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Gianni Collu – Transizione (1969-70)

Tratto da Apocalisse e rivoluzione di Giorgio Cesarano e Gianni Collu (Dedalo, Bari, 1973)

Una prima stesura di ‟Transizione” apparve, in francese, nel numero 8 della rivista Invariance (ottobre-dicembre 1969). Riscritto e integrato della nota aggiuntiva, il testo apparve poi nella Antologia di Invariance, pubblicata in italiano dalle edizioni La vecchia talpa di Napoli nel 1971.

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BOMBE SANGUE CAPITALE. 17 morti di P.za Fontana non hanno ristabilito l’ordine

Volantino fronte/retro. Consigli proletari, Milano, gennaio 1970.

Un volantino distribuito a Milano pochi giorni dopo l’attentato, si dice a partire dal 19 dicembre. Opera della sezione italiana dell’Internazionale Situazionista. Per essere stato il primo intervento dell’area radicale e in particolare la prima affermazione della responsabilità dello Stato, gode da sempre di grande reputazione e, fin dal primo momento, riscosse grandissima condivisione. A un esame successivo, frutto di una più approfondita riflessione, è possibile cogliere varie manchevolezze, anche gravi. Innanzi tutto, il titolo stesso come pure diversi passaggi del testo, fanno pensare che l’incendio del Reichstag sia stato causato da un machiavellico intervento del Potere (anche questo concetto, personificato con la maiuscola, appare inesorabilmente datato), e non già – come già allora i non disinformati sapevano – l’azione spontanea di un anarchico, Marinus Van der Lubbe. E la medesima ambiguità serpeggia nel testo, avanzando una cinica analisi omnibus, buona sia nel caso gli anarchici fossero stati incastrati ingiustamente, sia nel caso fossero stati gli autori dell’attentato, strumentalizzati. Da una parte urta un certo filisteismo, inteso a non sbilanciarsi; da un’altra emerge un primo sintomo del delirio complottista che troverà piena espressione nell’infelicissimo testo di Gianfranco Sanguinetti, Del terrorismo e dello Stato. (P.R.)

