Limiti della teoria radicale. Contributo di Valerio Bertello – Torino 2005
I.COMONTISMO
1. La prospettiva
Gli atteggiamenti, cui corrispondono altrettante teorie, che in generale si possono adottare di fronte alla questione della rivoluzione e in generale del mutamento sociale si possono ridurre ai seguenti.
SignorBollati,Benché, come direttore della casa Einaudi, lei abbia a trattare affari di grande momento, non disdegnando di occuparsi del mio libro lei dimostra di possedere al sommo grado la rara virtù di non disprezzare le piccole cose. … Read More
commento di Sergio:
lo scrivemmo con Mario Moro e lo facemmo entrare clandestinamente alle Nuove nel fondo di una teglia di lasagne, ma molto probabilmente fini repentinamente nel cesso della cella, le lasagne però furono molto apprezzate. Credo che si possa considerare l’ultimo volantino con riferimento a comontismo. Diffusione zero.
la quarta immagine si riferisce ad un altro volantino o a una sua parte.
Commento di Paolo:
a me pare che la prima e la terza e la quarta costituiscano il noto volantino sulla scuola distribuito il giorno di apertura dei licei (primo ottobre?) del 1972 a Torino, la seconda invece é la pagina conclusiva di un altro volantino.
Questo é il volantino distribuito ai primi di maggio 1972: la descrizione della vicenda sta nella Cronologia di Comontismo scritta da me mentre ero carcerato al Bassone di Como e pubblicata su Maelstrom 2 (Paolo Ranieri).
1° MAGGIO: IL LAVORO SALARIATO NON SI FESTEGGIA. SI ABOLISCE
All’inizio del secolo la
brutalità del lavoro salariato e la logica spietata delle merci diede il via ad
appassionanti ammutinamenti anticapitalisti. Il proletariato individuando il
lavoro come fonte di tutte le sue miserie poneva in pratica la sua distruzione.
Oggi gli eredi degli artefici
dell’annientamento proletario nel periodo fra le due guerre (p.c.i., sindacati,
etc.) spacciano il lavoro come ultimo ritrovato ai mali del proletariato. Il
dominio dei burocrati-stalinisti è fondato sulla menzogna e non possono tentare
di conservarlo se non continuando a mentire.
Attenti burocrati stalinisti!
Il volto ghignante del
proletariato che risorge ridicolizzerà tutti i tentativi di recuperarlo alla
logica della merce e del lavoro. Sadico come dovrà essere il Proletariato se la
prenderà per primo con quelli che vogliono parlare per lui senza essere lui. La
liberazione dal lavoro è la condizione preliminare per superare la società dei
consumi e per l’abolizione nella vita di tutti della separazione tra tempo di
lavoro e tempo libero, settori complementari di una vita alienata in cui si
proietta all’infinito la contraddizione interna della merce tra valore d’uso e
valore di scambio. La concentrazione capitalistica dei mezzi materiali e
ideologici di produzione e la sua distribuzione sociale si trova di fronte
sempre più minacciosa l’insoddisfazione crescente di tutti.
La società del capitale promette,
ma non può mantenere. Non può mantenere alcuna promessa di felicità poiché il
suo fine stesso (produzione) ed i suoi mezzi (lavoro, etc.) sono chiaramente
oppressivi.
I proletari stanno lanciando la
sfida alla società e non per una società diversa o migliore ma per l’abolizione
di ogni società (intesa come agglomerato di individui-merci retti da uno scopo
ad essi superiori).
La felicità in armi esige di
prendere il posto dell’infelicità oggi esistente. La distruzione del dominio
del capitale e dei suoi strumenti è l’unica festa che il proletariato può
desiderare.
È tempo di iniziare concretamente
la lotta per un 1° maggio permanente, cioè per l’abolizione del lavoro e del
tempo capitalista.
Commento di Paolo:
sono le tre versioni di volantino in merito, di Torino, Milano e Firenze. Precisazione importante: se su un volantino c’è scritto, Torino oppure Firenze, non solo non é un dato attendibile ma é solitamente falso e la stesura e la distribuzione é stata fatta altrove.
IL DOMINIO REALE DEL CAPITALE È MORTE
Feltrinelli è stato assassinato
Non a caso
Continua la strage voluta ed organizzata dai politici di tutte le risme.
La rivolta proletaria organizzata e radicalizzata fa tremare il mondo dei fantasmi dediti al culto del dio MERCE.
La merce stessa (nelle persone fisiche degli amministratori e servi del suo potere) si organizza per respingere l’assalto proletario e per PERPETUARE il suo dominio.
Il dominio del mondo delle merci si fonda sulla MORTE, sulla morte di tutti, asserviti al lavoro e all’infelicità, produttori-consumatori di ideologia ( nuova forma di equivalente generale che si affianca alla vecchia – il denaro – per poter avviluppare globalmente gli uomini nella miseria della produzione e della non vita ).
La morte non è solo metafora, espressione emblematica.
È morte materiale, concreta!
E’ la non-volontà di vivere i propri desideri, di produrre non merci ma doni ( il valore d’uso ritrovato sulle ceneri del valore di scambio ), di esprimere la TOTALITA’ insopprimibile di ciascuno nell’organizzazione della felicità collettiva.
È il dominio dell’irreale fantasticamentre incastrato nella vita (SOPRAVVIVENZA) di uomini OGGETTI-MERCI-PRODUTTORI-RUOLI-IMMAGINI-DELIRI.
È il potere dell’economia-ideologia politica.
Talora diviene ASSASSINIO particolare, che si aggiunge agli omicidi ” indolori ” che tutti siamo costretti a subire e che tutti – TRANNE I RIVOLUZIONARI COERENTI – ripropagano giornalmente sulla pelle degli altri.
L’operaio ucciso in fabbrica dalla miseria del lavoro diventa assassino nella perpetuazione della miseria della famiglia.
Il professore ucciso dalla cultura amministrante uccide giornalmente con l’amministrazione della cultura.
L’impiegato morto nel suo impiego di sottomissione-noia diventa crudele maniaco assassino nel RUOLO DEL PRIVILEGIO.
E avanti così.
Sino agli pseudo-rivoluzionari che muoiono-uccidono nell’adempimento di un dovere gerarchico-ideologico che non porta alla rivoluzione, ma alla rotazione del potere, dei ruoli, delle immagini fissanti.
Il capitale è un ASSASSINO continuo.
Ma è un assassino che ha paura di essere scoperto e giustiziato dall’ orda proletaria che più che mai mostra il suo volto TOTALE E CRIMINALE nelle lotte operaie anti-lavorative come nelle esplosioni di una delinquenza che non è altro che l’inumanità totalmente vissuta e che comincia a stravolgersi, e a volgersi contro l’organizzazione dell’inumano sociale.
La paura rende più che ma assassini.
Feltrinelli è l’ultimo morto ( ma ce ne saranno ancora se non spazziamo via assolutamente gli assassini organizzati in rackets-politici, poliziotti, spie, preti, intellettuali, ruolificati di buon grado, etc.) di questa GUERRA di classe.
Noi non abbiamo particolare rispetto per la morte, poiché abbiamo rispetto REALE per la VITA.
Per cui oggi NON diciamo che Feltrinelli era un compagno.
Non lo era, non NOSTRO, non dei rivoluzionari coerenti.
