’ideologia: es. nuclei urbani e quartieri etc. – è peraltro di per sé
evidente l’interdipendenza dialettica di questi vari momenti separati che vanno
unificati nella critica –);
3° lotta all’ideologia del dissenso permesso e spettacolare
(critica ed attacco alle forze falsamente rivoluzionarie e realmente
burocratiche);
Questa tematica si pone come irrinunciabile non già per una
volontà burocratica da parte nostra, bensì perché l’accettazione di essa
dimostra nei partecipanti quella radicalità minima da cui non è possibile
prescindere nella prospettiva di un lavoro continuativo e rivoluzionario
comune.
D’altra parte è implicita la richiesta a tutti di presentare
agli altri compagni ed alla discussione soltanto il meglio del proprio lavoro
teorico e pratico eversivo su qualsiasi “fronte” si sia svolto, quello della
vita quotidiana non escluso.
Piccolo foglio murale a stampa, su carta rosa, tirato in mille esemplari ed affisso in diversi siti di Torino, in particolare Gran Madre, via Po e Palazzo Nuovo, Porta Palazzo, Piazza Crispi, Lingotto, nell’ottobre del 1970.
TESI PER LA LIBERAZIONE DAL LAVORO
L’ideologia del lavoro è lo stratagemma con cui la società repressiva riesce a ritardare il trapasso generalizzato già ora possibile ad una società senza classi e libera dalla schiavitù del lavoro.
Il mercato mondiale nella sua ultima fase: lo scambio dei prodotti materiali sussiste solo come forma economica in via di superamento; la forma più evoluta ed ormai realizzata su scala planetaria è lo SCAMBIO DI MERCI IDEOLOGICHE.
Le ideologie, fondamento dell’attuale ricchezza delle nazioni, sono le merci nella loro moderna versione: il loro valore è dato dal tempo di consenso che riescono a garantire. Esse sono la forma in cui si manifesta il capitale ed è attraverso esse che si esercita il potere.
L’ideologia scambiata tra gli stati, quelli comunisti non esclusi, viene poi distribuita al minuto al proletariato per essere consumata. Viene imposta sotto forma di LEGGE NATURALE: il lavoro come maledizione continua e la produzione come necessità ineluttabile.
La logica del lavoro contiene però le condizioni per il suo totale superamento. Il capitale potrebbe oggi ridurre il tempo di lavoro della metà: le forze sedicenti rivoluzionarie includono nei loro obiettivi la riduzione progressiva del tempo di lavoro poiché rappresentano il dissenso concesso.
La produzione imposta di merci materiali ed il consumo imposto di merci ideologiche si identificano e il salariato occupa le sue 24 ore alternativamente nell’una o nell’altra forma. La giornata lavorativa è ormai di 24 ore: vita produttiva e vita quotidiana coincidono ormai per la loro miseria.
Nessuna forma di lavoro salariato, sebbene l’una possa eliminare gli inconvenienti dell’altra, può eliminare gli inconvenienti del lavoro salariato stesso. Perciò è indispensabile che il pensiero si armi nelle strade.
Nella rivolta proletaria di Reggio Calabria, come prima di Caserta e Battipaglia, ciò è avvenuto. Il proletariato si è costituito in TEPPA per lanciare la sua sfida cosciente all’incoscienza dell’ordine costituito. La solitudine del proletariato ed il volto osceno e ghignante delle sue insurrezioni lasciano costernati i suoi oppressori ed i suoi falsi protettori.
Gli amici napoletani di Agostino ed i devastatori calabresi hanno chiarito, per l’ultima volta, che la nuova lotta spontanea comincia sotto l’aspetto criminale e che si lancia nella DISTRUZIONE DELLE MACCHINE DEL CONSUMO PERMESSO.
Oggi a Reggio i motivi di rivolta sono definiti “futili”. Infatti il proletariato non ha particolari motivi per ribellarsi poiché li ha TUTTI; non ha richieste particolari da rivolgere al potere poiché il suo obiettivo è la distruzione di OGNI POTERE che non sia quello esercitato dai CONSIGLI PROLETARI.
