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Maelström n° 3 (1987)

Maelström n° 3

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Danzica e Poznan come Detroit / Fascisti, democratici e sedicenti comunisti uniti contro la rivoluzione in Polonia (dicembre 1970)

Volantino Ludd, dicembre 1970.

 

Qui sotto, volantone con in basso lo spazio per aggiungerci il volantino più piccolo.

 

DANZICA E POZNAN COME DETROIT

Lunedì e martedì a Danzica:

Aumento dei generi alimentari fino al 30 %. Conseguenze immediate: saccheggio di negozi, scontri di strada con la milizia; autobus, automobili e mezzi della polizia incendiati; incendio e distruzione della stazione ferroviaria e della sede del partito sedicente “comunista”; i vigili del fuoco accolti a fucilate; sciopero al porto; le navi alla fonda si allontanano mentre gli operai dei cantieri escono a scontrarsi con la milizia al canto dell’Internazionale. Si parla di 150 miliziani feriti e di alcuni morti. Coprifuoco a Danzica e luoghi vicini; la lotta si estende a Poznan…
La distruzione generalizzata, iniziata dal proletariato polacco del Baltico, apre una nuova fase della lotta di classe nei paesi dell’Est europeo. L’altra, quella aperta a Varsavia nell’estate ’44 e repressa dalle armate naziste e staliniste, si era conclusa a Budapest nel ’56 e aveva fatto dell’area “socialista” dell’Europa Orientale il punto critico di tutto il capitale internazionale.
Quello era il periodo in cui la lotta per il comunismo si mescolava a rivendicazioni democratiche di gestione e di indipendenza nazionale: Consigli Operai e autonomia dall’URSS.
Oggi, le stesse caratteristiche delle lotte del proletariato nero degli USA si stanno generalizzando a tutti i paesi del capitale. I proletari polacchi che hanno saccheggiato e distrutto, aprendo il fuoco sulla sbirraglia cosiddetta “comunista”, non si sono più mossi sul terreno della politica, quello delle rivendicazioni e dell’organizzazione, ma hanno iniziato a realizzare la teoria. Per i funzionari del capitale, dall’Est all’Ovest, la paura della rivoluzione comincia a trasformarsi in terrore.
Le fiamme degli incendi inceneriscono l’ideologia di “LENIN, STALIN, MAO-TSE-TUNG” così come a Detroit e a Newark avevano iniziato a disintegrare la forza dell’economia materializzata dalle orrende megalopoli USA.
L’assalto si scatena contro il capitale e l’ideologia, quindi contro ciò che ha ridotto tutta la vita del proletariato a materia bruta.
È una rivolta radicale della vita contro le forze della sua negazione.

FASCISTI, DEMOCRATICI E SEDICENTI COMUNISTI, UNITI CONTRO LA RIVOLUZIONE NELLA POLONIA

I proletari polacchi sono insorti cominciando a distruggere le manifestazioni concrete di ciò che li opprime: l’Organizzazione, il suo stato e le sue leggi, le Merci e i loro prezzi, il loro mercato e la loro Pianificazione. Questa è la verità del movimento iniziato a Danzica: l’assalto al capitale che si esprime nel rifiuto radicale della sopravvivenza spettrale in cui Esso si materializza. Questa è infatti la prassi e il senso della rivoluzione in ogni parte del mondo.

Le menzogne non si sono fatte attendere: i sedicenti “comunisti” nostrani, non essendo che il riflesso di quelle forze che, nell’ambito della divisione internazionale del lavoro repressivo, mantengono l’ordine e la legge in Polonia, si sono sentiti coinvolgere indirettamente, e hanno, nella astiosa falsità, lasciato trapelare il vero, scrivendo sui loro giornali che si tratta di “giovinastri”, teppisti, provocatori, nemici del socialismo, usando cioè la nomenclatura con cui l’attuale linguaggio del capitale mondiale, da Washington a Pechino, tenta di definire il proletariato rivoluzionario e la sua prassi.

Questo dimostra ancora una volta come si comporteranno queste canaglie quando la rivoluzione le chiamerà a svolgere il loro lavoro, coinvolgendole in prima persona (così come è di recente successo a Reggio Calabria, dove, non potendo “rappresentare”, cioè recuperare e sterilizzare, il movimento insurrezionale, partiti e sindacati hanno parlato di “teppismo fascista” e chiesto l’intervento dell’esercito).

Gli altri, cioè i fascisti e i democratici, hanno squallidamente tentato di recuperare quanto accaduto, commuovendosi sulla miseria economica (vera o presunta) dei lavoratori polacchi; ma per farlo hanno dovuto mentire smisuratamente e affermare che i rivoltosi si battono per avere quanto è concesso in occidente a un “operaio medio”; e cioè, in ultima analisi, un diverso colore della divisa dei poliziotti.

Nessuno deve tacere di fronte all’organizzazione della menzogna unificata, questo è il momento di iniziare a distruggerla.

L’affermazione del qualitativo ed i nostri compiti

Nove tesi dell’Organizzazione Consiliare, Torino 28 novembre 1970. Il testo, che sarà incluso nel secondo numero di Acheronte, erige la turris eburnea che separa i Consiliari da ogni altro individuo. Può anche essere letto come una sorta di decalogo iniziatico, plausibilmente attribuibile a P. F. Ghisleni.