Era un politico e la POLITICA lo ha ucciso.
L’hanno ucciso le elezioni ( il blocco d’ordine di destra-centro-sinistra ).
L’hanno ucciso le difficoltà economiche italiane e la strategia USA dell’organizzazione dei mercati ( rinnovo dei contratti, pace sociale che il capitale internazionale cerca di ottenere anche in Italia, volontà di incastrare le future lotte proletarie e già ora di distruggere una sua forma: la “delinquenza”, ecc.)
Chi accetta la morte quotidiana e la perpetua è un CORREO.
Sul traliccio l’hanno ficcato i luridi bastardi del SID, la polizia o simili: tutti i servi di una polizia ultranazionale con a capo la CIA.
Ma costoro sono soltanto il braccio materiale, seppur talora autonomizzatto.
Tutti i politici, SENZA ESCLUSIONI, ne sono i mandanti ( basta vedere il congresso del PCI difensore ed organizzatore dell’ordine quanto l’ MSI).
I gruppetti sono, masochisticamente o interessatamente, degli spettatori acquiescenti. Accettano di fare il GIOCO POLITICO e non iniziano una effettiva pratica di DISTRUZIONE, di GUERRA RIVOLUZIONARIA, riproducendo ancora una volta schemi retorico-politici ( elettorali il Manifesto ) che non possono scalfire la spirale dei ruoli della morte, ma la riaffermano riproducendo al proprio interno e propagando la GERARCHIA-IDEOLOGIA che è un’essenza del potere.
La morte di Feltrinelli esige vendetta. Non la vendetta di una cosca mafioso-politica.
La VENDETTA PROLETARIA, poiché uccidendo Feltrinelli si è voluto ricordare pesantemente a tutti che fuori dall’accettazione della sopravvivenza non ci può essere che MORTE VIOLENTA ( ma la sopravvivenza è morte dolce? ).
Feltrinelli non era un rivoluzionario più che altri ideologi -di-sinistra, ma la vita che poteva guizzare in lui e che noi DESIDERIAMO esige più forte-violenta che mai la RISPOSTA rivoluzionaria e l’ORGANIZZAZIONE che ne è l’indispensabile supporto.
È necessario organizzarci immediatamente per colpire con estrema durezza sia i SICARI che i MANDANTI di questo assassinio poiché sono gli STESSI che intendono conservare il loro dominio di morte.
Commento di Paolo:
é il primo volantino comontista a Torino, scritto da Paolone insieme con qualchedun altro (Valerio? Consalvi? Enrico?) : ne nacque una feroce polemica epistolare, di cui ho in archivio qualche brano, iniziata da me e in genere dai milanesi che si dissociarono
pesantemente dallo sdoganamento dei delitti sessuali. … Read More
Finito di stampare il 20 gennaio 1972 in Genova. Hanno collaborato Dada Fusco, Riccardo d’Este, Alfredo Passadore, Carlo Ventura, Gianni Miglietta, Enrico Bianco, Miriam Carrassi.
Volantino firmato “i compagni consiliari”, Torino 31 maggio 1971.
I PROLETARI VOGLIONO IL COMUNISMO SUBITO!
Sabato è stato un giorno di festa proletaria. Per diverse ore abbiamo attaccato la realtà di merda che tutti (capitale, burocrati e falsi rivoluzionari) vorrebbero imporci. Il solito corteo del sabato pomeriggio è stato stravolto dall’intolleranza di un migliaio di proletari che si sono posti nella linea di lotta rivoluzionaria che da tempo si sta aggirando per il mondo e che come Detroit Stettino e Reggio insegnano, non dimostra il minimo rispetto per gli schemi ‟civili e democratici” imposti dal capitale ed accettati dagli pseudo‟comunisti”. Il proletariato crea nei momenti più alti delle sue lotte delle forme di autogestione comunista che indicano come la distruzione di tutto il vecchio mondo per la realizzazione del comunismo passa attraverso la violenza collettiva, il gioco della devastazione liberatoria e la rivoluzione nella propria vita quotidiana.
I proletari non vogliono riforme ma l’abolizione del lavoro.
I proletari non vogliono tutto (merda compresa) ma il meglio assoluto.
i compagni consiliari
cicl. in proprio
Torino 31.5.71
(la sede non è indicata per evitare devastazioni dei carabinieri)
DIDASCALIA IMMAGINE:
IL VOLTO OSCENO E GHIGNANTE DEL PROLETARIATO DISTRUGGE CON IL SUO APPARIRE IL MONDO MARCIO DELLA IDEOLOGIA
‟Di fatto, il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità e dalla finalità esterna; si trova quindi per sua natura oltre la sfera della produzione materiale vera e propria” (K. Marx, Il Capitale)
SUL RETRO:
IL CAPITALE SGUINZAGLIA I SUOI CANI DA GUARDIA: LA STAMPA – IL P.C.I. – I SINDACATI E TUTTI GLI SCIACALLI CHIEDONO LA REPRESSIONE VIOLENTA DELLA FELICITÀ IN ARMI
A.A.A. CERCASI LETTERATI, INDISCUSSA FEDE PROLETARIA, QUINQUENNALE ESPERIENZA NON MILITANTE, POSSIBILMENTE LOGORATI IN PRATICHE GRUPPUSCOLARI, ATTUALMENTE IN PREDA A PROFONDA DISPERAZIONE, REFERENZE POLIZIESCHE CONTROLLABILI, FAMA DI PROVOCATORE GRADITA, PER LA STESURA DI SCRITTI CONCERNENTI I MOMENTI NODALI DELLA VITA QUOTIDIANA. INVIARE CURRICULUM PENALE.
Scritto di 5 pagine a opera di Valerio Bertello e Pier Franco Ghisleni.
Testo firmato Gli amici dell’INTERNAZIONALE, Torino, 4 febbraio 1971.
Volantino infarcito di elementi linguistici tardosituazionisti. Non è un elaborato dell’Organizzazione Consiliare. Potrebbe essere attribuito ad un cenacolo di 3-4 persone, allora attivo in un appartamento del Lungo Dora torinese, animato da una giovane donna, tale C.M. (P.F.G.)
LE BOMBE DI CATANZARO SONO ESPLOSE CONTRO IL PROLETARIATO
“Lo stato è sempre al di sopra di ogni sospetto” (da un diario segreto di un agente di P.S.)
Compagni,
lo sciopero generale, lo
scatenamento della guerriglia, le barricate permanenti, ancora una volta
suonano a morto alle orecchie sensibili della borghesia e dello stato capitalista.
In questi giorni il governo, spalleggiato dal partito cosiddetto comunista,
specializzato in repressioni proletarie (esperienze accumulate in oltre 50 anni
di complicità con le dittature sul proletariato dei partiti comunisti nei paesi
cosiddetti socialisti e di astuzie sindacali repressive), ha già fatto scattare
il suo goffo e macabro piano di annientamento della rivolta di Reggio.
Sono di questi giorni le intimidazioni
violente, le bombe provocatorie e poliziesche destinate a tramortire la rivolta
per il tempo necessario a ripristinare l’ordine. La borghesia italiana, dopo
avere tentato invano una repressione a freddo, è costretta a iniziare una
strage a caldo.