I Consigli Proletari non chiederanno nulla di meno della distruzione di questa società, dell’abolizione del lavoro, dell’eliminazione violenta di ogni istituzione separata (scuola, fabbrica, prigione, chiesa, partito, etc.) poiché esisterà il potere decisionale di ciascuno nel potere UNITARIO ED ASSOLUTO dei Consigli.
I Consigli Proletari non saranno nient’altro che l’inizio della costruzione da parte di tutti della VITA libera e felice oggi relegata nei desideri e nei sogni prodotti dall’infelicità dell’attuale SOPRAVVIVENZA.
Proletari coscienti, che la maledizione del lavoro sia maledetta, che l’ineluttabilità della produzione diventi il suo lutto.
La sentenza per l’ammutinamento alle Carceri Le Nuove (scoppiato il 12 aprile 1969) fu resa alla fine di giugno 1970. Alcune decine di detenuti risultarono assolti, 14 condannati per il reato di danneggiamento, dopo la derubricazione dalla imputazione (più grave) di “devastazione e saccheggio”. Chi scrive e Riccardo d’Este furono sentiti, in aula, come testimoni, convocati dagli avvocati di qualche imputato. Le testimonianze risultarono ininfluenti. Al recto pregevole schizzo di Sandro Beltramo, disegnatore professionista.La datazione del documento risale alla prima metà del mese di maggio 1970.(Pier Franco Ghisleni)
Quando l’avanguardia soggettiva del proletariato muove all’assalto di tutto ciò che è socialmente imposto ed esprime la sua intransigenza generale espropriando gli espropriatori della propria vita, allora tutti gli esponenti dell’impostura burocratica di ogni colore si schierano col potere e ne avallano la repressione.
Un movimento moderno, quale quello realizzatosi nell’aprile del 1969 con la sommossa dei detenuti delle Nuove è incomprensibile e inaccettabile per gli ideologi adoratori di un passato rivoluzionario scomparso.
Per questo OGGI 68 detenuti, in condizione di completo abbandono da parte di tutte le forze sedicenti rivoluzionarie, vengono processati per i fatti di ALLORA.
Ma, oggi come allora, il proletariato in rivolta non ha bisogno di capi benefattori tutori. I tentativi di mediazione per sedare l’insurrezione o contenerla entro i limiti della manifestazione “ordinata e responsabile” posti in atto da preti, giuristi democratici, burocrati di sinistra fallirono. Per questo oggi i detenuti sono abbandonati da tutti in pasto alla vendetta dei giudici.
Il non aver riconosciuto capi, l’aver saccheggiato e devastato le attrezzature di lavoro e quelle cliniche, l’aver aggredito i carcerieri, profanato la chiesa, incendiata la biblioteca: questi i capi di imputazione. Ma il reato più grave, quello che comprende tutti gli altri, è l’aver rifiutato coscientemente LA SCHIAVITÙ DEL LAVORO SALARIATO e l’indegnità connessa a tale rifiuto. Per questo il proletariato libero dalla galera ma incatenato alla linea di montaggio deve appoggiare le lotte dei detenuti impedendo immediatamente e ad ogni costo lo svolgimento del processo ed emulando le pratiche EVERSIVE dei compagni imprigionati.
Manifesto, cm. 34×50, b/n, che non reca né indicazioni di stampatore né firme di paternità. Esso è stato prodotto ed affisso a Torino, in un periodo compreso tra gennaio e marzo 1970. Pertanto non è possibile attribuirne la paternità all’Organizzazione Consiliare, che ancora non era stata costituita. Al più le “Tesi sul Crimine”, possono essere considerate un “antefatto” alla costituzione della stessa.
TESI SUL CRIMINE
– Il disadattato mette in
crisi, per il fatto stesso di esistere, l’ideologia della società
tecno-burocratica, unico argine al movimento della storia.
– I detenuti violentano ogni
giorno con le loro lotte la società esistente dall’interno delle galere.
– I detenuti, parte di una
classe che sarà l’ultima, realizzano ogni giorno quello stile di vita
rivoluzionaria che operai e studenti solo a sprazzi riescono ad esprimere.
