Limiti della teoria radicale. Contributo di Valerio Bertello – Torino 2005
I.COMONTISMO
1. La prospettiva
Gli atteggiamenti, cui corrispondono altrettante teorie, che in generale si possono adottare di fronte alla questione della rivoluzione e in generale del mutamento sociale si possono ridurre ai seguenti.
Magonza – Torino, gennaio 1978. Questo opuscolo, di 22 pagine, si accoda alla pubblicazione del falso Berlinguer, Lettere agli eretici. Contiene una lettera indirizzata “Al Signor Giulio Bollati di Saint Pierre”, datata novembre 1977, e da pag. 18, riproduce la lettera di Bollati (allora a capo delle edizioni Einaudi) al direttore di Tuttolibri (supplemento settimanale del quotidiano La Stampa) dove era stata pubblicata con il titolo “Identitik di un falsario”.
Sebbene firmato in calce “L’autore di Lettere agli eretici”, la probabile paternità di questo scritto, tuttavia, non è di Pier Franco Ghisleni, ma di Gianfranco Sanguinetti, che era stato tirato in ballo da Bollati come uno degli ipotetici “falsari” di cui aveva cercato di delineare l’identikit. Sanguinetti entrò così nel caso del “falso Berlinguer” con questo pamphlet di contumelie, precisando, tra l’altro: «Non sono “il celebre Censor, cioè Gianfranco Sanguinetti”; ma ho motivo di credere che a Sanguinetti non dispiaccia constatare di non essere il solo, in Italia, a ridicolizzare i potenti e gli imbecilli». Oltre a rivolgersi a Bollati con «Lei è un imbecille», lo scritto indulge nel prendersi gioco del «suo padrone» Einaudi («propugnatore della libertà di stampa a Mosca, ma molto sollecito a far sequestrare libri in patria»), dell’«eurostalinista Berlinguer» e di «tutte le vedettes della nuova sinistra».
Al Signor Giulio Bollati di Saint Pierre.
Novembre 1977
SignorBollati, Benché, come direttore della casa Einaudi, lei abbia a trattare affari di grande momento, non disdegnando di occuparsi del mio libro lei dimostra di possedere al sommo grado la rara virtù di non disprezzare le piccole cose. … Read More
Distribuito al Palasport di Torino il 3 novembre 1973. Firmato Alcuni “selvaggi” amanti del comontismo.
LA RIVOLUZIONE SARÀ UNA FESTA, NON DI POCHE ORE, MA PER LA VITA.
LA FESTA DELL’UMANITÀ NON PUÒ CHE ESSERE LA RIVOLUZIONE PROLETARIA
La società del capitale si fonda sul lavoro. Il lavoro significa MORALE, NOIA, SPERANZA, ISOLAMENTO. La MORALE è quella della repressione, del profitto, del successo. Repressione di ciò che di umano è negli uomini. Profitto che nasce dal rapporto schiavi-schiavisti, merci umane-mercanti di umanità, forza lavoro-capitale. Successo nel bel mondo degli stronzi, per essere infine i carabinieri delle proprie emozioni, gli strozzini dei propri desideri, gli spacciatori della propria infelicità opulenta venduta e contrabbandata come divertimento, come necessità. La NOIA è quella dei quotidiani suicidi: il trionfo della disfatta, delle viltà, dell’amore bavoso che significa sesso represso, del sesso che significa economia e politica del quotidiano, per il mantenimento del DIO-DENARO, della PATRIA-MERCE, della FAMIGLIA-SPETTACOLO. La SPERANZA è ciò che voi vi ingegnate di estrarre dalla vostra vita, rinsecchita miniera della miseria, il piacere ad ore fisse, in modi fissi, per ottenere risultati soliti, fissi e fessi. L’ISOLAMENTO è la cella di punizione della falsa amicizia, dello squallore posto come immotivato orgoglio, della solitudine spacciata per autonomia, dell’indifferenza creduta “libertà”, del noioso coppiettismo con l’illusione di amare, dell’apatia inguaribile, del “lavoro politico” come lavoro.
COMPAGNI,
la nostra esistenza è sotto il minimo che l’essere uomini richiede. Imparaiamo il RISCHIO del vivere e l’AVVENTURA del lottare: unica possibilità per non essere tombe viventi, pagine malscritte di una inutile storia.
COMPAGNI,
ogni festa che non giunga alla TOTALITà (così come è per l’odierno spettacolo) è la pallida e farsesca traduzione infedele di quel reale BISOGNO di festa senza fine né limiti che tutti coviamo come il progetto più amato e più odioso al capitale che ci vorrebbe sempre attori dei suoi miserandi, scontati, inapplaudibili avanspettacoli.
COMPAGNI,
il falso mistero del come essere uomini sta per essere svelato! Il comunismo reale (= COMONTISMO) inizia a vivere nella ribellione profondamente umana e radicale di MOLTI, per essere l’umanità radicale e profonda di TUTTI.
COMPAGNI,
stiamo imparando sulla nostra pelle che la libertà dalla MERCE-MERDA si esprime nella frenesia di tutti per vivere liberi, sfrenati, incontenibili e quindi CRIMINALI contro la normalità del sistema ed il sistema delle normalità.
COMPAGNI,
trasformiamo lo spettacolo di questa sera in una NOSTRA FESTA
PRATICHIAMO SUBITO L’ORGIA DELLA RIVOLUZIONE poiché questo è il solo modo per VIVERE così come vogliamo, così quanto sappiamo.
CONTRO LA POLIZIA DELLA NOIA CAPITALISTA c’è soltanto
IL CRIMINE DEL PIACERE GENERALIZZATO.
Documento dell’estate del 1973 di cui resta la seguente testimonianza: «Lo scrivemmo con Mario Moro e lo facemmo entrare clandestinamente alle Nuove nel fondo di una teglia di lasagne, ma molto probabilmente finì repentinamente nel cesso della cella, le lasagne però furono molto apprezzate. Credo che si possa considerare l’ultimo volantino con riferimento a comontismo. Diffusione zero.» (Sergio Serrao)
Volantino prodotto a Torino (Via Giacosa 4 – 20/2/1973) in polemica con Lotta Continua. La ricostruzione della vicenda è nella pagina del documento “Carello, i provocatori, i carabinieri e i comontisti”.
«L’opportunismo di Lotta Continua e i suoi metodi stalinisti servono unicamente a dimostrare la sua sostanziale identità con il PCI: lo stalinismo che li accomuna al di là di slogan e programmi formalmente differenti nulla ha a che fare con il comunismo, la cui realizzazione implica che vengano spazzate via queste vestigia di 50 anni di controrivoluzione. Il movimento reale del proletariato, superando i suoi limiti, saprà ricacciare queste organizzazioni nelle pattumiere della storia in cui non si rassegnano a restare.»
In seguito agli arresti relativi al sequestro Carello, il 16 febbraio 1973 il giornale Lotta Continua pubblica un articolo calunnioso che dipinge i comontisti come«una banda di provocatori, nutriti e sostenuti dalla polizia. Più concretamente, questi banditi da strapazzo sono stati costantemente allontanati – coi metodi più persuasivi, come si meritano – dai cortei proletari, dai cancelli delle fabbriche di Torino, e, nel ’71, da una piazza di Pisa, dove avevano cercato di trasferire le proprie provocazioni, a suon di schiaffi dei compagni netturbini.»
“I comontisti, ed altri compagni amanti della verità” inviano questo documento alla redazione, con la nota: «Esigiamo che questa smentita venga pubblicata in toto nel vostro giornale.» La smentita non sarà pubblicata e il 17 febbraio un gruppo di comontisti si reca di persona alla sede di Lotta Continua di Torino. La vicenda è ripresa anche nel volantino “Ognuno per sé”.
In calce al documento, una ricostruzione dei fatti.
ALLA REDAZIONE DI “LOTTA CONTINUA” – CARELLO, I PROVOCATORI, I CARABINIERI E I COMONTISTI
Dopo
la lettura dell’articolo in seconda pagina del numero del 16 febbraio del
vostro giornale a titolo “Chi sono i comontisti”, chiediamo che venga pubblicato
quanto segue:
1.
Pur solidarizzando con i compagni Dorigo e Piantamore (in merito ai quali
abbiamo diffuso anche a voi un comunicato stampa non pubblicato sinora),
dobbiamo chiarire che mai essi si dichiararono o furono dichiarati consiliari o
comontisti.
Ciò
che è stato da voi scritto sui comontisti e l’affermazione, come fosse un dato
da voi appurato, che i due arrestati «… fanno parte… del gruppo dei
“comonstisti”…» non può avere altro significato che di propalare una falsità,
già scritta dalla cosiddetta “stampa di informazione”, accusandoli quindi di
essere “provocatori” e “sacrificandoli” per salvaguardare il prestigio (?)
della vostra organizzazione.
2.
Riguardo alle documentazioni che, dite, da tre anni L.C. ed altre
organizzazioni avrebbero fornito intorno ai “nutrimenti” dati dalla polizia ai
comontisti e sui rapporti con elementi fascisti, MAI, benché ripetutamente e
pubblicamente da noi richiesto, è emerso alcun fatto né tantomeno prova. Ancora
una volta vi chiediamo di motivare realmente, e non su basi calunniose, tutto
ciò a livello di PUBBLICA ASSEMBLEA o comunque di inchiesta di PUBBLICO
dominio.
3. Il
metodo della calunnia sistematica da voi applicato non può non accomunarvi alle
pratiche deliranti di Avanguardia Operaia nonché del PCI che quotidianamente ne
fa uso contro voi stessi ed altri.
4.
Quanto ai “banditi da strapazzo”, termine da voi usato per denigrare l’azione
di sinceri rivoluzionari, esso qualifica chi lo usa. Ed inoltre è in palese
contraddizione con altri testi da voi pubblicati, come “I dannati della terra”,
o da voi apprezzati come “L’evasione impossibile” del compagno Sante
Notarnicola che, secondo il vostro articolo, dovrebbe essere considerato come
un provocatore (o come un ex-provocatore riabilitatosi?).
5.
Se in effetti in passato abbiamo partecipato a cortei in cui talora ci siamo
scontrati anche fisicamente con militanti di varia appartenenza sulla base di
una diversa concezione della violenza e del suo uso rivoluzionario, ormai da
lungo tempo abbiamo abbandonato tali pratiche, poiché consideriamo questi
momenti ininteressanti per la lotta di classe perché innocui e difensivi,
pronti comunque a ritornare sulle piazze e nelle strade tutte le volte che
pensiamo possa esservi uno scontro favorevole al proletariato ed alla sua
crescita rivoluzionaria.
6. A
Pisa vi fu tempo fa uno scontro, ma unicamente tra quattro notri compagni e
decine di militanti di L.C., scontro generato da scritte murali da noi fatte a
favore della rivolta delle Nuove (per cui due compagni sono stati condannati
dalla pretura di Pisa) e per cartelli in difesa del compagno Mario Rossi,
mentre i militanti di L.C. dicevano che ciò era provocatorio e Floris un
“lavoratore”, mentre noi lo consideravamo un difensore, sia pure oggettivo, del
capitale e della morte sociale.
7. Fra
i comontisti non esistono anarchici, in quanto nulla abbiamo a che spartire
con tali ideologie, non esistono
ex-fascisti ma solo qualche compagno (in numero assolutamente irrisorio)
vittima a suo tempo di ideologie adolescenziali e familiari (come altri furono
vittima di altre ideologie turpi quali quella cattolica etc.) da MOLTISSIMO
TEMPO E PROVATAMENTE abbandonate e derise; non esistono peraltro drogati
abituali poiché respingiamo come capitalista il concetto stesso di “droga” e
mai esaltammo la tossicomania, che anzi consideriamo un’ideologia borghese, al
pari della famiglia, dell’alcolmania, etc.; né tantomeno esistono ricattati
dalla polizia ed anzi possiamo sostenere che tutti i nostri compagni e tutti i
nostri amici hanno sempre avuto negli svariati processi una condotta di
assoluta non collaborazione e di difesa rivoluzionaria.
8.
Abbiamo ripetutamente fatto un discorso teorico sulla teppa e sul cosiddetto
“crimine” che può essere compreso e valutato solo nel suo contesto generale.
9.
Con i fascisti (Avanguardia Nazionale o altro) abbiamo avuto sempre e solo dei
rapporti di scontro nelle piazze e nelle strade, come è facilmente
comprovabile. Mai alcun altro rapporto è intercorso. Invece dovemmo occuparci
del Fronte Nazionale per sventare, castigando loro e la loro immonda sede
torinese, una provocazione da loro tentata nei confronti di un gruppo di
“Comunisti Libertari” e di altri militanti generici, tra cui anche operai e
simpatizzanti di L.C. (documentato su Acheronte
n° 2, 1971).
10.
Sui volantini “decorati di donnine nude”, è vero che vari nostri testi furono
diffusi e lo vengono tuttora ANCHE di fronte alle fabbriche (ma non solo). Mai
alcun “mal ce ne incolse” (anche perché talora erano diffusi dagli stessi
operai che evidentemente giudicavano diversamente i problemi sessuali dai
redattori di L.C.).
11. È
ASSOLUTAMENTE FALSO che tali Franco Margaglio e Franco Stangalini, da voi
attribuitici come nostri compagni, siano mai stati consiliari o comontisti. Non
solo, ma (e ciò ci pare significativo delle vostre documentazioni) nessun
nostro compagno li conosce o li ha SENTITI nominare. Non li conosciamo NEPPURE
come fascisti. Sta al vostro senso di chiarezza dare informazioni, utili anche
a noi, su costoro.
12.
Non abbiamo contatti “finanziari” con nessuno, né a SINISTRA, né tantomeno a
DESTRA. Se L.C. ne sa qualcosa lo dica documentando;
se invece intende sapere come ciascuno di noi vive si formi un gruppo di
compagni, non solo di L.C. ma anche di Potere Operaio etc., che ce lo venga a
richiedere direttamente. Siamo pronti a dare tutte le risposte necessarie. (Il
fatto stesso che voi siate costretti ad ammettere che perlopiù i nostri testi
sono ciclostilati è in palese contraddizione con la nostra presunta ma
inesistente “ricchezza”!).
13.
I nostri interventi contro giudici ed altri ideologi del capitale (ammantati di
sinistrismo) all’Unione Culturale e altrove al fine di tacitarli, capiamo
benissimo che a voi non piacciano. Ciò non giustifica ASSOLUTAMENTE la vostra
affermazione che fossimo protetti dalla polizia, anche in considerazione di
tutti i processi che ci sono piovuti e ci stanno piovendo addosso.
14. Il
mutamento di denominazione da Organizzazione Consiliare a “Comontismo” è
dovuto, non a motivi tattici più o meno biechi, ma ad una precisa critica
teorica del consiliarismo, come è AMPIAMENTE DOCUMENTATO dai nostri testi.
Sul
resto nulla da dire, visto che sono puri e semplici insulti.
i comontisti, ed altri
compagni amanti della verità.
(non ci sembra il caso
di mettere nomi e cognomi per questioni di prudenza, ma in separata sede siamo
anche disposti a darvi i nomi dei firmatari di questo testo, anche dei molti
non comontisti di nome).
NOTA
PER I REDATTORI DI L.C.
Esigiamo
che questa smentita venga pubblicata in toto nel vostro giornale.