Per la prima volta, dopo le
episodiche rivolte di Avola e Battipaglia, una intera città, nel cuore dello
sfruttamento capitalistico, ha organizzato in modo permanente la propria
insurrezione.
Nello scandalo permanente di
una città che, mantenuta in un vero e proprio stato d’assedio si è
selvaggiamente ammutinata, annientando ogni potere statale ed amministrandosi
da sola, i padroni di oggi vedono minacciosamente prefigurarsi la loro
sconfitta di domani. Gli organi burocratico-amministrativi del dominio
capitalistico sono stati ripetutamente saccheggiati e ridicoleggiati dai
proletari rivoluzionari di Reggio. E così l’apparato propagandistico borghese
(radio, televisione, stampa di destra e di sinistra), nel tentativo disperato
di dare a tutti i costi una ragione per lui accettabile del crollo degli organismi
burocratici, economici e sociali, s’invischia in penose contraddizioni e ricorre
a calunnie sempre più spinte. I proletari di Reggio devono essere trasformati
in “squadracce fasciste” (che terrorizzerebbero i bravi cittadini desiderosi di
riprendere al più presto il loro onesto lavoro); si tenta così di prendere
sempre lo stesso piccione con due fave: utilizzando propagandisticamente il miserabile
tentativo di strumentalizzazione da parte di neo-fascisti e contemporaneamente
accreditando la versione interessata degli stalinisti del P.C. sul pericolo
fascista, come arma per coprire ogni voce che non sia quella al soldo dei
padroni.
La
smentita di queste calunniose mistificazioni è venuta cori l’adesione massiccia allo sciopero generale, con il corteo di diecimila persone
sanguinosamente attaccato da
polizia e carabinieri e con le
scritte popolari contro lo stato e la polizia.
I due
poli dell’ideologia capitalista,
quello padronale e quello riformista, si
completano a vicenda. Insieme all’Unità è il giornale di Agnelli
il più coerente ed ostinato nel dipingere la rivolta di Reggio con le tinte
dell’arretratezza semifeudale e
del nostalgico impossibile ritorno al passato. La borghesia di oggi rispolvera l’ideologia
dell’arretratezza ideologica del Sud, in nome della quale lo stato capitalista borghese, meno di cento
anni fa, represse coll’esercito i contadini insorti contro la condanna allo sfruttamento e alla miseria che i padroni
del nord avevano decretato per
loro.
Allora
l’unità d’Italia serviva
ai padroni capitalisti per unificare lo
sfruttamento, articolando territorialmente i modi dello sviluppo
industriale sulla base delle esigenze del profitto.
Oggi invece è contro l’unità
reale del proletariato rivoluzionario che è costretta a difendersi la borghesia
attuale.
L’ideologia borghese dell’arretratezza del Sud mostra di essere in
realtà l’arretratezza dell’ideologia.
La nuova epoca rivoluzionaria
riporta sulle strade e sulle piazze i vecchi nodi storici, perché solo i
problemi più antichi permettono di scoprire le soluzioni più moderne e radicali.
COMPAGNI OPERAI, nella ripresa
produttiva e delle altre attività burocratico amministrative, governo e padroni
concordano nel riconoscere il “ritorno alla normalità”; il ritorno cioè dell’unica
normalità che essi ammettono: quella che li mette in condizioni di sfruttare ed
esercitare un dominio totalitario.
PROLETARI RIVOLUZIONARI ! non
lasciatevi ingannare né da chi vi sfrutta in luoghi di pena chiamati fabbriche,
né dalle canaglie del P.C., le quali hanno mostrato sì di essere all’avanguardia,
ma non della classe operaia, come sostengono, bensì della repressione ad ogni
costo e della menzogna sistematica.
Il potere ha oggi bisogno di
falsi nemici per nascondere quelli veri che annienteranno ogni potere separato:
i proletari-rivoluzionari.
Reggio, a tre riprese
successive, sia pure tollerando troppe confusioni al suo interno, si è
ammutinata cancellando il potere dello stato e dei partiti, calpestando e
prendendosi gioco dei recuperatori e becchini della sua rivolta (il Poliziotto Santillo
ha difeso Ciccia Franco che, cercando di placare le acque, è stato scavalcato più
volte dalle assemblee popolari; l’armatore Matacena che ha partecipato al corteo
delle diecimila persone è stato spazzato via dai proletari allorché cercava di fermare
la folla scatenata contro la polizia. Per questo gesto “civile” il “Corriere
della sera” lo ha elogiato.)
È perché i proletari di Reggio
hanno messo praticamente fuori legge
i partiti e lo stato, che lo stato e i Partiti sono costretti a dichiarare
Reggio intera fuori legge. In realtà
è loro esistenza legale che sono
costretti a difendere.
L’esempio di Reggio che oggi
angoscia il fronte unito della borghesia italiana, non mancherà di essere
raccolto e sviluppato dagli operai selvaggi del Nord.
I giornali fascisti, citando le
scritte dei cartelli sulle barricate: “Reggio come Praga e Danzica”, ostentano
per Reggio la stessa stupida allegria che ostentavano pochi giorni fa per la
rivolta di Danzica e Stettino. S’illudono certamente che il proletariato
rivoluzionario annienti la dittatura del partito cosiddetto comunista per
sostituirne una più congeniale alla loro ideologia. Ma il Soviet operaio che per
tre giorni a Stettino ha riunito in sé tutti i poteri di decisione e di esecuzione,
organizzando l’armamento del proletariato contro la polizia e i burocrati del
P.C., s’incarica di schernire i miserabili tentativi di recupero ideologico di
destra e di sinistra.
A Stettino, come già a
Kronstadt, a Torino nel 1921 e in Ungheria nel 1956, si è dimostrato quale forza
i proletari rivoluzionari possano avere riuniti insieme in consigli operai
autonomi, ma anche (poiché la rivoluzione non ha vinto definitivamente) i
limiti che questi hanno avuto nella misura in cui non si è riusciti a
generalizzare questa esperienza e a smascherare tutti i burocrati,
sindacalisti, leaders-vedettes o sedicenti avanguardie, come ultimi rigurgiti
del vecchio mondo che tenta il loro di sopravvivere, cacciandoli definitivamente.
Compagni, le bombe di Catanzaro
costituiscono un’ulteriore articolazione del piano di annientamento premeditato
della rivolta di Reggio. Se la strategia delle bombe non sarà sufficiente a
tramortire la rivolta, l’esercito è già pronto. A CATANZARO, COME GIÀ A MILANO,
LE BOMBE SONO ESPLOSE CONTRO IL PROLETARIATO ITALIANO.
VIVA i proletari rivoluzionari
di Reggio Calabria!
VIVA lo sciopero selvaggio dei
ferrovieri!
VIVA il granducato di Sbarre!
VIVA il granducato di Sbarre!
VIVA i compagni che nelle
fabbriche di tutt’Italia stracciano la tessera del P.C.I. e del sindacato!
VIVA le lotte selvagge degli
operai nelle fabbriche del nord!
VIVA IL POTERE ASSOLUTO DEI
CONSIGLI OPERAI!
Compagni: non lasciatevi
fermare qui: il potere e i suoi alleati hanno paura di perdere tutto; noi non
dobbiamo avere paura di loro c soprattutto non dobbiamo averne noi stessi: “non
abbiamo da perdere che le nostre catene e tutto un mondo da guadagnare”.
