Questo testo suscitò un sacco di prese per il culo, e veniva definito il manifesto del socialmasochismo. (P. R.)
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Francesco “Kuki” Santini, APOCALISSE E SOPRAVVIVENZA. Considerazioni sul libro Critica dell’utopia capitale» di Giorgio Cesarano e sull’esperienza della corrente comunista radicale in Italia
Scritto nel luglio 1994. L’edizione è però Milano, 3 novembre 2005, fip.
L’esperienza del movimento «controculturale» del passato, se è stata per parecchio tempo rimasticata dalle ganasce del mercato e diffusa sotto forme merceologiche, nondimeno ha portato alla luce una consapevolezza fondamentale, un dato centrale, sviluppato in tutta la sua portata dalla critica radicale e in particolare proprio da Cesarano, ma manifestatosi anche nel femminismo, nel movimento giovanile, soprattutto americano, e in tutti coloro che hanno esplorato le peripezie della follia, della ricerca dell’allargamento della coscienza e delle potenzialità umane: la rivoluzione moderna mette profondamente in discussione il principio d’identità personale e collettivo, l’Ego come sede separata e gerarchicamente dominante, il pensiero che si pensa. La rivoluzione moderna si affaccia sull’abisso degli istinti, dell’inconscio, del rimosso, per spiccare il volo alla ricerca dell’estasi, del superamento dell’individualità nella dialettica con i mondi che sono attorno a noi.
Il testo è stato ristampato non più come opuscolo (e con il soprannome “Kukki”) da Edizioni Colibrì, Milano, gennaio 2021 (174 pagine). Al testo sono state aggiunte due appendici. 1) “Esposizione sintetica degli scritti teorici e d’intervento di Giorgio Cesarano”. 2) “Appunti e scritti vari (Il laboratorio della controrivoluzione. Italia 1979-80”; “Novembre 1982”; “Via dei Volsci; “[Su Comontismo]”; “La teppa, i Circoli, Comontismo, l’Autonomia e noi [Appunti]”; “Un episodio del 1977-78: «Insurrezione»”; “A Guy Fargette”; “Courrier”; “Italie 77”.
Anonimo Milanese – DUE NOTE SU TONI NEGRI
Pubblicato da Varani a Milano, marzo 1985.
Maelström n° 1 (1984)
Piero Coppo – Psicopatologia del non-vissuto quotidiano (agosto 1980)
Pubblicazione a cura del “Gruppo Interdisciplinare Ricerca Medicina e Salute”, C.P. 1, 56030 Casciana A. (Pisa). Formalmente edito da Varani, ma recante la dicitura “Ciclostilato in proprio, Usigliano, Casciana A”.
Si tratta della versione definitiva, che completa “Preliminari” e “Aspetti psicopatologici”, riportati con qualche variazione e sono diventati rispettivamente i Capitoli Primo e Secondo. «Vengono ora riproposti assieme al terzo capitolo inedito perché non pare che il processo storico (…) sia andato talmente oltre da rendere vane le considerazioni contenute in questo opuscolo. (…) Con questa stesura considero chiusa questa descrizione, un po’ sommaria, del senso dell’avventura umana e del momento presente. (…) Nella sezione “Documenti” sono riportati alcuni testi che ho giudicato utili a una migliore comprensione dei temi trattati.»
Nella versione qui riprodotta non sono presenti i Documenti (da pag. 65) che erano i seguenti:
- Verso la realizzazione della salute grazie alla soppressione della medicina (in LUDD Consigli Proletari, luglio 1970)
- El sueño de la razón produce monstruos (Volantino del febbraio 1974)
- Apparentemente l’“oggetto” d’amore… (di Giorgio Cesarano, gennaio-aprile 1975)
- Pazzia dell’elogio (Volantino prodotto a Milano, maggio 1977, poi contenuto in Insurrezione, 1978)
Sulla delazione nel mondo moderno. Inedito del Prof. Pieter Both
Opuscolo pubblicato nel 1980 da Varani Editore, Milano. Dietro lo pseudonimo si cela Pier Franco Ghisleni. Come ulteriore depistaggio, a pagina 2 è indicato “Traduzione dal fiammingo di Elisabeth Vos”.
La pratica della delazione (“pentiti”, “dissociati”, “collaboratori di giustizia”) in quegli anni era ampiamente diffusa, e il finto professore – che ha «dovuto fare violenza» a se stesso per «conservare la necessaria freddezza di fronte al fenomeno» che descrive, la analizza sotto diversi punti di vista. In conclusione del testo è riportata, «come appendice a se stante, una lettera che ho scritto ad un’amica italiana, madre di un giovane che si è rivelato delatore (suo figlio ha tradito negli ultimi mesi del 1979)». Questo scritto è stato subito riproposto, in versione illustrata, dal settimanale satirico Il Male, nel n. 24 del 23 giugno 1980, e, nel 2003, tradotto, in lingua greca, dal fantomatico editore “Cultura della Libertà”, con illustrazione in copertina di Roland Topor.
Qui sotto copertina e retro di copertina della traduzione greca
Parigi, capitale mondiale della prostituzione intellettuale
Traduzione dal Francese, Milano, marzo 1978.
PARIGI: CAPITALE MONDIALE DELLA PROSTITUZIONE INTELLETTUALE
Con gran vergogna della nostra epoca, 100 e 150 anni dopo la loro morte, Marx ed Hegel sono sempre d’avanguardia, poiché ciò che era criticabile nelle loro teorie rimane sempre non criticato e ciò che nelle loro teorie era rivoluzionario è sempre rivoluzionario, perché non è stato verificato da nessuna parte.
