• Monthly Archives: Aprile 1969

La rivolta nelle carceri e la merda nelle Università

Gruppo socialista libertario della Statale, Gruppo socialista libertario della Casa dello Studente e del lavoratore. Milano, 15 aprile 1969.

LA RIVOLTA NELLE CARCERI E LA MERDA NELLE UNIVERSITÀ

“VOGLIAMO GLI STUDENTI DI TUTTE LE PROVINCIE” “LIBERTà” “BATTIPA­GLIA” “LA GIUSTIZIA DEVE ESSERE RIFATTA DAGLI UOMINI” “NO ALLE SBARRE LIBERTÀ”.
Queste e molte altre frasi ci gridavano stanotte i carcerati men­tre un fuoco ininterrotto di bombe lacrimogene e di pallottole andava ad accarezzarli sui tetti e all’interno di San Vittore. Avola, Viareggio, Roma, Battipaglia, Torino, Genova, Milano… ad ognuna di queste date la lotta è scoppiata e si è mostrata esemplarmente più dura. Per i qualunquisti mascherati e non, i moderati maledetti gli eterni confusi e attendisti, la situazio­ne pare in fondo essere sempre la stessa. Rapportandosi ogni volta, nelle loro analisi di castrati (che in quanto tali non posso­no che propagare la loro castrazione) al Movimento Studentesco Panacea universale, Nuovo Padre Protettore e ormai giustificazio­ne della loro nullità, dalla constatazione del suo naturale flusso e riflusso (al quale ultimo effetto soltanto collaborano ormai attivamente) concludono inevitabilmente, quando non anche nelle parole certamente nei fatti, che il nostro compito è solo quello 1°) di un ipotetico e non mai realizzato lavoro paternalistico nei quartieri operai ecc. ecc. 2°) di una comoda contestazioncina interna che naturalmente finisce a lungo andare, essendo l’unica azione che si fa, per divenire sindacalismo spicciolo.
In effetti, al di là di tutte le loro palle, coglionate e mistificazioni, la verità lampante è una sola: che le situazioni rivo­luzionarie costantemente li scavalcano e costantemente delle si­tuazioni rivoluzionarie essi non riescono ad essere che le misera­bili sanguisughe.
Uno dei tanti esempi è il comportamento di questi burocrati e “leaderini” schifosi (non è un caso che siano sempre i burocrati e i leaderini ad essere i più moderati) nella riunione di ieri sera al Poli per l’organizzazione della “settimana di lotte”. Comuni­cata la notizia della grande rivolta di San Vittore e la volontà da parte dei compagni più radicali che l’assemblea decidesse imme­diatamente il comportamento da prendere in merito alla nuova si­tuazione, e proposto di scendere subito in piazza e di portare la nostra presenza ai compagni in lotta e poi ritornare nella notte stessa per fare il lavoro di stampa o propaganda (o almeno parte di esso) e l’indomani mattina mobilitare le sedi universitarie e le Scuole Medie, è stato risposto che prima ci voleva il “discorso sui carcerati”. In realtà queste caricature di burocrati avrebbe­ro avuto tutto da imparare dal discorso che in quel momento i carcerati facevano con gli atti e con le parole. Così non c’è stato da meravigliarsi quando qualcuno di questi assurdi rimasugli di fogna aggiungeva l’odioso al ridicolo definendo addirittura (come un qualsiasi borghese) i detenuti in rivolta “ladri” “assassini” “delinquenti comuni”.
È stato fatto il “discorso”. A questo punto già parecchio tempo era passato e molti compagni di base hanno espresso il loro desi­derio di andare accettando la prima proposta. Ma ecco ricompari­re i “leaderini”, che sviano di nuovo la discussione, si contrad­dicono, inventano problemi che non esistono (almeno nei termini in cui li intendono loro), cioè fanno perdere tempo e intanto la gente di­minuisce. E all’una e dieci dopo una lurida azione di pompieraggio e di sbollimento saltano fuori facendo interventi a catena per dire che ben altri compiti più importanti ci attendono, che andare davanti a San Vittore è “spontaneistico”, “avventuristico” e “turistico”(!).
Al che la maggioranza dei presenti (ormai pochi), sentendosi così pacificata la coscienza da una giustificazione così rivoluzionaria della loro inazione, applaude e non si mette neanche a fare, immediatamente, il tanto rimenato lavoro di organizzazione, ma se ne va tranquillamente a nanna.
Però non tutti hanno concluso così miseramente la loro giornata di frustrati. I compagni più radicali, che avevano fatto la proposta, concretamente l’hanno attuata stando tutta la notte e la mattina in piaz­za a comunicare coi compagni carcerati, a manifestare il loro appoggio e a sensibilizzare la gente, dimostrando fra l’altro che: I) era possibilis­simo andare, II) che non si trattava affatto di “spontaneismo avventuri­stico e turistico”, ma il discorso politico c’era e, incominciando su­bito, si poteva e doveva fare, III) che se fossimo stati in tanti, quanti ne contava l’assemblea cittadina al momento della proposta, la nostra azione avrebbe avuto un peso politico ben maggiore.
Compagni della base, è giunta l’ora che veramente noi ci liberiamo una volta per tutte dei pesi morti, degli affossatori, degli eterni confusi, che non hanno cambiato niente della loro vera essenza borghese e che in effetti la borghesia – tollerandoli benissimo – giorno per giorno sempre più recupera, anche per mezzo della loro acquiescenza (le parole non contano, contano i fatti) alla prassi ideologica degli pseudo rivoluzio­nari, dei nemici del proletariato, cioè dei riformisti reazionari del P.C. e dello P.S.I.U.P.
In questa situazione specifica prendiamo noi, la base, la decisione in assemblea di fare oggi stesso una manifestazione di massa e il lavoro di stampa e propaganda per la lotta dei compagni che si stanno rivoltan­do nelle carceri italiane.
Noi sappiamo che i detenuti, i “delinquenti comuni”, sono in verità un prodotto sociale emarginato di questa società fondata sul profitto, sulla burocrazia, sull’egoismo, sulla corruzione, e sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
«La rivoluzione si preannuncia sempre sotto l’aspetto criminale» (Karl Marx).
Ed ora il rifiuto, la rivolta individuale che ha portato questi uomini nelle prigioni compie un salto qualitativo nella pressi e nella coscien­za della rivolta collettiva. Qui infatti non si tratta solo della crisi delle carceri che genera la rivolta dei carcerati contro la loro condizio­ne di detenuti, bensì della crisi del capitalismo che genera una rivolta esemplare, una rivolta di uomini che non hanno niente da perdere e un mondo da guadagnare.