Volantino fronte/retro. Al recto violenta polemica per un accordo Fiat-sindacati, con insulti al direttore del personale pro tempore, Umberto Cuttica, ed ai sindacati che hanno approvato l’accordo per un aumento salariale di 5mila lire. Al verso surreale strip antisindacale, presa da qualche magazine satirico francese (Hara-Kiri? Charlie Hebdo? Actuel?) ma con lettering modificato. Diffuso agli stabilimenti Fiat di Lingotto e Mirafiori. (P.F.G.)
Lettera senza data. Scritta dalla latitanza da Carlo Ventura, Riccardo d’Este, Ada Fusco e M. Repetto, per il nucleo viaggiante ‟Agostino ’o pazzo” aderente all’Organizzazione Consiliare.
COMUNICAZIONI
DI DUE ASSENTI FORZATI E DELLE LORO COMPAGNE AI MEMBRI TUTTI DELL’ORGANIZZAZIONE
CONSILIARE
La nostra assenza forzata,
resasi necessaria onde sottrarsi al braccio della legge con i suoi intenti
provocatori, non deve assolutamente influire in modo negativo sull’attività
teorico-pratica dell’O.C. Deve invece indurirei e spingerei in modo ancora più
reiterato e rivolto in maniera non equivoca alla completa realizzazione del
progetto di distruzione del sistema sociale esistente.
È pertanto buona cosa che dei
compagni debbano latitare perché si sono dimostrati coerenti con le tesi
formulate; sarebbe però pessima cosa se questo portasse ad una stasi (momento
di riflusso) sia nei latitanti sia in coloro che restano. Il nostro essere
“organizzati” deve saper far fronte a questa contingenza, ed uno dei nostri
maggiori compiti è quello di stravolgere il disegno poliziesco che, colpendo
coloro che essi – con ottusità tipica
dei servi – considerano i “capi”, vorrebbe costringere così tutti gli altri ad
una posizione di difesa. Bisogna pertanto inficiare il programma repressivo il
cui fine non è necessariamente quello di sbatterci in galera (ma anche questo, beninteso,
se gliene si offre la possibilità) ma quello invece di togliere fuori dalla
mischia coloro che, a loro avviso, sono tra i più facinorosi onde acquietare la
virulenza rivoluzionaria dell’O.C. tutta.
D’altra parte noi tutti ci
attendevamo la risposta dura del sistema non appena la nostra azione si fosse
misurata direttamente con il reale, cercando di smuoverlo ed attaccarlo. Ed
oggi sarebbe errato meditare su eventuali “errori tecnici”, poiché solo con una
continuità eversiva sempre più dura ed organizzata sarà possibile evitarli e
darci quella struttura per nuclei violenti che tutti aspettiamo e che la
situazione storica presente sempre più richiede.
È importante quindi assumerci
sino in fondo la paternità rivoluzionaria (ma non soltanto coram populo, ma
ancor più nell’intimo dei nostri cuori) dei gesti sinora compiuti e di tutti
quelli che, con una giusta scalata, vorremo compiere. Così come è indispensabile
vigilare sulla teoria affinché essa sia sempre uno strumento affilato nelle
mani dei rivoluzionari e non si trasformi nell’ideologia della “lotta politica”
e nello spettacolo di noi stessi, quali attori qualsivoglia sul palcoscenico
del sinistrismo e del recupero. La disfatta dei recuperatori è possibile solo
avendo sempre reazioni spropositate (in base alla spropositatezza delle nostre
posizioni teoriche) rispetto a ciò che si attendono i registi della politica. Sconfiggiamo
dunque il disegno poliziesco (cui si prestano i politici, nessuno escluso)
continuando in maniera pertinace la critica teorico-pratica di tutto
l’esistente e dimostrando al capitale ed ai suoi cani da guardia che la
contingenza (due membri coscienti latitanti) non muta l’essenza dell’O.C. il
cui compito rimane la vigilanza teorica e l’eversione violenta, non
trasformando la pratica dell’omogeneità in un “soccorso rosso” sterile ed
impotente.
A questo punto però è
necessario realisticamente trovare le nuove articolazioni, nuove perché la
situazione è diversa, con le quali sia noi che voi possiamo collaborare
attivamente e creativamente al medesimo progetto.
I nostri compiti nella situazione
attuale potrebbero essere:
– elaborazione di testi
fondamentali (opuscoli etc.) ed articoli per Acheronte non esclusi i compiti
più squisitamente redazionali (ci è possibile farlo data la grossa quantità di
tempo, sia pur borghesemente inteso, che abbiamo a disposizione).
– contatto con consiliari
incoerenti e gente varia in diverse città d’Italia (Genova, Roma, Firenze
etc.), onde addivenire alla formazione di O.C. sul tessuto nazionale. A questo
proposito non sarebbe cattiva cosa se vi deste da fare per reperire il maggior
numero di indirizzi e notificarceli o, addirittura, ci fissaste voi
direttamente degli incontri (ciò per essere certi di trovare qualcuno e non
perdere tempo, oltre al rischio di dormire negli alberghi). (Nota: se il
progetto riesce dovremo ringraziare il sistema che con un’azione di forza ci ha
sradicati da Torino in cui, bene o male, c’era il rischio di fossilizzarci, di
porci in una condizione paraburocratica e di chiudere un po’ troppo il nostro
orizzonte (che invece, come tutti sanno, non è altro che una linea
immaginaria).
I vostri compiti,
evidentemente, non possono mutare da quelli già precedentemente e comunemente
fissati. D’altra parte (e lo faremo presto con testi acconci) pensiamo sia
corretto che noi stessi, nella n1isura possibile, partecipiamo alle vostre
scelte non solo teorico-metodologiche, ma anche pratico-organizzate. Questo per
mantenersi comunque conformi, nonostante le difficoltà, alle tesi relative alla
trasparenza ed all’interscambiabilità dei membri.
Comunque, per ora, pensiamo che
sia indispensabile:
1) far funzionare immediatamente
i nuclei di intervento, collegandoli al più generale problema dei nuclei
abitazionali. Sarà necessario interrompere sine die i rapporti con tutti
coloro, che, pur manifestando simpatia o addirittura adesione all’O.C., non si
impegnino (secondo le proprie capacità ed inclinazioni) attivamente al
programma dell’O.C.
2) rendere sempre più autonomo
il lavoro di nucleo, ferme restando scadenze comuni (che vanno peraltro
intensificate) come assemblee, azioni collettive, pubblicazioni etc. A questo
fine sarà inevitabile una ristrutturazione quantitativa dei nuclei (quello di
intervento operaio contro il lavoro ed il suo tempo morto, ad es., è
insufficiente) e soprattutto una intensificazione degli interventi, in modo da
non cadere nella trappola burocratica delle “scadenze politiche” ma imponendoci
noi stessi le nostre scadenze.
3) svolgere un fitto lavoro di
propagazione di teoria con azioni idonee e diffusione di testi, non soltanto
per “reclutare’” compagni ma soprattutto per impedire la messa in atto di
calunnie che vanno respinte con il massimo rigore, così come tutte le
provocazioni anticonsiliari (contro tutta l’O.C. o contro suoi membri) vanno
soffocate con la violenza pratica, nonché teorica.