L’unico uso reale della teoria – in contrapposizione al suo uso spettacolare apologetico – è la critica della teoria. L’unico uso di ogni pensiero che sia degno di questo nome è la critica di questo pensiero. Il fine del pensiero è di dare una forma perfettamente criticabile a tutto ciò che esiste, dunque una forma perfettamente criticabile al pensiero – che esiste. L’unico uso reale del pensiero di Marx è la critica del pensiero di Marx. L’unico omaggio che si possa rendere a un pensiero è di criticarlo, di provare quindi che esso è criticabile, di provare così che esso è un pensiero degno di questo nome.
Se il pensiero di Marx non è stato criticato – qui non parliamo neanche del pensiero di Hegel – non è perché il pensiero di Marx sia incriticabile, ma perché sono dei poliziotti, dei manipolatori sociali e le loro prostitute intellettuali che si sono impadroniti del pensiero di Marx. Oggi si trovano dei giovani intellettuali* che vengono a spiegarci che se del pensiero di Marx si sono impadronite delle baldracche è perché il pensiero di Marx era il pensiero di una baldracca. E che in un modo o nell’altro, è grazie al pensiero di Marx che queste baldracche hanno annientato il proletariato o hanno approfittato del suo annientamento da parte di altri. Secondo loro quindi, Marx sarebbe responsabile della non critica del proprio pensiero. Ovviamente, delle baldracche non si sarebbero arrischiate a criticare il pensiero di una delle loro.
Evidentemente, la verità è un’altra. Se dei poliziotti, dei manipolatori sociali e le loro prostitute intellettuali si sono impadroniti del pensiero di Marx, non è perché il pensiero di Marx sia poliziesco o perché Marx stesso fosse un manipolatore sociale o una prostituta intellettuale – non ha mai insegnato all’università di Besançon, non è mai stato maoista, non ha mai tenuto conferenze al museo Pompidou, non ha mai seguito i corsi di Althusser – ma perché coloro che potevano criticare il pensiero di Marx e che comunque lo criticheranno, erano stati annientati. Al contrario, sono stati proprio coloro che non hanno criticato il pensiero di Marx a schiacciare il proletariato o ad approfittare del suo annientamento da parte di altri. Ma non è grazie al pensiero di Marx che hanno schiacciato il proletariato, è grazie all’annientamento del proletariato che essi hanno potuto far sì che tale pensiero restasse non criticato, così come hanno potuto fa sì che restasse non criticato questo mondo. Se non hanno criticato il pensiero di Marx, non è perché Marx fosse una baldracca. È perché sono loro delle baldracche che non hanno criticato il pensiero di Marx. Al contrario, proprio perché il pensiero di Marx è non soltanto eminentemente criticabile, ma anche eminentemente criticabile da parte dei proletari, era vitale per i loro dominatori che questo pensiero rimanesse non criticato, ed era vitale per questi ultimi impadronirsi proprio di questo pensiero e non di un altro qualsiasi. Per quanto concerne la teoria così come per quanto concerne tutto ciò che esiste, il fine delle classi dominanti è che nulla venga criticato. Così, dopo l’annientamento di coloro che potevano criticare il pensiero di Marx – e non soltanto questo pensiero ma il mondo che lo contiene – fu compito essenziale per le classi dominanti tentar di dare a questo pensiero stesso una forma incriticabile. Per dare una forma incriticabile al mondo avevano già la loro polizia. Per dare una forma incriticabile ai pensieri stessi – due precauzioni sono meglio di una – hanno avuto le loro prostitute intellettuali.
Esiste nella nostra epoca qualcosa di ancora più vergognoso dell’epoca stessa, sono le prostitute intellettuali, quei famosi intellettuali di sinistra pagati sottobanco dalle classi dominanti – molto male d’altronde, ed è in questo che consiste principalmente la loro ignominia – per produrre escrementi intellettuali che, quanto ad essi, sono incriticabili, avendo per fine, al contrario della teoria, di essere incriticabili, di mantenere la confusione e di dichiarare incriticabile ogni pensiero degno di questo nome. Tra le grida di contestazione, le classi dominanti sanno riconoscere immediatamente quelli che non chiedono altro che un impiego. Sono le generazioni di prostitute intellettuali che non hanno criticato il pensiero di Marx, sono le generazioni di prostitute di sinistra il cui mestiere è consistito positivamente nel non criticare il pensiero di Marx, perché il loro mestiere consisteva nel non criticare nulla di questo mondo e nel vegliare, almeno per quanto concerne le idee, a che nulla venisse criticato; e tutto ciò perché ricevevano i loro salari – ben magri salari del resto, perché consistevano in poveri impieghi guarniti di vane speranze di poter un giorno dominare in prima persona quel proletariato tanto agognato, vane speranze oggi del tutto svanite – da coloro il cui fine è di non criticare nulla di questo mondo perché è quello in cui si dispiega il loro dominio.