SIAMO REALISTI: NEGHIAMOCI COME “STUDENTI” – VIVIAMO COME RIVOLUZIONARI

È davvero chiederci
L’IMPOSSIBILE?

GRUPPO SOCIALISTA LIBERTARIO DELLA STATALE
GRUPPO SOCIALISTA LIBERTARIO DELLA CASA DELLO STUDENTE E DEL LAVORATORE

15/4/69 – cicl. Proprio

Ai lavoratori consortili

Volantino, Genova 15 aprile 1969.

A proposito di un’assemblea svolta il 10 aprile nell’officina del C.A.P., «per decidere l’atteggiamento da assumere dopo i gravi fatti di Battipaglia». Firmato da Manstretta e altri.

Volantino sulla rivolta alle Nuove

Firmato Movimento studentesco (Torino, 14/4/1969).

Da due giorni infuria la rivolta alle Nuove. I detenuti hanno preso possesso della prigione che per anni li aveva costretti ad un quotidiano abbruttimento, hanno cacciato dai bracci del carcere i secondini da cui erano stati costantemente insultati e sopraffatti senza poter reagire neanche con una parola, hanno incendiato i laboratori e la falegnameria in cui avevano lavorato per anni per 8 ore al giorno per una paga schifosa di 8.000 lire al mese, sottoposti allo sfruttamento più schifoso, hanno divelto le inferriate dietro le quali i secondini li hanno rinchiusi ogni giorno. Con grande maturità politica hanno organizzato un comitato di base che ha elaborato e ciclostilato all’interno una serie di rivendicazioni. Migliaia di poliziotti che per due giorni hanno assediato le carceri sparando in continuazione granate lacrimogene, non sono per ora riusciti a reprimere la rivolta. Da Corso Vittorio, centinaia di persone hanno assistito e hanno potuto vedere le fiamme divampare dalle carceri, le nuvole dei gas lacrimogeni, hanno potuto ascoltare le minacce e gli insulti dei poliziotti che dall’alto dei muri di cinta sparavano direttamente sui carcerati.

