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Paolo Ranieri – Una risposta stanca di rimanere inascoltata

Al momento dell’uscita del primo volume di “La critica Radicale” cui avevo collaborato, insieme con altri, uscirono alcune recensioni fra cui questa, pubblicata su Alfabeta, di Anselm Jappe, professore che ha conquistato notorietà grazie a un’interpretazione dell’opera di Guy Debord. Poiché un paio di passaggi mi riuscivano oscuri ho richiesto delucidazioni e ne ho ricevuto una risposta. Benché io non nutrissi una stima particolarmente calorosa per il mio interlocutore, volli offrirgli alcune precisazioni che mi apparivano utili. Come si può verificare (https://www.alfabeta2.it/2019/02/03/ludd-o-il-sessantotto-trascendente/) la redazione o forse lo stesso Jappe (cui l’avevo fatta pervenire anche personalmente, per il tramite di un comune amico) non hanno ritenuto opportuno pubblicare tale replica lasciando a sé stessi e a un loro tifoso, l’ultima parola. Esauriti al contempo un anno e la pazienza, mi pare opportuno pubblicare l’insieme del carteggio, sì che ciascuno possa giudicare lo spessore tanto degli argomenti quanto  delle persone coinvolte. (Paolo Ranieri – febbraio 2020)

Grazie, innanzi tutto, per avere cortesemente replicato, consentendomi in tal modo di esplicare e in buona misura contestare queste critiche.

Definire Rassinier presunto anarchico e padre del negazionismo è a sua volta una calunnia ma non la calunnia cui mi riferivo. D’altronde uno storico importante come Anselm Jappe dovrebbe conoscere le capacità di demonizzazione accumulate nei decenni dalla cricca stalinista che in Francia proprio come in Italia ha monopolizzato così a lungo la cultura e tenuta in ostaggio la verità. Certo può apparire ingeneroso ricordarlo ora che essi vagano raminghi e dispersi. Ma credo che chi ha operato per smascherarli fin dal primo momento come la corrente radicale italiana e io stesso, per quanto ho potuto, abbia titolo per farlo specie in un’opera come questa. Ovviamente riconoscere l’ambiguità del testo non ha nulla con vecchi conti da regolare, dal momento che degli estensori conoscevo personalmente solo Filippo Orsini, e che solo in seguito ho conosciuto unicamente Paolo Salvadori. Se con nessuno di loro si è mai data alcuna amicizia personale, neanche si è prodotto alcun personale contrasto.

In realtà, Rassinier è stato per tutta la prima parte della sua vita un militante di sinistra, prima nel PCF, poi in organizzazioni autonome da lui promosse, infine nella SFIO (il partito socialista francese di quei tempi, Sezione Francese dell’Internazionale Operaia), infine espulso. In seguito fino alla vigilia della sua morte fece parte della Federation Anarchiste.

Espulso (io dicevo “ostracizzato”) per antisemitismo? Per negazionismo? Mai più. Ma per avere smascherato e additato al meritato ludibrio la burocrazia interna di Buchenwald, dove gli stalinisti in seguito autonominatisi unici eredi legittimi della resistenza e dei deportati, facevano il bello e il cattivo tempo in combutta con le guardie. Il peccato inespiabile di Rassinier – cui mi riferisco nel mio scritto – fu quello di mostrare il ruolo di “mediazione ben retribuita” di tanti deportati dentro il sistema dei lager. Incrinando così l’immagine dell’antifascismo puro e cristallino su cui lo stalinismo aveva edificato il proprio monumento e gli stalinisti singoli le proprie fortune politiche, professionali, persino economiche. Ma questo non ha nulla a che spartire con l’antisemitismo cui Rassinier si abbandonò successivamente, DOPO ESSERE STATO OSTRACIZZATO E CALUNNIATO.