Non amiamo rifarci, anche se possibile, alle leggi borghesi sulla stampa; ma nel caso vi rifiutiate di pubblicarla dovremo reagire con tutti i mezzi che riterremo opportuni. Voi siete caduti nella provocazione di “La stampa” etc.; noi non intendiamo accettare assolutamente tutto ciò.
Mercoledì 3 gennaio 1973 «Antonio Carello, di 21 anni, nipote di Fausto, il noto industriale torinese morto alcuni mesi fa e che aveva dato il proprio nome alla notissima fabbrica di fari e accessori per auto che occupa 1500 persone, è stato rapito e rilasciato dopo ventiquattro ore da malviventi che hanno chiesto e ottenuto un riscatto di 100 milioni.» (L’Unità, 5/1/1973)
Il giovane, detto Tony, abita in una lussuasa villa a Pino Torinese, «frequenta il primo anno di università ed è particolarmente noto nella “Torino bene” per la sua passione automobilistica. Sono molti infatti i “rallies” cui ha partecipato in coppia con suo fratello.» Ha raccontato di aver ricevuto una telefonata da una sconosciuta che lo invitava a casa sua e, recandosi all’appuntamento, in Strada Rosero è stato fermato da due uomini incappucciati che lo hanno legato, imbavagliato e chiuso in un furgone. Come ricorda L’Unità, si tratta del «primo caso di sequestro a scopo di estorsione che si sia verificato a Torino».
Il 13 febbraio 1973 vengono arrestati Giorgio Piantamore, 21 anni, e Luciano Dorigo, 22 anni. Inizialmente il Gazzettino del Piemonte delle 12,30 e il Telegiornale delle 13:30, riportando indiscrezioni dei carabinieri, dice che sono militanti di Lotta Continua, anche se i CC nella conferenza stampa delle 17,00 lo negano. In quel periodo erano innumerevoli le azioni repressive e proprio in quei giorni, sempre a Torino, erano appena stati arrestati vari componenti di Lotta Continua. Il 27 gennaio 1973, al termine di una manifestazione contro le provocazioni fasciste nel capoluogo piemontese, il corteo si sposta in corso Francia 19, davanti alla sede dell’MSI, e la celere apre il fuoco. Il bilancio è di due giovani militanti di Lotta Continua, Luigi Manconi (responsabile del servizio d’ordine) ed Eleonora Aromando, feriti da arma da fuoco, 25 mandati di cattura e decine di perquisizioni. GuidoViale è arrestato il giorno dopo al termine della conferenza stampa.
Il giornale Lotta Continua pubblica pubblica alcuni articoli riguardanti gli arresti per il sequestro Carello, tra cui:
Il processo inizia il 2 ottobre del 1973. Come riporta l’articolo – calunnioso e tendente a screditare i due imputati come criminali comuni – del giornale L’Unità, «alla fine dell’interrogatorio Giorgio Piantamore ha cavato di tasca un foglio e ha letto una dichiarazione nella quale si presenta come un paladino dei poveri che toglie il denaro ai ricchi per distribuirlo equamente ed e arrivato a sostenere che “tutti i delinquenti comuni sono detenuti politici perché contestano iI sistema”.»
Torino, 7 dicembre 1972. Intervento contro la manifestazione per l’abrogazione della legge Merlin.
CRONACA CITTADINA
Torino 7 dicembre
È risaputo che il quotidiano
“La Stampa” non solo propina quotidianamente ai fedeli lettori notizie distorte
e manipolate, ma passa sotto silenzio quei fatti che in qualche misura possano
contraddire l’immagine di società ordinata e civile che vuole mostrare agli
stupidi consenzienti che ci vogliono credere.
Pertanto siamo obbligati in
quest’occasione a divenire i cronisti di noi stessi.
Mercoledì 6, fra le 17,30 e
le 18’30, insieme alle migliaia di puttane a tempo pieno assorse ad apporre la
propria firma al progetto di abolizione della legge Merlin, siamo accorsi anche
noi con alcuni cartelli e volantini (il cui testo è a retro), senza dubbio meno
osceni delle losche e decrepite facce dei firmaioli, con l’intenzione di
bloccare tale turpe esibizione di repressi e repressori sessuali.
I poliziotti presenti,
istigati evidentemente dai promotori di quell’oscena manifestazione, si sono
affrettati zelantemente a compiere il loro dovere requisendo i cartelli (e uno
di non che non aveva voglia di mollare il suo), intimandoci poi di distribuire
i volantini, per motivi di ordine pubblico, a cento metri di distanza
dall’ingresso, in un primo tempo, e così via fino ad allontanarci del tutto.
Pur essendo gioiosamente intenzionati a fare del nostro peggio, abbiamo dovuto
desistere dai nostri propositi appena in via di attuazione quando sono arrivati
cellullari ed altri rinforzi di polizia.
Così gli infelici firmatari
hanno potuto portare a termine tranquillamente la loro provocazione mostrando
chiaramente altresì come sia possibile fare della propria infelicità una
bandiera.
UNA NOTA DI COLORE
Una nota baldracca, tal
Lollobridiga, la quale da anni fa commercio, indisturbata, del proprio corpo e
della propria mente, ha firmato ieri anch’essa il progetto di legge con
l’evidente intenzione di eliminare in tal modo un po’ di concorrenza nell’arte del
meretricio di cui è maestra. D’altra parte è chiaro che la sua firma è stata
concessa per un secondo fine. È chiaro che essa ha venduto pure quella, come
tutto il resto, in cambio di un po’ di pubblicità per un suo insulso libro di
fotografie, per il quale nessuno, ovviamente, nutre alcun interesse.
Intervento contro la manifestazione per l’abrogazione della legge Merlin. Ciclostilato a Torino, Cso Regina 24. Senza data, probabilmente 7 dicembre 1972.
Torino, 12/11/1972. Il gruppo dice: «non siamo comontisti, ma in ogni caso vogliamo loro bene, e la loro organizzazione è un riferimento comune». Propone un “meeting” per mercoledì 14 sotto l’arco di trionfo del parco Valentino.
Volantini contro la scuola, Torino, ottobre 1972. I primi due, fronte/retro oppure parte di un documento più ampio, «pare costituiscano il noto volantino sulla scuola distribuito il giorno di apertura dei licei (primo ottobre?) del 1972 a Torino». (Paolo Ranieri) Gli altri due probabilmente sono fronte/retro; l’ultimo è datato 29 ottobre 1972.
Volantino anticarcerario. Al recto il testo, ribattezzato Lotta criminale, al verso il fumetto, Il buon padre. Senza data, probabilmente autunno 1972.
IL CRIMINE NON È SOLO UN PRODOTTO DELLA SOCIETÀ: INIZIA AD ESSERNE LA NEGAZIONE. IL CRIMINE NON È SOLO LA BASE DELLA CRITICA DELLA COMUNITÀ FITTIZIA DEL CAPITALE, È L’INIZIO DELL’AFFERMAZIONE DELLA COMUNITÀ REALMENTE UMANA.
Le carceri come istituzioni separate dalla società non sono altro che la proiezione dell’esistenza normale di ciascuno in una dimensione che assume i colori dell’incubo, del terrore e dell’oppressione aperta. La prigione, che il buon senso non riesce più a cogliere, se non in istanti di pazzia autentica, come parte realmente costitutiva del proprio ambiente quotidiano, può essere allora proposta dalla società come ciò che esemplarmente punisce chi non vuole più tollerarla; la paura del carcere come istituzione separata, costringe ciascuno nel carcere della famiglia e del lavoro o di tutti i loro grotteschi surrogati; è la morte quotidiana, quindi può essere spacciata e consumata come l’unica esistenza possibile. Ciò che stravolge questa malefica allucinazione è la premessa di ogni azione rivoluzionaria: IL RISCHIO DELLA PRIGIONE O DELLA MORTE NON è OGGI CHE L’AVVENTURA DELLA VITA.
Il carcere, dopo la recente ondata di sommosse che ne ha sconvolto l’andamento, è divenuto un argomento principe per chi vuole lavarsi la bocca con piagnistei sulla repressione, per chi vuole mettersi a posto una coscienza pelosa facendo rilevare le terribili condizioni di vita del carcere, illustrandole in scritti, dibattiti, films, tutti ben remunerati e di prestigio. Costoro però non dicono che I FUORI LEGGE SONO I MODERNI RIVOLUZIONARI, poiché sono già essi stessi CARCERE nella misura in cui la loro ideologia dovrebbe servire a riprodurre e far accettare tutta la miseria e tutta l’infelicità di una “vita” che è a tal punto carcerizzata da divenire ANTIUMANA.
Le parole d’ordine democratiche non incantano più nessun detenuto o fuorilegge; nessun rivoluzionario. CARCERE PIù GRANDE, MIGLIORE E PROCESSI PIù VELOCI VOGLIONO DIRE IMPRIGIONARE PIù GENTE POSSIBILE NEL MINOR TEMPO POSSIBILE.
In realtà, nessuna lotta contro il carcere ha senso se non è lotta contro la LEGGE; la lotta contro la LEGGE è la base necessaria per la distruzione dell’ordine esistente e della produzione di merci e di ideologia su cui la società è fondata.
Di fronte al dilagare della rivolta, di fronte al fatto che milioni di persone lottano contro il carcere che è ovunque, anche oltre le mura specifiche delle prigioni di stato, si scatena il tentativo di recupero. Il recupero si manifesta attraverso lo spaccio reiterato di ideologie particolari ma tutte sostanzialmente conservatrici della realtà.
L’ideologia hippy promette ai giovani la loro liberazione in quanto giovani, l’ideologia operaistica l’emancipazione degli operai in quanto tali, altre ancora promettono libertà agli studenti, alle massaie, ai “pazzi”, ai drogati, agli omosessuali, alle lesbiche etc. ed anche ai carcerati.
Ma il movimento della rivoluzione moderna, il movimento che porterà alla realizzazione dell’uomo, cioè al COMONTISMO, opera per la liberazione di ognuno dalle catene globali che il carcere della vita quotidiana gli impongono e che le ideologie carceriere fingono di sottrargli.
LA FINE DI OGNI RUOLO è LA FINE DI OGNI CARCERE POSSIBILE
Questo é il volantino distribuito ai primi di maggio 1972: la descrizione della vicenda sta nella Cronologia di Comontismo scritta da me mentre ero carcerato al Bassone di Como e pubblicata su Maelstrom 2 (Paolo Ranieri).Nella seconda parte il testo riprende il volantino dell’anno precedente firmato “I compagni consiliari”, che aveva quasi lo stesso titolo.
1° MAGGIO: IL LAVORO SALARIATO NON SI FESTEGGIA. SI ABOLISCE
All’inizio del secolo la
brutalità del lavoro salariato e la logica spietata delle merci diede il via ad
appassionanti ammutinamenti anticapitalisti. Il proletariato individuando il
lavoro come fonte di tutte le sue miserie poneva in pratica la sua distruzione.
Oggi gli eredi degli artefici
dell’annientamento proletario nel periodo fra le due guerre (p.c.i., sindacati,
etc.) spacciano il lavoro come ultimo ritrovato ai mali del proletariato. Il
dominio dei burocrati-stalinisti è fondato sulla menzogna e non possono tentare
di conservarlo se non continuando a mentire.
Attenti burocrati stalinisti!
Il volto ghignante del
proletariato che risorge ridicolizzerà tutti i tentativi di recuperarlo alla
logica della merce e del lavoro. Sadico come dovrà essere il Proletariato se la
prenderà per primo con quelli che vogliono parlare per lui senza essere lui. La
liberazione dal lavoro è la condizione preliminare per superare la società dei
consumi e per l’abolizione nella vita di tutti della separazione tra tempo di
lavoro e tempo libero, settori complementari di una vita alienata in cui si
proietta all’infinito la contraddizione interna della merce tra valore d’uso e
valore di scambio. La concentrazione capitalistica dei mezzi materiali e
ideologici di produzione e la sua distribuzione sociale si trova di fronte
sempre più minacciosa l’insoddisfazione crescente di tutti.
La società del capitale promette,
ma non può mantenere. Non può mantenere alcuna promessa di felicità poiché il
suo fine stesso (produzione) ed i suoi mezzi (lavoro, etc.) sono chiaramente
oppressivi.
I proletari stanno lanciando la
sfida alla società e non per una società diversa o migliore ma per l’abolizione
di ogni società (intesa come agglomerato di individui-merci retti da uno scopo
ad essi superiori).
La felicità in armi esige di
prendere il posto dell’infelicità oggi esistente. La distruzione del dominio
del capitale e dei suoi strumenti è l’unica festa che il proletariato può
desiderare.
È tempo di iniziare concretamente
la lotta per un 1° maggio permanente, cioè per l’abolizione del lavoro e del
tempo capitalista.
Il 1° maggio 1972 e nei giorni seguenti vennero distribuiti diversi volantini contro il lavoro, tra cui una riproposizione del testo del 1° maggio 1971 di Organizzazione Consiliare cambiando la firma in “I COMONTISTI”, e aggiungendo “salariato” nel titolo. Il 2 maggio a Milano fu diffuso quello con il nuovo stemma dell’Alfa Romeo «introdotto con potente battage pubblicitario dall’aprile del 1972, mese in cui aveva aperto l’Alfa di Pomigliano d’Arco. La distribuzione fu effettuata dai comontisti di via Pecchio presso La Breda e la Falk, al primo turno (forse le 6 del mattino) e nelle ore successive in piazza Cadorna, dove arrivano in città i treni con i pendolari che vengono a lavorare a Milano. Ai cancelli delle prime due fabbriche la distribuzione ha fatto rischiare un pestaggio, perchè dopo un primo momento d’imbarazzo in cui i lavoratori prendevano il volantino e lo osservavano, non capendone bene il significato, subito dopo è stata recepita la provocazione, di possibile matrice fascista, vista l’iconografia. I distributori del volantino hanno preceduto con tempismo l’innesco dell’azione punitiva, promossa da elementi sindacali, fuggendo a gambe levate.» (Maurizio Pincetti) Lo stesso giorno a Torino fu distribuito il volantino con i due disegni del 1 MAGGIO e del 2 MAGGIO, sul fronte; nel retro c’era il testo del volantino “1° maggio: il lavoro salariato non si festeggia. Si abolisce” firmato L’ULTIMA INTERNAZIONALE.
Volantino distribuito in seguito alla morte di Giangiacomo Feltrinelli, avvenuta a Segrate il 14 marzo 1972. Questa copia indica “Torino, Corso Regina 24, 22 marzo 1972”, il testo è lo stesso del volantino stampato a Firenze. «Precisazione importante: se su un volantino c’è scritto Torino oppure Firenze, non solo non è un dato attendibile ma è solitamente falso e la stesura e la distribuzione è stata fatta altrove». (Paolo Ranieri)
12 dicembre ’69 / 7 maggio ’72 – STRAGE PARLAMENTARE
Volantino ciclostilato a Torino il 15 marzo 1972 e firmato “i comontisti” a proposito delle elezioni del 7 maggio in cui venne candidato Pietro Valpreda.