– I criminali, esercitando il
reato nelle sue forme individuali, hanno saputo, una volta divenuti carcerati,
praticarlo nella sua forma collettiva ed organizzata: l’insurrezione.
– Le lotte dei detenuti non
mirano alla razionalizzazione del sistema carcerario all’interno di questa
società; esse la negano praticamente pur manifestandosi inizialmente in uno dei
suoi settori più isolati.
– I detenuti hanno già
rifiutato lo spettacolo del consumo di libertà che il capitale somministra ogni
giorno; hanno capito che il sogno della “libertà” con cui lo Stato vuole
costringerli a subire disciplinatamente l’indegnità della pena non è altro che
la concessione di praticare la libertà di sognare.
– I detenuti hanno anche
negato praticamente l’allettamento della libertà di consumo; sia nei loro reati
individuali contro la proprietà privata (furti, rapine, estorsioni) che in
quelli collettivi contro la proprietà dello Stato (il saccheggio) hanno
realizzato violentemente il principio “a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Il
loro è stato ed è assalto proletario alla ricchezza sociale.
– La vita dei criminali è la
negazione delle pretese qualità liberatorie del lavoro salariato. Il rifiuto
del lavoro conduce alla galera, il timore della galera assoggetta al lavoro.
– La feccia della società di classe
ha già adottato le proprie lotte in carcere e fuori la sola organizzazione che
muova efficacemente alla distruzione del vecchio mondo. Rifiutando nei fatti lo
spontaneismo sottoanarchico degli impotenti e il centralismo gerarchico
(codificato o informale) dei mistici della milizia rivoluzionaria ha saputo e
sa organizzare il disordine strutturandosi in bande criminali.
– L’amnistia che il
Parlamento sta concedendo è un’arma demagogica dello Stato. Di essa è però
possibile fare un impiego proletario. Alcuni detenuti saranno scarcerati; la
loro liberazione coinciderà con la commissione sempre più vasta e diffusa di
crimini proletari e la realizzazione della rivoluzione richiederà, è chiaro, la
violazione massiccia di ogni articolo della legge borghese. La liberazione dei
detenuti porterà alla costituzione delle prime bande di devastatori e
saccheggiatori. Altri, esclusi da un avvenire di integrazione del resto
consapevolmente rifiutato, resteranno in carcere, spina nel fianco di un
sistema che sapranno rovesciare.
– Il proletariato libero
dalla galera ma incatenato alla linea di montaggio deve appoggiare subito le
lotte dei criminali con la pratica quotidiana del teppismo e la commissione del
reato comune.
Volantino diffuso alla FIAT dall’Organizzazione Consiliare. Torino, senza data.
LA PASSIVITÀ NON PAGA
L’arresto dei tre compagni è l’ultima provocazione che i padroni hanno messo in atto contro gli operai del Lingotto perché si sono finora dimostrati incapaci di reagire. L’aumento continuo dei ritmi di lavoro, gli infortuni sempre più numerosi che causano spesso invalidità permanenti, i trasferimenti, i provvedimenti disciplinari, l’oppressione dei capi, lasciano indifferente questa classe operaia dell’OSA, sempre più sottomessa. I Sindacati, espressione di questa “base” remissiva, si comportano coerentemente e non cercano di svegliare il leone che dorme perché sarebbe pericoloso per essi stessi; invitano a rispondere ogni volta solo con proteste formali, con qualche volantino “indignato”, con qualche ora di sciopero che oltre a fallire miseramente non cambia nulla rispetto al potere in fabbrica che resta sempre in mano al padrone.
BISOGNA CAMBIARE SISTEMI, IL PADRONE CI PROVOCA, CI VUOLE TEPPISTI E NOI LO DIVENTIAMO, CONTRO DI LUI.