Quanto al volantino situazionista, lo ho definito ambiguo e ipocrita, perché mi sono reso conto di recente (non lo avevamo colto ai tempi, va detto) che in nessun punto si trova scritto che gli anarchici incriminati erano estranei al fatto e, con il titolo stesso, si propone un’analisi omnibus, altrettanto adatta sia che Valpreda si fosse rivelato colpevole sia che fosse stato riconosciuto innocente. In sostanza, il paragone con la vicenda del Reichstag, indica due possibili spiegazioni: gli estensori non conoscevano il reale svolgimento dei fatti (l’edificio fu dato alle fiamme da alcuni compagni anarchici , uno dei quali , Marinus Van dee Lubbe fu catturato, condannato e giustiziato), e credevano alla versione che attribuiva ai nazisti l’incendio e vedeva in Van der Lubbe un capro espiatorio innocente; ovvero prestavano fede alla calunnia stalinista che vedeva in Van der Lubbe un burattino manovrato dai nazisti . Adattato al 1969 significava o che Valpreda era stato incastrato innocente o che era colpevole ma manovrato: in ogni caso titolo e volantini sarebbero risultati azzeccati.

Paolo Ranieri, febbraio 2019

Carlo Romano – La Critica radicale in Italia. LUDD 1967-1970

Tratto da Fogli di via n° 26, fondazione De  Ferrari, Genova. (febbraio 2019?)

Nell’estate del 1969 vari soggetti si riunirono nei locali del romano Film- studio e diedero vita a “Ludd-Consigli proletari”. In un contesto che sci- volava sempre più, con diverse sfumature, nel limaccioso fronte ideologico bolscevizzante, il nuovo gruppo, animato principalmente da genovesi e milanesi, ribadiva la natura antiautoritaria del Sessantotto e allo stesso tempo rivendicava una tradizione di critica e ribellione che nei decenni aveva resistito al canto delle sirene che veniva da Est. I punti di congiunzione non mancavano.

Nel fatidico 1956 l’immagine della “grande e giusta Unione Sovietica” traballò nella vergogna e con lei i partiti che vi erano legati, per quanto le condizioni della “guerra fredda” ne rallentassero la dissoluzione vera e propria dell’elemento fideistico. Le critiche che al sistema moscovita ave- vano mosso tanto i comunisti radicali che i socialdemocratici cominciarono a circolare anche fra chi nelle ultime generazioni riscontrava in quel sistema, con la complicazione della fabbrica ideologica che era, la stessa intima natura del “blocco” avversario. Le teorie critiche della società salvaguardate nei passati decenni da piccoli gruppi di scarsa visibilità tor- narono attuali.

Nel corso del 1961 uscirono a Genova i tre numeri di “Democrazia diretta”. Fra i collaboratori, di diversa provenienza, c’era Romano Alquati che a Cre- mona aveva collaborato con Danilo Montaldi al gruppo di “Unità pro- letaria”, in contatto coi francesi di “Socialisme ou Barbarie”, che dei fatti genovesi – e non solo genovesi – dell’estate del 1960 aveva dato, riottosa nei confronti della retorica di partiti e sindacati e non coinvolta nel- l’antifascismo di maniera, una spiegazione incentrata su “operai e studenti che hanno maturato un profondo disprezzo nei confronti del potere che grava su ogni momento della loro vita di giovani”. Uno dei giovani coinvolti nei fatti dell’anno precedente e che finì col partecipare alla breve esperienza di “Democrazia diretta”, Gianfranco Faina, venne espulso dal PCI. Fu attorno a lui – attraverso volantini, partecipazione alle lotte, ef- fimere testate, gruppi di discussione, circoli, collegamenti, anche critici, che andavano dai “Quaderni Rossi” a “Socialisme ou Barbarie” e all’incontro con la teoria situazionista – che il Sessantotto in Liguria acquisì insieme alla continuità con la tradizione dei gruppi radicali e l’omogeneità con ciò che succedeva in quegli anni nel mondo giovanile, una spiccata originalità.