«È il primo volantino comontista a Torino, scritto da Paolone [Turetta] insieme con qualchedun altro: ne nacque una feroce polemica epistolare, di cui ho in archivio qualche brano, iniziata da me e in genere dai milanesi che si dissociarono pesantemente dallo sdoganamento dei delitti sessuali. Riccardo (che non era fra gli autori, stava forse ancora a Egola o già a Firenze) prese le difese dei torinesi, sostenendo che fra i comontisti in caso di disaccordo, si scirve un nuovo volantino e non si caga il cazzo su quelli vecchi. Tesi che fu approvata, a fronte del riconoscimento che l’omicida sessuale non era precisamente quel che noi intendevamo come moderno rivoluzionario, e neanche non moderno. Fu un buon dibattito nell’insieme, anche se valse a diffondere la nomea dei milanesi come “pistini”, gente che fa la punta a tutto quel che si dice o si scrive.» (Paolo Ranieri)
Finito di stampare il 20 gennaio 1972 in Genova. Hanno collaborato Dada Fusco, Riccardo d’Este, Alfredo Passadore, Carlo Ventura, Gianni Miglietta, Enrico Bianco, Miriam Carrassi.
Ciclostilato di 8 pagine non numerate, pinzato con punti metallici. Ignoti gli autori delle immagini, salvo due, attribuibili con certezza ai fumettisti Magnus e Bunker, allora all’apice della loro popolarità. Oltre alla redazione genovese, in penultima pagina sono indicate anche quella di Torino, C.P. 281, e di Ponte a Egola (Pisa), via Pannocchia 12.
Seguito da ‟Appendice ad uso degli storici futuri: un processo per magia”.Torino, 1 ottobre 1971.
Opuscolo a stampa, con punti metallici, cm. 15 per 21, senza indicazione di stampatore. In copertina immagine tratta da pubblicazione popolare di ostetricia; in ultima disegno di blasfema crocifissione preso da qualche magazine satirico francese (Hara-Kiri? Charlie Hebdo? Actuel?). Benché privo di colophon, fu diffuso in diverse librerie. Bruttato da un paio di insidiosi refusi. Ha avuto alcune ristampe ad opera di ignoti. Redatto per spiegare la dissoluzione dell’Organizzazione Consiliare, il fascicoletto fu omaggiato anche al presidente della Corte d’Assise che doveva giudicare alcuni componenti del sodalizio. È articolato in tre parti. Nella prima, incalzanti argomentazioni tacciano le forze della sinistra di «condurre un tentativo di sventare la costituzione di un fronte contro il lavoro, accusando la teppa di essere antioperaia». Nella seconda sono ripercorse le brevi vicende dell’O.C. ed individuate con lucidità le ragioni dello scioglimento del gruppo: i Consiliari – si legge – «divennero portatori di una delle tante ideologie: quella della teppa e del disadattamento». Viene anche rappresentato un ipotetico svolgimento del processo: «Alcuni imputati non comparvero scientemente, altri non seppero mai che era stato celebrato un processo a loro carico; i pochi che si presentarono lo fecero per ritrovare il buonumore smarrito. Volevano celebrare la parodia della giustizia». L’ultima parte, di pugno diverso da quello dell’estensore delle parti precedenti, è una gracile (ma altisonante) esortazione di «dover essere», che ruota intorno al roboante slogan: «criminali di tutto il mondo unitevi». (Pier Franco Ghisleni)
Volantino firmato “i compagni consiliari”, Torino 31 maggio 1971.
Versione a colori
I PROLETARI VOGLIONO IL COMUNISMO SUBITO!
Sabato è stato un giorno di festa proletaria. Per diverse ore abbiamo attaccato la realtà di merda che tutti (capitale, burocrati e falsi rivoluzionari) vorrebbero imporci. Il solito corteo del sabato pomeriggio è stato stravolto dall’intolleranza di un migliaio di proletari che si sono posti nella linea di lotta rivoluzionaria che da tempo si sta aggirando per il mondo e che come Detroit Stettino e Reggio insegnano, non dimostra il minimo rispetto per gli schemi ‟civili e democratici” imposti dal capitale ed accettati dagli pseudo‟comunisti”. Il proletariato crea nei momenti più alti delle sue lotte delle forme di autogestione comunista che indicano come la distruzione di tutto il vecchio mondo per la realizzazione del comunismo passa attraverso la violenza collettiva, il gioco della devastazione liberatoria e la rivoluzione nella propria vita quotidiana.
I proletari non vogliono riforme ma l’abolizione del lavoro.
I proletari non vogliono tutto (merda compresa) ma il meglio assoluto.
i compagni consiliari
cicl. in proprio
Torino 31.5.71
(la sede non è indicata per evitare devastazioni dei carabinieri)
DIDASCALIA IMMAGINE:
IL VOLTO OSCENO E GHIGNANTE DEL PROLETARIATO DISTRUGGE CON IL SUO APPARIRE IL MONDO MARCIO DELLA IDEOLOGIA
‟Di fatto, il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità e dalla finalità esterna; si trova quindi per sua natura oltre la sfera della produzione materiale vera e propria” (K. Marx, Il Capitale)
SUL RETRO: IL CAPITALE SGUINZAGLIA I SUOI CANI DA GUARDIA: LA STAMPA – IL P.C.I. – I SINDACATI E TUTTI GLI SCIACALLI CHIEDONO LA REPRESSIONE VIOLENTA DELLA FELICITÀ IN ARMI
Scritto di 5 pagine a opera di Valerio Bertello e Pier Franco Ghisleni.
«L’Organizzazione Consiliare era ormai dissolta e i due firmatari elaborarono questo estroso progetto editoriale nel dicembre 1971, durante una vacanza con le rispettive consorti a Bosia, paesetto delle Langhe, ospiti del Rifornimento Pance Vuote, locanda di Cesare, un emigrato nella Parigi degli anni Trenta, poi rimpatriato. Il dattiloscritto fu ciclostilato e diffuso, con le poste di Stato, in alcune decine di esemplari. Il progetto editoriale non ebbe attuazione.» (Pier Franco Ghisleni)
A.A.A. CERCASI LETTERATI,
INDISCUSSA FEDE PROLETARIA, QUINQUENNALE ESPERIENZA NON MILITANTE,
POSSIBILMENTE LOGORATI IN PRATICHE GRUPPUSCOLARI, ATTUALMENTE IN PREDA A
PROFONDA DISPERAZIONE, REFERENZE POLIZIESCHE CONTROLLABILI, FAMA DI PROVOCATORE
GRADITA, PER LA STESURA DI SCRITTI CONCERNENTI I MOMENTI NODALI DELLA VITA
QUOTIDIANA. INVIARE CURRICULUM PENALE.
a) Necessità dell’operazione.
1) Di ordine “politico”.
I rackets politici, in assenze di
lotte popolar-operaie rilevanti tentano oggi di trarre nuovo ossigeno dall’aggressione
di temi nuovi e tradizionalmente trascurati dall’operaismo e dal populismo. Molti
nuovi fronti di lotta sono stati aperti negli ultimi anni e molti stanno per
essere aperti. Il fronte leninista operai-soldati-contadini è stato dilatato
con l’inclusione di nuovi ceti ed esso comprende ora studenti, detenuti, sottoproletari,
hippies, donne, omosessuali, liberi professionisti, artisti, etc. Di alcuni di
questi ceti offertici dalla sociologia la cooptazione a fini frontisti è già avvenuta,
di altri se ne stanno mettendo in piedi le condizioni. L’America ha già offerto
un’anticipazione e colà il raggruppamento tradizionalmente più “politico” – il Black
Panther Party – ed il movimento underground si presentano come i due aspetti di
uno stesso fronte. Lo scimmiottamento dell’involuzione americana sta conducendo
in Italia alla farsa del tentativo di connubio fra la politica e l’underground.
Ciò potrà avvenire con diverse modalità. La meccanica più prevedibile è quella
che, muovendo dalla costituzione in partito unitario di alcuni gruppi ora
separati (L.C., P.O., il Manifesto) e dalla costituzione dell’underground in
partito informale (sull’esempio di Jerry Rubin), condurrà ad una conciliazione
ulteriore in un assembramento più vasto e più potente. Insomma dal connubio fra
politica ed underground si giungerà alla colonizzazione definitiva della vita
quotidiana. Ogni dialettica in tale operazione resterà bandita. Essa avverrà tramite
conciliazioni ulteriori ed al di fuori di ogni antagonismo, se non formale.
La vita quotidiana quindi, quella
tradizionalmente negletta dalla politica, verrà messa a sacco ed ingabbiata a
fini politici. La vita militante, quella tradizionalmente negletta dall’underground,
verrà stemperata come ruolo ripristinando vecchie lagne esistenziali.
Le riviste dell’erigenda nuova
sinistra già oggi incominciano a toccare i temi della vita biologica e sensoriale. Quelle politiche ascrivono l’infelicità
biologica e sensoriale ai rapporti di produzione eterorepressivi nei confronti
del proletario. Quelle underground la ascrivono all’”essere pig”, una specie di
vocazione autoimposta all’infelicità. Ma, tolta la testata, il lettore non
riesce più a distinguere concettualmente “Lotta Continua” da “Re Nudo”.
La nuova sinistra di cui si
scorgono i primi vagiti non sarà altro che il calderone dei ceti oppressi: le
donne rivendicheranno il loro donnismo, i
pederasti la loro emancipazione pederastica, gli hippies il fatto di
avere un udito per ascoltare musica, i drogati la necessità di avere la loro
fiala quotidiana etc.
Tutte queste minoranze verranno
sincreticamente congiunte sotto l’egida della nuova sinistra. Nessun contributo
verrà loro dato per emanciparsi dal minoritarismo se non un’indicazione vaga a
fare ricorso alla politica per perpetuare il proprio racket e permettergli
quindi di operare alla
luce del sole.
Un’operazione del genere va
sventata e certe acquisizioni teoriche ci permetteranno di giocare in
contropiede. Non bisogna più commettere l’errore in cui si è incorsi a
proposito degli ammutinamenti carcerari lasciando ai recuperatori il diritto di
menzogna (eccetto un brevissimo articolo sull’I.S. italiana, sull’argomento non
è comparso null’altro se non volgari menzogne ed oggi qualsiasi rettifica
sarebbe meno efficace che nel ’69.
Il ciclo biologico e sensoriale
dell’individuo, per ora oggetto di studi da parte della sociologia accademica e
specializzata, sta per essere invaso dallo sociobiologia politica e
sloganistica. Nessuno è caduto nella prima trappola, saranno in molti a cadere
nella seconda. Molti “rivoluzionari” ci lasceranno le penne. A meno che non si
riesca a sventare in anticipo la manovra.
2) Come
esigenza di chiarezza individuale.
Non si può più sopportare che certi temi
vengano eternamente messi in disparte con faciloneria o pascendosi in
formulazioni risolutorie precedentemente raggiunte, o facendo appello alle
leggi ineluttabili della natura, o rimandandoli al momento intimo ed
esistenziale dell’individuo, o spostando la loro soluzione alla fase del “comunismo
pienamente realizzato”.
Coloro che hanno alle proprie
spalle un curriculum “politico”, anche quando sono riusciti a realizzare la
critica concettuale della politica, esitano per lo più a passare alla critica
pratica. Passano dalla “disfatta della politica” alla “politica della disfatta”.
Tendono a ridursi al silenzio ed a ripetere la banalità quotidiana. Ciò perché
la critica della vita quotidiana non è stata ancora intrapresa, rimandandola al
futuro o relegandola nell’intimità. In alcuni l’esigenza di soluzione di alcuni
momenti della vita biologica e sensoriale è bensì presente, ma questa esigenza resta
sopraffatta dalla banalità quotidiana, perché essa non viene collegata al
momento della comunicazione. Certe esigenze esplosive restano insolute perché,
per quanto comunicabili, non riescono mai a diventare comunicate. Allora c’è
addirittura da dubitare se siano davvero comunicabili.
Per questo diciamo che l’esigenza
di comunicare queste tematiche non è un fatto libresco. Nessuna soluzione o
dissoluzione delle stesse sortirà da uno sforzo individuale anche se la proposta
della problematica lo è. L’operazione mira quindi a costituire un insieme di individui
che congiuntamente pongano in atto la critica della vita biologica-sensoriale e
non la isteriliscano nella propria individualità, dilatandola invece nella
comunicazione. Un “laboratorio” senza fissa dimora cui partecipino quanti reputino
invivibile oltre a quanto è stato finora dichiarato dalla tradizione
rivoluzionaria anche l’alienazione naturale presente, nonostante essa non la si
possa apparentemente ascrivere ad una causa sociale. Insomma l’intento è quello
di mettere sul tavolo tutte quelle ragioni di infelicità che paiono
ineluttabili e che solo un credente può sperare di vedere risolte dalla “rivoluzione”.
Ciò condurrà – è prevedibile fin d’ora – alla frantumazione del feticcio
rivoluzionario (in qualunque sfumatura verniciato) ed alla introiezione della
rivoluzione (quella oggettiva, esterna) nell’individuo, risolvendosi nella sua
condotta. Il sostrato teorico è dato dalla critica di tutti i dualismi e
dell’ingabbiamento del mondo da loro operato, e la riproposta degli stessi
quali antagonismi di una stessa
dialettica. Alcuni esempi: operai-capitale, lavoratori-refrattari al lavoro,
interno-esterno, bene-male, pensiero-azione, desiderato-vissuto, Dio-uomo, uomo-donna,
ragione-istinto, etc.
Ed infine, in parole povere ,
ci si è accorti che le contraddizioni più dolorose in alcuni di noi non legati
a ruoli sociali cronici, né particolarmente opprimenti erano proprio quelle considerate
naturali ed ineluttabili: l’infelicità procurata dal sesso, la condanna sociale dei brutti, la paura
della morte, il dolore della malattia, l’estraneità rispetto al regno vegetale,
animale e cosale, il ruolo di vecchio, di bambino, di maschio, di femmina etc.
Specialmente per questo vogliamo prendere la parola su queste questioni e non
da soli.
b) In che modo l’operazione può non cadere nella
politica.
Non è possibile oggi esprimere altro che il grado
di dilatazione del nostro io in via di ricostruzione: esso è l’indice più
sensibile del costituirsi del proletariato in classe. Ciò che è possibile a noi
stessi è possibile ad ogni altro, ma non è vero il contrario: può accadere di
dover constatare un nostro ritardo in ogni momento accertabile. Tale grado di
dilatazione si manifesta in ogni realtà vissuta e quindi con modalità diverse,
ma la condotta, quella sì, rimane unitaria. Queste realtà vissute esprimono
apprezzamento verso noi stessi – e quindi una spinta verso
una vita sempre tesa in direzione del meglio assoluto – ed intolleranza verso il
sistema, sistematico organizzatore della morte quotidiana.
Nel momento in cui abbiamo deciso di esprimerci
con la carta stampata, non per questo la nostra condotta varierà, né il tramite
divulgativo potrà essere scisso, pur nella sua particolarità, dalla condotta. La forma
letteraria di queste realtà vissute impedirà che queste siano distinte da ogni
altra nostra forma di espressione: anzi si
illumineranno reciprocamente. Questo affinché l’iniziativa non divenga soltanto un’impresa
editoriale e la nostra vita quotidiana un’espressione
vitalistica.
Se è vero che la linea di classe passa all’interno dei singoli
individui e che il conflitto generale fra vita e non vita è introiettato da ognuno, il punto di partenza per una corretta impostazione è questo: dobbiamo
essere i narratori della parte proletaria di noi stessi. Il che è ben diverso sia dal vecchio populismo russo che
da quello moderno alla Balestrini.