Oggi, la critica del mondo da parte dei proletari è ripresa malgrado tutte le polizie di sinistra e malgrado tutte le menzogne di sinistra. È ripresa la critica stessa del pensiero di Marx, ed essa minaccia addirittura di minacciare coloro che impunemente e per così tanto tempo hanno lavorato ad ostacolarla. Le menzogne da collegiali dei giovanotti della rue d’Ulm si prefiggono quindi di evitare – ferma restando la salvaguardia del loro impiego – delle domande imbarazzanti e le loro non meno imbarazzanti risposte. Perché, ad esempio, una volta – al tempo in cui erano giovani “vecchie puttane intellettuali” – non hanno criticato questo pensiero di Marx così nefasto e malefico? Questa domanda ammette soltanto due risposte. O non hanno criticato questo terribile pensiero perché esso è terribilmente incriticabile oppure non hanno criticato questo terribile pensiero perché erano terribilmente puttane intellettuali. Evidentemente, la risposta giusta è la seconda. Un’altra domanda: perché oggi fanno soltanto finta di criticare il pensiero di Marx? Anche questa domanda ammette soltanto due risposte. O fanno soltanto finta di criticare il pensiero di Marx perché, trattandosi del pensiero di una baldracca, esso non merita altro trattamento se non quello che si riserva agli escrementi incriticabili delle puttane intellettuali: e in questo caso gli insulti sono più che sufficienti. Oppure fanno soltanto finta di criticare il pensiero di Marx perché sono sempre delle puttane intellettuali il cui scopo è che questo pensiero continui a non ricevere critiche degne di esso; perché sono pagate per questo e perché è il solo lavoro che sappiano fare. Anche qui, la risposta giusta è la seconda. Ma queste domande sono solo casi particolari di una questione più generale: perché non criticano mai nulla di questo mondo se non illusoriamente? O perché questo mondo è incriticabile o perché sono delle puttane intellettuali. Anche in questo caso la risposta giusta è la seconda. L’I.S. e gli operai di Danzica, di Budapest, di Soweto, di Dakar, di Radom, del Portogallo, d’Italia e di molti altri paesi hanno ampiamente dimostrato la falsità della prima, tanto sul piano teorico che sul piano pratico. Per criticare il pensiero di Marx, non bisogna soltanto conoscere questo pensiero, bisogna criticare il mondo che lo contiene. Soltanto se si critica questo mondo si possono criticare le teorie di questo mondo. E criticare realmente questo mondo quando si è un intellettuale significa – come Marx fece esemplarmente – risolversi ad essere assente là dove sono assenti i nemici reali di questo mondo, ad essere assente dunque là dove pullulano le puttane intellettuali. Come potrebbe una puttana intellettuale criticare il pensiero di Marx, cioè criticare una parte di questo mondo, quando essa accetta tutto il resto di questo mondo, con una marcata predilezione per ciò che vi è di più ignobile e di più vergognoso? Se a rigore si può rimproverare a Marx di non essere stato più critico – il che sarebbe un po’ come rimproverare a Beethoven di non aver fatto lui il silenzio nella musica o a Rembrandt di non aver dipinto lui il Quadrato nero su fondo bianco, ciò che suppone si abbia qualcosa per sostenere il confronto, con Beethoven e Rembrandt – non si può in alcun caso rimproverare a Marx d’aver elaborato un pensiero incriticabile, a meno di non essere una puttana intellettuale, poiché non esiste pensiero degno di questo nome che sia incriticabile, e solo le puttane intellettuali vengono pagate per non criticare. Marx non ha mai praticato la teoria assieme alle puttane intellettuali, né assieme ai padroni delle puttane intellettuali.
I tempi son troppo mutati. Interi reggimenti di puttane intellettuali giovani o vecchie non impediranno che il pensiero di Marx venga criticato, e con esso il resto del mondo. Le puttane intellettuali giovani o vecchie possiedono in proprio e in esclusiva la loro ignominia. Esse costituiscono di per sé sole la vergogna della nostra epoca. È solo perché le contiene che la nostra epoca è vergognosa. Nulla ha mai impedito loro di criticare, nulla se non i posti vergognosi che occupano nel mondo o i posti vergognosi che bramano di occupare. Si potrebbe essere tentati di obbiettare che qualcosa impedì, una volta, alle puttane intellettuali di criticare il pensiero di Marx; se non questo pensiero stesso, almeno la loro stupidità personale legata alla durezza di un’epoca che vedeva il proletariato ridotto al silenzio. Ma quand’anche fosse così, nulla allora obbligava le puttane intellettuali ad aprire il becco per diffondere delle porcherie marxose, nulla se non le piazze vergognose che bramavano, perché il prezzo che dovevano pagare per ottenere queste piazze in un incerto futuro era appunto di diffondere delle porcherie marxose. Al contrario, la loro vergogna risulta accresciuta dal fatto di aver scelto, per aprire il loro becco di baldracche di sinistra, un’epoca in cui milioni di uomini erano ridotti al silenzio. E ancora, è precisamente questo silenzio che ha permesso loro di aprire il becco, così come è il contrario di questo silenzio che glielo farà chiudere. Si comprende perciò la loro smania recente di far condividere, o addirittura di addossare interamente la propria ignominia al pensiero di Marx – quando non è alla persona di Marx, come vorrebbe la puttana intellettuale femmina Françoise Levy. Perciò si comprende anche come le “nuove” puttane intellettuali siano più portate ad intrattenerci su qualsiasi cosa nel loro stile abituale da puttana intellettuale, piuttosto che sulla loro ignominia personale del tempo in cui erano giovani “vecchie puttane intellettuali”. Ecco almeno un punto del pensiero di Marx che si trova perfettamente verificato: ciò che le persone pensano viene determinato dal posto che esse occupano nel mondo o che bramano d’occupare. Le persone che occupano i posti di puttana intellettuale hanno pensieri da puttana intellettuale. Tuttavia, le sole persone che in questo mondo siano costrette a fare ciò che fanno e ad occupare i posti che occupano sono i lavoratori costretti ad andare nelle fabbriche e negli uffici. D’altronde, per le classi dominanti e per le loro puttane intellettuali tutto il problema consiste nel costringerveli. Nulla dunque ha mai obbligato una puttana intellettuale ad occupare un posto di puttana intellettuale, nulla se non la sua stessa bassezza, la sua stessa puttaneria, il suo stesso gusto per i posti vergognosi. Nulla dunque potrebbe cancellare la vergogna di una puttana intellettuale.