Non meno vivace, per quanto oscurata da circostanze più magmatiche, fu l’iniziativa dei milanesi. Qui si ebbe anche un rapporto diretto, fino al coinvolgimento teorico e pratico di Salvadori e Sanguinetti – e infine solo di quest’ultimo – con l’Internazionale Situazionista. Ma ciò che rientrava immediatamente nello scenario delineato fu il numero unico de “Il Gatto Selvaggio” redatto da Eddie Ginosa e dal torinese – trasferitosi a Milano inseguito da un mandato di cattura per uso di stupefacenti – Riccardo d’Este. Ambedue provenienti dal gruppo di “Classe Operaia”, facevano riferimento alla tradizione “consiliare” e allacciarono rapporti variamente caratterizzati (compresi anarchici e “beat” oltre a quello con un intellettuale di peso nel- l’editoria come Giorgio Cesarano) che via via si consolidarono. D’Este per altro fu il punto di congiunzione con la situazione genovese da lui ben conosciuta. Alla fine del Sessantotto le due esperienze trovarono un momento di incontro con la stesura del volantino “Il punto d’esplosione della menzogna burocratica” che fu l’antefatto alla fondazione di “Ludd- Consigli operai”. Il riferimento alle antiche lotte luddiste (sottratte proprio in quegli anni alla vulgata marxista-leninista dallo storico inglese E.P. Thompson) era significativo.

Mi spiace di non poter citare in questa sede i vari nomi di chi partecipò a tali vicende i quali tuttavia si possono recuperare nelle introduzioni di Paolo Ranieri e Leonardo Lippolis al volume che raccoglie tutti i reperti (non solo il “bollettino”) di “Ludd” e dei suoi antecedenti. Si tratta del primo dei tre volumi intitolati alla “Critica Radicale in Italia (seguiranno quelli su “Comontismo” e “Insurrezione”). Entrano in gioco i gruppi che, come ha scritto Piero Coppo, “inquadrarono la questione della rivoluzione in termini an- tiideologici fuori e contro il militantismo caratteristico di quegli anni e del decennio successivo”.

Dino Erba – Recensione di LUDD 1967-1970. LA CRITICA RADICALE IN ITALIA

Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente.
KARL MARX – FRIEDRICH ENGELS, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1971, p. 25.

L’OPERA È DIVISA IN TRE PARTI

La prima, L’occupazione definitiva del nostro tempo, di Leonardo Lippolis, è un excursus storico (persone, pubblicazioni, sigle, iniziative ecc. ecc.), succinto (55 pagine) ma sostanzialmente esauriente, a parte alcune lacune che segnalo poi.

La seconda parte, Vecchie favole intorno a un giovane fuoco, di Paolo Ranieri, è una lunga (192 pagine.) rifles- sione «politica», seppure nel solco dell’antipolitica.

La terza parte (circa metà del volume), raccoglie i documenti: giornali, volantini, manifesti che offrono inedite testimonianze sugli aventi e il clima di quegli anni. Il libro è il primo di una trilogia che tocca i primi anni Ottanta del Novecento, composta da: Comontismo 1971-1974 e Insurrezione 1975-1981 e oltre.

UNA FUGA IN AVANTI?

Per gli specialisti delle fughe all’indietro… Cit. in MANOLO MORLACCHI, La fuga in avanti.
La rivoluzione è un fiore che non muore, Agenzia X – Cox18Books, Milano, 2007.

A oltre mezzo secolo, il libro getta vividi bagliori su un’epoca che, in Italia, visse una stagione del tutto eccentrica nel contesto internazionale, sia riguardo alla cosiddetta contestazione studentesca sia riguardo al ciclo di lotte operaie che attraversò il decennio 1967-1977.

Certamente, Ludd fu una fuga in avanti, non solo rispetto al grigio clima cultural-politico italiano ma anche rispetto a quello internazionale, apparentemente più effervescente. Ma, forse, solo apparentemente.
Le sue argomentazioni possono oggi sembrare ingenue, a volte ambigue (mi riferisco alla spettacolare invo- luzione del situazionismo, su cui stendo un velo pietoso) . Erano suggestioni eversive che nascevano al culmine di una fase di espansione economica che, presto, avrebbe conosciuto un inesorabile declino.