In secondo luogo è necessario far
cadere la barriera fra l’individuo ed il mondo esterno, quello dei fatti, se
non si vuole recuperare un’astratta “dignità ed unicità dell’individuo”, né
collezionare fatti a noi estranei in quanto li si
coglie come fatti che non ci riguardano. Evitare questi rischi significa
soprattutto evitare di vivere in un armadio.
Ciò impedirà principalmente che la “forma letteraria” della nostra vita reale
stampata sia principalmente il saggio erudito, cioè un tentativo sempre frustrato di fissare uomini e cose in uno schema definitivo e definente, e pertanto fittizio.
Poiché la dialettica rivoluzionaria ha luogo
quando la vita si immette nel sociale e la socialità nella vita, il nostro
intento è quello di esprimere tale evidenza, mentre il
saggio analitico-dimostrativo servirebbe soltanto a dimostrare i nostri ritardi.
Ma questo ritardo lo si può avvertire anche in altri modi quando viene adottato
il tono o la forma persuasiva, o esortativa, o
perentoria, o irosa, o sloganistica, o descrittiva, o comunque noiosa, oscura,
involuta. Le persone colpevoli di ciò andranno poste di fronte alle loro
responsabilità col rigore di sempre.
Infatti questi moduli espressivi sono tipici della
letteratura e della tradizione politica e rispecchiano gravi carenze e spesso
palesi tradimenti. In breve, quelle descritte sono le
formule del modulo di espressione della politica specialistica (politica = arte
del possibile = arte di porre limiti agli individui con l’arma, se possibile,
della parola); ciò va evitato tenendo presente che il nostro
fine è quello opposto: evidenziare che non esistono
limiti alla crescita qualitativa della vita.
Come indicazione generica sarà bene che la parola
scritta non sia diversa da quella parlata e vissuta e che quindi il
“genere letterario” sia analogo ad alcuni classici come il dialogato,
il monologo teatrale, l’epistolario, la biografia, ed altri modi espressivi come
l’articolo giornalistico, il diario, l’invettiva, il prontuario ed altri da
inventare.
È però necessario comprendere che non è possibile fare
l’esatto opposto di ciò che si è fatto finora per ottenere risultati diversi. Infatti non
sarebbe possibile ottenere buoni risultati rovesciando l’astratta
obiettività ed il realismo del saggio, per poi adottare uno stile
delirante ed onirico; ciò è avvenuto in passato ed ha scardinato il
razionalismo della politica il che ci permette oggi l’acquisizione di un
livello superiore di comprensione.
Quanto detto è ancora
insufficiente per definire uno stile di espressione adeguato ai temi vitali che
ci proponiamo di trattare, ma una chiara consapevolezza di ciò che occorre
evitare potrà esserci di valido orientamento.
Da tenere presente inoltre che uno
“stile” che non svilisca i “contenuti” potrà essere
adottato solo se i contenuti sono per noi veramente vitali. Se ciò non è vero nessuna
analisi potrà indicarci qual è la strada migliore.
I temi che la visione
materialistico-volgare della politica ha trascurato sono ad esempio la nascita,
la morte, la natura, il sesso, la vecchiaia, la malattia e la deformazione, il
sonno e la veglia, il tempo, lo spazio e molti altri.
Tali temi sono stati campo
incontrastato dei tromboni della cultura accademica, mentre i politici amanti
della pratica hanno sempre disdegnato di curarsene senza avvedersi che oggi il
momento naturale e quello sociale dell’alienazione non sono più distinguibili
essendosi materializzati negli individui; per cui gli scrittori politici hanno
sempre rivolto la loro attenzione a temi più “concreti” (salario, sfruttamento,
lotta di classe, etc.) e più comprensibili al popolo.
Ora però che il capitale si è fatto uomo e
natura investendo la sfera del biologico, non è più possibile se non per conclamata malafede trascurare
tali soggetti.
Ciò in quanto, tra l’altro, il ricatto del
capitale sugli individui è fondato sulle soluzioni che esso fornisce ai
problemi di ordine biologico-sensoriale, soluzione che non è altro che la “produzione
della vita”, accompagnata dalla divulgazione di
modelli di comportamento e dalla falsa credenza che tali soluzioni siano le
migliori e le uniche possibili.
Altri temi sono già stati trattati ampiamente dalla
letteratura di sinistra, da un punto di vista parziale per lo più politico od
economistico; essi andranno nuovamente affrontati con un taglio che li leghi
unitariamente ai precedenti fornendo una soluzione praticabile subito
individualmente e collettivamente. Tali soggetti sono: il matrimonio, i figli, il
lavoro, la violenza, le istituzioni, la musica, il tempo libero ed altri.
Per questi ultimi sarà estremamente difficile fare
e dire qualcosa di nuovo, ma nonostante ciò tale impresa va iniziata senza
ritardi.
Risulta da questa bozza che i firmatari ed alcuni
altri intendono mettere in piedi una collana di pamphlets intorno agli
argomenti suesposti. Si è ben consapevoli delle difficoltà cui si va
incontro; e non tanto delle difficoltà tecniche isolatamente prese che sono
facilmente appianabili quanto del fatto di risolvere tecnica, divulgazione,
elaborazione, stile in modo unitario e non in momenti logicamente separati. Si è consapevoli
inoltre della necessità che più persone collaborino all’operazione, anche se
non si intende commettere l’errore di volere preordinare tutto assemblearmente ed
in anticipo.
Per cui si vorrebbe fare sì che ogni lavoro sia il
risultato di un’elaborazione collettiva; non solo, ma anche di una convergenza il
più possibile estesa verso condotte materiali comuni. Quindi si richiede ai
compagni destinatari di questa lettera di cercare di entrare in contatto nei
modi più proficui con i mittenti.
Volantino antilaborista diffuso a Torino in occasione del corteo del 1° maggio 1971. Il tono franco e spontaneo del testo, e la sua originale giustificazione tipografica, ottenuta con l’impiego ripetuto del simbolo di “=” (uguale), inducono ad attribuirne la paternità a Carlo Ventura. (Pier Franco Ghisleni)
INDIRIZZO AL POPOLO LAVORATORE ABBRUTITO DALLA PRATICA DEL LAVORO ED ACCECATO DALLA SUA IDEOLOGIA, AFFINCHÉ SCACCI DAL CUORE E DALLA MENTE OGNI AMORE PER QUESTA ABERRAZIONE, FONTE DI TUTTE LE MISERIE E PONGA IN ESSERE LA SUA CONCRETA DISTRUZIONE
Forse che non verrebbe considerato stolto chi, chiuso in una cella di una orribile prigione, benedicesse i suoi aguzzini ringraziandoli perché gli danno tetto e cibo sicuro?
E dieci volte stolto qualora, covando la ribellione nel suo cuore, egli affidasse le sue sorti ai cappellani del carcere, il cui programma fosse il miglioramento delle celle o, al massimo, l’autogestione dei detenuti del carcere stesso?
E cento volte stolto qualora, dimentico di ogni libertà, pensasse che l’unico mondo possibile è quello delle sua orribile prigione e scambiasse i latrati dei cani da guardia per annunci della sua liberazione?
E mille volte stolto qualora, periodicamente ed in unione con altri infelici suoi pari, formasse delle processioni per inneggiare alle grandi conquiste dei prigionieri ed alla libertà, sotto il complice occhio di un direttore benevolo?
Non c’è chi non possa vedere in costui ogni segno della peggiore demenza. Ma c’è poco da rallegrarsi poiché il POPOLO LAVORATORE è come il nostro prigioniero demente. È facile capirne il perché. Basta cambiare alcuni termini:
CELLA=FABBRICA / PRIGIONE=SOCIETà / AGUZZINI=FUNZIONARI DEL CAPITALE E SUOI SGHERRI / CAPPELLANI=PARTITI E SINDACATI / LATRATI=SLOGAN PSEUDO RIVOLUZIONARI SCANDITI PERIODICAMENTE DA GIOVANOTTI DI SINISTRA
La liberazione dal lavoro è la condizione preliminare per il superamento della cosiddetta SOCIETÀ DEI CONSUMI e per l’abolizione nella vita di tutti della separazione tra TEMPO DI LAVORO e TEMPO LIBERO (in realtà il TEMPO per gli individui non esiste se non come quantità vendibile e consumabile e mai come libertà assoluta di organizzare il proprio piacere).
LA NECESSITÀ DELLA RIVOLUZIONE TOTALE È STORICAMENTE POSTA ALL’UMANITÀ
La concentrazione capitalista dei mezzi materiali ed ideologici e la sua distribuzione sociale si trova di fronte sempre più minacciosa l’INSODDISFAZIONE crescente di tutti.
La società del capitale promette ma non può mantenere. Non può mantenere alcuna promessa di felicità poiché il suo fine stesso (produzione) ed i suoi mezzi (lavoro etc.) sono chiaramente OPPRESSIVI.
I proletari stanno lanciando la sfida alla società e non per una società DIVERSA o MIGLIORE ma per l’abolizione di OGNI SOCIETÀ (intesa come agglomerato di individui-merci retti da uno scopo ad essi superiore).
I PROLETARI LOTTANO PER IL COMUNISMO SUBITO
NON VOGLIAMO TUTTO merda compresa VOGLIAMO IL MEGLIO ASSOLUTO
I CONSIGLI PROLETARI (strumento del POTERE ASSOLUTO DI CIASCUNO SULLA PROPRIA VITA) stanno per sorgere sulle rovine di ogni potere separato. La felicità in armi esige di prendere il posto dell’infelicità oggi esistente. La distruzione del dominio del capitale e dei suoi strumenti è l’unica FESTA che il proletariato può desiderare.
È TEMPO DI INIZIARE CONCRETAMENTE LA LOTTA PER UN 1° MAGGIO PERMANENTE, CIOÈ PER L’ABOLIZIONE DEL LAVORO E DEL TEMPO CAPITALISTA.
CHI AMA IL LAVORO
È UN MASOCHISTA
O SI CHIAMA CAPITALE
Testo firmato Gli amici dell’INTERNAZIONALE, Torino, 4 febbraio 1971.
Volantino infarcito di elementi linguistici tardosituazionisti. Non è un elaborato dell’Organizzazione Consiliare. Potrebbe essere attribuito ad un cenacolo di 3-4 persone, allora attivo in un appartamento del Lungo Dora torinese, animato da una giovane donna, tale C.M. (P.F.G.)
LE BOMBE DI CATANZARO SONO ESPLOSE CONTRO IL PROLETARIATO
“Lo stato è sempre al di sopra di ogni sospetto” (da un diario segreto di un agente di P.S.)
Compagni,
lo sciopero generale, lo
scatenamento della guerriglia, le barricate permanenti, ancora una volta
suonano a morto alle orecchie sensibili della borghesia e dello stato capitalista.
In questi giorni il governo, spalleggiato dal partito cosiddetto comunista,
specializzato in repressioni proletarie (esperienze accumulate in oltre 50 anni
di complicità con le dittature sul proletariato dei partiti comunisti nei paesi
cosiddetti socialisti e di astuzie sindacali repressive), ha già fatto scattare
il suo goffo e macabro piano di annientamento della rivolta di Reggio.
Sono di questi giorni le intimidazioni
violente, le bombe provocatorie e poliziesche destinate a tramortire la rivolta
per il tempo necessario a ripristinare l’ordine. La borghesia italiana, dopo
avere tentato invano una repressione a freddo, è costretta a iniziare una
strage a caldo.
Per la prima volta, dopo le
episodiche rivolte di Avola e Battipaglia, una intera città, nel cuore dello
sfruttamento capitalistico, ha organizzato in modo permanente la propria
insurrezione.
Nello scandalo permanente di
una città che, mantenuta in un vero e proprio stato d’assedio si è
selvaggiamente ammutinata, annientando ogni potere statale ed amministrandosi
da sola, i padroni di oggi vedono minacciosamente prefigurarsi la loro
sconfitta di domani. Gli organi burocratico-amministrativi del dominio
capitalistico sono stati ripetutamente saccheggiati e ridicoleggiati dai
proletari rivoluzionari di Reggio. E così l’apparato propagandistico borghese
(radio, televisione, stampa di destra e di sinistra), nel tentativo disperato
di dare a tutti i costi una ragione per lui accettabile del crollo degli organismi
burocratici, economici e sociali, s’invischia in penose contraddizioni e ricorre
a calunnie sempre più spinte. I proletari di Reggio devono essere trasformati
in “squadracce fasciste” (che terrorizzerebbero i bravi cittadini desiderosi di
riprendere al più presto il loro onesto lavoro); si tenta così di prendere
sempre lo stesso piccione con due fave: utilizzando propagandisticamente il miserabile
tentativo di strumentalizzazione da parte di neo-fascisti e contemporaneamente
accreditando la versione interessata degli stalinisti del P.C. sul pericolo
fascista, come arma per coprire ogni voce che non sia quella al soldo dei
padroni.
La
smentita di queste calunniose mistificazioni è venuta cori l’adesione massiccia allo sciopero generale, con il corteo di diecimila persone
sanguinosamente attaccato da
polizia e carabinieri e con le
scritte popolari contro lo stato e la polizia.
I due
poli dell’ideologia capitalista,
quello padronale e quello riformista, si
completano a vicenda. Insieme all’Unità è il giornale di Agnelli
il più coerente ed ostinato nel dipingere la rivolta di Reggio con le tinte
dell’arretratezza semifeudale e
del nostalgico impossibile ritorno al passato. La borghesia di oggi rispolvera l’ideologia
dell’arretratezza ideologica del Sud, in nome della quale lo stato capitalista borghese, meno di cento
anni fa, represse coll’esercito i contadini insorti contro la condanna allo sfruttamento e alla miseria che i padroni
del nord avevano decretato per
loro.
Allora
l’unità d’Italia serviva
ai padroni capitalisti per unificare lo
sfruttamento, articolando territorialmente i modi dello sviluppo
industriale sulla base delle esigenze del profitto.
Oggi invece è contro l’unità
reale del proletariato rivoluzionario che è costretta a difendersi la borghesia
attuale.
L’ideologia borghese dell’arretratezza del Sud mostra di essere in
realtà l’arretratezza dell’ideologia.
La nuova epoca rivoluzionaria
riporta sulle strade e sulle piazze i vecchi nodi storici, perché solo i
problemi più antichi permettono di scoprire le soluzioni più moderne e radicali.
COMPAGNI OPERAI, nella ripresa
produttiva e delle altre attività burocratico amministrative, governo e padroni
concordano nel riconoscere il “ritorno alla normalità”; il ritorno cioè dell’unica
normalità che essi ammettono: quella che li mette in condizioni di sfruttare ed
esercitare un dominio totalitario.
PROLETARI RIVOLUZIONARI ! non
lasciatevi ingannare né da chi vi sfrutta in luoghi di pena chiamati fabbriche,
né dalle canaglie del P.C., le quali hanno mostrato sì di essere all’avanguardia,
ma non della classe operaia, come sostengono, bensì della repressione ad ogni
costo e della menzogna sistematica.
Il potere ha oggi bisogno di
falsi nemici per nascondere quelli veri che annienteranno ogni potere separato:
i proletari-rivoluzionari.