* Si tratta delle neo-puttane intellettuali Benoist, Dollé, Glucksmann, Jambet, Lardreau, Le Bris, Lévy, Lévy, Sollers, ecc. uscite per la maggior parte dal celebre bordello della rue d’Ulm che vide passare tante puttane intellettuali ora invecchiate. Queste giovani puttane intellettuali hanno precipitosamente abbandonato senza alcun riguardo le loro vecchie maîtresse Althusser e Mao. Se non son tutte poi così giovani, sono però tutte molto puttane. Bisogna comunque riconoscer loro un vantaggio: alcune riescono se non altro a farsi pagare meno mediocremente i propri servizi, ed in questo sono già meno disprezzabili di quelle più anziane. Se si fa un mestiere sudicio, almeno farlo sudiciamente. D’altra parte questo cambiamento si spiega col fatto che le speranze chimeriche di dominare un giorno in prima persona il proletariato che servivano da compensazione alle magre sinecure degli intellettuali di sinistra sono completamente svanite. Quindi, già che si batte, almeno farsi pagare bene e in contanti. D’altronde, questo spiega l’amarezza che si è impadronita della prostituzione intellettuale parigina. Tanta ingratitudine ha pagato tanti buoni servizi vergognosi. Davanti al musetto fresco di una prosperosa giovane puttana intellettuale, ogni vecchia puttana intellettuale viene colta dall’angoscia. È questo l’unico aspetto divertente dell’affare, perché le vecchie puttane intellettuali hanno difeso ferocemente il loro angolo di marciapiede intellettuale, il che ha dato luogo a pittoreschi battibecchi intellettuali. Come diceva Villon di Parigi: «Lingua lunga è solo qui».
Traduzione dal Francese – Milano, marzo ’78.
ENNESIMO COMUNICATO. I comontisti non esistono più
Firmato “Alcuni di coloro che furono i comontisti e che ancora combattono per il comontismo”. Milano, 18 febbraio 1973.
ENNESIMO COMUNICATO
I Comontisti non esistono più. Coloro che a suo tempo si autonominarono tali, resisi conto che la loro pratica non aveva la coerenza che definirsi comontisti (il che stava ad indicare che la loro vita era la realizzazione essenziale del comunismo reale) presupponeva, e che – d’altronde – il comontismo, come teoria rivoluzionaria, è il patrimonio di tutti coloro che in ogni parte del mondo, aldilà delle etichette, lottano contro tutte le alienazioni unitariamente, rifiutano ogni ulteriore continuità a comontismo in quanto gruppo politico (perché tale è stato più ancora che sul piano pubblico, nella coscienza medesima dei suoi costitutori) riaffermando il comontismo unicamente come teoria, indipendente da questa o da quella persona, ed in sintonia soltanto col movimento della storia.
In relazione a ciò ogni questione che riguardi la questione dell’appartenenza o meno di chicchessia al gruppo comontista si può riferire, semmai, solo al passato: per il presente nessuno che abbia compreso il senso dell’eversione proletaria si definisce più appartenente a questo gruppo e la questione cade da sé.
Due avvertimenti: non per questo con la putrefazione di quest’altro racket i comontisti non esistono più. Essi sono dovunque vi è violenza anticapitalista, riconquista del senso della vita, qualunque sia il nome che i proletari assumono.
E poi: non ci si illuda che per la dissoluzione dell’unità ideologica che li aveva finora tenuti assieme, i singoli ex-comontisti, come tutti gli altri coerenti eversori, siano più esposti che in passato alle calunnie ed alle provocazioni. Pronti alla dimostrazione de facto, nel malaugurato caso.
Va da sé che queste precisazioni sono destinate soltanto ai […] senza fantasia delle diverse cosche politiche: i proletari coscienti hanno ben altre (e più festose) cose per il capo e per le mani.
Alcuni di coloro che furono i comontisti e che ancora combattono per il comontismo
Agli sciacalli di “Avanguardia operaia”
Volantino con appunti firmato “un gruppo di rivoluzionari incazzati e decisi a sventare con i fatti ogni ulteriore provocazione”. Senza data e luogo, quasi di certo Milano nel dicembre 1972.
vedi anche:
Avere per fine la verità pratica
Comunicato comontista contro le calunnie dell’Espresso e di Avanguardia operaia.
Comunicato ai proletari
Volantino contro le calunnie dell’Espresso e di Avanguardia operaia.
Agli sciacalli di “AVANGUARDIA OPERAIA”
Pur essendo a conoscenza dell’odiosa provocazione da voi ordita in seguito al tentativo di alcuni rivoluzionari di trasformare in effettivo attacco anticapitalista il rituale istituzionalizzato del 12 dicembre, non abbiamo ritenuto interessante smentire le grossolane calunnie diffuse attraverso il vostro giornale, coscienti che esso si rivolge ad un inoffensivo pubblico di studenti ed ad una tribuna di operai in cerca di qualificazione burocratica, i quali tutti insieme poco hanno a che spartire con la moderna rivoluzione proletaria.