L’AFFERMAZIONE DEL QUALITATIVO ED I NOSTRI COMPITI
1. L’Organizzazione Consiliare, consapevole di non poter esprimere, in questa fase della lotta contro tutti i poteri, altro che la volontà e la coerenza eversiva dei propri membri, non intende ergersi a rappresentanza emblematica del proletariato cosciente poiché essa non mira a gestire l’intermittenza delle lotte attuali, bensì a determinare l’organizzazione della permanenza eversiva, in tensione evidente verso l’instaurazione del Potere dei Consigli Proletari.
2. L’O.C. non intende nemmeno costituire un’avanguardia permanente del proletariato cosciente; l’O.C., o la sua eventuale continuatrice storica, non si scioglierà neanche nel movimento reale nel momento dell’emergere dei Consigli; suo compito, in tale fase, sarà quello di permettere la crescita ed il consolidamento dei consigli stessi smascherando ogni rigurgito stalinoideocratico tendente a bloccarne lo sviluppo. Solo l’autogestione generalizzata, compiuta mediante il potere assoluto dei Consigli, condurrà allo scioglimento definitivo di ogni organizzazione consiliare poiché la felicità in armi saprà porre argine alla speranza ormai disarmata.
3. L’O.C., pertanto, non può intrattenere rapporti con nessuna organizzazione che non riconosca come unico compito l’instaurazione del potere assoluto dei Consigli Proletari e che non miri quindi alla volontaria e consapevole determinazione di forme organizzative pre-consiliari racchiudenti già in sé, tuttavia, mediante l’abolizione di ogni separazione fra l’economico, il politico, il sociale ed il privato, la tendenza verso l’autogestione generalizzata.
4. L’O.C., inoltre, non può intrattenere rapporti nemmeno con coloro che boicottano ogni forma di organizzazione in nome di una presunta e temporalmente indeterminata combattività delle masse – emergente in via spontanea – e di una fantomatica creatività delle stesse nell’individuazione delle forme di organizzazione delle lotte più idonee all’abolizione dello spossessamento.
5. L’O.C., infine, respinge nella fogna della preistoria ogni concezione tendente, in odio al centralismo burocratico, a riprodurne l’errore specularmene opposto: il mito-feticcio dei gruppi autonomi agenti direttamente sul tessuto sociale. Ogni comunista coerente bolla siffatta concezione del più rivoltante opportunismo; il minoritarismo dei gruppi autonomi li conduce, gioco forza, alla sconfitta storica, sia essa sancita dal capitalismo stesso, sia dalle forze social-burocratiche, sue moderne eredi. Il desiderio di essere sconfitti, sia pure con la ragione ideale dalla propria, ed il masochismo ad esso sotteso, rivela la pavidità che comprende tutte le altre: quella di determinare il proprio destino.
6. Per queste ragioni l’O.C. non può riconoscersi alleata di alcuna delle organizzazioni nazionali conosciute anche se, volta a volta, può scegliere i suoi membri tra gli ex-militanti delle stesse. Costoro tuttavia, ed in ciò la vigilanza dell’O.C. sarà ferrea, dovranno disconoscere tutte le loro passate miserie, sconfessando nel contempo le concezioni che le fondavano; riconoscere l’ineluttabilità dell’organizzazione; sciogliere ogni legame con qualsiasi forza burocratica; scacciare dalla propria testa la condanna al minoritarismo ed alla sconfitta; essere tracotanti nel soggiogare il proprio destino.
7. Pertanto ai compagni entrati già in contatto con l’O.C. e che per ciò stesso si riconoscono nell’eversione dell’esistente chiediamo di manifestare esplicitamente la propria adesione e di motivarla teorico-praticamente; ciò non intende essere un atto ufficiale di sottomissione dogmatica, ma è invece un primo attestato per riconoscere la crescita di ognuno nell’individuazione della realtà eversiva di tutti i membri. Rifiuto dell’eversione individuale, necessità dell’organizzazione eversiva e collettiva di noi stessi, abiura del minoritarismo e del mito dei gruppi autonomi, volontà di costituirsi in organizzazione non necessariamente destinata alla sconfitta storica ed invece incidente l’esistente presente, frenesia di iniziare subito a praticare il comunismo nella vita quotidiana, il tutto accompagnato dalla teorica dei Consigli Proletari e dell’autogestione generalizzata: ecco il qualitativo individuale al di sotto del quale l’O.C. non può permettersi di trattare.
8. Perciò l’O.C. deve scegliere i suoi membri sulla base dell’unico parametro possibile: la coerenza tra la volontà eversiva proclamata e la capacità di evertere effettivamente, l’idoneità dei mezzi per realizzare il vissuto sulla base del desiderato. Compito dell’O.C. è vigilare affinché nessun individuo sprovvisto di tale minimo qualitativo possa allignare tra i suoi membri. Ai compagni interlocutori quindi chiediamo:
a) di non riconoscere più sé medesimi in qualsiasi altra organizzazione “politica” esistente o preesistente;
b) di abbandonare ogni attività “politica” autonoma (individuale o a piccoli gruppi) e sottoporre invece la propria attività unitariamente rivoluzionaria alle decisioni assembleari;
c) di porsi nei confronti dell’O.C. come rappresentanti soltanto di se stessi,
manifestando subito la propria adesione per poi mettere in marcia tutta la
propria efficacia creativa ed il proprio tempo socialmente utile nell’eversione organizzata;
d) di guardarsi dal covare qualsiasi tentativo di mettere in atto microfrazioni e disgregazioni in seno all’O.C.. Se è vero che una certa confusione teorica e metodologica caratterizzerà inevitabilmente le prime mosse di ogni nuovo aderente all’O.C. (e, come è chiaro, questo dovrà essere superato con una veloce omogeneizzazione), sarà necessario che ogni compagno eviti lo sproloquio volontaristico prima di aver compreso interamente i fini e i metodi dell’O.C.; il contrario sarà considerato
disgregazione controproletaria pura e semplice;
e) di comunicare immediatamente – mediante la socializzazione ed una acconcia diffusione – il meglio della propria esperienza eversiva passata, evitando ogni monopolio delle notizie e dell’informazione teorica che ad altro non conduce se non alla dittatura del pensiero individuale;
f ) di essere trasparenti con tutti i membri, criticando praticamente ogni
razionalizzazione del proprio cumulo di miserie e nel contempo realizzando il massimo di fiducia rivoluzionaria in tutti i membri al fine di abbattere ogni miseria separata e l’unità spettacolare di esse: la vita privata del politico.
9. La crescita dell’O.C. è una necessità proletaria. Il qualitativo è il nostro compito ed il qualitativo delle lotte proletarie lo fonda. È tempo di uscire dalla sotterraneità. L’emersione dell’O.C. dal magma contestatario è il passaggio dallo “ideale comunista” al suo stile di vita. Verremmo meno ai nostri compiti se ciò non venisse socializzato. Per questo ci siamo rivolti ad altri compagni. A costoro l’alternativa: la partecipazione consapevole alla tensione verso l’instaurazione del potere assoluto dei Consigli Operai o il pozzo nero della preistoria.

Acheronte n° 1 – Comunicazioni interne dell’organizzazione consiliare

Torino, 14 novembre 1970. Opuscolo ciclostilato in 200 esemplari, con punti metallici, copertina a stampa in cartoncino lucido rosso-granata. La testata Acheronte e l’epigrafe sottostante sono citazioni tratte da uno scritto di Rosa Luxemburg, probabilmente pubblicato sul giornale Die Rote Fahne, organo dello Spartakusbund, nel 1918. Benché il sottotitolo rechi Comunicazioni interne dell’organizzazione consiliare, il fascicolo, bizzarramente impaginato, fu anche collocato presso alcune librerie per la diffusione.

Caro compagno (lettera 22/10/1970)

Per l’Organizzazione Consiliare, d’Este, Ghisleni, Ventura. Torino, 22 ottobre 1970.