Certi sindacalisti sono poi dei porci ed il giorno in cui gruppi di operai delle presse decisero di fermarsi (come è capitato alcune settimane fa) per difendere dei delegati trasferiti sono riusciti a bloccare questa lotta dicendo falsamente che tutto quanto era sistemato. Ecco i nomi per ricordarceli al momento opportuno: Meloni (membro di commissione interna), Amata (delegato delle presse), Gallo Gerardo (delegato della manutenzione), tutti della UIL. I sindacalisti della CGIL e della CISL sono ugualmente responsabili, perché conoscevano il fatto e non hanno avuto il coraggio di denunciarlo agli operai.
La passività operaia, gelosamente custodita dal sindacato, è il migliore strumento che diamo al padrone per rafforzare sempre più il suo potere ed accrescere i suoi profitti. Gli operai in lotta senza alcun controllo da parte dei sindacati riescono invece a bloccare ogni provocazione anti proletaria e a diventare essi stessi provocatori contro il padrone.
1 – I volantini non devono più esprimere una solidarietà a parole con i compagni colpiti. Essi devono divulgare i nomi di tutti i bastardi che opprimono gli operai, i loro indirizzi, le loro abitudini, i loro spostamenti, le spiate e le infamie di cui si sono macchiati. I volantini sono gli atti istruttori del processo che il tribunale proletario continuerà con le opportune sanzioni.
2 – Già fin d’ora vanno colpite le carogne che ci mandano in carcere e ci sfruttano. Spie, ruffiani, poliziotti crumiri, giudici (si chiama Barbaro quello che ha fatto incarcerare i compagni di Lingotto), padroni e sindacalisti devono stare attenti, guardarsi le spalle, a costoro va tolta ogni possibilità di manovra.
3 – Gli scioperi devono danneggiare i padroni e non gli operai. Bene agli scioperi, ma occorre anche usare altri mezzi.
4 – In ogni momento il vandalismo contro la produzione e contro le macchine va bene. L’importante è non farsi prendere.
I PADRONI DICONO CHE GLI OPERAI IN LOTTA SONO DEI TEPPISTI, EBBENE DIVENTIAMOLO CONTRO I PADRONI, I LORO SERVI, I LORO BENI
Il primo ammutinamento di detenuti dell’aprile 1969 aprì una lunga stagione di sommosse carcerarie, in occasione di una delle quali (nel gennaio 1971) fu diffuso questo testo, poi ripreso in Acheronte n° 2.
LE NUOVE IN RIVOLTA Contro il capitale lotta criminale
I compagni che il capitale ha incarcerato alle Nuove stanno ancora una volta dimostrando con la loro rivolta che rifiutano lo schifoso sistema che li ha costretti in carcere.
L’ideologia della pena e dell’espiazione, cioè l’accettazione della colpa, viene rifiutata dai collettivi di lotta che rivendicano la libertà assoluta per sé stessi e per la società, contro l’assoluta schiavitù imposta dal lavoro e dalla sopravvivenza alienata.
La campagna ordita dalla stampa e dagli organi di informazione tutti contro l’ondata “CRIMINALE” tende a strumentalizzare a scopo repressivo l’intolleranza proletaria: il CRIMINE GENERALIZZATO, espressione cosciente e radicale del rifiuto all’ordine costituito, viene presentato all’opinione pubblica come novello spauracchio – la contestazione era stata prospettata in modo analogo – onde ottenere l’inasprimento delle misure repressive.
I detenuti in rivolta non pretendono nulla di meno che l’abolizione del carcere ed esigono la libertà perché i fatti da loro commessi
NON COSTITUISCONO REATO.