4) intensificare la vigilanza
all’interno dell’O.C., non solo per smascherare con metodi acconci (il migliore
evidentemente è quello della massima socializzazione della propria creatività)
delatori, provocatori, infiltrati vari, ma, del pari, per smascherare, bollare
e quindi scacciare i pavidi, i volontariamente inetti, gli ottenebrati cronici,
gli ideofagi, i “compagni di strada” (peggio delle troie), gli opportunisti, i
dogmatici etc.
Su tutti questi argomenti (e molti
altri, più specifici ancora) ritorneremo più diffusamente altre volte, con
regolare periodicità (2-3 lettere settimanali, più i vari testi teorici).
Al fine del regolare
svolgimento dei nostri rapporti epistolari vi consigliamo, per non oberare
eccessivamente alcuni compagni più diligenti, di nominare un nucleo ruotante di
corrispondenza ed informazione, in modo che più persone, volta a volta, si
impegnino in questo tipo di lavoro che, se andassero a buon fine i contatti con
altre città, potrebbe diventare un punto essenziale.
È peraltro evidente che tutti
coloro che intendono scriverci per loro conto ci faranno molto contenti.
W LA TEPPA ROSSA ORGANIZZATA
W IL POTERE ASSOLUTO DEI
CONSIGLI PROLETARI
W IL PIACERE DELLA RIVOLUZIONE
E LA RIVOLUZIONE DEL PIACERE.
Per il nucleo viaggiante
“Agostino ’O PAZZO”
aderente all’Organizzazione
Consiliare:
C. Ventura, R. d’Este, A.
Fusco, M. Repetto.
P.S. Gradiremmo notizie sulla
lotta antiGennero del nucleo Babeuf.
((POSTILLA IMPOSTA DA CARLO:
Nel caso la latitanza perdurasse
per molto tempo (un mese o più) potremo svolgere, e di questo se ne occuperebbe
Carlo in maniera specifica, una“consulenza”
sui problemi personali e di vita quotidiana di qualunque genere.
1) un
aiuto concreto
a voi nella vostra continua critica del vecchio mondo e delle sue miserie, vista la provata esperienza di Carlo e
Riccardo e la loro continua
disponibilità ad aiutare ogni compagno che si trovi in difficoltà, poiché essi pensano che la risoluzione di un
problema, anche se “personale”,
superi la contingenza della persona stessa e debba venir socializzato tra tutti i rivoluzionari.
2) servirebbe inoltre a rendere
meno isolati due “esiliati” ed a far loro sentire più da vicino la presenza
dell’organizzazione la quale li tiene in considerazione non soltanto per motivi
squisitamente politici.
PERCIÒ SCRIVETECI.
P.P.S. Mandateci l’indirizzo di
Sergio ed altri indirizzi che voi reputiate a noi utili.
Piccolo foglio murale a stampa, su carta rosa, tirato in mille esemplari ed affisso in diversi siti di Torino, in particolare Gran Madre, via Po e Palazzo Nuovo, Porta Palazzo, Piazza Crispi, Lingotto, nell’ottobre del 1970.
TESI PER LA LIBERAZIONE DAL LAVORO
L’ideologia del lavoro è lo stratagemma con cui la società repressiva riesce a ritardare il trapasso generalizzato già ora possibile ad una società senza classi e libera dalla schiavitù del lavoro.
Il mercato mondiale nella sua ultima fase: lo scambio dei prodotti materiali sussiste solo come forma economica in via di superamento; la forma più evoluta ed ormai realizzata su scala planetaria è lo SCAMBIO DI MERCI IDEOLOGICHE.
Le ideologie, fondamento dell’attuale ricchezza delle nazioni, sono le merci nella loro moderna versione: il loro valore è dato dal tempo di consenso che riescono a garantire. Esse sono la forma in cui si manifesta il capitale ed è attraverso esse che si esercita il potere.
L’ideologia scambiata tra gli stati, quelli comunisti non esclusi, viene poi distribuita al minuto al proletariato per essere consumata. Viene imposta sotto forma di LEGGE NATURALE: il lavoro come maledizione continua e la produzione come necessità ineluttabile.
La logica del lavoro contiene però le condizioni per il suo totale superamento. Il capitale potrebbe oggi ridurre il tempo di lavoro della metà: le forze sedicenti rivoluzionarie includono nei loro obiettivi la riduzione progressiva del tempo di lavoro poiché rappresentano il dissenso concesso.
La produzione imposta di merci materiali ed il consumo imposto di merci ideologiche si identificano e il salariato occupa le sue 24 ore alternativamente nell’una o nell’altra forma. La giornata lavorativa è ormai di 24 ore: vita produttiva e vita quotidiana coincidono ormai per la loro miseria.
Nessuna forma di lavoro salariato, sebbene l’una possa eliminare gli inconvenienti dell’altra, può eliminare gli inconvenienti del lavoro salariato stesso. Perciò è indispensabile che il pensiero si armi nelle strade.
Nella rivolta proletaria di Reggio Calabria, come prima di Caserta e Battipaglia, ciò è avvenuto. Il proletariato si è costituito in TEPPA per lanciare la sua sfida cosciente all’incoscienza dell’ordine costituito. La solitudine del proletariato ed il volto osceno e ghignante delle sue insurrezioni lasciano costernati i suoi oppressori ed i suoi falsi protettori.
Gli amici napoletani di Agostino ed i devastatori calabresi hanno chiarito, per l’ultima volta, che la nuova lotta spontanea comincia sotto l’aspetto criminale e che si lancia nella DISTRUZIONE DELLE MACCHINE DEL CONSUMO PERMESSO.
Oggi a Reggio i motivi di rivolta sono definiti “futili”. Infatti il proletariato non ha particolari motivi per ribellarsi poiché li ha TUTTI; non ha richieste particolari da rivolgere al potere poiché il suo obiettivo è la distruzione di OGNI POTERE che non sia quello esercitato dai CONSIGLI PROLETARI.
I Consigli Proletari non chiederanno nulla di meno della distruzione di questa società, dell’abolizione del lavoro, dell’eliminazione violenta di ogni istituzione separata (scuola, fabbrica, prigione, chiesa, partito, etc.) poiché esisterà il potere decisionale di ciascuno nel potere UNITARIO ED ASSOLUTO dei Consigli.
I Consigli Proletari non saranno nient’altro che l’inizio della costruzione da parte di tutti della VITA libera e felice oggi relegata nei desideri e nei sogni prodotti dall’infelicità dell’attuale SOPRAVVIVENZA.
Proletari coscienti, che la maledizione del lavoro sia maledetta, che l’ineluttabilità della produzione diventi il suo lutto.
La sentenza per l’ammutinamento alle Carceri Le Nuove (scoppiato il 12 aprile 1969) fu resa alla fine di giugno 1970. Alcune decine di detenuti risultarono assolti, 14 condannati per il reato di danneggiamento, dopo la derubricazione dalla imputazione (più grave) di “devastazione e saccheggio”. Chi scrive e Riccardo d’Este furono sentiti, in aula, come testimoni, convocati dagli avvocati di qualche imputato. Le testimonianze risultarono ininfluenti. La datazione del documento risale alla prima metà del mese di maggio 1970.(P.G.)