Caro compagno,

la situazione presente dello sviluppo delle lotte proletarie impone, a nostro avviso, delle precise scelte a tutti coloro che intendono porsi sul terreno dell’eversione coerente. Scelte che, beninteso, devono articolarsi sul duplice momento della teoria-pressi e dell’organizzazione minima conseguente.

Ebbene, a noi sembra che l’attuale frammentazione delle forze che vogliono essere rivoluzionarie (e, per ciò stesso, antigerarchiche e consiliari) non sia più oltre tollerabile. Infatti ciò, oltre ad impedirci una seria opposizione alla momentanea canea burocratico-leninista di cui l’esempio più recuperatorio e spettacolista è senz’altro fornito da “Lotta continua”, blocca ed isterilisce la ricerca teorica, riduce gravemente la possibilità di praticare correttamente le nostre ipotesi ed infine ci pone sull’infido terreno di chi non riesce a concretare la critica dell’ideologia dell’organizzazione (militantismo) in prassi dell’organizzazione contro l’ideologia coagulata.

È peraltro evidente che è necessario respingere, prima di tutto in noi stessi, qualsiasi tentativo volontaristico (e quindi velleitario) di “ricongiungimento” di forze (siano esse determinate da singoli compagni o da piccoli gruppi) eversive che non sia fondato sul minimo di accordo teorico ed organizzativo. Il nostro obiettivo pertanto non è quello dell’unione di varie forze, bensì quello dell’unità tra di esse, fuori da qualsiasi tentazione gerarchica e burocratica.

Le basi minime di accordo, sotto cui è impossibile scendere pena la degradazione di noi stessi a “militanti ideologici”, sono, a nostro parere, le seguenti:

a) il massimo di coerenza tra ciascuna tesi formulata e tra la formulazione teorica e l’attuazione pratica (divulgazione, comunicazione, intervento ed azione diretta);

b) la critica cosciente di ogni aspetto separato della sopravvivenza sociale e, del pari, di tutto l’esistente sociale presente (tra cui, in primo luogo, la critica delle burocrazie e delle istituzioni);

c) la coscienza della necessità di condurre una lotta spietata contro l’ideologia, sotto qualunque forma essa si rappresenti, non esclusa quella “consiliare”, per la riaffermazione del valore rivoluzionario della teoria;

d) il riconoscimento della parzialità della nostra organizzazione (come di qualsiasi altra organizzazione rivoluzionaria con cui si intrattengano rapporti dialettici); questa parzialità è oggi necessaria per scindersi globalmente dal mondo del parcellare, ma sarà da negare nel momento della realizzazione della violenza rivoluzionaria, in cui non potremo fare nulla di meno che riconoscerci nel movimento rivoluzionario che si autoidentificherà con il movimento reale;

e) la prospettiva dei Consigli Proletari come unica forma possibile per l’inizio della storia cosciente;

f) il rifiuto del militantismo esecutivo ed autoritario, anche se camuffato sotto le spoglie dell’autorità del pensiero; il principio capitalista dell’efficienza, basato sulla logica del valore di scambio, va rovesciato in quello rivoluzionario dell’efficacia, basato sulla logica del valore d’uso;

g) il riconoscimento dell’autonomia teorico-pratica di ciascun compagno, purché essa non sia incoerente rispetto all’insieme delle tesi formulate e a condizione che sussista il massimo di trasparenza tra tutti i compagni, a loro volta interscambiabili, sebbene tutti necessari;

h) il rifiuto di presentarsi, in qualsiasi occasione della lotta contro la società mercantil-spettacolare, come individui e non come facenti parte dell’organizzazione teorico-pratica che si fonda sui punti suddetti.

Tutti i compagni che si trovano d’accordo su queste basi minime sono invitati alla RIUNIONE organizzata dai firmatari per DOMENICA 25 OTTOBRE, alle ORE 15, in via LAGRANGE 31 (presso VENTURA – scala centrale, 2° piano).

La riunione, sebbene sprovvista di un ordine del giorno burocraticamente tassativo, dovrà avere un valore chiaramente operativo: non nel senso che si dovranno scegliere necessariamente delle azioni immediate, quanto piuttosto nel senso che ciascun compagno dovrà assumere una posizione inequivoca e che tutti dovranno compiere la scelta della prospettiva e della direzione su cui articolare ogni intervento, anche se teorico.

A questo proposito i temi minimi di discussione non potranno che essere:

1° lotta all’ideologia nei suoi livelli più alti e determinanti (ideologia del lavoro, ideologia della merce, ideologia dello spettacolo, ideologia del consumo, ideologia del consenso),

2° lotta all’ideologia coagulata e materializzata (nuclei produttivi di merci materiali o di merci ideologiche: es. fabbriche e scuole; nuclei di trasmissione dell’ideologia e della sua rimanipolazione come ideologia del consenso: es. carceri, manicomi etc.; nuclei di recezione dell’ideologia: es. nuclei urbani e quartieri etc. – è peraltro di per sé evidente l’interdipendenza dialettica di questi vari momenti separati che vanno unificati nella critica –);

3° lotta all’ideologia del dissenso permesso e spettacolare (critica ed attacco alle forze falsamente rivoluzionarie e realmente burocratiche);

Questa tematica si pone come irrinunciabile non già per una volontà burocratica da parte nostra, bensì perché l’accettazione di essa dimostra nei partecipanti quella radicalità minima da cui non è possibile prescindere nella prospettiva di un lavoro continuativo e rivoluzionario comune.

D’altra parte è implicita la richiesta a tutti di presentare agli altri compagni ed alla discussione soltanto il meglio del proprio lavoro teorico e pratico eversivo su qualsiasi “fronte” si sia svolto, quello della vita quotidiana non escluso.

per l’ORGANIZZAZIONE CONSILIARE

d’Este – Ghisleni – Ventura.

Torino, 22 ottobre 1970

Tesi per la liberazione dal lavoro

Piccolo foglio murale a stampa, su carta rosa, tirato in mille esemplari ed affisso in diversi siti di Torino, in particolare Gran Madre, via Po e Palazzo Nuovo, Porta Palazzo, Piazza Crispi, Lingotto, nell’ottobre del 1970.