Anticiparono temi che, in Italia, sarebbero stati affrontati nel decennio successivo, quando le sinistre comuniste ebbero un quarto d’ora di notorietà. Fu breve, ma fu ricco di iniziative (quasi esclusivamente edi- toriali), grazie alle quali, avvenne la mia crescita torica e politica. Fu una coraggiosa provocazione, di fronte al ritorno all’ovile dei più.

MA PRIMA, COME ERAVAMO?

Era un piccolo mondo e si teneva per mano. Era un mondo difficile, lontano oggi a noi … UMBERTO SABA, cit. a p. 67.

Dalla poetica di Saba, passo alla più prosaica realtà.

Nella dinamica del boom economico italiano dei primi anni Sessanta, si incontravano e si scontravano i secolari particolarismi cultural-politici, i recenti squilibri strutturali (città-campagna, Nord/Sud, flussi migratori interni) e le spinte modernizzatrici del capitalismo nostrano (in primis Olivetti, Fiat, Pirelli). A condire questo già saporito menu, dall’estero, giungevano nuovi stimoli culturalpolitici che contribuivano a ravvivare, se non a rompere, un clima ormai stantio, quando anche la Chiesa, con papa Giovanni, si apriva al «nuovo».

Ma cos’era il «nuovo» per l’Italia di allora? In buona sostanza, era il tentativo di coniugare l’American dream con il Vento dell’Est, ovvero un capitalismo competitivo ma seducente, grazie ai ritmi del rock, e un socialismo rassicurante, un po’ noioso, ma tecnologicamente efficiente, grazie allo Sputnik.

Fu un’impossibile quadratura del cerchio che visse una sua breve stagione, alimentando sogni e illusioni tra i giovani (e tra chi non accettava un meschino futuro). Nell’euforico clima di quegli anni, costoro, chi più chi meno, cercarono di cavalcare la tigre, dando vita alla critica radicale, come sarebbe stata definita, di cui il libro ci parla e che, ripeto, non ebbe apprezzabili riscontri fuori dall’Italia. L’Italia, pur recependo gli echi di quanto avveniva in altri Paesi, non li restituì. Per quale motivo?

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LA TRISTE SCIENZA DI TOGLIATTI E LA CRITICA DELLECONOMIA POLITICA DI MARX

Per quanto radicale, la critica scontava in Italia il retaggio di una cultura umanistica che, nelle sue più recenti espressioni – quella liberale di Benedetto Croce e quella fascista di Giovanni Gentile – aveva tenuto ben divise «arte e scienza». Non stupisce quindi che politici (NON politicanti) italiani, anche sovversivi (tranne le solite encomiabili eccezioni) abbiano sempre guardato con sospetto l’economia (la «triste scienza», secondo Palmiro Togliatti, massimo guru del pensiero nazional-popolare italiano).
Un simile retaggio affiora prepotente anche dalle considerazioni di Paolo Ranieri (p. 88). E non per nulla, Leonardo Lippolis, nel suo excursus, pur girandoci intorno, non parla della Sinistra comunista «italiana» (il Bordiga! Innominato, innominabile)(1) che, in quel periodo, si distinse per le sue analisi sull’evoluzione del ciclo economico postbellico. Sono studi quasi unici, anche a livello internazionale.(2) A onor del vero, anche la Sinistra «tedesco-olandese» (o consiliare), più volte evocata, con Anton Pannekoek e con Paul Mattick, si dedicò alla critica dell’economia politica. Perché di critica dell’economia politica bisogna parlare. Ed è questa la grande assente. Fu assente dai dibattiti e dai confronti di quegli anni e, anche oggi, la critica dell’economia politi- ca mostra una certa latitanza (tranne le solite encomiabili eccezioni).(3)

Per uscire da questo impasse teorico-politico, e abbordare la critica dell’economia politica, le premesse c’erano. Nel coro della critica radicale, c’erano molte voci, anche stonate, pronte a ricevere il la e animare nuove pulsioni.

OGGETTIVO O SOGGETTIVO? QUESTO IL DILEMMA!

