Volantino anonimo diffuso a Genova a fine 1968 dopo lo sgombero dell’università.
Se continuano a emergere le tipiche incertezze teoriche di quei tempi, va notata – come in quasi tutti gli scritti del movimento genovese – una leggerezza di toni che stride con le plumbee massime in auge in altre città, specialmente a Milano, dove stava già prevalendo il linguaggio mortifero dei craponi maoisti. (P.R.)

LETTERA APERTA AL RETTORE

Grazie, Rettore −

Grazie a Lei il nostro incipiente dialogo ha rapidamente assunto la grandezza delle cose schiette.

Grazie al Suo illuminato intervento abbiamo finalmente avuto modo di apprezzare le Sue virtù democratiche, tanto a lungo modestamente celate.

Grazie, grazie. Grazie.

È pur vero che il suo illuminato intervento è avvenuto per interposta persona, ma noi, nel limite della nostra ingenuità, abbiamo comunque capito: dietro il commissario Catalano, improvvisamente apparso, si celava la Sua figura, signor Rettore.

Quanta modestia, quanta grandezza −

Compito ingrato il suo, signor Rettore −

Proprio nel momento in cui noi tutti, noi e Lei, ci accingevamo a normalizzare questa Università per tanti anni sopraffatta dalla discrezionalità, dall’autorettorismo (pardon, autoritarismo), dalla corruzione, ad ogni livello, Lei non si è proprio potuto esimere, con la morte nel cuore (lo comprendiamo), nell’adempiere il Suo dovere.

Non già il suo dovere di rettore, signor Rettore, bensì il suo dovere di funzionario pubblico.

Tempi duri signor rettore, tempi duri per chi, come da lei espresso in un’occasione memorabile, preferirebbe condividere con gli studenti le gioie del carcere, e che, dovere infame, deve sostenere chi ce li manda.

Rancore, acrimonia forse? No, signor Rettore, Ammirazione.

Ammirazione, sì, per la schiettezza, l’interessamento da Lei dimostratoci nel corso dei nostri produttivi colloqui.

Lei ci ha capito subito, signor Rettore, non lo si dubitava, non si poteva dubitarlo, se ne aveva la certezza.

Il nostro compito è facile: sappiamo dove trovarla, dove cercarla ogniqualvolta vogliamo esprimerLe una nostra inquietudine, un nostro dubbio, una nostra confidenza.

Non altrettanto facile il suo, signor Rettore: Lei non può certo venire a cercarci all’Istituto di Fisica, la nostra sede legittima, perché ormai non ci appartiene; siamo stati sfrattati dal nuovo padrone: la polizia dei padroni; certo non può venire a Marassi: ciò non si addice alla sua alta investitura (lì ci vanno i criminali, gli operai, i sindacalisti, gli studenti, Vinci, Trovatello); certo non può venire alle nostre case: non apriamo più, non ci dormiamo più, temiamo la polizia.

Può trovarci alla sede del Movimento Studentesco, che è dappertutto: nei licei, nelle fabbriche, nelle piazze, ovunque ci sono padroni da affrontare.

Non si angusti, signor Rettore, non si strugga troppo.

Le feste si avvicinano − Le campane di Natale cominciano a suonare.

Buon Natale, Buona Fine