TESI PER LA LIBERAZIONE DAL LAVORO

  1. L’ideologia del lavoro è lo stratagemma con cui la società repressiva riesce a ritardare il trapasso generalizzato già ora possibile ad una società senza classi e libera dalla schiavitù del lavoro.
  2. Il mercato mondiale nella sua ultima fase: lo scambio dei prodotti materiali sussiste solo come forma economica in via di superamento; la forma più evoluta ed ormai realizzata su scala planetaria è lo SCAMBIO DI MERCI IDEOLOGICHE.
  3. Le ideologie, fondamento dell’attuale ricchezza delle nazioni, sono le merci nella loro moderna versione: il loro valore è dato dal tempo di consenso che riescono a garantire. Esse sono la forma in cui si manifesta il capitale ed è attraverso esse che si esercita il potere.
  4. L’ideologia scambiata tra gli stati, quelli comunisti non esclusi, viene poi distribuita al minuto al proletariato per essere consumata. Viene imposta sotto forma di LEGGE NATURALE: il lavoro come maledizione continua e la produzione come necessità ineluttabile.
  5. La logica del lavoro contiene però le condizioni per il suo totale superamento. Il capitale potrebbe oggi ridurre il tempo di lavoro della metà: le forze sedicenti rivoluzionarie includono nei loro obiettivi la riduzione progressiva del tempo di lavoro poiché rappresentano il dissenso concesso.
  6. La produzione imposta di merci materiali ed il consumo imposto di merci ideologiche si identificano e il salariato occupa le sue 24 ore alternativamente nell’una o nell’altra forma. La giornata lavorativa è ormai di 24 ore: vita produttiva e vita quotidiana coincidono ormai per la loro miseria.
  7. Nessuna forma di lavoro salariato, sebbene l’una possa eliminare gli inconvenienti dell’altra, può eliminare gli inconvenienti del lavoro salariato stesso. Perciò è indispensabile che il pensiero si armi nelle strade.
  8. Nella rivolta proletaria di Reggio Calabria, come prima di Caserta e Battipaglia, ciò è avvenuto. Il proletariato si è costituito in TEPPA per lanciare la sua sfida cosciente all’incoscienza dell’ordine costituito. La solitudine del proletariato ed il volto osceno e ghignante delle sue insurrezioni lasciano costernati i suoi oppressori ed i suoi falsi protettori.
  9. Gli amici napoletani di Agostino ed i devastatori calabresi hanno chiarito, per l’ultima volta, che la nuova lotta spontanea comincia sotto l’aspetto criminale e che si lancia nella DISTRUZIONE DELLE MACCHINE DEL CONSUMO PERMESSO.
  10. Oggi a Reggio i motivi di rivolta sono definiti “futili”. Infatti il proletariato non ha particolari motivi per ribellarsi poiché li ha TUTTI; non ha richieste particolari da rivolgere al potere poiché il suo obiettivo è la distruzione di OGNI POTERE che non sia quello esercitato dai CONSIGLI PROLETARI.
  11. I Consigli Proletari non chiederanno nulla di meno della distruzione di questa società, dell’abolizione del lavoro, dell’eliminazione violenta di ogni istituzione separata (scuola, fabbrica, prigione, chiesa, partito, etc.) poiché esisterà il potere decisionale di ciascuno nel potere UNITARIO ED ASSOLUTO dei Consigli.
  12. I Consigli Proletari non saranno nient’altro che l’inizio della costruzione da parte di tutti della VITA libera e felice oggi relegata nei desideri e nei sogni prodotti dall’infelicità dell’attuale SOPRAVVIVENZA.
  13. Proletari coscienti, che la maledizione del lavoro sia maledetta, che l’ineluttabilità della produzione diventi il suo lutto.

ORGANIZZAZIONE CONSILIARE

Torino, ottobre 1970.

Internazionale Situazionista. Gli operai d’Italia e la rivolta di Reggio Calabria

Pubblicato come Secondo supplemento al n. 1 della rivista “Internazionale Situazionista”, Milano s.d. [ottobre 1970].

Nell’opuscolo sono presenti:

  • Gli operai d’Italia e la rivolta di Reggio Calabria, firmato “La sezione italiana dell’INTERNAZIONALE SITUAZIONISTA”, Milano ottobre 1970.
  • Il testo del volantino Il Reichstag brucia? del dicembre 1969 sulle bombe di Piazza Fontana.
  • Una breve dichiarazione programmatica, già comparsa in calce al volantino Avviso al proletariato italiano sulle possibilità presenti della rivoluzione sociale.
  • In quarta di copertina, la riproduzione di un articolo di giornale del 1871 a firma di Giuseppe Piccio, contro la Prima Internazionale.

A tutti i condannati all’ergastolo sociale – Movimento Martellista

Volantino firmato Movimento Martellista. Milano, 23 luglio 1970.
(Supplemento n° 3 alla Nuova Gazzetta Renana, dir. resp. Karl Marx).

A TUTTI I CONDANNATI ALL’ERGASTOLO SOCIALE

“La rivolta carceraria è la rivolta contro il carcere quotidiano della nostra sopravvivenza”

Da tempo nelle galere definite “fabbriche” gli operai coscienti (FIAT, Alfa, Pirelli, ecc.) hanno rifiutato la schiavitù quotidiana del lavoro scatenando “teppisticamente” (come giustamente sostengono i giornali borghesi) lotte sempre più radicali contro il sistema di produzione e di sopravvivenza. La “rivendicazione” operaia finalmente non è più stata recuperata all’interno della logica religiosa del lavoro: è stato negato il “potere” tutto il potere perché ciascuno ha capito che solo la rivolta ininterrotta può condurre al potere reale sulla propria vita.

Le mafie burocratiche si sono amaramente pentite di aver fornito con le loro beghe il pretesto ai proletari di Reggio Calabria per scatenare la loro rabbia globalmente negatrice del vecchio mondo contro lo spettacolo accumulato del sottosviluppo e dello sviluppo economico, del sottogoverno e del governo, negando praticamente la merda dell’ideologia e l’ideologia della merda imposta al nord come al sud, ponendo solo più per gli idioti e i burocrati del sottosviluppo mentale differenze economicistiche tra “aree avanzate” e “aree arretrate”. I rivoluzionari del Sud hanno saputo, pur nella loro limitatezza teorica cogliere gli aspetti essenziali della rivoluzione moderna: hanno saputo insomma porsi come teppisti reali, come negatori effettivi della merce, saccheggiando, incendiando, distribuendo gratuitamente merci rubate, pestando i questurini, hanno deriso l’amministrazione della giustizia colpendo l’ingiustizia dell’amministrazione.