Nei momenti di scontro reale, come è parzialmente avvenuto a Milano, risulta sempre più evidente l’interesse materiale e ben specifico che la vostra e analoghe bande hanno nel cercare di reprimere, screditandoli, tutti quegli individui che, rifiutando strutture organicamente e coscientemente all’interno delle caratteristiche peculiari del capitale, sono, proprio per questo, capaci di comunicare il proprio slancio rivoluzionario a tutti quelli che sono disposti a criticare il proprio grigio ruolo di servi della milizia, di militanti della servitù.
Non a caso, fra le persone che si sono riconosciute anche per pochi attimi nella gioiosa antilegalità del 12 dicembre, vi erano dei militanti di A.O., subito duramente redarguiti dai loro padroni, che ben capivano il pericolo (per loro stessi) dell’autonoma radicalità, della nascente comunità di azione: senza dubbio il pericolo maggiore per ogni burocrazia è che gli individui prendano coscienza della propria voglia di vivere e della necessità di manifestarla.
La critica al potere della burocrazie è in pari tempo la critica all’inerzia delle leggi del capitale, inerzia che, devitalizzando e riducendo l’uomo a puro strumento del processo di riproduzione dell’esistente, esclude l’umanità dalla vita, istituisce il dominio marmoreo dell’inorganica, sancisce il dominio della morte.
Non contenti delle becere calunnie del vostro organo ufficiale, avete creduto opportuno cercar di diffondere ulteriormente le vostre menzogne attraverso l’”Espresso”, mercato nazionale delle merci ideologiche dei più disparati rackets della “sinistra” parlamentare ed extra, ma non riuscivate a veder riprodotte tutte le vostre infami delazioni, forse per quel certo senso di pudore borghese accortamente usato dal questo giornale.
Una presa di posizione si rende ora necessaria nel momento in cui le menzogne da voi diffuse assumono un preciso significato delatorio perché tendenti ad attribuire ai comontisti, rivoluzionari ostinatamente perseguitati dalla polizia, la responsabilità personale di determinate azioni radicali.
Contemporaneamente tali menzogne diventano calunniatorie in quanto a queste azioni, e a coloro che in esse si riconoscono, viene attribuita per scopi bassamente “politici” una matrice fascista ed antiproletaria.
I rivoluzionari sono proletari, non popolo.
Crepate in fretta.
Firmato: un gruppo di rivoluzionari incazzati e decisi a sventare con i fatti ogni ulteriore provocazione.
Avere per fine la verità pratica: la calunnia a fini politici o la montatura provocatoria in fasce?
Comunicato comontista contro le calunnie dell’Espresso e di Avanguardia operaia a proposito della manifestazione del 12 dicembre 1972 a Milano.
«Alla manifestazione del 12 dicembre 1972 a Milano partecipò un congruo numero di comontisti, da via Pecchio, e calati da Torino: ci furono scontri molto violenti, noi dal lato di piazza 24 maggio, gli sbirri da quello dove ci sono ora Conchetta e i Malfattori. Per munirci di proiettili saccheggiammo un ortolano – quello che aveva ideato il nefando gelato al barbera. Era un sabato pomeriggio, faceva freddissimo e c’era una nebbia di quelle che non ci sono più. Nei casini fu, non da noi, sottratta la pistola a un poliziotto e vari sbirri finirono all’ospedale, alcuni anche un tantino rovinati. Avanguardia Operaia prima, l’Espresso poi, accusarono i Comontisti di essere i responsabili della degenerazione degli scontri che furono invero fra i più soddisfacenti che mi sia toccato di vivere. Di qui il nostro attacco a quelle miserabili carogne. La partecipazione a quella manifestazione fu anche il momento di pubblica riappacificazione fra i comontisti di Torino e di Milano, dopo la rottura dei primi di settembre. Molti si aspettavano dei mirabili sviluppi, che non vi furono.» (Paolo Ranieri)
vedi anche:
Agli sciacalli di “Avanguardia operaia”
Volantino (e appunti) contro Avanguardia operaia
Comunicato ai proletari
Volantino contro le calunnie dell’Espresso e di Avanguardia operaia
CONTRATTO: nuove tecniche di produzione. Industrializzazione della vita quotidiana / La realtà del capitale, inumana e repressiva
CONTRATTI O SABOTAGGIO?
Pubblicato da Comontismo Edizioni nell’autunno 1972 a Milano, Contratti o sabotaggio è una brossura con punto metallico di 52 pp., in 8vo, cm. 22 per 14, con copertina di colore rosso e titolo in nero, venduto al prezzo di lire 400. A pag. 51 è indicato: «Tutti i compagni che, trovandosi d’accordo con le tesi sopra espresse, desiderano mettersi in contatto con noi, possono scrivere al seguente indirizzo: Claudio Albertani, c.p. 179 – 20100 Milano». Per dare un tono maggiormente assertivo, in copertina non compare il punto interrogativo, presente invece nel titolo reiterato a pag. 1.
«L’avvicinarsi del rinnovo autunnale dei contratti collettivi di lavoro è stata l’occasione per produrre uno spazio teorico di rilettura della realtà sociale, così come quegli anni di turbolenze avevano suggerito. Contratti o Sabotaggio illustra l’alternativa fra una soluzione socialdemocratica di un problema puntuale e una radicale sovversione dei paradigmi sociali dettati dal Capitalismo.» (Maurizio Pincetti)
Qui sotto, nella versione PDF con la trascrizione.
Corrispondenza a proposito del giornale
Il provocatore Giorgio Rosario Mondì
Comunicato della libreria “La vecchia Talpa”, Milano, 13 ottobre 1971.