Insomma, il vecchio mondo che già stava tornando attraverso i vari gruppi della sinistra extraparlamentare prese definitivamente il sopravvento.
Leonardo Lippolis, p. 60.

Fu la bomba di piazza Fontana (Milano, 12 dicembre 1969) a segnare la battuta delle diverse ma congruenti espressioni della critica radicale. Trascorse però un decennio prima che fosse posta la «pietra tombale» su quanto essa, in tre anni, aveva disordinatamente e gioiosamente seminato.
Spiegare a caldo le sconfitte è come arrampicarsi sugli specchi. Soprattutto, in assenza di quei criteri che so- lo la critica dell’economia politica può offrire. Se usati cum grano salis

Nel milieu radicale, le spiegazioni oscillarono tra l’enfatizzazione di aspetti soggettivi, la trionfante controrivoluzione (per es. Gianfranco Sanguinetti) e l’enfatizzazione di aspetti oggettivi, l’antropomorfizzazione del capitale (Jacques Camatte e Giorgio Cesarano). In un caso e nell’altro, c’era del giusto… Prevalse la visione no future. Per alcuni fu la morte fisica (ricevuta o cercata), per i più fu la morte intellettual-politica (l’omologazione).
Ma anche chi si piccava di usare la critica dell’economia politica mostrò di essere ancora succubo di ideo- logie del passato che ottenebravano le armi della critica.

La Sinistra comunista «italiana», richiamandosi agli studi condotti con Amadeo Bordiga ancora vivente, vide nel 1975 la fine del boom economico post bellico (Golden Age o Trente Glorieuses). L’analisi era giusta, ma fece del 1975 l’anno fatidico del crollo e della rivoluzione. Diffuse una profezia millenaria che, nel giro di pochi anni, si dissolse, dopo aver mandato allo sbaraglio compagne e compagni, pur senza mortiferi esiti, questa volta.(4)
A questo proposito, si rivela superficiale la critica di Paolo al bordighismo – più che a Bordiga – (pp. 179-191), poiché essa resta, appunto, alla superficie del fenomeno, ancorché immaginifico, senza sondarne i meandri, dove fermentavano umori squisitamente soggettivisti e volontaristici (il leninismo!), come emblematicamente dimostra la teoria-prassi di Rivoluzione Comunista, antesignana dei futuri sviluppi, di cui parla il citato Lalbat.

Parlando della crisi del modo di produzione capitalistico, alla fine degli anni Settanta, essa era ai suoi primi passi. La sua evoluzione sarebbe stata assai contorta (e imprevista) e, solo nel nuovo millennio, avrebbe preso forma e sostanza. Tuttavia, il suo studio richiedeva attenzione e capacità analitiche, evitando improvvisazioni e facili analogie con un passato ormai remoto, come fecero i seguaci di una sciocca invarianza.

Non ci voleva però il cervello di Marx per vedere che, nel mondo capitalistico, il blocco sovietico rappre- sentava una sorta di limbo, in cui gli effetti della crisi si manifestavano in maniera distorta, invischiandosi in una formazione economica ibrida, né capitalista né extra capitalista (non certo socialista). Sarebbero esplosi nel 1989, con il crollo del muro di Berlino e la successiva dissoluzione dell’URSS. Al tempo stesso, si dissolvevano quelle mitologie che, per settant’anni, avevano visto nel sistema sovietico un sogno o un incubo. Cadendo, in entrambi i casi, in una visione assolutamente fantastica.(5)

Certo, è il senno di poi (di cui son piene le fosse) che mi consente di avanzare queste osservazioni con le mie critiche ai testi di Leonardo e di Paolo. Le ritengo una doverosa premessa, grazie alla quale posso ora riconoscere il merito di quell’esperienza: il luddismo.

CONTRO IL LAVORO

Le temps payé ne reviene plus.
RAOUL VANEIGEM, La vie s’écoule, la vie s’enfuit.
(1974).