Ieri l’incendio della lotta sovversiva è divampato nel caseggiato di P.za Filangeri (comunemente chiamato S. Vittore) rompendo finalmente il compromesso continuo che pratichiamo nel lavoro nel “tempo libero”, in ogni momento in cui ci sacrifichiamo, annoiamo, per garantirci un avvenire ancor più miserevole e infelice di quello attuale; esso è stato spezzato dalla risposta di un mondo liberato. I detenuti, parte della classe dei disadattati collettivi che sarà l’ultima in quanto sceglie il rifiuto del sistema e la rivoluzione come fine di ogni separazione, stanno instaurando una condotta sovversiva lanciando una sfida globale alla repressione ed al film delle gioie fasulle del sistema che li obbliga ad essere spettatori infelici di un destino da altri compiuto. Tutto ciò se lo sono costruiti nelle rivolte degli anni scorsi, riconoscendosi nella rivoluzione solitaria e senza volto che cresce in tutte le galere, anche se chiamate case, “fabbriche”, “scuole”, e così via. I detenuti non lottano contro tori particolari poiché subiscono il torto assoluto della sopravvivenza senza vita, della merda oppressiva fattasi cibo quotidiano.

Ma noi non siamo diversi, il carcere si estende a tutta la società come privazione del consumo di libertà, così come la società è un carcere poiché si pone unicamente come libertà di consumo. A questo punto bisogna praticare l’intolleranza. CI SIAMO ROTTI I COGLIONI. Ribelliamoci.

Non si può piangere sui morti arsi vivi di S. Vittore. Bisogna ardere tutti i nemici, dai funzionari del capitale sociale ai preti alle infami spie ai lavoratori ciechi e asessuati, ai mestruati cronici di tutti i movimenti studenteschi e sedicenti operai, ai burocrati e ai becchini del movimento reale.

Rendiamo la lotta criminale: questo sarà l’assalto presente al mondo delle merci.

Da tempo, democraticamente ci siamo posti come gli aguzzini di noi stessi, imprigionandoci in casa, in famiglia, nel lavoro.

Gli operai della Fiat non sono riusciti a sconfiggere la separazione tra lotta di fabbrica e lotta contro tutta la miseria quotidiana, poiché non hanno praticato sino in fondo il rifiuto della fabbrica e del lavoro, lasciandosi castrare nel momento isolato della fabbrica. Solo rompendo il culo a tutti i mistificatori di professione, ai burocrati, ai fasulli “amici” del proletariato e riconoscendosi in tutte le lotte che hanno un carattere antisociale e dissacratore, gli operai potranno costruire la loro felicità nella rivoluzione.

I teppisti di Reggio Calabria sono stati fottuti poiché gli è mancato il collegamento reale con le lotte proletarie del Nord e una chiara prospettiva organizzativa sovversiva, fondata sulla negazione di ogni potere per l’invenzione del COMUNISMO COMPLETO E SUBITO.

San Vittore è un punto ancora alto della lotta. I detenuti, incendiando e spaccando le loro celle, ci obbligano a compiere delle precise scelte ed a metterci in marcia per distruggere definitivamente le sbarre giornaliere dell’infelicità cui ci obbliga questo vecchio mondo asmatico.

La lotta di San Vittore non deve restare isolata: ROMPIAMO LE NOSTRE CARCERI LAVORATIVE, FAMILIARI, SESSUALI, IDEOLOGICHE, POLITICHE.

IMPARIAMO A CONSIDERARE NOSTRO NEMICO TUTTO CIÒ CHE NON CI OFFRE GIOIA E TENDE AD INCATENARCI ALL’ODIOSA DROGA DELLE MERCI E DELL’ABBRUTTIMENTO DATO DALL’OSCENA PRATICA DEL LAVORO.

Questa sera, 23 luglio, tutti i proletari coscienti possono trovarsi alle 18,30 in Piazzale Baracca per iniziare la risposta alla merda di tutte le galere.

MOVIMENTO MARTELLISTA

“Compagni, lasciate la falce ed iniziate con il martello a distruggere la società”

MI – 23.7.70 – suppl. al n° 3 della Nuova Gazzetta Renana, dir. resp. K. Marx

Sull’ipotesi di scioglimento di Ludd

Sull’ipotesi di scioglimento di Ludd. Dichiarazione di Mario Lippolis, manoscritto in quattro punti.

Genova, inizio giugno 1970.

I) Sono stato informato degli ultimi avvenimenti dai compagni: Luigi, Giovanni, Giorgio, Andrea, Claudio e Sergio R. Richiesto di esprimere un parere sulla sorte del gruppo per la riunione di giovedì 11 giugno, nel caso non abbia puro carattere amministrativo, lo faccio.

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Pensieri commessi dai mille rivoltosi delle Nuove

La sentenza per l’ammutinamento alle Carceri Le Nuove (scoppiato il 12 aprile 1969) fu resa alla fine di giugno 1970. Alcune decine di detenuti risultarono assolti, 14 condannati per il reato di danneggiamento, dopo la derubricazione dalla imputazione (più grave) di “devastazione e saccheggio”. Chi scrive e Riccardo d’Este furono sentiti, in aula, come testimoni, convocati dagli avvocati di qualche imputato. Le testimonianze risultarono ininfluenti. Al recto pregevole schizzo di Sandro Beltramo, disegnatore professionista. La datazione del documento risale alla prima metà del mese di maggio 1970. (Pier Franco Ghisleni)

Quando l’avanguardia soggettiva del proletariato muove all’assalto di tutto ciò che è socialmente imposto ed esprime la sua intransigenza generale espropriando gli espropriatori della propria vita, allora tutti gli esponenti dell’impostura burocratica di ogni colore si schierano col potere e ne avallano la repressione.
Un movimento moderno, quale quello realizzatosi nell’aprile del 1969 con la sommossa dei detenuti delle Nuove è incomprensibile e inaccettabile per gli ideologi adoratori di un passato rivoluzionario scomparso.
Per questo OGGI 68 detenuti, in condizione di completo abbandono da parte di tutte le forze sedicenti rivoluzionarie, vengono processati per i fatti di ALLORA.
Ma, oggi come allora, il proletariato in rivolta non ha bisogno di capi benefattori tutori. I tentativi di mediazione per sedare l’insurrezione o contenerla entro i limiti della manifestazione “ordinata e responsabile” posti in atto da preti, giuristi democratici, burocrati di sinistra fallirono. Per questo oggi i detenuti sono abbandonati da tutti in pasto alla vendetta dei giudici.
Il non aver riconosciuto capi, l’aver saccheggiato e devastato le attrezzature di lavoro e quelle cliniche, l’aver aggredito i carcerieri, profanato la chiesa, incendiata la biblioteca: questi i capi di imputazione. Ma il reato più grave, quello che comprende tutti gli altri, è l’aver rifiutato coscientemente LA SCHIAVITÙ DEL LAVORO SALARIATO e l’indegnità connessa a tale rifiuto. Per questo il proletariato libero dalla galera ma incatenato alla linea di montaggio deve appoggiare le lotte dei detenuti impedendo immediatamente e ad ogni costo lo svolgimento del processo ed emulando le pratiche EVERSIVE dei compagni imprigionati.