Manifesto, cm. 34×50, b/n, che non reca né indicazioni di stampatore né firme di paternità. Esso è stato prodotto ed affisso a Torino, in un periodo compreso tra gennaio e marzo 1970. Pertanto non è possibile attribuirne la paternità all’Organizzazione Consiliare, che ancora non era stata costituita. Al più le “Tesi sul Crimine”, possono essere considerate un “antefatto” alla costituzione della stessa.
TESI SUL CRIMINE
– Il disadattato mette in
crisi, per il fatto stesso di esistere, l’ideologia della società
tecno-burocratica, unico argine al movimento della storia.
– I detenuti violentano ogni
giorno con le loro lotte la società esistente dall’interno delle galere.
– I detenuti, parte di una
classe che sarà l’ultima, realizzano ogni giorno quello stile di vita
rivoluzionaria che operai e studenti solo a sprazzi riescono ad esprimere.
– I criminali, esercitando il
reato nelle sue forme individuali, hanno saputo, una volta divenuti carcerati,
praticarlo nella sua forma collettiva ed organizzata: l’insurrezione.
– Le lotte dei detenuti non
mirano alla razionalizzazione del sistema carcerario all’interno di questa
società; esse la negano praticamente pur manifestandosi inizialmente in uno dei
suoi settori più isolati.
– I detenuti hanno già
rifiutato lo spettacolo del consumo di libertà che il capitale somministra ogni
giorno; hanno capito che il sogno della “libertà” con cui lo Stato vuole
costringerli a subire disciplinatamente l’indegnità della pena non è altro che
la concessione di praticare la libertà di sognare.
– I detenuti hanno anche
negato praticamente l’allettamento della libertà di consumo; sia nei loro reati
individuali contro la proprietà privata (furti, rapine, estorsioni) che in
quelli collettivi contro la proprietà dello Stato (il saccheggio) hanno
realizzato violentemente il principio “a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Il
loro è stato ed è assalto proletario alla ricchezza sociale.
– La vita dei criminali è la
negazione delle pretese qualità liberatorie del lavoro salariato. Il rifiuto
del lavoro conduce alla galera, il timore della galera assoggetta al lavoro.
– La feccia della società di classe
ha già adottato le proprie lotte in carcere e fuori la sola organizzazione che
muova efficacemente alla distruzione del vecchio mondo. Rifiutando nei fatti lo
spontaneismo sottoanarchico degli impotenti e il centralismo gerarchico
(codificato o informale) dei mistici della milizia rivoluzionaria ha saputo e
sa organizzare il disordine strutturandosi in bande criminali.
– L’amnistia che il
Parlamento sta concedendo è un’arma demagogica dello Stato. Di essa è però
possibile fare un impiego proletario. Alcuni detenuti saranno scarcerati; la
loro liberazione coinciderà con la commissione sempre più vasta e diffusa di
crimini proletari e la realizzazione della rivoluzione richiederà, è chiaro, la
violazione massiccia di ogni articolo della legge borghese. La liberazione dei
detenuti porterà alla costituzione delle prime bande di devastatori e
saccheggiatori. Altri, esclusi da un avvenire di integrazione del resto
consapevolmente rifiutato, resteranno in carcere, spina nel fianco di un
sistema che sapranno rovesciare.
– Il proletariato libero
dalla galera ma incatenato alla linea di montaggio deve appoggiare subito le
lotte dei criminali con la pratica quotidiana del teppismo e la commissione del
reato comune.
Firmato Movimento studentesco (Torino, 14/4/1969).
Da
due giorni infuria la rivolta alle Nuove. I detenuti hanno preso possesso della prigione che per anni li aveva costretti
ad un quotidiano abbruttimento, hanno
cacciato dai bracci del carcere i secondini da cui erano stati
costantemente insultati e sopraffatti senza poter reagire neanche con una
parola, hanno incendiato i laboratori
e la falegnameria in cui avevano lavorato per anni per 8 ore al giorno per una
paga schifosa di 8.000 lire al mese, sottoposti allo sfruttamento più schifoso,
hanno divelto le inferriate dietro le
quali i secondini li hanno rinchiusi ogni giorno. Con grande maturità politica
hanno organizzato un comitato di base che ha elaborato e ciclostilato
all’interno una serie di rivendicazioni. Migliaia di poliziotti che per due
giorni hanno assediato le carceri sparando in continuazione granate
lacrimogene, non sono per ora riusciti a reprimere la rivolta. Da Corso
Vittorio, centinaia di persone hanno assistito e hanno potuto vedere le fiamme
divampare dalle carceri, le nuvole dei gas lacrimogeni, hanno potuto ascoltare
le minacce e gli insulti dei poliziotti che dall’alto dei muri di cinta
sparavano direttamente sui carcerati.
CHI
SONO I DETENUTI?
La
Stampa Serva di oggi risponde: “rapinatori, ladri e sfruttatori”: troppo
comodo!!! In realtà appartengono quasi tutti agli strati sociali che i padroni
hanno condannato alla vita più misera e disperata: sono i meridionali cacciati
dalle loro terre dalle rapine dei
latifondisti, sono gli immigrati attirati a Torino dalla FIAT che succhia mano
d’opera al Sud per tenere bassi i salari e realizzare un più efficace sfruttamento, per poi lasciarli
disoccupati alla prima occasione; sono le migliaia di persone confinate nei
ghetti di Via Artom, di Porta Palazzo, delle Vallette, sono quelli che per
avere una stanza dove vivere con la famiglia sono costretti a sottostare ai furti del padrone di casa.
Ma
la rapina, lo sfruttamento, il furto
che i padroni compiono quotidianamente non li portano in galera. I codici li
hanno fatti i padroni e hanno considerato reati tutte quelle rapine, quelli
sfruttamenti, quei furti che essi non avevano nessun vantaggio a commettere. E
hanno messi nei tribunali giudici come loro; che non hanno mai vissuto in un
ghetto, che non hanno mai conosciuto la galera, né la disoccupazione.
Una
volta messi in prigione, i detenuti vengono sottoposti a un costante controllo
e un costante processo di abbruttimento e disumanizzazione. Isolati
dall’esterno senza poter leggere il giornale (salvo l’Italia, per giunta
censurato), costretti a vivere in condizioni igieniche spaventose sottoposti
alle quotidiane prevaricazioni dei secondini (che devono essere chiamati
“superiore”), trattati con indifferenza e sospetto dai giudici, essi
sperimentano direttamente la “funzione RIEDUCATIVA della pena”. E infatti ne
escono rieducati: escono veramente ladri, rapinatori e sfruttatori come i
padroni avevano voluto che fossero fin dall’inizio.
Per
questo LA LORO RIVOLTA È GIUSTA E NOI DOBBIAMO SOSTENERLA, impegnandoci a
discutere in tutte le sedi: al Bar, per le strade, con i propri compagni di lavoro, e cercando di
organizzare assemblee di quartiere.
APPOGGIAMO
LA LOTTA E LE RIVENDICAZIONI DEI DETENUTI DELLE NUOVE cercando di organizzare
CONCRETE MANIFESTAZIONI DI APPOGGIO.