Ci volle un bel coraggio in quegli anni per resuscitare il capitano Ludd!
Un coraggio generato da quella critica radicale che metteva in discussione tutte le «verità» del mezzo secolo precedente, a partire dalla Rivoluzione d’Ottobre, madre di tutte le moderne ideologie lavoriste … Nonostante Paul Lafargue (genero di Marx), nel 1887, avavesseeva indicato la via, col suo Diritto all’ozio (preziosa operetta che I luddisti milanesi diffusero, se ben ricordo).(6)

La critica, o meglio, le armi della critica, si erano forgiate in Russia nel 1917-1921, con la maknovcina e l’insurrezione di Kronštadt, in Germania nel 1919 con gli spartachisti, in Spagna nel 1936-1937 con gli Amici di Durruti, con gli insorti di Berlino nel 1953 e di Budapest nel 1956 … e con altre mille grandi e piccole ri- bellioni, sparse ai quattro angoli della Terra, non ultima, la nostra Italia.

La repressione, nelle sue forme democratiche fasciste o staliniste, contribuì a soffocare le ribellioni ma il colpo di grazia lo dette la ripresa del ciclo di accumulazione capitalistico. In quelle circostanze, la critica, abbandonate le armi, non si spinse a toccare il sacro tabù: il lavoro. Gli stessi conciliarismi, cui Leonardo e Paolo si richiamano, restarono legati alla sacralità del lavoro.(7)

Chi, ancora una volta, si spinse oltre, fu Bordiga. Nel 1952, con il Programma rivoluzionario immediato, proponeva un progetto di desviluppo, del tutto con- tra-corrente, in un periodo in cui l’Europa (e, di riflesso, buona parte del mondo) era alle prese con la ricostruzione post-bellica. Soprattutto, Bordiga rompeva con quella visione di progresso e sviluppo, compendiata nella triste frase di Lenin: il socialismo è il soviet più l’elettrificazione delle campagne.

In poche parole, Lenin e i suoi pur aspri critici consiliaristi restavano nella logica della gestione dello stato di cose presente, mentre Bordiga (con Marx ed Engels) ne sosteneva l’abolizione.

Ci sarebbe da colmare un’altra lacuna: il gruppo Krisis e Robert Kurz che, in tempi più recenti (anni Novanta), si sono espressi contro il lavoro.(8)
La storia, tutta italiana (nella nascita e nella morte), di Ludd è quindi di grande pregnanza. Il suo significato intimo sarebbe stato compreso solo in anni più recenti. Grazie all’azione tellurica della Vecchia Talpa, la crisi, cieca compagna del modo di produzione capitalistico.

Benché il messaggio fosse ancora forte e chiaro, il Movimento del Settantasette lo recepì in modo assolutamente distorto, come giustamente afferma Paolo (p. 106). Il rifiuto del lavoro fu più di forma che di sostanza, in ultima analisi, privilegiò l’arrangiamento individuale, favorendo, proprio nella fase cruciale delle ristrutturazioni e della deindustrializzazione (fine anni Settanta), le dimissioni concordate, attraverso laute buonuscite Alimentando demenziali teorie, come l’autovalorizzazione negriana o il piccolo è bello, anticamera del berlusconismo e del leghismo.(9) Ma questa è un’altra storia. Ritorniamo nella nostra valle di lacrime…

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NO FUTURE? MAGARI!

Avanzano alla solita vecchia maniera? E finiranno battuti alla solita vecchi maniera.
Wellington, Waterloo, 18 giugno 1815 (cit. p. 88).

Il futuro che ci attende non è certo radioso. Nella sua lunga digressione sugli anni Settanta, Paolo sciorina una lun- ga serie di citazioni, quasi tutte apprezzabili e tutte suggestive,(10) che, tuttavia, sfiorando mille ipotesi, finiscono per dissolversi nella notte hegeliana (in cui tutti i gatti sono bigi). Un limbo, in cui i contorni di classe perdono consi-stenza, eludendo il fatto che quei contorni non sono tracciati dai senza risorse (o proletari), bensì dai padroni (o borghesi), ovvero da coloro che vivono sfruttando il lavoro (la forza lavoro) di chi non ha altro da vendere per campare. E sono i padroni che creano la lotta di classe. I proletari ne farebbero volentieri a meno.