Commento di Joe Fallisi:
«Il volantino fu scritto da me immediatamente dopo un VERO tentativo di infiltrazione-provocazione subìto e sventato. Durante il 1971 ebbi a Milano, in corso Garibaldi 44, una libreria, La Vecchia Talpa, che rappresentò anche la prosecuzione sui generis delle mie (nostre) attività rivoluzionarie del 69-70 e riuscì a sopravvivere solo, anch’essa, poco più di un anno (quel che rimase del materiale lo passai al mio amico Primo Moroni ‑ costituì la base del settore ‟radicale” della Calusca). Tenevamo quasi unicamente libri, riviste e opuscoli di estrema sinistra antistalinista. La libreria rappresentò, logicamente, un punto d’incontro di vari compagni anarchici (ricordo Steve Del Grosso) e dell’ex-Ludd (Roby Ginosa, per esempio). A una certa epoca, com’è scritto nel volantino, giunse quell’anima nera, SICURAMENTE inviatoci dalle forze statali. L’unica cosa che mi rincresce, e non poco, è che, nell’urgenza di ‟far pulizia” e sventare possibili provocazioni anche peggiori, accomunai (accomunammo) al nome di costui come suo ‟collaboratore”, quasi fosse anch’egli senz’altro un infiltrato, un ragazzo di Parma, ‟Emiliano”, che invece, me ne convinsi poi, era stato solo plagiato dal Mondì. Cosa che successe d’altronde anche a qualcun altro del nostro giro a Milano senza tuttavia condurre a nessun esito catastrofico, perché l’infame, prima che accadessero fatti irreparabili, venne alla fine individuato e allontanato per sempre, durante una notte di tregenda ancora vivissima nel mio ricordo e, ne sono certo, anche in quello di Roby.
A tutti i condannati all’ergastolo sociale – Movimento Martellista
Volantino firmato Movimento Martellista. Milano, 23 luglio 1970.
(Supplemento n° 3 alla Nuova Gazzetta Renana, dir. resp. Karl Marx).
A TUTTI I CONDANNATI ALL’ERGASTOLO SOCIALE
“La rivolta carceraria è la rivolta contro il carcere quotidiano della nostra sopravvivenza”
Da tempo nelle galere definite “fabbriche” gli operai coscienti (FIAT, Alfa, Pirelli, ecc.) hanno rifiutato la schiavitù quotidiana del lavoro scatenando “teppisticamente” (come giustamente sostengono i giornali borghesi) lotte sempre più radicali contro il sistema di produzione e di sopravvivenza. La “rivendicazione” operaia finalmente non è più stata recuperata all’interno della logica religiosa del lavoro: è stato negato il “potere” tutto il potere perché ciascuno ha capito che solo la rivolta ininterrotta può condurre al potere reale sulla propria vita.
Le mafie burocratiche si sono amaramente pentite di aver fornito con le loro beghe il pretesto ai proletari di Reggio Calabria per scatenare la loro rabbia globalmente negatrice del vecchio mondo contro lo spettacolo accumulato del sottosviluppo e dello sviluppo economico, del sottogoverno e del governo, negando praticamente la merda dell’ideologia e l’ideologia della merda imposta al nord come al sud, ponendo solo più per gli idioti e i burocrati del sottosviluppo mentale differenze economicistiche tra “aree avanzate” e “aree arretrate”. I rivoluzionari del Sud hanno saputo, pur nella loro limitatezza teorica cogliere gli aspetti essenziali della rivoluzione moderna: hanno saputo insomma porsi come teppisti reali, come negatori effettivi della merce, saccheggiando, incendiando, distribuendo gratuitamente merci rubate, pestando i questurini, hanno deriso l’amministrazione della giustizia colpendo l’ingiustizia dell’amministrazione.
Ieri l’incendio della lotta sovversiva è divampato nel caseggiato di P.za Filangeri (comunemente chiamato S. Vittore) rompendo finalmente il compromesso continuo che pratichiamo nel lavoro nel “tempo libero”, in ogni momento in cui ci sacrifichiamo, annoiamo, per garantirci un avvenire ancor più miserevole e infelice di quello attuale; esso è stato spezzato dalla risposta di un mondo liberato. I detenuti, parte della classe dei disadattati collettivi che sarà l’ultima in quanto sceglie il rifiuto del sistema e la rivoluzione come fine di ogni separazione, stanno instaurando una condotta sovversiva lanciando una sfida globale alla repressione ed al film delle gioie fasulle del sistema che li obbliga ad essere spettatori infelici di un destino da altri compiuto. Tutto ciò se lo sono costruiti nelle rivolte degli anni scorsi, riconoscendosi nella rivoluzione solitaria e senza volto che cresce in tutte le galere, anche se chiamate case, “fabbriche”, “scuole”, e così via. I detenuti non lottano contro tori particolari poiché subiscono il torto assoluto della sopravvivenza senza vita, della merda oppressiva fattasi cibo quotidiano.
Ma noi non siamo diversi, il carcere si estende a tutta la società come privazione del consumo di libertà, così come la società è un carcere poiché si pone unicamente come libertà di consumo. A questo punto bisogna praticare l’intolleranza. CI SIAMO ROTTI I COGLIONI. Ribelliamoci.
Non si può piangere sui morti arsi vivi di S. Vittore. Bisogna ardere tutti i nemici, dai funzionari del capitale sociale ai preti alle infami spie ai lavoratori ciechi e asessuati, ai mestruati cronici di tutti i movimenti studenteschi e sedicenti operai, ai burocrati e ai becchini del movimento reale.