Reggio, a tre riprese
successive, sia pure tollerando troppe confusioni al suo interno, si è
ammutinata cancellando il potere dello stato e dei partiti, calpestando e
prendendosi gioco dei recuperatori e becchini della sua rivolta (il Poliziotto Santillo
ha difeso Ciccia Franco che, cercando di placare le acque, è stato scavalcato più
volte dalle assemblee popolari; l’armatore Matacena che ha partecipato al corteo
delle diecimila persone è stato spazzato via dai proletari allorché cercava di fermare
la folla scatenata contro la polizia. Per questo gesto “civile” il “Corriere
della sera” lo ha elogiato.)
È perché i proletari di Reggio
hanno messo praticamente fuori legge
i partiti e lo stato, che lo stato e i Partiti sono costretti a dichiarare
Reggio intera fuori legge. In realtà
è loro esistenza legale che sono
costretti a difendere.
L’esempio di Reggio che oggi
angoscia il fronte unito della borghesia italiana, non mancherà di essere
raccolto e sviluppato dagli operai selvaggi del Nord.
I giornali fascisti, citando le
scritte dei cartelli sulle barricate: “Reggio come Praga e Danzica”, ostentano
per Reggio la stessa stupida allegria che ostentavano pochi giorni fa per la
rivolta di Danzica e Stettino. S’illudono certamente che il proletariato
rivoluzionario annienti la dittatura del partito cosiddetto comunista per
sostituirne una più congeniale alla loro ideologia. Ma il Soviet operaio che per
tre giorni a Stettino ha riunito in sé tutti i poteri di decisione e di esecuzione,
organizzando l’armamento del proletariato contro la polizia e i burocrati del
P.C., s’incarica di schernire i miserabili tentativi di recupero ideologico di
destra e di sinistra.
A Stettino, come già a
Kronstadt, a Torino nel 1921 e in Ungheria nel 1956, si è dimostrato quale forza
i proletari rivoluzionari possano avere riuniti insieme in consigli operai
autonomi, ma anche (poiché la rivoluzione non ha vinto definitivamente) i
limiti che questi hanno avuto nella misura in cui non si è riusciti a
generalizzare questa esperienza e a smascherare tutti i burocrati,
sindacalisti, leaders-vedettes o sedicenti avanguardie, come ultimi rigurgiti
del vecchio mondo che tenta il loro di sopravvivere, cacciandoli definitivamente.
Compagni, le bombe di Catanzaro
costituiscono un’ulteriore articolazione del piano di annientamento premeditato
della rivolta di Reggio. Se la strategia delle bombe non sarà sufficiente a
tramortire la rivolta, l’esercito è già pronto. A CATANZARO, COME GIÀ A MILANO,
LE BOMBE SONO ESPLOSE CONTRO IL PROLETARIATO ITALIANO.
VIVA i proletari rivoluzionari
di Reggio Calabria!
VIVA lo sciopero selvaggio dei
ferrovieri!
VIVA il granducato di Sbarre!
VIVA il granducato di Sbarre!
VIVA i compagni che nelle
fabbriche di tutt’Italia stracciano la tessera del P.C.I. e del sindacato!
VIVA le lotte selvagge degli
operai nelle fabbriche del nord!
VIVA IL POTERE ASSOLUTO DEI
CONSIGLI OPERAI!
Compagni: non lasciatevi
fermare qui: il potere e i suoi alleati hanno paura di perdere tutto; noi non
dobbiamo avere paura di loro c soprattutto non dobbiamo averne noi stessi: “non
abbiamo da perdere che le nostre catene e tutto un mondo da guadagnare”.
Volantino fronte/retro. Al recto violenta polemica per un accordo Fiat-sindacati, con insulti al direttore del personale pro tempore, Umberto Cuttica, ed ai sindacati che hanno approvato l’accordo per un aumento salariale di 5mila lire. Al verso surreale strip antisindacale, presa da qualche magazine satirico francese (Hara-Kiri? Charlie Hebdo? Actuel?) ma con lettering modificato. Diffuso agli stabilimenti Fiat di Lingotto e Mirafiori. (P.F.G.)
Lettera senza data. Scritta dalla latitanza da Carlo Ventura, Riccardo d’Este, Ada Fusco e M. Repetto, per il nucleo viaggiante ‟Agostino ’o pazzo” aderente all’Organizzazione Consiliare.
COMUNICAZIONI
DI DUE ASSENTI FORZATI E DELLE LORO COMPAGNE AI MEMBRI TUTTI DELL’ORGANIZZAZIONE
CONSILIARE
La nostra assenza forzata,
resasi necessaria onde sottrarsi al braccio della legge con i suoi intenti
provocatori, non deve assolutamente influire in modo negativo sull’attività
teorico-pratica dell’O.C. Deve invece indurirei e spingerei in modo ancora più
reiterato e rivolto in maniera non equivoca alla completa realizzazione del
progetto di distruzione del sistema sociale esistente.
È pertanto buona cosa che dei
compagni debbano latitare perché si sono dimostrati coerenti con le tesi
formulate; sarebbe però pessima cosa se questo portasse ad una stasi (momento
di riflusso) sia nei latitanti sia in coloro che restano. Il nostro essere
“organizzati” deve saper far fronte a questa contingenza, ed uno dei nostri
maggiori compiti è quello di stravolgere il disegno poliziesco che, colpendo
coloro che essi – con ottusità tipica
dei servi – considerano i “capi”, vorrebbe costringere così tutti gli altri ad
una posizione di difesa. Bisogna pertanto inficiare il programma repressivo il
cui fine non è necessariamente quello di sbatterci in galera (ma anche questo, beninteso,
se gliene si offre la possibilità) ma quello invece di togliere fuori dalla
mischia coloro che, a loro avviso, sono tra i più facinorosi onde acquietare la
virulenza rivoluzionaria dell’O.C. tutta.
D’altra parte noi tutti ci
attendevamo la risposta dura del sistema non appena la nostra azione si fosse
misurata direttamente con il reale, cercando di smuoverlo ed attaccarlo. Ed
oggi sarebbe errato meditare su eventuali “errori tecnici”, poiché solo con una
continuità eversiva sempre più dura ed organizzata sarà possibile evitarli e
darci quella struttura per nuclei violenti che tutti aspettiamo e che la
situazione storica presente sempre più richiede.
È importante quindi assumerci
sino in fondo la paternità rivoluzionaria (ma non soltanto coram populo, ma
ancor più nell’intimo dei nostri cuori) dei gesti sinora compiuti e di tutti
quelli che, con una giusta scalata, vorremo compiere. Così come è indispensabile
vigilare sulla teoria affinché essa sia sempre uno strumento affilato nelle
mani dei rivoluzionari e non si trasformi nell’ideologia della “lotta politica”
e nello spettacolo di noi stessi, quali attori qualsivoglia sul palcoscenico
del sinistrismo e del recupero. La disfatta dei recuperatori è possibile solo
avendo sempre reazioni spropositate (in base alla spropositatezza delle nostre
posizioni teoriche) rispetto a ciò che si attendono i registi della politica. Sconfiggiamo
dunque il disegno poliziesco (cui si prestano i politici, nessuno escluso)
continuando in maniera pertinace la critica teorico-pratica di tutto
l’esistente e dimostrando al capitale ed ai suoi cani da guardia che la
contingenza (due membri coscienti latitanti) non muta l’essenza dell’O.C. il
cui compito rimane la vigilanza teorica e l’eversione violenta, non
trasformando la pratica dell’omogeneità in un “soccorso rosso” sterile ed
impotente.
A questo punto però è
necessario realisticamente trovare le nuove articolazioni, nuove perché la
situazione è diversa, con le quali sia noi che voi possiamo collaborare
attivamente e creativamente al medesimo progetto.
I nostri compiti nella situazione
attuale potrebbero essere:
– elaborazione di testi
fondamentali (opuscoli etc.) ed articoli per Acheronte non esclusi i compiti
più squisitamente redazionali (ci è possibile farlo data la grossa quantità di
tempo, sia pur borghesemente inteso, che abbiamo a disposizione).
– contatto con consiliari
incoerenti e gente varia in diverse città d’Italia (Genova, Roma, Firenze
etc.), onde addivenire alla formazione di O.C. sul tessuto nazionale. A questo
proposito non sarebbe cattiva cosa se vi deste da fare per reperire il maggior
numero di indirizzi e notificarceli o, addirittura, ci fissaste voi
direttamente degli incontri (ciò per essere certi di trovare qualcuno e non
perdere tempo, oltre al rischio di dormire negli alberghi). (Nota: se il
progetto riesce dovremo ringraziare il sistema che con un’azione di forza ci ha
sradicati da Torino in cui, bene o male, c’era il rischio di fossilizzarci, di
porci in una condizione paraburocratica e di chiudere un po’ troppo il nostro
orizzonte (che invece, come tutti sanno, non è altro che una linea
immaginaria).
I vostri compiti,
evidentemente, non possono mutare da quelli già precedentemente e comunemente
fissati. D’altra parte (e lo faremo presto con testi acconci) pensiamo sia
corretto che noi stessi, nella n1isura possibile, partecipiamo alle vostre
scelte non solo teorico-metodologiche, ma anche pratico-organizzate. Questo per
mantenersi comunque conformi, nonostante le difficoltà, alle tesi relative alla
trasparenza ed all’interscambiabilità dei membri.
Comunque, per ora, pensiamo che
sia indispensabile:
1) far funzionare immediatamente
i nuclei di intervento, collegandoli al più generale problema dei nuclei
abitazionali. Sarà necessario interrompere sine die i rapporti con tutti
coloro, che, pur manifestando simpatia o addirittura adesione all’O.C., non si
impegnino (secondo le proprie capacità ed inclinazioni) attivamente al
programma dell’O.C.
2) rendere sempre più autonomo
il lavoro di nucleo, ferme restando scadenze comuni (che vanno peraltro
intensificate) come assemblee, azioni collettive, pubblicazioni etc. A questo
fine sarà inevitabile una ristrutturazione quantitativa dei nuclei (quello di
intervento operaio contro il lavoro ed il suo tempo morto, ad es., è
insufficiente) e soprattutto una intensificazione degli interventi, in modo da
non cadere nella trappola burocratica delle “scadenze politiche” ma imponendoci
noi stessi le nostre scadenze.
3) svolgere un fitto lavoro di
propagazione di teoria con azioni idonee e diffusione di testi, non soltanto
per “reclutare’” compagni ma soprattutto per impedire la messa in atto di
calunnie che vanno respinte con il massimo rigore, così come tutte le
provocazioni anticonsiliari (contro tutta l’O.C. o contro suoi membri) vanno
soffocate con la violenza pratica, nonché teorica.
4) intensificare la vigilanza
all’interno dell’O.C., non solo per smascherare con metodi acconci (il migliore
evidentemente è quello della massima socializzazione della propria creatività)
delatori, provocatori, infiltrati vari, ma, del pari, per smascherare, bollare
e quindi scacciare i pavidi, i volontariamente inetti, gli ottenebrati cronici,
gli ideofagi, i “compagni di strada” (peggio delle troie), gli opportunisti, i
dogmatici etc.
Su tutti questi argomenti (e molti
altri, più specifici ancora) ritorneremo più diffusamente altre volte, con
regolare periodicità (2-3 lettere settimanali, più i vari testi teorici).
Al fine del regolare
svolgimento dei nostri rapporti epistolari vi consigliamo, per non oberare
eccessivamente alcuni compagni più diligenti, di nominare un nucleo ruotante di
corrispondenza ed informazione, in modo che più persone, volta a volta, si
impegnino in questo tipo di lavoro che, se andassero a buon fine i contatti con
altre città, potrebbe diventare un punto essenziale.
È peraltro evidente che tutti
coloro che intendono scriverci per loro conto ci faranno molto contenti.
W LA TEPPA ROSSA ORGANIZZATA
W IL POTERE ASSOLUTO DEI
CONSIGLI PROLETARI
W IL PIACERE DELLA RIVOLUZIONE
E LA RIVOLUZIONE DEL PIACERE.
Per il nucleo viaggiante
“Agostino ’O PAZZO”
aderente all’Organizzazione
Consiliare:
C. Ventura, R. d’Este, A.
Fusco, M. Repetto.
P.S. Gradiremmo notizie sulla
lotta antiGennero del nucleo Babeuf.
((POSTILLA IMPOSTA DA CARLO:
Nel caso la latitanza perdurasse
per molto tempo (un mese o più) potremo svolgere, e di questo se ne occuperebbe
Carlo in maniera specifica, una“consulenza”
sui problemi personali e di vita quotidiana di qualunque genere.
1) un
aiuto concreto
a voi nella vostra continua critica del vecchio mondo e delle sue miserie, vista la provata esperienza di Carlo e
Riccardo e la loro continua
disponibilità ad aiutare ogni compagno che si trovi in difficoltà, poiché essi pensano che la risoluzione di un
problema, anche se “personale”,
superi la contingenza della persona stessa e debba venir socializzato tra tutti i rivoluzionari.
2) servirebbe inoltre a rendere
meno isolati due “esiliati” ed a far loro sentire più da vicino la presenza
dell’organizzazione la quale li tiene in considerazione non soltanto per motivi
squisitamente politici.
PERCIÒ SCRIVETECI.
P.P.S. Mandateci l’indirizzo di
Sergio ed altri indirizzi che voi reputiate a noi utili.
Volantino diffuso (1970) probabilmente alla Fiat Mirafiori contro un piano di riorganizzazione del lavoro in fabbrica, proposto dai sindacati. L’epilogo dello scritto è un’istigazione al luddismo. (Pier Franco Ghisleni)
Volantino diffuso in ambito aziendale (probabilmente Fiat Lingotto) di istigazione al sabotaggio. Senza data.
SLEALTÀ CONTRO IL PADRONE
Compagni, domani lo sciopero indetto dai sindacati dà
inizio ad un nuovo ciclo di lotte operaie dalle quali otterremo, nel migliore
dei casi, alcuni vantaggi economici subito recuperati dal padrone con un
aumento dei prezzi, mentre in sostanza non sarà cambiato nulla. L’UNICO
VANTAGGIO SARÀ DI NON LAVORARE PER QUALCHE GIORNO.
Ma se i sindacati vogliono più soldi per gli operai,
garantendo però la produzione al padrone, gli operai devono impadronirsi di più
soldi e ridurre al minimo la produzione. Ma lo sciopero così come viene
effettuato serve a poco: tutti sappiamo infatti che lo sciopero dichiarato dai
sindacati lealmente e col dovuto preavviso ha un’efficacia limitata in quanto:
1) Dura poco ed il numero di ore annuali è
preventivato dal padrone come tutti gli altri costi.
2) Il padrone conosce già in precedenza le nostre
possibilità di resistenza.
3) È una forma di lotta leale, a viso aperto, in cui
non diamo al padrone la produzione ma nello stesso tempo perdiamo una parte
proporzionale di salario mentre il padrone, anche se resta privo della
produzione, non perde immediatamente soldi. Inoltre ciò che perde può
recuperarlo col taglio dei tempi quando alla fine dello sciopero si torna alla
“normalità produttiva”.