La compra-vendita della forza lavoro, per quanto truffaldina (come Marx spiegò), aveva in origine una sua pur discutibile giustificazione, poiché si manifestava nella produzione di merci con un valore d’uso, ovvero beni di consumo, destinati (in parte) alla produzione e riprodu- zione degli umani (è il mercato, bellezza!).

Ma ormai, da circa un ventennio, quella finalità è appassita, facendo fiorire la pura estorsione di plusvalore, denaro destinato in massima parte (se non esclusivamente) alla speculazione finanziaria: denaro che crea denaro. Il capitalismo diventa il serpente infernale che si mangia la coda, generando turbolenza ora più ora meno violente, con effetti dagli imprevedibili esiti catastrofici.

Senza attendere la catastrofe, si vede chiaramente che il lavoro è inessenziale, nella forma attualmente asasunta dal sistema economico capitalistico. Ed è altresì evidente che è assolutamente demenziale (e autolesionistico) chiedere lavoro, occupazione, investimenti produttivi … È comunque un lavoro mal pagato e svolto in condizioni sempre più precarie, e pericolose.

Il lavoro uccide! È la conferma di un sordido decline che smentisce clamorosamente decenni di consolatorie previsioni, condite con modesti miglioramenti (almeno in Occidente), il più delle volte pagati a caro prezzo. Certamente, viviamo una situazione quanto mai dinamica e mutevole, in cui richiamarsi a un passato ormai remoto porta in un vicolo cieco. Ciò non toglie che le esperienze del passato, vissute come fughe in avanti rispetto al loro tempo, segnano passaggi su cui oggi è bene ritornare, ma solo per correre poi più veloci.

Tra le «fughe in avanti», mi piace ricordare, oltre agli estemporanei luddisti italiani, i soviet russi del 1905 e del 1917-1921, le comunità anarchiche nell’Ucraina della maknovcina, i consigli operai in Germania nel 1918-1921, i Comitati della CNT in Catalogna e in Aragona nel 1936 e tanti altri esempi cui ho accennato, senza escludere con eccesso di severità libresca più recenti esperienze di democrazia diretta, come le comuni curde del Rojava.

Sotto vesti molto diverse (a volte contrastanti), il minimo comun denominatore è la formazione di co- munità di lotta, in cui i senza risorse non affidano il comunismo (il loro/nostro destino) a un futuro remoto e vago, ma lo vivono e lo fanno, giorno per giorno.

Altrimenti, sarà l’orrore senza fine, da cui solo una fine orrenda potrà liberarci .

DINO ERBA, MILANO, 21 giugno 2018.

 

PS. Il libro costa 25€. È tanto? Sicuro! Ma teniamo presente che bande di traffichini stanno spacciando a caro prezzo i vari testi presenti nella sua parte documentaria. Tagliare l’erba sotto i piedi ai trafficanti di rivoluzioni, è un merito!

NOTE

1. Riferimenti a caldo erano sul bordighismo li fece Barrot, nel suo articolo l’Ideologia ultra sinistra (1969), ri- portato a p. 366. Pubblicato l’anno seguente dalle Edizioni La Vecchia Talpa, di Napoli.

2. Nella bibliografia curata da Leonardo Lippolis (p. 62), è una grossa lacuna l’assenza di: GILLES DAUVÉ [Jean Barrot], Le Roman de nos origines. Alle origini della critica radicale, A cura di Fabrizio Bernardi, Dino Erba, Antonio Pagliarone, Quaderni di Pagine Marxiste, Milano, 2010. I contributi presenti nel libro propongono uno scenario, sicuramente più ampio, e quindi assai più sintetico, cercando tuttavia di intrecciare i vari fili teorico-politici. Sforzandosi, altresì, di spiegare la genesi e l’evoluzione (nonché l’involuzione) della critica radicale nel corso del Novecento.