Volantino diffuso nelle carceri Le nuove a Torino, 13 aprile 1969. (In calce, appunto di Panco Ghisleni)
1) Questo foglio deve venire pubblicato sui giornali locali nel suo testo integrale. 2) Si chiede che venga indetta domani una conferenza stampa di cinque detenuti per ogni braccio con i rappresentanti di tutti i giornali locali. 3) Si chiede che entro il 15 aprile c.a. sia inviato un rappresentante del Municipio e uno della Prefettura e siano introdotti in ogni singolo braccio a discutere pubblicamente con le varie commissioni. 4) Che le celle dei singoli bracci restino aperte sino alle ore 16 fino a quando che non verrà la commissione Parlamentare e che durante tutte le restanti ore sia aperta la porta in legno delle singole celle. 5) Che venga garantita ogni rinuncia a punizioni per i fatti avvenuti sino ad ora e relativi trasferimenti. 6) Domani stesso vengano indette elezioni a scrutinio non segreto controllate dalla Commissione Costituente di numero 5 detenuti per ogni braccio per la conferenza di cui al punto 2 e per prospettare i problemi carcerari. 7) Siano inviati dei membri della Commissione Parlamentare preposta alla riforma dei codici a venire entro 5 giorni alle Carceri Giudiziarie di Torino per sentire le richieste delle commissioni detenuti. 8) Oggi la commissione costituente deve poter girare liberamente per i bracci. 9) Che le commissioni elette come al punto 6 formulino a breve scadenza le modifiche a regolamento carcerario che si renderanno necessarie. 10) SI PROMETTE CHE ENTRO QUESTI CINQUE GIORNI NON VERRANNO COMMESSI ULTERIORI DANNEGGIAMENTI. NEL CASO CHE TUTTI GLI ANZIDETTI PUNTI NON VENGANO INTEGRALMENTE ACCETTATI LA COSTITUENTE SI SCIOGLIE E NON RISPONDE IN ALCUN MODO A CIÒ CHE AVVERRÀ AL CARCERE.
Nota di Riccardo d’Este a ‟Lettera di Anton Pannekoek e risposta di Pierre Chaulieu sui Consigli operai”, tratto da Socialisme ou barbarie: antologia critica, a cura di Mario Baccianini e Angelo Tartarini, Guanda, Parma 1969.
Volantino diffuso alla FIAT dall’Organizzazione Consiliare. Torino, senza data.
LA PASSIVITÀ NON PAGA
L’arresto dei tre compagni è l’ultima provocazione che i padroni hanno messo in atto contro gli operai del Lingotto perché si sono finora dimostrati incapaci di reagire. L’aumento continuo dei ritmi di lavoro, gli infortuni sempre più numerosi che causano spesso invalidità permanenti, i trasferimenti, i provvedimenti disciplinari, l’oppressione dei capi, lasciano indifferente questa classe operaia dell’OSA, sempre più sottomessa. I Sindacati, espressione di questa “base” remissiva, si comportano coerentemente e non cercano di svegliare il leone che dorme perché sarebbe pericoloso per essi stessi; invitano a rispondere ogni volta solo con proteste formali, con qualche volantino “indignato”, con qualche ora di sciopero che oltre a fallire miseramente non cambia nulla rispetto al potere in fabbrica che resta sempre in mano al padrone.
BISOGNA CAMBIARE SISTEMI, IL PADRONE CI PROVOCA, CI VUOLE TEPPISTI E NOI LO DIVENTIAMO, CONTRO DI LUI.
Certi sindacalisti sono poi dei porci ed il giorno in cui gruppi di operai delle presse decisero di fermarsi (come è capitato alcune settimane fa) per difendere dei delegati trasferiti sono riusciti a bloccare questa lotta dicendo falsamente che tutto quanto era sistemato. Ecco i nomi per ricordarceli al momento opportuno: Meloni (membro di commissione interna), Amata (delegato delle presse), Gallo Gerardo (delegato della manutenzione), tutti della UIL. I sindacalisti della CGIL e della CISL sono ugualmente responsabili, perché conoscevano il fatto e non hanno avuto il coraggio di denunciarlo agli operai.
La passività operaia, gelosamente custodita dal sindacato, è il migliore strumento che diamo al padrone per rafforzare sempre più il suo potere ed accrescere i suoi profitti. Gli operai in lotta senza alcun controllo da parte dei sindacati riescono invece a bloccare ogni provocazione anti proletaria e a diventare essi stessi provocatori contro il padrone.
1 – I volantini non devono più esprimere una solidarietà a parole con i compagni colpiti. Essi devono divulgare i nomi di tutti i bastardi che opprimono gli operai, i loro indirizzi, le loro abitudini, i loro spostamenti, le spiate e le infamie di cui si sono macchiati. I volantini sono gli atti istruttori del processo che il tribunale proletario continuerà con le opportune sanzioni.
2 – Già fin d’ora vanno colpite le carogne che ci mandano in carcere e ci sfruttano. Spie, ruffiani, poliziotti crumiri, giudici (si chiama Barbaro quello che ha fatto incarcerare i compagni di Lingotto), padroni e sindacalisti devono stare attenti, guardarsi le spalle, a costoro va tolta ogni possibilità di manovra.
3 – Gli scioperi devono danneggiare i padroni e non gli operai. Bene agli scioperi, ma occorre anche usare altri mezzi.
4 – In ogni momento il vandalismo contro la produzione e contro le macchine va bene. L’importante è non farsi prendere.
I PADRONI DICONO CHE GLI OPERAI IN LOTTA SONO DEI TEPPISTI, EBBENE DIVENTIAMOLO CONTRO I PADRONI, I LORO SERVI, I LORO BENI
LE NUOVE IN RIVOLTA Contro il capitale lotta criminale
I compagni che il capitale ha incarcerato alle Nuove stanno ancora una volta dimostrando con la loro rivolta che rifiutano lo schifoso sistema che li ha costretti in carcere.
L’ideologia della pena e dell’espiazione, cioè l’accettazione della colpa, viene rifiutata dai collettivi di lotta che rivendicano la libertà assoluta per sé stessi e per la società, contro l’assoluta schiavitù imposta dal lavoro e dalla sopravvivenza alienata.
La campagna ordita dalla stampa e dagli organi di informazione tutti contro l’ondata “CRIMINALE” tende a strumentalizzare a scopo repressivo l’intolleranza proletaria: il CRIMINE GENERALIZZATO, espressione cosciente e radicale del rifiuto all’ordine costituito, viene presentato all’opinione pubblica come novello spauracchio – la contestazione era stata prospettata in modo analogo – onde ottenere l’inasprimento delle misure repressive.
I detenuti in rivolta non pretendono nulla di meno che l’abolizione del carcere ed esigono la libertà perché i fatti da loro commessi
NON COSTITUISCONO REATO.