MA LA LOTTA DI CLASSE NON CONOSCE REGOLE; se il
padrone non ha scrupoli neanche noi non ne abbiamo. Ogni possibilità di lotta
ci va bene, specialmente se non ufficiale. Sabotaggio e non collaborazione
vanno bene, come hanno fatto i compagni della Mirafiori che hanno invaso un
sottopassaggio di olio e come fanno ogni giorno centinaia di operai con mille
trucchi. Oltre a ciò si è dimostrato efficace l’ASSENTEISMO che per di più non
comporta alcun rischio. Ogni giorno molti di noi si mettono in mutua e sono pagati
quasi per intero (dal prossimo anno lo saranno completamente). Questo modo è
sleale, non tiene conto delle regole, ma proprio per questo danneggia il
padrone: l’unico che ci perde è lui, in soldi ed in produzione. Noi non
perdiamo nulla ma guadagniamo tempo liberato dalla MALEDIZIONE DEL LAVORO. A
questo punto dobbiamo incominciare a metterci in mutua in massa tenendo però
conto di alcuni rischi:
1) I capi possono spostare i presenti al posto degli
assenti e farli lavorare di più.
2) Si tratta, come lo sciopero, di una lotta di difesa
e non di attacco; difesa dalla fatica, dalla noia, dall’oppressione della
fabbrica se la nostra assenza è limitata e non definitiva. L’assenteismo, per
dare più danno al padrone e più piacere a noi deve essere organizzato:
1 – Occorre mettersi d’accordo con tutti quelli che
fanno lo stesso lavoro così che i capi non possano sostituirli (ad esempio
tutti i saldatori di un reparto, tutti gli elettricisti della manutenzione,
etc.) provocando l’arresto di interi reparti.
2 – Non andare a lavorare altrove quando si resta in
mutua: è inutile togliere la produzione ad un padrone per darla ad un altro.
GLI ASSENTEISTI DEVONO INVECE TROVARSI PER MEGLIO ORGANIZZARSI E PER TROVARE
FORME DI LOTTA SEMPRE PIÙ EFFICACI.
3 – Se i capi ci minacciano facciamo in modo che anche
loro si assentino: ASPETTIAMOLI FUORI E METTIAMOLI IN MUTUA PER ALMENO OTTO
GIORNI SALVO COMPLICAZIONI. LA LOTTA È EFFICACE QUANDO è DURA, SLEALE, INCIVILE
(ODIAMO LA CIVILTÀ DEI PADRONI).
Finché la fabbrica è dei padroni e sono loro ad
imporci la produzione LA FABBRICA NON CI SERVE; quando sarà nostra e solo
allora potremo usarla per le nostre esigenze.
CONTRO I CAPI, CONTRO LA FABBRICA, CONTRO LA
PRODUZIONE,
Nove tesi dell’Organizzazione Consiliare, Torino 28 novembre 1970. Il testo, che sarà incluso nel secondo numero di Acheronte, erige la turris eburnea che separa i Consiliari da ogni altro individuo. Può anche essere letto come una sorta di decalogo iniziatico, plausibilmente attribuibile a P. F. Ghisleni.
L’AFFERMAZIONE DEL QUALITATIVO ED I NOSTRI COMPITI 1. L’Organizzazione Consiliare, consapevole di non poter esprimere, in questa fase della lotta contro tutti i poteri, altro che la volontà e la coerenza eversiva dei propri membri, non intende ergersi a rappresentanza emblematica del proletariato cosciente poiché essa non mira a gestire l’intermittenza delle lotte attuali, bensì a determinare l’organizzazione della permanenza eversiva, in tensione evidente verso l’instaurazione del Potere dei Consigli Proletari. 2. L’O.C. non intende nemmeno costituire un’avanguardia permanente del proletariato cosciente; l’O.C., o la sua eventuale continuatrice storica, non si scioglierà neanche nel movimento reale nel momento dell’emergere dei Consigli; suo compito, in tale fase, sarà quello di permettere la crescita ed il consolidamento dei consigli stessi smascherando ogni rigurgito stalinoideocratico tendente a bloccarne lo sviluppo. Solo l’autogestione generalizzata, compiuta mediante il potere assoluto dei Consigli, condurrà allo scioglimento definitivo di ogni organizzazione consiliare poiché la felicità in armi saprà porre argine alla speranza ormai disarmata. 3. L’O.C., pertanto, non può intrattenere rapporti con nessuna organizzazione che non riconosca come unico compito l’instaurazione del potere assoluto dei Consigli Proletari e che non miri quindi alla volontaria e consapevole determinazione di forme organizzative pre-consiliari racchiudenti già in sé, tuttavia, mediante l’abolizione di ogni separazione fra l’economico, il politico, il sociale ed il privato, la tendenza verso l’autogestione generalizzata. 4. L’O.C., inoltre, non può intrattenere rapporti nemmeno con coloro che boicottano ogni forma di organizzazione in nome di una presunta e temporalmente indeterminata combattività delle masse – emergente in via spontanea – e di una fantomatica creatività delle stesse nell’individuazione delle forme di organizzazione delle lotte più idonee all’abolizione dello spossessamento. 5. L’O.C., infine, respinge nella fogna della preistoria ogni concezione tendente, in odio al centralismo burocratico, a riprodurne l’errore specularmene opposto: il mito-feticcio dei gruppi autonomi agenti direttamente sul tessuto sociale. Ogni comunista coerente bolla siffatta concezione del più rivoltante opportunismo; il minoritarismo dei gruppi autonomi li conduce, gioco forza, alla sconfitta storica, sia essa sancita dal capitalismo stesso, sia dalle forze social-burocratiche, sue moderne eredi. Il desiderio di essere sconfitti, sia pure con la ragione ideale dalla propria, ed il masochismo ad esso sotteso, rivela la pavidità che comprende tutte le altre: quella di determinare il proprio destino. 6. Per queste ragioni l’O.C. non può riconoscersi alleata di alcuna delle organizzazioni nazionali conosciute anche se, volta a volta, può scegliere i suoi membri tra gli ex-militanti delle stesse. Costoro tuttavia, ed in ciò la vigilanza dell’O.C. sarà ferrea, dovranno disconoscere tutte le loro passate miserie, sconfessando nel contempo le concezioni che le fondavano; riconoscere l’ineluttabilità dell’organizzazione; sciogliere ogni legame con qualsiasi forza burocratica; scacciare dalla propria testa la condanna al minoritarismo ed alla sconfitta; essere tracotanti nel soggiogare il proprio destino. 7. Pertanto ai compagni entrati già in contatto con l’O.C. e che per ciò stesso si riconoscono nell’eversione dell’esistente chiediamo di manifestare esplicitamente la propria adesione e di motivarla teorico-praticamente; ciò non intende essere un atto ufficiale di sottomissione dogmatica, ma è invece un primo attestato per riconoscere la crescita di ognuno nell’individuazione della realtà eversiva di tutti i membri. Rifiuto dell’eversione individuale, necessità dell’organizzazione eversiva e collettiva di noi stessi, abiura del minoritarismo e del mito dei gruppi autonomi, volontà di costituirsi in organizzazione non necessariamente destinata alla sconfitta storica ed invece incidente l’esistente presente, frenesia di iniziare subito a praticare il comunismo nella vita quotidiana, il tutto accompagnato dalla teorica dei Consigli Proletari e dell’autogestione generalizzata: ecco il qualitativo individuale al di sotto del quale l’O.C. non può permettersi di trattare. 8. Perciò l’O.C. deve scegliere i suoi membri sulla base dell’unico parametro possibile: la coerenza tra la volontà eversiva proclamata e la capacità di evertere effettivamente, l’idoneità dei mezzi per realizzare il vissuto sulla base del desiderato. Compito dell’O.C. è vigilare affinché nessun individuo sprovvisto di tale minimo qualitativo possa allignare tra i suoi membri. Ai compagni interlocutori quindi chiediamo: a) di non riconoscere più sé medesimi in qualsiasi altra organizzazione “politica” esistente o preesistente; b) di abbandonare ogni attività “politica” autonoma (individuale o a piccoli gruppi) e sottoporre invece la propria attività unitariamente rivoluzionaria alle decisioni assembleari; c) di porsi nei confronti dell’O.C. come rappresentanti soltanto di se stessi, manifestando subito la propria adesione per poi mettere in marcia tutta la propria efficacia creativa ed il proprio tempo socialmente utile nell’eversione organizzata; d) di guardarsi dal covare qualsiasi tentativo di mettere in atto microfrazioni e disgregazioni in seno all’O.C.. Se è vero che una certa confusione teorica e metodologica caratterizzerà inevitabilmente le prime mosse di ogni nuovo aderente all’O.C. (e, come è chiaro, questo dovrà essere superato con una veloce omogeneizzazione), sarà necessario che ogni compagno eviti lo sproloquio volontaristico prima di aver compreso interamente i fini e i metodi dell’O.C.; il contrario sarà considerato disgregazione controproletaria pura e semplice; e) di comunicare immediatamente – mediante la socializzazione ed una acconcia diffusione – il meglio della propria esperienza eversiva passata, evitando ogni monopolio delle notizie e dell’informazione teorica che ad altro non conduce se non alla dittatura del pensiero individuale; f ) di essere trasparenti con tutti i membri, criticando praticamente ogni razionalizzazione del proprio cumulo di miserie e nel contempo realizzando il massimo di fiducia rivoluzionaria in tutti i membri al fine di abbattere ogni miseria separata e l’unità spettacolare di esse: la vita privata del politico. 9. La crescita dell’O.C. è una necessità proletaria. Il qualitativo è il nostro compito ed il qualitativo delle lotte proletarie lo fonda. È tempo di uscire dalla sotterraneità. L’emersione dell’O.C. dal magma contestatario è il passaggio dallo “ideale comunista” al suo stile di vita. Verremmo meno ai nostri compiti se ciò non venisse socializzato. Per questo ci siamo rivolti ad altri compagni. A costoro l’alternativa: la partecipazione consapevole alla tensione verso l’instaurazione del potere assoluto dei Consigli Operai o il pozzo nero della preistoria.
Torino, 14 novembre 1970. Opuscolo ciclostilato in 200 esemplari, con punti metallici, copertina a stampa in cartoncino lucido rosso-granata. La testata Acheronte e l’epigrafe sottostante sono citazioni tratte da uno scritto di Rosa Luxemburg, probabilmente pubblicato sul giornale Die Rote Fahne, organo dello Spartakusbund, nel 1918. Benché il sottotitolo rechi Comunicazioni interne dell’organizzazione consiliare, il fascicolo, bizzarramente impaginato, fu anche collocato presso alcune librerie per la diffusione.
Per l’Organizzazione Consiliare, d’Este, Ghisleni, Ventura. Torino, 22 ottobre 1970.
Caro compagno,
la situazione presente dello sviluppo delle lotte proletarie
impone, a nostro avviso, delle precise scelte a tutti coloro che intendono porsi
sul terreno dell’eversione
coerente. Scelte che, beninteso, devono articolarsi sul duplice momento della teoria-pressi e
dell’organizzazione minima conseguente.
Ebbene, a noi sembra che l’attuale frammentazione delle forze
che vogliono essere rivoluzionarie (e, per ciò stesso, antigerarchiche e
consiliari) non sia più oltre tollerabile. Infatti ciò, oltre ad impedirci una
seria opposizione alla momentanea canea burocratico-leninista di cui l’esempio
più recuperatorio e spettacolista è senz’altro fornito da “Lotta continua”,
blocca ed isterilisce la ricerca teorica, riduce gravemente la possibilità di
praticare correttamente le nostre ipotesi ed infine ci pone sull’infido terreno
di chi non riesce a concretare la critica dell’ideologia dell’organizzazione
(militantismo) in prassi dell’organizzazione contro l’ideologia coagulata.
È peraltro evidente che è necessario respingere, prima di tutto
in noi stessi, qualsiasi tentativo volontaristico (e quindi velleitario) di
“ricongiungimento” di forze (siano esse determinate da singoli compagni o da
piccoli gruppi) eversive che non sia fondato sul minimo di accordo teorico ed
organizzativo. Il nostro obiettivo pertanto non è quello dell’unione di varie
forze, bensì quello dell’unità tra di esse, fuori da qualsiasi tentazione
gerarchica e burocratica.
Le basi minime di accordo, sotto cui è impossibile scendere pena
la degradazione di noi stessi a “militanti ideologici”, sono, a nostro parere,
le seguenti:
a) il massimo di coerenza tra ciascuna tesi formulata e tra la
formulazione teorica e l’attuazione pratica (divulgazione, comunicazione,
intervento ed azione diretta);
b) la critica cosciente di ogni aspetto separato della
sopravvivenza sociale e, del pari, di tutto l’esistente sociale presente (tra
cui, in primo luogo, la critica delle burocrazie e delle istituzioni);
c) la coscienza della necessità di condurre una lotta spietata
contro l’ideologia, sotto qualunque forma essa si rappresenti, non esclusa
quella “consiliare”, per la riaffermazione del valore rivoluzionario della
teoria;
d) il riconoscimento della parzialità della nostra
organizzazione (come di qualsiasi altra organizzazione rivoluzionaria con cui
si intrattengano rapporti dialettici); questa parzialità è oggi necessaria per
scindersi globalmente dal mondo del parcellare, ma sarà da negare nel momento
della realizzazione della violenza rivoluzionaria, in cui non potremo fare
nulla di meno che riconoscerci nel movimento rivoluzionario che si
autoidentificherà con il movimento reale;
e) la prospettiva dei Consigli Proletari come unica forma
possibile per l’inizio della storia cosciente;
f) il rifiuto del militantismo esecutivo ed autoritario, anche
se camuffato sotto le spoglie dell’autorità del pensiero; il principio
capitalista dell’efficienza, basato sulla logica del valore di scambio, va
rovesciato in quello rivoluzionario dell’efficacia, basato sulla logica del
valore d’uso;
g) il riconoscimento dell’autonomia teorico-pratica di ciascun
compagno, purché essa non sia incoerente rispetto all’insieme delle tesi
formulate e a condizione che sussista il massimo di trasparenza tra tutti i
compagni, a loro volta interscambiabili, sebbene tutti necessari;
h) il rifiuto di presentarsi, in qualsiasi occasione della lotta
contro la società mercantil-spettacolare, come individui e non come facenti
parte dell’organizzazione teorico-pratica che si fonda sui punti suddetti.
Tutti i compagni che si trovano d’accordo su queste basi minime
sono invitati alla RIUNIONE organizzata dai firmatari per DOMENICA 25 OTTOBRE,
alle ORE 15, in via LAGRANGE 31 (presso VENTURA – scala centrale, 2° piano).
La riunione, sebbene sprovvista di un ordine del giorno
burocraticamente tassativo, dovrà avere un valore chiaramente operativo: non
nel senso che si dovranno scegliere necessariamente delle azioni immediate,
quanto piuttosto nel senso che ciascun compagno dovrà assumere una posizione
inequivoca e che tutti dovranno compiere la scelta della prospettiva e della
direzione su cui articolare ogni intervento, anche se teorico.
A questo proposito i temi minimi di discussione non potranno che
essere:
1° lotta all’ideologia nei suoi livelli più alti e determinanti
(ideologia del lavoro, ideologia della merce, ideologia dello spettacolo,
ideologia del consumo, ideologia del consenso),
2° lotta all’ideologia coagulata e materializzata (nuclei
produttivi di merci materiali o di merci ideologiche: es. fabbriche e scuole;
nuclei di trasmissione dell’ideologia e della sua rimanipolazione come
ideologia del consenso: es. carceri, manicomi etc.; nuclei di recezione
dell’ideologia: es. nuclei urbani e quartieri etc. – è peraltro di per sé
evidente l’interdipendenza dialettica di questi vari momenti separati che vanno
unificati nella critica –);
3° lotta all’ideologia del dissenso permesso e spettacolare
(critica ed attacco alle forze falsamente rivoluzionarie e realmente
burocratiche);
Questa tematica si pone come irrinunciabile non già per una
volontà burocratica da parte nostra, bensì perché l’accettazione di essa
dimostra nei partecipanti quella radicalità minima da cui non è possibile
prescindere nella prospettiva di un lavoro continuativo e rivoluzionario
comune.