Il Festival come festa della mercificazione

Proposta di un intervento contro il Festival della canzone di San Remo, 1970.

 

IL FESTIVAL COME FESTA DELLA MISTIFICAZIONE

1 – l’ideologia che diventa mitologia

Il festival e un’ “Avvenimento”  troppo importante nella liturgia della vostra vita borghese, abbarbicata ai miti che vi vengono quotidianamente somministrati, perché non si colga l’occasione per porvi di fronte alla miseria del vostro essere ed agire quotidiano. La vostra falsa coscienza (che e quella di noi tutti: vi odiamo perché purtroppo ci riconosciamo in voi) non può essere così profondamente deformata da non giungere al punto di esplosione quando l’ideologia della società borghese vi viene propinata a dosi così massicce; cioè ad un tale punto di concentrazione da degradare in mitologia. Noi non crediamo che i falsi contenuti che vi vengono trasmessi in questi riti barbarici non possano rivelare il loro vero scopo, quando ciò comporta, come nel Festival della Canzone, il regredire della vostra coscienza a livelli primordiali.

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Gianni Collu – Transizione (1969-70)

Tratto da Apocalisse e rivoluzione di Giorgio Cesarano e Gianni Collu (Dedalo, Bari, 1973)

Una prima stesura di ‟Transizione” apparve, in francese, nel numero 8 della rivista Invariance (ottobre-dicembre 1969). Riscritto e integrato della nota aggiuntiva, il testo apparve poi nella Antologia di Invariance, pubblicata in italiano dalle edizioni La vecchia talpa di Napoli nel 1971.

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Memorandum – a cura di Leonardo delle Tenebre

Leonardo delle Tenebre, Gennaio 1970

Documento interno, redatto da Mario Lippolis: intelligente proposta di intervento mediante la diffusione di testi classici, aggiornati. Il testo di Lafargue è Diritto all’ozio; idelogia del lavoro era un termine usato dai luddisti per indicare contro cosa lo pubblicavano, e il titolo con cui verrà edito sarà Storia di un incubo. (P.R.)

(intervento scritto, per la prossima riunione)

… nell’illusione che scripta maneant plus quam verba…

MEMORANDUM

La fine dell’autunno semifreddo apre un periodo di disorientamento per quella piccola massa di persone che dall’interno o con l’“appoggio” esterno e con l’“identificazione psicologica” hanno voluto illudersi sul suo carattere miracolosamente rivoluzionario.

Tutti i discorsi populisti e operaisti, dominanti nel “gauchisme” italiano entrano in crisi. Vedi il disorientamento e le incredibili gaffe dell’ultimo (speriamo) numero di Lotta Continua.

Naturalmente tutte le principali vedette non si scoraggeranno per così poco: sono già lì, v. l’opuscolo di Samonà e Savelli, a millantare vittorie e nello stesso tempo a spiegare ai loro creduli gregari perché le mirabolanti vittorie promesse non si sono realizzate.

C’è da giurarlo, tutto ciò non fa che confermare (che altro fa del resto la controrivoluzione da 50 anni?) che l’unico rimedio, e guarda un po’ l’unica via è… l’Organizzazione.

In questa situazione di disorientamento e di ripensamento (per quelli che non si sono ancora fatti privare di tale facoltà) si offre forse l’ultima e la migliore occasione di dare un immediato spicco e una particolare evidenza alle iniziative di pubblicazione che sono già in piedi – si fa per dire! – e che vengono, se opportunamente tagliate, assolutamente a proposito, con una coincidenza che probabilmente non si ripeterà più.

È cioè l’occasione di una pubblicazione di testi non conosciuti e non diffusi, che però non sia genericamente utile dal punto di vista teorico ma acquisti insieme il valore di un intervento diretto: due piccioni con una fava e formula nuova di editoria politica rivoluzionaria.

Occorre però deciderlo e… farlo, con tempismo.

Il testo (I) di Lafargue, Ideologia del lavoro. Storia di un incubo, opportunamente adattato all’attualità italiana deve servire e serve a sviluppare, anche se in forme talvolta ellittiche, il discorso contro il lavoro e la produzione, che già gruppi come Potere Operaio e Lotta Continua sono stati costretti ad accettare (e ciò rappresenta il loro unico interesse), ma nello stesso tempo a distruggere l’illusione, da essi condivisa, del carattere rivoluzionario del neo-sindacalismo salariale “contestativo-e-di-base” (Linea Agnelli-Fim-Espresso-Manifesto-Gauchisme trotzko-maoista vario). La fine di questo blocco recuperatore, (già realizzatosi durante il maggio, v. Charlety) di democratismo (consigli democratici di fabbrica) e rivendicazioni abusivamente presentate come rivoluzionarie è preliminare ad ogni sviluppo del movimento radicale apparso a Battipaglia e alla Fiat.

Parallelamente deve essere attaccato a fondo l’altro “atout” della sinistra più sinistra e livida: il discorso fascista, che: “ora il vero problema è l’Organizzazione” (v. linea di Potere Operaio). In questo senso affiora e si impone anche la critica del consigliarismo.

Ad esso serve bene la Risposta a Lenin (II) di Gorter già pronta cui però va aggiunto il saggio di risposta a Lenin di Pannekoek Lo sviluppo della rivoluzione mondiale e la tattica del comunismo (1920) che il Gorter ampiamente cita, che è ottimo e quasi senza bisogno di commenti (lunghezza 30 pagine ciclostilate, traduzione incominciata e da suddividere). Aggiungendo i 2 brevi quanto definitivi testi di Barrot e Guillaume il conto al leninismo dovrebbe essere regolato.

In qualche modo questo discorso contro il feticismo dell’organizzazione burocratica e/o democratica deve essere accompagnato, eventualmente in separata sede, da un discorso sul banditismo politico che vi si accompagna, in quanto ritorno dell’essenza del capitalismo dove il contenuto, l’essenza del comunismo è lasciata da parte.

Dato che si tratta di testi già quasi tutti pronti ormai da tempo e di idee che abbiamo già presenti in forma chiara e presentabile (e non bisogna continuare a procedere come se fossero già scontate e schiarite pubblicamente) mi sembra che, se si vuole, e se il problema finanziario lo consente, la pubblicazione di questi 2 testi, prima il Lafargue e poi il Gorter/Pannekoek potrebbe farsi nel termine di 1 mese e mezzo, se ci fosse un accordo e una collaborazione col gruppo nazionale disponibile, da convocarsi a tal uopo al più presto, sulla base dell’accordo primigenio.