Il furto, la rapina, il danneggiamento sono buona cosa perché costituiscono lo strumento che il proletariato tutto adotta onde espropriare gli espropriatori. Non è un caso che contemporaneamente alla rivolta delle Nuove ci sia la ripresa della lotta contro il lavoro alla FIAT Mirafiori, carcere quotidiano di 60.000 proletari; infatti gli uni e gli altri rifiutano la schiavitù imposta loro dal lavoro, dall’obbligo al consumo, dalla non vita organizzata come unica forma di sopravvivenza. EBBENE BASTA! Noi proletari tutti non dobbiamo restare inerti di fronte a questo stato di cose, ma reagire violentemente SACCHEGGIANDO ed appropriandoci di tutto ciò che ci serve e che ci è finora stato negato. Distruggiamo ogni concetto di bene e di male lasciando ai borghesi il falso moralismo: DIVENTIAMO TUTTI CRIMINALI, non esiste altro modo di essere veramente solidali con i compagni carcerati; non solo intensificando la nostra attività antisociale, non solo estendendola a tutti i compagni – è assurdo che gli studenti comprino i libri quando è possibile rubarli, che le massaie acquistino le merci quando è possibile saccheggiare i supermercati – ma rendendola realmente rivoluzionaria, ossia collettiva, al fine del rovesciamento di qualsivoglia carcere, sia esso chiamato scuola, famiglia, fabbrica, sistema, o qualsiasi altra puttanata. I detenuti non vogliono autogestire il carcere, così come i proletari non intendono dirigere questa società di merda ma DISTRUGGERLA: tutti vogliamo vivere la nostra libertà assoluta che è possibile ottenere solo attraverso la rivoluzione violenta ed armata e l’instaurazione dei CONSIGLI PROLETARI come organo di decisione di tutti.
Commento di Sergio: ricordo quando sui muri di Porta Palazzo si andava scrivendo notte tempo ‟Abbasso i leader W i lader”, riscuotendo molta simpatia tra i pochi astanti.
I Consiliari spregiavano gli slogan in generale, e quelli degli extraparlamentari in particolare. Questo – che è rimasto nella memoria collettiva – è stato il loro unico slogan. Si è perso il ricordo di chi ne sia stato l’ideatore. Il volantino, di scrittura sgrammaticata, è stato diffuso a Porta Palazzo.
CONTRO IL CAPITALE LOTTA CRIMINALE
“NIENTE SCHERZI O VI FACCIAMO FUORI… Sappiamo che avete in casa tre milioni, metteteli qui e non vi accadrà niente di male.”
Con queste parole il 15 febbraio
alcuni proletari, come già altri prima di loro, hanno stravolto i termini della
contrattazione mercantile, praticando invece il furto come unica possibilità di
sopravvivenza in questa società che non offre alternativa se non la propria
prostituzione nelle fabbriche.
Il rifiuto della schiavitù del lavoro,
cioè della vendita della propria giornata in cambio di merci necessarie alla
propria sopravvivenza ed al decoro del proprio rango sociale, viene praticato
attraverso il furto di tutto ciò che faccia parte del fabbisogno quotidiano di
ciascuno.
Il crimine individuale e separato,
ultimo prodotto della società repressiva, va man mano scomparendo per lasciare
il posto alla criminalità collettiva la quale, manifestando una sempre maggior
intolleranza ad ogni forma di assoggettamento alle norme ed ai codici borghesi,
si presenta come unica forma radicale di lotta rivoluzionaria.
La risposta alla società che tollera
anzi tutela il furto sulla pelle dei proletari si fa man mano più cosciente:
dal furto del singolo per sfuggire alla schiavitù del lavoro salariato cade di
fatto in una forma altrettanto alienante anche se non legalizzata di schiavitù,
si è giunti oggi alla generalizzazione del crimine, del saccheggio o della
distruzione di tutto ciò che venga ad impedire la libertà individuale e
collettiva.
Questo dimostra come il proletariato
moderno, rifuggendo ogni forma di lotta legalizzata, inizia organizzandosi
l’assalto a tutto ciò che determina la miseria della sua esistenza.
COMPAGNI PROLETARI RINUNCIAMO AI
REGOLAMENTI DI CONTI TRA BANDE RIVALI
L’UNICA BANDA DA SCONFIGGERE È LA
SOCIETÀ!
FACCIAMO ESPLODERE LA POLVERIERA DI
PORTA PALAZZO – TRASFORMIAMO QUESTO GHETTO NEL QUALE IL CAPITALE FA IL BELLO ED
IL CATTIVO TEMPO IN UN LUOGO NEL QUALE I PROLETARI POSSANO LIBERAMENTE
ORGANIZZARSI PER EVERTERE LA SOCIETÀ TUTTA.