BOMBE SANGUE CAPITALE

17 morti di P.za Fontana non hanno ristabilito l’ordine

Le possibilità della rivoluzione in Italia, maturate negli ultimi due anni non hanno potuto essere scongiurate dalla violenza “naturale” quotidiana del sistema. Ma proprio quando la sua violenza si esercita “eccezionalmente”, quando l’organizzazione del consenso recupera la paura, il potere di classe deve svelare tutta la sua cinica brutalità per perseguire esplicitamente la repressione di massa del movimento rivoluzionario (con i cani poliziotto del sistema sguinzagliati alla disperata ricerca di capri espiatori) e ristabilitre l’ordine “senza il quale non c’è democrazia”: ormai è evidente che i morti di P.za Fontana sono il primo bilancio di un nuovo “incendio al reichstag”. Le lotte d’autunno, rovesciando gli argini istituzionali di recupero dell’autonomia operaia, hanno espresso un primo diretto attacco all’organizzazione capitalistica del lavoro. L’accordo contrattuale stipulato dai sindacati non significa affatto la fine di tutto, anzi è la premessa alla fase direttamente anti-capitalistica e anti-sindacale della lotta. L’autonomia operaia, il proletariato come soggetto storico della propria azione eversiva, con la semplice coerenza di una lotta che, costando il meno possibile, reca il maggior danno possibile all’Economia esprime, per il solo fatto di esistere, la critica radicale alla società della sopravvivenza, l’attacco al lavoro salariato e alla scienza, alle strutture gerarchiche della produzione e del consumo, all’organizzazione capitalistica del consenso, a tutte le forme della sopravvivenza con l’estraniazione cosciente al linguaggio e ai comportamenti alienati, che sostituirà con il piacere ininterrotto e con la gioia di vivere. Se le lotte di autunno hanno posto chiaramente al presente l’alternativa proletaria della rivoluzione lo stato socialdemocratico ha tentato di far precipitare lo stato reale delle cose nel “transfert” collettivo dell’apocalisse. Il tempo della storia del capitale è discontinuo e anticipabile: discontinuo perchè le accelerazioni prodotte dal proletariato premono avvicinandolo sempre più alla sua fine, verso la realizzazione di un tempo ludico e irreversibile; anticipabile dalla manipolazione organizzata dal sistema per congelare lo slancio rivoluzionario della vera storia delle lotte proletarie. Così si è preteso di mostrare in una prospettiva falsa e distorta che l’inevitabile sbocco della violenza è l’orrore di”una strage degli innocenti”. Così dopo la strage l’azione quotidiana che promuoveva la lotta doveva essere sentita come infantile nel momento in cui il gesto disinvolto e pericoloso (quello che blocca la catena di montaggio) doveva assumere i tratti di una complicità negli attentati. No: la violenza che produrrà l’abolizione della società di classe sarà al contrario la fine del dominio della morte sulla vita. NOI VI ACCUSIAMO SICARI BUROCRATI CAPITALISTI DI FRONTE AL TRIBUNALE DELLA LOTTA DI CLASSE DAL QUALE SOLO IL PROLETARIATO ASPETTA GIUSTIZIA, DELLA STRAGE DI PIAZZA FONTANA E DELL’OMICIDIO DEL COMPAGNO ANARCHICO PINELLI. Il vostro potere, il potere dello stato, l’unico che avesse un interesse decisivo, è anche l’unico al riparo da ogni inchiesta perchè esso rappresenta il potere delegato della falsa coscienza che può fare sparire tutte le prove (la morte di Pinelli, la bomba alla Banca Commerciale fatta brillare). Il potere dello Stato e dei suoi servizi segreti ha le spalle coperte dalle menzogne esibite come dalle verità dette a mezza voce: così i giornali della sedicente “sinistra” fanno circolare voci su un possibile colpo di stato di destra. L’ideologia sviluppa la sua offensiva sublimando la lotta di classe nello scontro ideologico fra capitale “progressista e arretrato”. Contemporaneamente la sedicente “estrema sinistra” parlamentare ed extraparlamentare rispolvera il mito riformista del fronte unito anti fascista in cui sfruttati e sfruttatori dovrebbero unirsi in nome della concessione di nuove fette di potere alle burocrazie pseudo-operaie del P.C.I. e dei sindacati. Ma il colpo di Stato non avrà certo per protagonista le frange più reazionarie della Confindustria, bensì sarà quello che porterà democraticamente al potere la nuova maggioranza formata dalle burocrazie di ricambio socialiste. Il contrasto tra i vari livelli di sviluppo capitalista parte da un minimo sancito e irrinunciabile : l’organizzazione del consenso allo sfruttamento estorto al proletariato, la partecipazione simbolica alla democrazia formale e parlamentare, la dinamica interna salari-profitti. Lo scontro non esaurisce, né lo vuole, questa dialettica che permette la sopravvivenza ad entrambi e l’esaurimento invece dello scontro tra progresso e reazione. Il grande revival dei moralismi che accompagna l’offensiva dell’ideologia svela gli obbiettivi veri della farsa-inquisitoria sugli attentati, nella quale sono impegnati polizia e stampa, e l’unità di intenti dal “Corriere” all'”Unità”, tutti decisi a far luce sul sottobosco politico negli ambienti dell’estremismo di sinistra. “Il quadro degli arrestati e dei loro amici anarchici delineato dai verbali non fa che ribadire quanto già si sapeva di quel sottobosco dell’estremismo: sbandati dalle idee confuse, alla disperata ricerca di un lavoro stabile, sempre alla caccia delle mille lire per mettere insieme il pranzo colla cena, locali fumosi per le riunioni, amicizie strane con personaggi dell’internazionale anarcoide (nel modo di vita più che nelle idee politiche). Sul piano strettamente politico una risultanza chiara c’è già: a Roma come a Milano e in altre città d’Italia la degradazione nella frangia estremista nata dalla contestazione studentesca, avevaraggiunto un punto critico, quei circoli eranoormai dei centri d’infezione, aperti a tutto, alla violenza senza ideale, allo squadrismo, alla provocazione, alla delazione. La tragedia di Milano almeno questo obbiettivo ha raggiunto: metterne allo scoperto la miseria morale e la bassezza politica” (IL “GIORNO” 13 GENNAIO 1970). I morti sono morti perchè la borghesia potesse vomitare la sua anima e spacciarla per l’anima dell’estremismo dandolo per spacciato. Invece la coscienza della provocazione accumula la rabbia proletaria, la spinta latente della sua collera, globalmente negatrice dello stato di cose, l’unico capitale che il proletariato abbia accumulato nella storia. E’ chiaro, per chi non abbia il cervello più spappolato della merda o non sia completamente arruffianato ai padroni che la violenza apocalittica del sitema è l’ammissione della sua crisi irrimediabile. Ai sindacati che s’incaricano di difendere di fronte ai lavoratori le ragioni dell’economia spiegando che non si può tendere troppo la corda, i proletari rispondono: “i padroni non possono forse pagare di più, ma possono scomparire”. L’apertura del fronte continuo dell’insubordinazione generalizzata, che consente nello spazio aperto dell’autogestione delle lotte la sostituzione immediata del valore d’uso al valore di scambio, inaugurando apertamente nello sciopero, più o meno clandestinamente nel lavoro, il regno della gratuità, organizzando nei grandi magazzini la distribuzione delle merci, appropriandosi collettivamente dei prodotti del lavoro, liquidando le gerarchie e lo spirito di sacrificio, incoraggiando la creatività di tutti con l’invenzione di manifesti, canzoni etc.. – è già stata inaugurata eccezzionalmente nelle lotte più radicali del ’68 e del ’69. Il sabotaggio va condotto nel futuro permanentemente, nella fabbrica e a tutti i livelli della società, fino ad instaurare, laddove le lotte abbiano già avanzato la critica della Scienza, della Merce, del Lavoro, il caos permanente nell’organizzazione capitalista della “pace sociale”.