Liquidati così i conti con i nemici più vicini e coi testi la cui presenza ormai ci perseguita, potremo dedicarci a smettere di definirci soprattutto in rapporto alla coglioneria degli altri, per cominciare a definirci in rapporto alle nostre esigenze, sia dal punto di vista teorico (es. testo di Pierpaolo-Gianni) che pratico (es. ad libitum).

Testo tratto da “LES VRAIES PROFETHIES” di NOSTRADAMUS,

a cura di Leonardo delle Tenebre

BOMBE SANGUE CAPITALE. 17 morti di P.za Fontana non hanno ristabilito l’ordine

Volantino fronte/retro. Consigli proletari, Milano, gennaio 1970.

Un volantino distribuito a Milano pochi giorni dopo l’attentato, si dice a partire dal 19 dicembre. Opera della sezione italiana dell’Internazionale Situazionista. Per essere stato il primo intervento dell’area radicale e in particolare la prima affermazione della responsabilità dello Stato, gode da sempre di grande reputazione e, fin dal primo momento, riscosse grandissima condivisione. A un esame successivo, frutto di una più approfondita riflessione, è possibile cogliere varie manchevolezze, anche gravi. Innanzi tutto, il titolo stesso come pure diversi passaggi del testo, fanno pensare che l’incendio del Reichstag sia stato causato da un machiavellico intervento del Potere (anche questo concetto, personificato con la maiuscola, appare inesorabilmente datato), e non già – come già allora i non disinformati sapevano – l’azione spontanea di un anarchico, Marinus Van der Lubbe. E la medesima ambiguità serpeggia nel testo, avanzando una cinica analisi omnibus, buona sia nel caso gli anarchici fossero stati incastrati ingiustamente, sia nel caso fossero stati gli autori dell’attentato, strumentalizzati. Da una parte urta un certo filisteismo, inteso a non sbilanciarsi; da un’altra emerge un primo sintomo del delirio complottista che troverà piena espressione nell’infelicissimo testo di Gianfranco Sanguinetti, Del terrorismo e dello Stato. (P.R.)

BOMBE SANGUE CAPITALE

17 morti di P.za Fontana non hanno ristabilito l’ordine

Le possibilità della rivoluzione in Italia, maturate negli ultimi due anni non hanno potuto essere scongiurate dalla violenza “naturale” quotidiana del sistema. Ma proprio quando la sua violenza si esercita “eccezionalmente”, quando l’organizzazione del consenso recupera la paura, il potere di classe deve svelare tutta la sua cinica brutalità per perseguire esplicitamente la repressione di massa del movimento rivoluzionario (con i cani poliziotto del sistema sguinzagliati alla disperata ricerca di capri espiatori) e ristabilitre l’ordine “senza il quale non c’è democrazia”: ormai è evidente che i morti di P.za Fontana sono il primo bilancio di un nuovo “incendio al reichstag”. Le lotte d’autunno, rovesciando gli argini istituzionali di recupero dell’autonomia operaia, hanno espresso un primo diretto attacco all’organizzazione capitalistica del lavoro. L’accordo contrattuale stipulato dai sindacati non significa affatto la fine di tutto, anzi è la premessa alla fase direttamente anti-capitalistica e anti-sindacale della lotta. L’autonomia operaia, il proletariato come soggetto storico della propria azione eversiva, con la semplice coerenza di una lotta che, costando il meno possibile, reca il maggior danno possibile all’Economia esprime, per il solo fatto di esistere, la critica radicale alla società della sopravvivenza, l’attacco al lavoro salariato e alla scienza, alle strutture gerarchiche della produzione e del consumo, all’organizzazione capitalistica del consenso, a tutte le forme della sopravvivenza con l’estraniazione cosciente al linguaggio e ai comportamenti alienati, che sostituirà con il piacere ininterrotto e con la gioia di vivere. Se le lotte di autunno hanno posto chiaramente al presente l’alternativa proletaria della rivoluzione lo stato socialdemocratico ha tentato di far precipitare lo stato reale delle cose nel “transfert” collettivo dell’apocalisse. Il tempo della storia del capitale è discontinuo e anticipabile: discontinuo perchè le accelerazioni prodotte dal proletariato premono avvicinandolo sempre più alla sua fine, verso la realizzazione di un tempo ludico e irreversibile; anticipabile dalla manipolazione organizzata dal sistema per congelare lo slancio rivoluzionario della vera storia delle lotte proletarie. Così si è preteso di mostrare in una prospettiva falsa e distorta che l’inevitabile sbocco della violenza è l’orrore di”una strage degli innocenti”. Così dopo la strage l’azione quotidiana che promuoveva la lotta doveva essere sentita come infantile nel momento in cui il gesto disinvolto e pericoloso (quello che blocca la catena di montaggio) doveva assumere i tratti di una complicità negli attentati. No: la violenza che produrrà l’abolizione della società di classe sarà al contrario la fine del dominio della morte sulla vita. NOI VI ACCUSIAMO SICARI BUROCRATI CAPITALISTI DI FRONTE AL TRIBUNALE DELLA LOTTA DI CLASSE DAL QUALE SOLO IL PROLETARIATO ASPETTA GIUSTIZIA, DELLA STRAGE DI PIAZZA FONTANA E DELL’OMICIDIO DEL COMPAGNO ANARCHICO PINELLI. Il vostro potere, il potere dello stato, l’unico che avesse un interesse decisivo, è anche l’unico al riparo da ogni inchiesta perchè esso rappresenta il potere delegato della falsa coscienza che può fare sparire tutte le prove (la morte di Pinelli, la bomba alla Banca Commerciale fatta brillare). Il potere dello Stato e dei suoi servizi segreti ha le spalle coperte dalle menzogne esibite come dalle verità dette a mezza voce: così i giornali della sedicente “sinistra” fanno circolare voci su un possibile colpo di stato di destra. L’ideologia sviluppa la sua offensiva sublimando la lotta di classe nello scontro ideologico fra capitale “progressista e arretrato”. Contemporaneamente la sedicente “estrema sinistra” parlamentare ed extraparlamentare rispolvera il mito riformista del fronte unito anti fascista in cui sfruttati e sfruttatori dovrebbero unirsi in nome della concessione di nuove fette di potere alle burocrazie pseudo-operaie del P.C.I. e dei sindacati. Ma il colpo di Stato non avrà certo per protagonista le frange più reazionarie della Confindustria, bensì sarà quello che porterà democraticamente al potere la nuova maggioranza formata dalle burocrazie di ricambio socialiste. Il contrasto tra i vari livelli di sviluppo capitalista parte da un minimo sancito e irrinunciabile : l’organizzazione del consenso allo sfruttamento estorto al proletariato, la partecipazione simbolica alla democrazia formale e parlamentare, la dinamica interna salari-profitti. Lo scontro non esaurisce, né lo vuole, questa dialettica che permette la sopravvivenza ad entrambi e l’esaurimento invece dello scontro tra progresso e reazione. Il grande revival dei moralismi che accompagna l’offensiva dell’ideologia svela gli obbiettivi veri della farsa-inquisitoria sugli attentati, nella quale sono impegnati polizia e stampa, e l’unità di intenti dal “Corriere” all'”Unità”, tutti decisi a far luce sul sottobosco politico negli ambienti dell’estremismo di sinistra. “Il quadro degli arrestati e dei loro amici anarchici delineato dai verbali non fa che ribadire quanto già si sapeva di quel sottobosco dell’estremismo: sbandati dalle idee confuse, alla disperata ricerca di un lavoro stabile, sempre alla caccia delle mille lire per mettere insieme il pranzo colla cena, locali fumosi per le riunioni, amicizie strane con personaggi dell’internazionale anarcoide (nel modo di vita più che nelle idee politiche). Sul piano strettamente politico una risultanza chiara c’è già: a Roma come a Milano e in altre città d’Italia la degradazione nella frangia estremista nata dalla contestazione studentesca, avevaraggiunto un punto critico, quei circoli eranoormai dei centri d’infezione, aperti a tutto, alla violenza senza ideale, allo squadrismo, alla provocazione, alla delazione. La tragedia di Milano almeno questo obbiettivo ha raggiunto: metterne allo scoperto la miseria morale e la bassezza politica” (IL “GIORNO” 13 GENNAIO 1970). I morti sono morti perchè la borghesia potesse vomitare la sua anima e spacciarla per l’anima dell’estremismo dandolo per spacciato. Invece la coscienza della provocazione accumula la rabbia proletaria, la spinta latente della sua collera, globalmente negatrice dello stato di cose, l’unico capitale che il proletariato abbia accumulato nella storia. E’ chiaro, per chi non abbia il cervello più spappolato della merda o non sia completamente arruffianato ai padroni che la violenza apocalittica del sitema è l’ammissione della sua crisi irrimediabile. Ai sindacati che s’incaricano di difendere di fronte ai lavoratori le ragioni dell’economia spiegando che non si può tendere troppo la corda, i proletari rispondono: “i padroni non possono forse pagare di più, ma possono scomparire”. L’apertura del fronte continuo dell’insubordinazione generalizzata, che consente nello spazio aperto dell’autogestione delle lotte la sostituzione immediata del valore d’uso al valore di scambio, inaugurando apertamente nello sciopero, più o meno clandestinamente nel lavoro, il regno della gratuità, organizzando nei grandi magazzini la distribuzione delle merci, appropriandosi collettivamente dei prodotti del lavoro, liquidando le gerarchie e lo spirito di sacrificio, incoraggiando la creatività di tutti con l’invenzione di manifesti, canzoni etc.. – è già stata inaugurata eccezzionalmente nelle lotte più radicali del ’68 e del ’69. Il sabotaggio va condotto nel futuro permanentemente, nella fabbrica e a tutti i livelli della società, fino ad instaurare, laddove le lotte abbiano già avanzato la critica della Scienza, della Merce, del Lavoro, il caos permanente nell’organizzazione capitalista della “pace sociale”.