Volantino recto-verso di contenuto operaista. Sul verso foto di prosperosa pin up in topless, animata da un fumetto che imputa al lavoro l’impotenza sessuale del maschio. Diffuso allo stabilimento Fiat di Lingotto, il volantino riscosse, grazie alla beltà muliebre, notevole gradimento fra gli operai (che ne chiedevano più copie). Nell’occasione scoppiò uno screzio (anche un po’ manesco) con elementi dei sindacati, intervenuti accusando i Consiliari di “diffondere la pornografia tra gli operai”. (Pier Franco Ghisleni)
COTTIMO GARANTITO, FATICA GARANTITA
Nelle assemblee sindacali a proposito della piattaforma rivendicativa si discute del cottimo e si insiste sul fatto che il guadagno sarebbe garantito in qualunque modo anche se la produzione dovesse calare per cause che non dipendono dagli operai. Ma si tace su un’altra questione. Nessun sindacalista infatti osa dire che è falsa la promessa di poter fare la produzione a nostro piacere ed avere ugualmente il salario garantito. Vediamo in concreto le proposte sindacali:
1) Convalida dei ritmi di lavoro da parte degli operai. I sindacati sostengono che i ritmi attuali dovremo farli perché li facciamo già. I ritmi che il padrone ci ha imposto con continui tagli di tempi, minacce, pressioni, multe, etc. li renderemo LEGITTIMI e daremo il nostro consenso a tutto quello che il padrone ha fatto contro di noi da sempre.
2) Guadagno uguale sia per gli operai diretti che per quelli indiretti. Questo vuol dire che i carrellisti, i magazzinieri, gli addetti alla manutenzione, alla riparazione e tutti quelli non legati direttamente alla produzione che godevano rispetto agli altri di un lavoro più calmo, saranno sottoposti sicuramente ad una razionalizzazione e saranno costretti a correre perché i sindacati ancora una volta li hanno venduti per poche lire. I sindacati vogliono livellare gli operai ai livelli più bassi.
3) Quando i tempi, gli organici, le pause, i rimpiazzi e la produzione saranno convalidati non avremo mai la possibilità di scendere al di sotto del rendimento prestabilito dal padrone e dai sindacati se non a rischio di multe, sospensioni, licenziamenti per scarso rendimento e questa volta con l’approvazione del sindacato.
4) A questo punto il delegato ed il rappresentante sindacale non diventano altro che i cani da guardia che il padrone impiega per la garanzia del suo potere, cioè della produzione.
Di fronte a questo inganno non possiamo che rispondere in questi due modi:
A) per ciò che riguarda il salario, non rifiutiamo certamente ciò che ci viene offerto; lasciamo fare ai sindacati il loro mestiere di mercanti delle nostre vite. Il problema è altro. Sappiamo che il padrone è disposto a pagarci molto, ma a patto di chiederglielo con le dovute maniere e di sottoporci ai suoi piani produttivi.
B) Quello che ci importa è non garantirgli mai la produzione: contrattare i tempi significa garantire il nostro lavoro ed una certa produzione. Garantire la produzione al padrone vuol dire garantirgli il suo potere su di noi e sulla nostra fatica. La nostra fatica non la garantiamo a nessuno, né ai padroni, né ai sindacati. La fatica vogliamo abolirla e lavoriamo o no, secondo come ci fa comodo. Questo finché la nostra forza sarà tale da NEGARE AL PADRONE TUTTA LA PRODUZIONE, TOGLIENDOGLI TUTTO IL POTERE.
Boicottiamo le assemblee sindacali non andando ai refettori oppure andiamoci ma per togliere la parola ai sindacalisti ed ai loro leccaculo. Respingiamo ogni piattaforma.
Decidiamo per nostro conto tutte le azioni che blocchino la produzione. LA POCA PRODUZIONE CHE ESCE DEVE ESSERE SABOTATA.
IL RIFIUTO DEL LAVORO DEVE COMINCIARE CON UNA LOTTA PERMANENTE E QUOTIDIANA CONTRO IL LAVORO CHE CI È QUOTIDIANAMENTE IMPOSTO.