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Tesi sul crimine

Manifesto, cm. 34×50, b/n, che non reca né indicazioni di stampatore né firme di paternità. Esso è stato prodotto ed affisso a Torino, in un periodo compreso tra gennaio e marzo 1970. Pertanto non è possibile attribuirne la paternità all’Organizzazione Consiliare, che ancora non era stata costituita. Al più le “Tesi sul Crimine”, possono essere considerate un “antefatto” alla costituzione della stessa.

TESI SUL CRIMINE

– Il disadattato mette in crisi, per il fatto stesso di esistere, l’ideologia della società tecno-burocratica, unico argine al movimento della storia.

– I detenuti violentano ogni giorno con le loro lotte la società esistente dall’interno delle galere.

– I detenuti, parte di una classe che sarà l’ultima, realizzano ogni giorno quello stile di vita rivoluzionaria che operai e studenti solo a sprazzi riescono ad esprimere.

– I criminali, esercitando il reato nelle sue forme individuali, hanno saputo, una volta divenuti carcerati, praticarlo nella sua forma collettiva ed organizzata: l’insurrezione.

– Le lotte dei detenuti non mirano alla razionalizzazione del sistema carcerario all’interno di questa società; esse la negano praticamente pur manifestandosi inizialmente in uno dei suoi settori più isolati.

– I detenuti hanno già rifiutato lo spettacolo del consumo di libertà che il capitale somministra ogni giorno; hanno capito che il sogno della “libertà” con cui lo Stato vuole costringerli a subire disciplinatamente l’indegnità della pena non è altro che la concessione di praticare la libertà di sognare.

– I detenuti hanno anche negato praticamente l’allettamento della libertà di consumo; sia nei loro reati individuali contro la proprietà privata (furti, rapine, estorsioni) che in quelli collettivi contro la proprietà dello Stato (il saccheggio) hanno realizzato violentemente il principio “a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Il loro è stato ed è assalto proletario alla ricchezza sociale.

– La vita dei criminali è la negazione delle pretese qualità liberatorie del lavoro salariato. Il rifiuto del lavoro conduce alla galera, il timore della galera assoggetta al lavoro.

– La feccia della società di classe ha già adottato le proprie lotte in carcere e fuori la sola organizzazione che muova efficacemente alla distruzione del vecchio mondo. Rifiutando nei fatti lo spontaneismo sottoanarchico degli impotenti e il centralismo gerarchico (codificato o informale) dei mistici della milizia rivoluzionaria ha saputo e sa organizzare il disordine strutturandosi in bande criminali.

– L’amnistia che il Parlamento sta concedendo è un’arma demagogica dello Stato. Di essa è però possibile fare un impiego proletario. Alcuni detenuti saranno scarcerati; la loro liberazione coinciderà con la commissione sempre più vasta e diffusa di crimini proletari e la realizzazione della rivoluzione richiederà, è chiaro, la violazione massiccia di ogni articolo della legge borghese. La liberazione dei detenuti porterà alla costituzione delle prime bande di devastatori e saccheggiatori. Altri, esclusi da un avvenire di integrazione del resto consapevolmente rifiutato, resteranno in carcere, spina nel fianco di un sistema che sapranno rovesciare.

– Il proletariato libero dalla galera ma incatenato alla linea di montaggio deve appoggiare subito le lotte dei criminali con la pratica quotidiana del teppismo e la commissione del reato comune.