CHI SONO I DETENUTI?

La Stampa Serva di oggi risponde: “rapinatori, ladri e sfruttatori”: troppo comodo!!! In realtà appartengono quasi tutti agli strati sociali che i padroni hanno condannato alla vita più misera e disperata: sono i meridionali cacciati dalle loro terre dalle rapine dei latifondisti, sono gli immigrati attirati a Torino dalla FIAT che succhia mano d’opera al Sud per tenere bassi i salari e realizzare un più efficace sfruttamento, per poi lasciarli disoccupati alla prima occasione; sono le migliaia di persone confinate nei ghetti di Via Artom, di Porta Palazzo, delle Vallette, sono quelli che per avere una stanza dove vivere con la famiglia sono costretti a sottostare ai furti del padrone di casa.

Ma la rapina, lo sfruttamento, il furto che i padroni compiono quotidianamente non li portano in galera. I codici li hanno fatti i padroni e hanno considerato reati tutte quelle rapine, quelli sfruttamenti, quei furti che essi non avevano nessun vantaggio a commettere. E hanno messi nei tribunali giudici come loro; che non hanno mai vissuto in un ghetto, che non hanno mai conosciuto la galera, né la disoccupazione.

Una volta messi in prigione, i detenuti vengono sottoposti a un costante controllo e un costante processo di abbruttimento e disumanizzazione. Isolati dall’esterno senza poter leggere il giornale (salvo l’Italia, per giunta censurato), costretti a vivere in condizioni igieniche spaventose sottoposti alle quotidiane prevaricazioni dei secondini (che devono essere chiamati “superiore”), trattati con indifferenza e sospetto dai giudici, essi sperimentano direttamente la “funzione RIEDUCATIVA della pena”. E infatti ne escono rieducati: escono veramente ladri, rapinatori e sfruttatori come i padroni avevano voluto che fossero fin dall’inizio.

Per questo LA LORO RIVOLTA È GIUSTA E NOI DOBBIAMO SOSTENERLA, impegnandoci a discutere in tutte le sedi: al Bar, per le strade, con i  propri compagni di lavoro, e cercando di organizzare assemblee di quartiere.

APPOGGIAMO LA LOTTA E LE RIVENDICAZIONI DEI DETENUTI DELLE NUOVE cercando di organizzare CONCRETE MANIFESTAZIONI DI APPOGGIO.

IL MOVIMENTO STUDENTESCO

Cicl. in propr. 14/4/69

Richieste formulate dal Comitato di base delle Nuove

Volantino diffuso nelle carceri Le nuove a Torino, 13 aprile 1969. (In calce, appunto di Panco Ghisleni)

1) Questo foglio deve venire pubblicato sui giornali locali nel suo testo integrale.
2) Si chiede che venga indetta domani una conferenza stampa di cinque detenuti per ogni braccio con i rappresentanti di tutti i giornali locali.
3) Si chiede che entro il 15 aprile c.a. sia inviato un rappresentante del Municipio e uno della Prefettura e siano introdotti in ogni singolo braccio a discutere pubblicamente con le varie commissioni.
4) Che le celle dei singoli bracci restino aperte sino alle ore 16 fino a quando che non verrà la commissione Parlamentare e che durante tutte le restanti ore sia aperta la porta in legno delle singole celle.
5) Che venga garantita ogni rinuncia a punizioni per i fatti avvenuti sino ad ora e relativi trasferimenti.
6) Domani stesso vengano indette elezioni a scrutinio non segreto controllate dalla Commissione Costituente di numero 5 detenuti per ogni braccio per la conferenza di cui al punto 2 e per prospettare i problemi carcerari.
7) Siano inviati dei membri della Commissione Parlamentare preposta alla riforma dei codici a venire entro 5 giorni alle Carceri Giudiziarie di Torino per sentire le richieste delle commissioni detenuti.
8) Oggi la commissione costituente deve poter girare liberamente per i bracci.
9) Che le commissioni elette come al punto 6 formulino a breve scadenza le modifiche a regolamento carcerario che si renderanno necessarie.
10) SI PROMETTE CHE ENTRO QUESTI CINQUE GIORNI NON VERRANNO COMMESSI ULTERIORI DANNEGGIAMENTI.
NEL CASO CHE TUTTI GLI ANZIDETTI PUNTI NON VENGANO INTEGRALMENTE ACCETTATI LA COSTITUENTE SI SCIOGLIE E NON RISPONDE IN ALCUN MODO A CIÒ CHE AVVERRÀ AL CARCERE.