Rendiamo la lotta criminale: questo sarà l’assalto presente al mondo delle merci.
Da tempo, democraticamente ci siamo posti come gli aguzzini di noi stessi, imprigionandoci in casa, in famiglia, nel lavoro.
Gli operai della Fiat non sono riusciti a sconfiggere la separazione tra lotta di fabbrica e lotta contro tutta la miseria quotidiana, poiché non hanno praticato sino in fondo il rifiuto della fabbrica e del lavoro, lasciandosi castrare nel momento isolato della fabbrica. Solo rompendo il culo a tutti i mistificatori di professione, ai burocrati, ai fasulli “amici” del proletariato e riconoscendosi in tutte le lotte che hanno un carattere antisociale e dissacratore, gli operai potranno costruire la loro felicità nella rivoluzione.
I teppisti di Reggio Calabria sono stati fottuti poiché gli è mancato il collegamento reale con le lotte proletarie del Nord e una chiara prospettiva organizzativa sovversiva, fondata sulla negazione di ogni potere per l’invenzione del COMUNISMO COMPLETO E SUBITO.
San Vittore è un punto ancora alto della lotta. I detenuti, incendiando e spaccando le loro celle, ci obbligano a compiere delle precise scelte ed a metterci in marcia per distruggere definitivamente le sbarre giornaliere dell’infelicità cui ci obbliga questo vecchio mondo asmatico.
La lotta di San Vittore non deve restare isolata: ROMPIAMO LE NOSTRE CARCERI LAVORATIVE, FAMILIARI, SESSUALI, IDEOLOGICHE, POLITICHE.
IMPARIAMO A CONSIDERARE NOSTRO NEMICO TUTTO CIÒ CHE NON CI OFFRE GIOIA E TENDE AD INCATENARCI ALL’ODIOSA DROGA DELLE MERCI E DELL’ABBRUTTIMENTO DATO DALL’OSCENA PRATICA DEL LAVORO.
Questa sera, 23 luglio, tutti i proletari coscienti possono trovarsi alle 18,30 in Piazzale Baracca per iniziare la risposta alla merda di tutte le galere.
MOVIMENTO MARTELLISTA
“Compagni, lasciate la falce ed iniziate con il martello a distruggere la società”
MI – 23.7.70 – suppl. al n° 3 della Nuova Gazzetta Renana, dir. resp. K. Marx
LUDD – CONSIGLI PROLETARI n° 3
Milano, gennaio 1970.
Il Reichstag brucia?
Volantino della sezione italiana dell’Internazionale Situazionista, ma firmato Gli amici dell’INTERNAZIONALE. Milano, 19 dicembre 1969. La versione qui riprodotta è tratta dall’opuscolo Gli operai d’Italia e la rivolta di Reggio Calabria, che introduceva la trascrizione con queste parole: «Il volantino qui riprodotto, che si poteva trovare in piazza Fontana e davanti alle maggiori fabriche di Milano già il 19 dicembre 1969, nei giorni della massima repressione, è l’unico esempio di comprensione immediata e generale di ciò che solo alcuni mesi più tardi i militanti più “estremisti” osavano timidamente e solo parzialmente affermare, a proposito delle bombe del 12 dicembre.»
Internazionale Situazionista / Rivista della sezione italiana dell’I.S. N°1
Milano, luglio 1969. Comitato di redazione: Claudio Pavan, Paolo Salvadori, Gianfranco Sanguinetti.
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La rivolta nelle carceri e la merda nelle Università
Gruppo socialista libertario della Statale, Gruppo socialista libertario della Casa dello Studente e del lavoratore. Milano, 15 aprile 1969.
LA RIVOLTA NELLE CARCERI E LA MERDA NELLE UNIVERSITÀ
“VOGLIAMO GLI STUDENTI DI TUTTE LE PROVINCIE” “LIBERTà” “BATTIPAGLIA” “LA GIUSTIZIA DEVE ESSERE RIFATTA DAGLI UOMINI” “NO ALLE SBARRE LIBERTÀ”.
Queste e molte altre frasi ci gridavano stanotte i carcerati mentre un fuoco ininterrotto di bombe lacrimogene e di pallottole andava ad accarezzarli sui tetti e all’interno di San Vittore. Avola, Viareggio, Roma, Battipaglia, Torino, Genova, Milano… ad ognuna di queste date la lotta è scoppiata e si è mostrata esemplarmente più dura. Per i qualunquisti mascherati e non, i moderati maledetti gli eterni confusi e attendisti, la situazione pare in fondo essere sempre la stessa. Rapportandosi ogni volta, nelle loro analisi di castrati (che in quanto tali non possono che propagare la loro castrazione) al Movimento Studentesco Panacea universale, Nuovo Padre Protettore e ormai giustificazione della loro nullità, dalla constatazione del suo naturale flusso e riflusso (al quale ultimo effetto soltanto collaborano ormai attivamente) concludono inevitabilmente, quando non anche nelle parole certamente nei fatti, che il nostro compito è solo quello 1°) di un ipotetico e non mai realizzato lavoro paternalistico nei quartieri operai ecc. ecc. 2°) di una comoda contestazioncina interna che naturalmente finisce a lungo andare, essendo l’unica azione che si fa, per divenire sindacalismo spicciolo.
In effetti, al di là di tutte le loro palle, coglionate e mistificazioni, la verità lampante è una sola: che le situazioni rivoluzionarie costantemente li scavalcano e costantemente delle situazioni rivoluzionarie essi non riescono ad essere che le miserabili sanguisughe.