Il furto, la rapina, il danneggiamento sono buona cosa perché costituiscono lo strumento che il proletariato tutto adotta onde espropriare gli espropriatori. Non è un caso che contemporaneamente alla rivolta delle Nuove ci sia la ripresa della lotta contro il lavoro alla FIAT Mirafiori, carcere quotidiano di 60.000 proletari; infatti gli uni e gli altri rifiutano la schiavitù imposta loro dal lavoro, dall’obbligo al consumo, dalla non vita organizzata come unica forma di sopravvivenza. EBBENE BASTA! Noi proletari tutti non dobbiamo restare inerti di fronte a questo stato di cose, ma reagire violentemente SACCHEGGIANDO ed appropriandoci di tutto ciò che ci serve e che ci è finora stato negato. Distruggiamo ogni concetto di bene e di male lasciando ai borghesi il falso moralismo: DIVENTIAMO TUTTI CRIMINALI, non esiste altro modo di essere veramente solidali con i compagni carcerati; non solo intensificando la nostra attività antisociale, non solo estendendola a tutti i compagni – è assurdo che gli studenti comprino i libri quando è possibile rubarli, che le massaie acquistino le merci quando è possibile saccheggiare i supermercati – ma rendendola realmente rivoluzionaria, ossia collettiva, al fine del rovesciamento di qualsivoglia carcere, sia esso chiamato scuola, famiglia, fabbrica, sistema, o qualsiasi altra puttanata. I detenuti non vogliono autogestire il carcere, così come i proletari non intendono dirigere questa società di merda ma DISTRUGGERLA: tutti vogliamo vivere la nostra libertà assoluta che è possibile ottenere solo attraverso la rivoluzione violenta ed armata e l’instaurazione dei CONSIGLI PROLETARI come organo di decisione di tutti.
Commento di Sergio: ricordo quando sui muri di Porta Palazzo si andava scrivendo notte tempo ‟Abbasso i leader W i lader”, riscuotendo molta simpatia tra i pochi astanti.
Volantino O.C. distribuito a Torino – Porta Palazzo, senza data.
CONTRO IL CAPITALE LOTTA CRIMINALE
“NIENTE SCHERZI O VI FACCIAMO FUORI… Sappiamo che avete in casa tre milioni, metteteli qui e non vi accadrà niente di male.”
Con queste parole il 15 febbraio
alcuni proletari, come già altri prima di loro, hanno stravolto i termini della
contrattazione mercantile, praticando invece il furto come unica possibilità di
sopravvivenza in questa società che non offre alternativa se non la propria
prostituzione nelle fabbriche.
Il rifiuto della schiavitù del lavoro,
cioè della vendita della propria giornata in cambio di merci necessarie alla
propria sopravvivenza ed al decoro del proprio rango sociale, viene praticato
attraverso il furto di tutto ciò che faccia parte del fabbisogno quotidiano di
ciascuno.
Il crimine individuale e separato,
ultimo prodotto della società repressiva, va man mano scomparendo per lasciare
il posto alla criminalità collettiva la quale, manifestando una sempre maggior
intolleranza ad ogni forma di assoggettamento alle norme ed ai codici borghesi,
si presenta come unica forma radicale di lotta rivoluzionaria.
La risposta alla società che tollera
anzi tutela il furto sulla pelle dei proletari si fa man mano più cosciente:
dal furto del singolo per sfuggire alla schiavitù del lavoro salariato cade di
fatto in una forma altrettanto alienante anche se non legalizzata di schiavitù,
si è giunti oggi alla generalizzazione del crimine, del saccheggio o della
distruzione di tutto ciò che venga ad impedire la libertà individuale e
collettiva.
Questo dimostra come il proletariato
moderno, rifuggendo ogni forma di lotta legalizzata, inizia organizzandosi
l’assalto a tutto ciò che determina la miseria della sua esistenza.
COMPAGNI PROLETARI RINUNCIAMO AI
REGOLAMENTI DI CONTI TRA BANDE RIVALI
L’UNICA BANDA DA SCONFIGGERE È LA
SOCIETÀ!
FACCIAMO ESPLODERE LA POLVERIERA DI
PORTA PALAZZO – TRASFORMIAMO QUESTO GHETTO NEL QUALE IL CAPITALE FA IL BELLO ED
IL CATTIVO TEMPO IN UN LUOGO NEL QUALE I PROLETARI POSSANO LIBERAMENTE
ORGANIZZARSI PER EVERTERE LA SOCIETÀ TUTTA.
Nelle assemblee sindacali a proposito della piattaforma rivendicativa si discute del cottimo e si insiste sul fatto che il guadagno sarebbe garantito in qualunque modo anche se la produzione dovesse calare per cause che non dipendono dagli operai. Ma si tace su un’altra questione. Nessun sindacalista infatti osa dire che è falsa la promessa di poter fare la produzione a nostro piacere ed avere ugualmente il salario garantito. Vediamo in concreto le proposte sindacali:
1) Convalida dei ritmi di lavoro da parte degli operai. I sindacati sostengono che i ritmi attuali dovremo farli perché li facciamo già. I ritmi che il padrone ci ha imposto con continui tagli di tempi, minacce, pressioni, multe, etc. li renderemo LEGITTIMI e daremo il nostro consenso a tutto quello che il padrone ha fatto contro di noi da sempre.
2) Guadagno uguale sia per gli operai diretti che per quelli indiretti. Questo vuol dire che i carrellisti, i magazzinieri, gli addetti alla manutenzione, alla riparazione e tutti quelli non legati direttamente alla produzione che godevano rispetto agli altri di un lavoro più calmo, saranno sottoposti sicuramente ad una razionalizzazione e saranno costretti a correre perché i sindacati ancora una volta li hanno venduti per poche lire. I sindacati vogliono livellare gli operai ai livelli più bassi.
3) Quando i tempi, gli organici, le pause, i rimpiazzi e la produzione saranno convalidati non avremo mai la possibilità di scendere al di sotto del rendimento prestabilito dal padrone e dai sindacati se non a rischio di multe, sospensioni, licenziamenti per scarso rendimento e questa volta con l’approvazione del sindacato.
4) A questo punto il delegato ed il rappresentante sindacale non diventano altro che i cani da guardia che il padrone impiega per la garanzia del suo potere, cioè della produzione.
Di fronte a questo inganno non possiamo che rispondere in questi due modi:
A) per ciò che riguarda il salario, non rifiutiamo certamente ciò che ci viene offerto; lasciamo fare ai sindacati il loro mestiere di mercanti delle nostre vite. Il problema è altro. Sappiamo che il padrone è disposto a pagarci molto, ma a patto di chiederglielo con le dovute maniere e di sottoporci ai suoi piani produttivi.
B) Quello che ci importa è non garantirgli mai la produzione: contrattare i tempi significa garantire il nostro lavoro ed una certa produzione. Garantire la produzione al padrone vuol dire garantirgli il suo potere su di noi e sulla nostra fatica. La nostra fatica non la garantiamo a nessuno, né ai padroni, né ai sindacati. La fatica vogliamo abolirla e lavoriamo o no, secondo come ci fa comodo. Questo finché la nostra forza sarà tale da NEGARE AL PADRONE TUTTA LA PRODUZIONE, TOGLIENDOGLI TUTTO IL POTERE.
Boicottiamo le assemblee sindacali non andando ai refettori oppure andiamoci ma per togliere la parola ai sindacalisti ed ai loro leccaculo. Respingiamo ogni piattaforma.
Decidiamo per nostro conto tutte le azioni che blocchino la produzione. LA POCA PRODUZIONE CHE ESCE DEVE ESSERE SABOTATA.
IL RIFIUTO DEL LAVORO DEVE COMINCIARE CON UNA LOTTA PERMANENTE E QUOTIDIANA CONTRO IL LAVORO CHE CI È QUOTIDIANAMENTE IMPOSTO.