Torino, 13 aprile 1969

Una rivolta esemplare (Battipaglia)

Un gruppo di compagni. Genova, 11 aprile 1969.

UNA RIVOLTA ESEMPLARE

La gente quando si rivolta conosce i suoi obiettivi: a BATTIPAGLIA non hanno portato petizioni al prefetto, ma hanno cercato di dare fuoco al municipio ed hanno devastato l’esattoria delle tasse, non hanno colloquiato con le forze dell’ordine, ma le hanno assediate nel cimitero ed hanno incendiato il commissariato, non si sono lamentati del prezzo delle merci, ma hanno saccheggiato alcuni negozi, non hanno infine fatto una processione ma hanno bloccato la ferrovia e l’autostrada e hanno continuato a battersi fino al rilascio dei fermati.

La gente quando si rivolta sa quello che vuole: farla finita con tutta l’oppressione e i suoi simboli odiosi, farla finita con lo sfruttamento ed i suoi gestori.

I borghesi si preoccupano e dipingono a tinte fosche la situazione: esasperazione, teppismo, confusione, anarchismo: NO, È MOLTO PIÙ SEMPLICE, LA GENTE VUOLE FARLA FINITA CON QUESTA SOCIETÀ. Ha intrapreso la strada che non ha sbocchi per chi segue la logica del bravo borghese o dell’ordinato cittadino; le azioni rivoluzionarie possono essere recuperate solo con la menzogna o col silenzio. A nulla servono gli appelli del governo alla calma, i telegrammi cinici di Saragat alle famiglie delle vittime… LA CALMA DOPO AVOLA È L’INCENDIO DI BATTIPAGLIA, e i sindacalisti non possono imporre rivendicazioni e devono solo gettare acqua sul fuoco.

E che fa l’opposizione? Quella seria, quella comunista? Cerca di far rientrare una vittoria all’interno della tradizione della sconfitta, cerca di circoscrivere l’incendio, collabora nel formare intorno a Battipaglia un solido cordone sanitario.

Ma gli obbiettivi veri, quelli della rivolta, dove sono andati a finire? Quelli vanno conculcati, respinti indietro. Delle vittorie, delle azioni reali, esemplari, chi parla? Non l’Unità che piange sui morti, unica vittoria degli avversari, e cerca di dare ai lavoratori solo l’immagine della loro impotenza, della frustrazione della sconfitta. È l’unico modo che le resta per tentare di far rientrare il movimento all’unico livello che essa conosce, quello della democrazia borghese.

Quotidianamente ci illudiamo – la società civile ci facilita in questa illusione – che le cose che ci circondano siano nostre, che il loro uso, il loro possesso ci sia permesso, sia pure mediatamente, attraverso il denaro, salario od altro che sia: è un’illusione che Battipaglia oggi distrugge.

Quando degli sfruttati negano e bruciano una società che li opprime ed affermano il loro potere reale sulle cose, si impadroniscono di una città, le forze di chi oggi ha in mano il potere distruggono gli uomini, li uccidono perché la società borghese, espropriatrice dell’uomo, non può tollerare di essere espropriata.

Di fronte agli sfruttati che guardano verso l’incendio di Battipaglia con speranza, non ci sono obbiettivi intermedi, richieste da fare alla democrazia. Poiché là non ci si difende – si attacca – non bisogna chiedere il disarmo del nemico, ma le armi per i compagni. E se per noi il momento non è ancora venuto, non bisogna versare lacrime di coccodrillo sui compagni di Battipaglia, ma imparare che il nemico o lo si attacca o la nostra sconfitta è permanente.

Un gruppo di compagni

Genova 11/4/69