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Tesi sul crimine

Manifesto, cm. 34×50, b/n, che non reca né indicazioni di stampatore né firme di paternità. Esso è stato prodotto ed affisso a Torino, in un periodo compreso tra gennaio e marzo 1970. Pertanto non è possibile attribuirne la paternità all’Organizzazione Consiliare, che ancora non era stata costituita. Al più le “Tesi sul Crimine”, possono essere considerate un “antefatto” alla costituzione della stessa.

TESI SUL CRIMINE

– Il disadattato mette in crisi, per il fatto stesso di esistere, l’ideologia della società tecno-burocratica, unico argine al movimento della storia.

– I detenuti violentano ogni giorno con le loro lotte la società esistente dall’interno delle galere.

– I detenuti, parte di una classe che sarà l’ultima, realizzano ogni giorno quello stile di vita rivoluzionaria che operai e studenti solo a sprazzi riescono ad esprimere.

– I criminali, esercitando il reato nelle sue forme individuali, hanno saputo, una volta divenuti carcerati, praticarlo nella sua forma collettiva ed organizzata: l’insurrezione.

– Le lotte dei detenuti non mirano alla razionalizzazione del sistema carcerario all’interno di questa società; esse la negano praticamente pur manifestandosi inizialmente in uno dei suoi settori più isolati.

– I detenuti hanno già rifiutato lo spettacolo del consumo di libertà che il capitale somministra ogni giorno; hanno capito che il sogno della “libertà” con cui lo Stato vuole costringerli a subire disciplinatamente l’indegnità della pena non è altro che la concessione di praticare la libertà di sognare.

– I detenuti hanno anche negato praticamente l’allettamento della libertà di consumo; sia nei loro reati individuali contro la proprietà privata (furti, rapine, estorsioni) che in quelli collettivi contro la proprietà dello Stato (il saccheggio) hanno realizzato violentemente il principio “a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Il loro è stato ed è assalto proletario alla ricchezza sociale.

– La vita dei criminali è la negazione delle pretese qualità liberatorie del lavoro salariato. Il rifiuto del lavoro conduce alla galera, il timore della galera assoggetta al lavoro.

– La feccia della società di classe ha già adottato le proprie lotte in carcere e fuori la sola organizzazione che muova efficacemente alla distruzione del vecchio mondo. Rifiutando nei fatti lo spontaneismo sottoanarchico degli impotenti e il centralismo gerarchico (codificato o informale) dei mistici della milizia rivoluzionaria ha saputo e sa organizzare il disordine strutturandosi in bande criminali.

– L’amnistia che il Parlamento sta concedendo è un’arma demagogica dello Stato. Di essa è però possibile fare un impiego proletario. Alcuni detenuti saranno scarcerati; la loro liberazione coinciderà con la commissione sempre più vasta e diffusa di crimini proletari e la realizzazione della rivoluzione richiederà, è chiaro, la violazione massiccia di ogni articolo della legge borghese. La liberazione dei detenuti porterà alla costituzione delle prime bande di devastatori e saccheggiatori. Altri, esclusi da un avvenire di integrazione del resto consapevolmente rifiutato, resteranno in carcere, spina nel fianco di un sistema che sapranno rovesciare.

– Il proletariato libero dalla galera ma incatenato alla linea di montaggio deve appoggiare subito le lotte dei criminali con la pratica quotidiana del teppismo e la commissione del reato comune.