D’altra parte è implicita la richiesta a tutti di presentare
agli altri compagni ed alla discussione soltanto il meglio del proprio lavoro
teorico e pratico eversivo su qualsiasi “fronte” si sia svolto, quello della
vita quotidiana non escluso.
Piccolo foglio murale a stampa, su carta rosa, tirato in mille esemplari ed affisso in diversi siti di Torino, in particolare Gran Madre, via Po e Palazzo Nuovo, Porta Palazzo, Piazza Crispi, Lingotto, nell’ottobre del 1970.
TESI PER LA LIBERAZIONE DAL LAVORO
L’ideologia del lavoro è lo stratagemma con cui la società repressiva riesce a ritardare il trapasso generalizzato già ora possibile ad una società senza classi e libera dalla schiavitù del lavoro.
Il mercato mondiale nella sua ultima fase: lo scambio dei prodotti materiali sussiste solo come forma economica in via di superamento; la forma più evoluta ed ormai realizzata su scala planetaria è lo SCAMBIO DI MERCI IDEOLOGICHE.
Le ideologie, fondamento dell’attuale ricchezza delle nazioni, sono le merci nella loro moderna versione: il loro valore è dato dal tempo di consenso che riescono a garantire. Esse sono la forma in cui si manifesta il capitale ed è attraverso esse che si esercita il potere.
L’ideologia scambiata tra gli stati, quelli comunisti non esclusi, viene poi distribuita al minuto al proletariato per essere consumata. Viene imposta sotto forma di LEGGE NATURALE: il lavoro come maledizione continua e la produzione come necessità ineluttabile.
La logica del lavoro contiene però le condizioni per il suo totale superamento. Il capitale potrebbe oggi ridurre il tempo di lavoro della metà: le forze sedicenti rivoluzionarie includono nei loro obiettivi la riduzione progressiva del tempo di lavoro poiché rappresentano il dissenso concesso.
La produzione imposta di merci materiali ed il consumo imposto di merci ideologiche si identificano e il salariato occupa le sue 24 ore alternativamente nell’una o nell’altra forma. La giornata lavorativa è ormai di 24 ore: vita produttiva e vita quotidiana coincidono ormai per la loro miseria.
Nessuna forma di lavoro salariato, sebbene l’una possa eliminare gli inconvenienti dell’altra, può eliminare gli inconvenienti del lavoro salariato stesso. Perciò è indispensabile che il pensiero si armi nelle strade.
Nella rivolta proletaria di Reggio Calabria, come prima di Caserta e Battipaglia, ciò è avvenuto. Il proletariato si è costituito in TEPPA per lanciare la sua sfida cosciente all’incoscienza dell’ordine costituito. La solitudine del proletariato ed il volto osceno e ghignante delle sue insurrezioni lasciano costernati i suoi oppressori ed i suoi falsi protettori.
Gli amici napoletani di Agostino ed i devastatori calabresi hanno chiarito, per l’ultima volta, che la nuova lotta spontanea comincia sotto l’aspetto criminale e che si lancia nella DISTRUZIONE DELLE MACCHINE DEL CONSUMO PERMESSO.
Oggi a Reggio i motivi di rivolta sono definiti “futili”. Infatti il proletariato non ha particolari motivi per ribellarsi poiché li ha TUTTI; non ha richieste particolari da rivolgere al potere poiché il suo obiettivo è la distruzione di OGNI POTERE che non sia quello esercitato dai CONSIGLI PROLETARI.
I Consigli Proletari non chiederanno nulla di meno della distruzione di questa società, dell’abolizione del lavoro, dell’eliminazione violenta di ogni istituzione separata (scuola, fabbrica, prigione, chiesa, partito, etc.) poiché esisterà il potere decisionale di ciascuno nel potere UNITARIO ED ASSOLUTO dei Consigli.
I Consigli Proletari non saranno nient’altro che l’inizio della costruzione da parte di tutti della VITA libera e felice oggi relegata nei desideri e nei sogni prodotti dall’infelicità dell’attuale SOPRAVVIVENZA.
Proletari coscienti, che la maledizione del lavoro sia maledetta, che l’ineluttabilità della produzione diventi il suo lutto.
La sentenza per l’ammutinamento alle Carceri Le Nuove (scoppiato il 12 aprile 1969) fu resa alla fine di giugno 1970. Alcune decine di detenuti risultarono assolti, 14 condannati per il reato di danneggiamento, dopo la derubricazione dalla imputazione (più grave) di “devastazione e saccheggio”. Chi scrive e Riccardo d’Este furono sentiti, in aula, come testimoni, convocati dagli avvocati di qualche imputato. Le testimonianze risultarono ininfluenti. Al recto pregevole schizzo di Sandro Beltramo, disegnatore professionista.La datazione del documento risale alla prima metà del mese di maggio 1970.(Pier Franco Ghisleni)
Quando l’avanguardia soggettiva del proletariato muove all’assalto di tutto ciò che è socialmente imposto ed esprime la sua intransigenza generale espropriando gli espropriatori della propria vita, allora tutti gli esponenti dell’impostura burocratica di ogni colore si schierano col potere e ne avallano la repressione.
Un movimento moderno, quale quello realizzatosi nell’aprile del 1969 con la sommossa dei detenuti delle Nuove è incomprensibile e inaccettabile per gli ideologi adoratori di un passato rivoluzionario scomparso.
Per questo OGGI 68 detenuti, in condizione di completo abbandono da parte di tutte le forze sedicenti rivoluzionarie, vengono processati per i fatti di ALLORA.
Ma, oggi come allora, il proletariato in rivolta non ha bisogno di capi benefattori tutori. I tentativi di mediazione per sedare l’insurrezione o contenerla entro i limiti della manifestazione “ordinata e responsabile” posti in atto da preti, giuristi democratici, burocrati di sinistra fallirono. Per questo oggi i detenuti sono abbandonati da tutti in pasto alla vendetta dei giudici.
Il non aver riconosciuto capi, l’aver saccheggiato e devastato le attrezzature di lavoro e quelle cliniche, l’aver aggredito i carcerieri, profanato la chiesa, incendiata la biblioteca: questi i capi di imputazione. Ma il reato più grave, quello che comprende tutti gli altri, è l’aver rifiutato coscientemente LA SCHIAVITÙ DEL LAVORO SALARIATO e l’indegnità connessa a tale rifiuto. Per questo il proletariato libero dalla galera ma incatenato alla linea di montaggio deve appoggiare le lotte dei detenuti impedendo immediatamente e ad ogni costo lo svolgimento del processo ed emulando le pratiche EVERSIVE dei compagni imprigionati.
Manifesto, cm. 34×50, b/n, che non reca né indicazioni di stampatore né firme di paternità. Esso è stato prodotto ed affisso a Torino, in un periodo compreso tra gennaio e marzo 1970. Pertanto non è possibile attribuirne la paternità all’Organizzazione Consiliare, che ancora non era stata costituita. Al più le “Tesi sul Crimine”, possono essere considerate un “antefatto” alla costituzione della stessa.
TESI SUL CRIMINE
– Il disadattato mette in
crisi, per il fatto stesso di esistere, l’ideologia della società
tecno-burocratica, unico argine al movimento della storia.
– I detenuti violentano ogni
giorno con le loro lotte la società esistente dall’interno delle galere.
– I detenuti, parte di una
classe che sarà l’ultima, realizzano ogni giorno quello stile di vita
rivoluzionaria che operai e studenti solo a sprazzi riescono ad esprimere.
– I criminali, esercitando il
reato nelle sue forme individuali, hanno saputo, una volta divenuti carcerati,
praticarlo nella sua forma collettiva ed organizzata: l’insurrezione.
– Le lotte dei detenuti non
mirano alla razionalizzazione del sistema carcerario all’interno di questa
società; esse la negano praticamente pur manifestandosi inizialmente in uno dei
suoi settori più isolati.
– I detenuti hanno già
rifiutato lo spettacolo del consumo di libertà che il capitale somministra ogni
giorno; hanno capito che il sogno della “libertà” con cui lo Stato vuole
costringerli a subire disciplinatamente l’indegnità della pena non è altro che
la concessione di praticare la libertà di sognare.
– I detenuti hanno anche
negato praticamente l’allettamento della libertà di consumo; sia nei loro reati
individuali contro la proprietà privata (furti, rapine, estorsioni) che in
quelli collettivi contro la proprietà dello Stato (il saccheggio) hanno
realizzato violentemente il principio “a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Il
loro è stato ed è assalto proletario alla ricchezza sociale.
– La vita dei criminali è la
negazione delle pretese qualità liberatorie del lavoro salariato. Il rifiuto
del lavoro conduce alla galera, il timore della galera assoggetta al lavoro.
– La feccia della società di classe
ha già adottato le proprie lotte in carcere e fuori la sola organizzazione che
muova efficacemente alla distruzione del vecchio mondo. Rifiutando nei fatti lo
spontaneismo sottoanarchico degli impotenti e il centralismo gerarchico
(codificato o informale) dei mistici della milizia rivoluzionaria ha saputo e
sa organizzare il disordine strutturandosi in bande criminali.
– L’amnistia che il
Parlamento sta concedendo è un’arma demagogica dello Stato. Di essa è però
possibile fare un impiego proletario. Alcuni detenuti saranno scarcerati; la
loro liberazione coinciderà con la commissione sempre più vasta e diffusa di
crimini proletari e la realizzazione della rivoluzione richiederà, è chiaro, la
violazione massiccia di ogni articolo della legge borghese. La liberazione dei
detenuti porterà alla costituzione delle prime bande di devastatori e
saccheggiatori. Altri, esclusi da un avvenire di integrazione del resto
consapevolmente rifiutato, resteranno in carcere, spina nel fianco di un
sistema che sapranno rovesciare.
– Il proletariato libero
dalla galera ma incatenato alla linea di montaggio deve appoggiare subito le
lotte dei criminali con la pratica quotidiana del teppismo e la commissione del
reato comune.
Torino, 14 aprile 1969. Volantino di solidarietà redatto e diffuso da amici (in libertà) di alcuni dei detenuti che produssero il documento “Richieste formulate dal Comitato di base delle Nuove” . È firmato “Il Movimento Studentesco”, allora denominazione generica, da chiunque utilizzabile.
Da
due giorni infuria la rivolta alle Nuove. I detenuti hanno preso possesso della prigione che per anni li aveva costretti
ad un quotidiano abbruttimento, hanno
cacciato dai bracci del carcere i secondini da cui erano stati
costantemente insultati e sopraffatti senza poter reagire neanche con una
parola, hanno incendiato i laboratori
e la falegnameria in cui avevano lavorato per anni per 8 ore al giorno per una
paga schifosa di 8.000 lire al mese, sottoposti allo sfruttamento più schifoso,
hanno divelto le inferriate dietro le
quali i secondini li hanno rinchiusi ogni giorno. Con grande maturità politica
hanno organizzato un comitato di base che ha elaborato e ciclostilato
all’interno una serie di rivendicazioni. Migliaia di poliziotti che per due
giorni hanno assediato le carceri sparando in continuazione granate
lacrimogene, non sono per ora riusciti a reprimere la rivolta. Da Corso
Vittorio, centinaia di persone hanno assistito e hanno potuto vedere le fiamme
divampare dalle carceri, le nuvole dei gas lacrimogeni, hanno potuto ascoltare
le minacce e gli insulti dei poliziotti che dall’alto dei muri di cinta
sparavano direttamente sui carcerati.
CHI
SONO I DETENUTI?
La
Stampa Serva di oggi risponde: “rapinatori, ladri e sfruttatori”: troppo
comodo!!! In realtà appartengono quasi tutti agli strati sociali che i padroni
hanno condannato alla vita più misera e disperata: sono i meridionali cacciati
dalle loro terre dalle rapine dei
latifondisti, sono gli immigrati attirati a Torino dalla FIAT che succhia mano
d’opera al Sud per tenere bassi i salari e realizzare un più efficace sfruttamento, per poi lasciarli
disoccupati alla prima occasione; sono le migliaia di persone confinate nei
ghetti di Via Artom, di Porta Palazzo, delle Vallette, sono quelli che per
avere una stanza dove vivere con la famiglia sono costretti a sottostare ai furti del padrone di casa.
Ma
la rapina, lo sfruttamento, il furto
che i padroni compiono quotidianamente non li portano in galera. I codici li
hanno fatti i padroni e hanno considerato reati tutte quelle rapine, quelli
sfruttamenti, quei furti che essi non avevano nessun vantaggio a commettere. E
hanno messi nei tribunali giudici come loro; che non hanno mai vissuto in un
ghetto, che non hanno mai conosciuto la galera, né la disoccupazione.
Una
volta messi in prigione, i detenuti vengono sottoposti a un costante controllo
e un costante processo di abbruttimento e disumanizzazione. Isolati
dall’esterno senza poter leggere il giornale (salvo l’Italia, per giunta
censurato), costretti a vivere in condizioni igieniche spaventose sottoposti
alle quotidiane prevaricazioni dei secondini (che devono essere chiamati
“superiore”), trattati con indifferenza e sospetto dai giudici, essi
sperimentano direttamente la “funzione RIEDUCATIVA della pena”. E infatti ne
escono rieducati: escono veramente ladri, rapinatori e sfruttatori come i
padroni avevano voluto che fossero fin dall’inizio.
Per
questo LA LORO RIVOLTA È GIUSTA E NOI DOBBIAMO SOSTENERLA, impegnandoci a
discutere in tutte le sedi: al Bar, per le strade, con i propri compagni di lavoro, e cercando di
organizzare assemblee di quartiere.
APPOGGIAMO
LA LOTTA E LE RIVENDICAZIONI DEI DETENUTI DELLE NUOVE cercando di organizzare
CONCRETE MANIFESTAZIONI DI APPOGGIO.
Volantino diffuso nelle carceri Le nuove a Torino, 13 aprile 1969. (In calce, appunto di Panco Ghisleni).