Uno dei tanti esempi è il comportamento di questi burocrati e “leaderini” schifosi (non è un caso che siano sempre i burocrati e i leaderini ad essere i più moderati) nella riunione di ieri sera al Poli per l’organizzazione della “settimana di lotte”. Comunicata la notizia della grande rivolta di San Vittore e la volontà da parte dei compagni più radicali che l’assemblea decidesse immediatamente il comportamento da prendere in merito alla nuova situazione, e proposto di scendere subito in piazza e di portare la nostra presenza ai compagni in lotta e poi ritornare nella notte stessa per fare il lavoro di stampa o propaganda (o almeno parte di esso) e l’indomani mattina mobilitare le sedi universitarie e le Scuole Medie, è stato risposto che prima ci voleva il “discorso sui carcerati”. In realtà queste caricature di burocrati avrebbero avuto tutto da imparare dal discorso che in quel momento i carcerati facevano con gli atti e con le parole. Così non c’è stato da meravigliarsi quando qualcuno di questi assurdi rimasugli di fogna aggiungeva l’odioso al ridicolo definendo addirittura (come un qualsiasi borghese) i detenuti in rivolta “ladri” “assassini” “delinquenti comuni”.
È stato fatto il “discorso”. A questo punto già parecchio tempo era passato e molti compagni di base hanno espresso il loro desiderio di andare accettando la prima proposta. Ma ecco ricomparire i “leaderini”, che sviano di nuovo la discussione, si contraddicono, inventano problemi che non esistono (almeno nei termini in cui li intendono loro), cioè fanno perdere tempo e intanto la gente diminuisce. E all’una e dieci dopo una lurida azione di pompieraggio e di sbollimento saltano fuori facendo interventi a catena per dire che ben altri compiti più importanti ci attendono, che andare davanti a San Vittore è “spontaneistico”, “avventuristico” e “turistico”(!).
Al che la maggioranza dei presenti (ormai pochi), sentendosi così pacificata la coscienza da una giustificazione così rivoluzionaria della loro inazione, applaude e non si mette neanche a fare, immediatamente, il tanto rimenato lavoro di organizzazione, ma se ne va tranquillamente a nanna.
Però non tutti hanno concluso così miseramente la loro giornata di frustrati. I compagni più radicali, che avevano fatto la proposta, concretamente l’hanno attuata stando tutta la notte e la mattina in piazza a comunicare coi compagni carcerati, a manifestare il loro appoggio e a sensibilizzare la gente, dimostrando fra l’altro che: I) era possibilissimo andare, II) che non si trattava affatto di “spontaneismo avventuristico e turistico”, ma il discorso politico c’era e, incominciando subito, si poteva e doveva fare, III) che se fossimo stati in tanti, quanti ne contava l’assemblea cittadina al momento della proposta, la nostra azione avrebbe avuto un peso politico ben maggiore.
Compagni della base, è giunta l’ora che veramente noi ci liberiamo una volta per tutte dei pesi morti, degli affossatori, degli eterni confusi, che non hanno cambiato niente della loro vera essenza borghese e che in effetti la borghesia – tollerandoli benissimo – giorno per giorno sempre più recupera, anche per mezzo della loro acquiescenza (le parole non contano, contano i fatti) alla prassi ideologica degli pseudo rivoluzionari, dei nemici del proletariato, cioè dei riformisti reazionari del P.C. e dello P.S.I.U.P.
In questa situazione specifica prendiamo noi, la base, la decisione in assemblea di fare oggi stesso una manifestazione di massa e il lavoro di stampa e propaganda per la lotta dei compagni che si stanno rivoltando nelle carceri italiane.
Noi sappiamo che i detenuti, i “delinquenti comuni”, sono in verità un prodotto sociale emarginato di questa società fondata sul profitto, sulla burocrazia, sull’egoismo, sulla corruzione, e sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
«La rivoluzione si preannuncia sempre sotto l’aspetto criminale» (Karl Marx).
Ed ora il rifiuto, la rivolta individuale che ha portato questi uomini nelle prigioni compie un salto qualitativo nella pressi e nella coscienza della rivolta collettiva. Qui infatti non si tratta solo della crisi delle carceri che genera la rivolta dei carcerati contro la loro condizione di detenuti, bensì della crisi del capitalismo che genera una rivolta esemplare, una rivolta di uomini che non hanno niente da perdere e un mondo da guadagnare.
SIAMO REALISTI: NEGHIAMOCI COME “STUDENTI” – VIVIAMO COME RIVOLUZIONARI
È davvero chiederci
L’IMPOSSIBILE?
GRUPPO SOCIALISTA LIBERTARIO DELLA STATALE
GRUPPO SOCIALISTA LIBERTARIO DELLA CASA DELLO STUDENTE E DEL LAVORATORE
15/4/69 – cicl. Proprio
Proposta 2
Il punto di esplosione della menzogna burocratica
Volantino firmato Comunismo dei Consigli, Milano, 9 dicembre 1968. Come riporta Miguel Amorós, il volantino è frutto di un incontro tra «i nuclei radicali milanesi, ossia tra il gruppo di Sanguinetti, quello degli anarchici rinnovatori della F.A.G.I., tra cui Joe Fallisi e “Pinki” Gallieri, quello degli editori de Il Gatto Selvaggio, tra cui Eddy Ginosa, fautori di una rielaborazione critica delle tesi consiliariste e, infine, alcuni individui isolati o “cani sciolti” come Giorgio Cesarano, che si riconoscevano nelle prospettive teoriche delineate.» (Breve storia della sezione italiana dell’Internazionale Situazionista, 2009)