Dattiloscritto di un gruppo di detenuti (proclamatosi “La Costituente”) prodotto allo scoppio dell’ammutinamento di aprile 1969, il primo dagli anni del dopoguerra. Nel gruppo erano presenti alcuni reclusi che, in seguito, avrebbero dato vita all’Organizzazione Consiliare. Il testo fu ciclostilato dagli agenti di custodia in alcune centinaia di copie e diffuso nei diversi bracci. Qualche esemplare riuscì a filtrare all’esterno. Vi si leggono istanze ragionevoli, espresse con moderazione, ma nelle parole finali si ammonisce che, ove le richieste non fossero «integralmente» accolte, «la Costituente si scioglie e non risponde in alcun modo di ciò che avverrà al carcere». La trattativa Stato-detenuti, in effetti, si interruppe: il carcere fu così devastato ed i detenuti evacuati in massa. Il documento riprodotto costituisce un unicum. (Pier Franco Ghisleni)
1) Questo foglio deve venire pubblicato sui giornali locali nel suo testo integrale. 2) Si chiede che venga indetta domani una conferenza stampa di cinque detenuti per ogni braccio con i rappresentanti di tutti i giornali locali. 3) Si chiede che entro il 15 aprile c.a. sia inviato un rappresentante del Municipio e uno della Prefettura e siano introdotti in ogni singolo braccio a discutere pubblicamente con le varie commissioni. 4) Che le celle dei singoli bracci restino aperte sino alle ore 16 fino a quando che non verrà la commissione Parlamentare e che durante tutte le restanti ore sia aperta la porta in legno delle singole celle. 5) Che venga garantita ogni rinuncia a punizioni per i fatti avvenuti sino ad ora e relativi trasferimenti. 6) Domani stesso vengano indette elezioni a scrutinio non segreto controllate dalla Commissione Costituente di numero 5 detenuti per ogni braccio per la conferenza di cui al punto 2 e per prospettare i problemi carcerari. 7) Siano inviati dei membri della Commissione Parlamentare preposta alla riforma dei codici a venire entro 5 giorni alle Carceri Giudiziarie di Torino per sentire le richieste delle commissioni detenuti. 8) Oggi la commissione costituente deve poter girare liberamente per i bracci. 9) Che le commissioni elette come al punto 6 formulino a breve scadenza le modifiche a regolamento carcerario che si renderanno necessarie. 10) SI PROMETTE CHE ENTRO QUESTI CINQUE GIORNI NON VERRANNO COMMESSI ULTERIORI DANNEGGIAMENTI. NEL CASO CHE TUTTI GLI ANZIDETTI PUNTI NON VENGANO INTEGRALMENTE ACCETTATI LA COSTITUENTE SI SCIOGLIE E NON RISPONDE IN ALCUN MODO A CIÒ CHE AVVERRÀ AL CARCERE.
Nota di Riccardo d’Este a ‟Lettera di Anton Pannekoek e risposta di Pierre Chaulieu sui Consigli operai”, tratto da Socialisme ou barbarie: antologia critica, a cura di Mario Baccianini e Angelo Tartarini, Guanda, Parma 1969.
Volantino diffuso alla FIAT dall’Organizzazione Consiliare. Torino, senza data.
LA PASSIVITÀ NON PAGA
L’arresto dei tre compagni è l’ultima provocazione che i padroni hanno messo in atto contro gli operai del Lingotto perché si sono finora dimostrati incapaci di reagire. L’aumento continuo dei ritmi di lavoro, gli infortuni sempre più numerosi che causano spesso invalidità permanenti, i trasferimenti, i provvedimenti disciplinari, l’oppressione dei capi, lasciano indifferente questa classe operaia dell’OSA, sempre più sottomessa. I Sindacati, espressione di questa “base” remissiva, si comportano coerentemente e non cercano di svegliare il leone che dorme perché sarebbe pericoloso per essi stessi; invitano a rispondere ogni volta solo con proteste formali, con qualche volantino “indignato”, con qualche ora di sciopero che oltre a fallire miseramente non cambia nulla rispetto al potere in fabbrica che resta sempre in mano al padrone.
BISOGNA CAMBIARE SISTEMI, IL PADRONE CI PROVOCA, CI VUOLE TEPPISTI E NOI LO DIVENTIAMO, CONTRO DI LUI.
Certi sindacalisti sono poi dei porci ed il giorno in cui gruppi di operai delle presse decisero di fermarsi (come è capitato alcune settimane fa) per difendere dei delegati trasferiti sono riusciti a bloccare questa lotta dicendo falsamente che tutto quanto era sistemato. Ecco i nomi per ricordarceli al momento opportuno: Meloni (membro di commissione interna), Amata (delegato delle presse), Gallo Gerardo (delegato della manutenzione), tutti della UIL. I sindacalisti della CGIL e della CISL sono ugualmente responsabili, perché conoscevano il fatto e non hanno avuto il coraggio di denunciarlo agli operai.
La passività operaia, gelosamente custodita dal sindacato, è il migliore strumento che diamo al padrone per rafforzare sempre più il suo potere ed accrescere i suoi profitti. Gli operai in lotta senza alcun controllo da parte dei sindacati riescono invece a bloccare ogni provocazione anti proletaria e a diventare essi stessi provocatori contro il padrone.
1 – I volantini non devono più esprimere una solidarietà a parole con i compagni colpiti. Essi devono divulgare i nomi di tutti i bastardi che opprimono gli operai, i loro indirizzi, le loro abitudini, i loro spostamenti, le spiate e le infamie di cui si sono macchiati. I volantini sono gli atti istruttori del processo che il tribunale proletario continuerà con le opportune sanzioni.
2 – Già fin d’ora vanno colpite le carogne che ci mandano in carcere e ci sfruttano. Spie, ruffiani, poliziotti crumiri, giudici (si chiama Barbaro quello che ha fatto incarcerare i compagni di Lingotto), padroni e sindacalisti devono stare attenti, guardarsi le spalle, a costoro va tolta ogni possibilità di manovra.
3 – Gli scioperi devono danneggiare i padroni e non gli operai. Bene agli scioperi, ma occorre anche usare altri mezzi.
4 – In ogni momento il vandalismo contro la produzione e contro le macchine va bene. L’importante è non farsi prendere.
I PADRONI DICONO CHE GLI OPERAI IN LOTTA SONO DEI TEPPISTI, EBBENE DIVENTIAMOLO CONTRO I PADRONI, I LORO SERVI, I LORO BENI
Il primo ammutinamento di detenuti dell’aprile 1969 aprì una lunga stagione di sommosse carcerarie, in occasione di una delle quali (nel gennaio 1971) fu diffuso questo testo, poi ripreso in Acheronte n° 2.
LE NUOVE IN RIVOLTA Contro il capitale lotta criminale
I compagni che il capitale ha incarcerato alle Nuove stanno ancora una volta dimostrando con la loro rivolta che rifiutano lo schifoso sistema che li ha costretti in carcere.
L’ideologia della pena e dell’espiazione, cioè l’accettazione della colpa, viene rifiutata dai collettivi di lotta che rivendicano la libertà assoluta per sé stessi e per la società, contro l’assoluta schiavitù imposta dal lavoro e dalla sopravvivenza alienata.
La campagna ordita dalla stampa e dagli organi di informazione tutti contro l’ondata “CRIMINALE” tende a strumentalizzare a scopo repressivo l’intolleranza proletaria: il CRIMINE GENERALIZZATO, espressione cosciente e radicale del rifiuto all’ordine costituito, viene presentato all’opinione pubblica come novello spauracchio – la contestazione era stata prospettata in modo analogo – onde ottenere l’inasprimento delle misure repressive.
I detenuti in rivolta non pretendono nulla di meno che l’abolizione del carcere ed esigono la libertà perché i fatti da loro commessi
NON COSTITUISCONO REATO.
Il furto, la rapina, il danneggiamento sono buona cosa perché costituiscono lo strumento che il proletariato tutto adotta onde espropriare gli espropriatori. Non è un caso che contemporaneamente alla rivolta delle Nuove ci sia la ripresa della lotta contro il lavoro alla FIAT Mirafiori, carcere quotidiano di 60.000 proletari; infatti gli uni e gli altri rifiutano la schiavitù imposta loro dal lavoro, dall’obbligo al consumo, dalla non vita organizzata come unica forma di sopravvivenza. EBBENE BASTA! Noi proletari tutti non dobbiamo restare inerti di fronte a questo stato di cose, ma reagire violentemente SACCHEGGIANDO ed appropriandoci di tutto ciò che ci serve e che ci è finora stato negato. Distruggiamo ogni concetto di bene e di male lasciando ai borghesi il falso moralismo: DIVENTIAMO TUTTI CRIMINALI, non esiste altro modo di essere veramente solidali con i compagni carcerati; non solo intensificando la nostra attività antisociale, non solo estendendola a tutti i compagni – è assurdo che gli studenti comprino i libri quando è possibile rubarli, che le massaie acquistino le merci quando è possibile saccheggiare i supermercati – ma rendendola realmente rivoluzionaria, ossia collettiva, al fine del rovesciamento di qualsivoglia carcere, sia esso chiamato scuola, famiglia, fabbrica, sistema, o qualsiasi altra puttanata. I detenuti non vogliono autogestire il carcere, così come i proletari non intendono dirigere questa società di merda ma DISTRUGGERLA: tutti vogliamo vivere la nostra libertà assoluta che è possibile ottenere solo attraverso la rivoluzione violenta ed armata e l’instaurazione dei CONSIGLI PROLETARI come organo di decisione di tutti.
Commento di Sergio: ricordo quando sui muri di Porta Palazzo si andava scrivendo notte tempo ‟Abbasso i leader W i lader”, riscuotendo molta simpatia tra i pochi astanti.
I Consiliari spregiavano gli slogan in generale, e quelli degli extraparlamentari in particolare. Questo – che è rimasto nella memoria collettiva – è stato il loro unico slogan. Si è perso il ricordo di chi ne sia stato l’ideatore. Il volantino, di scrittura sgrammaticata, è stato diffuso a Porta Palazzo.
CONTRO IL CAPITALE LOTTA CRIMINALE
“NIENTE SCHERZI O VI FACCIAMO FUORI… Sappiamo che avete in casa tre milioni, metteteli qui e non vi accadrà niente di male.”
Con queste parole il 15 febbraio
alcuni proletari, come già altri prima di loro, hanno stravolto i termini della
contrattazione mercantile, praticando invece il furto come unica possibilità di
sopravvivenza in questa società che non offre alternativa se non la propria
prostituzione nelle fabbriche.
Il rifiuto della schiavitù del lavoro,
cioè della vendita della propria giornata in cambio di merci necessarie alla
propria sopravvivenza ed al decoro del proprio rango sociale, viene praticato
attraverso il furto di tutto ciò che faccia parte del fabbisogno quotidiano di
ciascuno.
Il crimine individuale e separato,
ultimo prodotto della società repressiva, va man mano scomparendo per lasciare
il posto alla criminalità collettiva la quale, manifestando una sempre maggior
intolleranza ad ogni forma di assoggettamento alle norme ed ai codici borghesi,
si presenta come unica forma radicale di lotta rivoluzionaria.
La risposta alla società che tollera
anzi tutela il furto sulla pelle dei proletari si fa man mano più cosciente:
dal furto del singolo per sfuggire alla schiavitù del lavoro salariato cade di
fatto in una forma altrettanto alienante anche se non legalizzata di schiavitù,
si è giunti oggi alla generalizzazione del crimine, del saccheggio o della
distruzione di tutto ciò che venga ad impedire la libertà individuale e
collettiva.
Questo dimostra come il proletariato
moderno, rifuggendo ogni forma di lotta legalizzata, inizia organizzandosi
l’assalto a tutto ciò che determina la miseria della sua esistenza.
COMPAGNI PROLETARI RINUNCIAMO AI
REGOLAMENTI DI CONTI TRA BANDE RIVALI
L’UNICA BANDA DA SCONFIGGERE È LA
SOCIETÀ!
FACCIAMO ESPLODERE LA POLVERIERA DI
PORTA PALAZZO – TRASFORMIAMO QUESTO GHETTO NEL QUALE IL CAPITALE FA IL BELLO ED
IL CATTIVO TEMPO IN UN LUOGO NEL QUALE I PROLETARI POSSANO LIBERAMENTE
ORGANIZZARSI PER EVERTERE LA SOCIETÀ TUTTA.
Volantino recto-verso di contenuto operaista. Sul verso foto di prosperosa pin up in topless, animata da un fumetto che imputa al lavoro l’impotenza sessuale del maschio. Diffuso allo stabilimento Fiat di Lingotto, il volantino riscosse, grazie alla beltà muliebre, notevole gradimento fra gli operai (che ne chiedevano più copie). Nell’occasione scoppiò uno screzio (anche un po’ manesco) con elementi dei sindacati, intervenuti accusando i Consiliari di “diffondere la pornografia tra gli operai”. (Pier Franco Ghisleni)
COTTIMO GARANTITO, FATICA GARANTITA
Nelle assemblee sindacali a proposito della piattaforma rivendicativa si discute del cottimo e si insiste sul fatto che il guadagno sarebbe garantito in qualunque modo anche se la produzione dovesse calare per cause che non dipendono dagli operai. Ma si tace su un’altra questione. Nessun sindacalista infatti osa dire che è falsa la promessa di poter fare la produzione a nostro piacere ed avere ugualmente il salario garantito. Vediamo in concreto le proposte sindacali:
1) Convalida dei ritmi di lavoro da parte degli operai. I sindacati sostengono che i ritmi attuali dovremo farli perché li facciamo già. I ritmi che il padrone ci ha imposto con continui tagli di tempi, minacce, pressioni, multe, etc. li renderemo LEGITTIMI e daremo il nostro consenso a tutto quello che il padrone ha fatto contro di noi da sempre.
2) Guadagno uguale sia per gli operai diretti che per quelli indiretti. Questo vuol dire che i carrellisti, i magazzinieri, gli addetti alla manutenzione, alla riparazione e tutti quelli non legati direttamente alla produzione che godevano rispetto agli altri di un lavoro più calmo, saranno sottoposti sicuramente ad una razionalizzazione e saranno costretti a correre perché i sindacati ancora una volta li hanno venduti per poche lire. I sindacati vogliono livellare gli operai ai livelli più bassi.
3) Quando i tempi, gli organici, le pause, i rimpiazzi e la produzione saranno convalidati non avremo mai la possibilità di scendere al di sotto del rendimento prestabilito dal padrone e dai sindacati se non a rischio di multe, sospensioni, licenziamenti per scarso rendimento e questa volta con l’approvazione del sindacato.
4) A questo punto il delegato ed il rappresentante sindacale non diventano altro che i cani da guardia che il padrone impiega per la garanzia del suo potere, cioè della produzione.
Di fronte a questo inganno non possiamo che rispondere in questi due modi:
A) per ciò che riguarda il salario, non rifiutiamo certamente ciò che ci viene offerto; lasciamo fare ai sindacati il loro mestiere di mercanti delle nostre vite. Il problema è altro. Sappiamo che il padrone è disposto a pagarci molto, ma a patto di chiederglielo con le dovute maniere e di sottoporci ai suoi piani produttivi.
B) Quello che ci importa è non garantirgli mai la produzione: contrattare i tempi significa garantire il nostro lavoro ed una certa produzione. Garantire la produzione al padrone vuol dire garantirgli il suo potere su di noi e sulla nostra fatica. La nostra fatica non la garantiamo a nessuno, né ai padroni, né ai sindacati. La fatica vogliamo abolirla e lavoriamo o no, secondo come ci fa comodo. Questo finché la nostra forza sarà tale da NEGARE AL PADRONE TUTTA LA PRODUZIONE, TOGLIENDOGLI TUTTO IL POTERE.
Boicottiamo le assemblee sindacali non andando ai refettori oppure andiamoci ma per togliere la parola ai sindacalisti ed ai loro leccaculo. Respingiamo ogni piattaforma.
Decidiamo per nostro conto tutte le azioni che blocchino la produzione. LA POCA PRODUZIONE CHE ESCE DEVE ESSERE SABOTATA.
IL RIFIUTO DEL LAVORO DEVE COMINCIARE CON UNA LOTTA PERMANENTE E QUOTIDIANA CONTRO IL LAVORO CHE CI È QUOTIDIANAMENTE IMPOSTO.