3. Parlo di critica dell’economia politica, non di generici studi economici in cui, per esempio, si distinguono i ragionieri di «Lotta Comunista».

4. Vedi: BENJAMIN LALBAT, Les bordiguistes sans Bordiga. Contribution à une histoire des héritiers de la,Gauche communiste italienne en France. Des racines de Mai 68 à l’explosion du PCI (1967-1982), Université d’Aix-Marseille, master 2 (dir.: Isabelle Renaudet), septembre 2014.

5. Vedi la mia critica al mito della potenza sovietica: DINO ERBA, La rivoluzione russa. Cent’anni di equivoci. Marx, i marxisti e i costruttori del socialismo, All’Insegna del Gatto Rosso, Milano, 2017, p. 36.

6. Ricordo la più recente edizione: PAUL LAFARGUE, Il diritto all’ozio. La religione del capitale, A cura di Lanfranco Binni, Il Ponte Editore, Firenze, 2015. Binni tradusse l’edizione pubblicata nel 1977 dalle edizioni 10/16 di Milano. Ho evidenziato i meriti di Lafargue in: Il sole nonsorge più a Ovest. Significati e forme delle rivoluzioni al tempo della Grande Crisi. Riflettendo con Marx: razze, etnie, genere e l’immancabile sfruttamento operaio, All’Insegna del Gatto Rosso, Milano, 2017, pp. 44 e ss.

7. Mi riferisco a: GRUPPO COMUNISTI INTERNAZIONALI OLANDESI (G.I.K.H), 1930: Principi fondamentali di produzione e di distribuzione comunista, Introduzione di Paul Mattick, Jaca Book, Milano, 1974. Per una recente esposizione critica, vedi: VISCONTE GRISi, Pi nificazione dal basso e consigli operai. I principi fondamentali dei GIKH, «Collegamenti Wobbly», Supplemento, n. 1, gennaio-giugno 1995.

8. GRUPPO KRISIS, Manifesto contro il lavoro, Derive/Approdi, Roma, 2003. Ne parlo criticamente in: Il sole non sorge più a Ovest, op. cit., p. 131. La critica del lavoro ha ormai numerosi sostenitori, ricordo: ALBERTO TOGNOLA, Lavoro? No grazie! Ovvero, la vita è altrove, Edizioni La Baronata, Lugano, 2010. PHILIPPE GODARD, Contro il lavoro, Prefazione di Andrea Staid, Elèuthera, Milano, 2011.

9. Per una più ampia esposizione, vedi: VISCONTE GRISi, Il Movimento del 77 in Italia, sid (ma 2017).

10. Volendo scremare e arricchire il florilegio di autori citati da Paolo, toglierei il lamentoso cattocomunista Pasolini e l’impunito stalinista Aragon, e aggiungerei Guido Morselli, col suo Il comunista, pubblicato postumo da Adelphi, nel 1976: una svergognante denuncia dell’apologia del lavoro (e del partitone togliattiano). Scritto nel 1965, Il comunista fu rifiutato dall’Einaudi, per bocca di Italo Calvino, assistente al soglio di papa Giulio (per grazia di Mosca). Da buon gesuita, Calvino motivò il rifiuto, scrivendo a Morselli che: «dove ogni accento di verità si perde è quando ci si trova all’interno del partito comunista. Lo lasci dire a me che quel mondo lo conosco, credo proprio di poter dire, a tutti i livelli. Né le parole, né gli atteggiamenti, né le posizioni psicologiche sono vere. Ed è un mondo che troppa gente conosce per poterlo “inventare”». Chiosando infine: «Spero che Lei non s’arrabbi per il mio giudizio» (Carteggio – Suo Italo Calvino, 9 Ottobre ’65).

Anselm Jappe – Ludd, o il Sessantotto trascendente

Tra il 1968 e il 1978 l’Italia, com’è noto, ha vissuto la più lunga stagione contestataria di tutti i paesi occidentali in quel periodo, mentre altrove “il Sessantotto” era generalmente tanto intenso quanto breve. Era anche l’unico paese dove le proteste videro una sostanziale partecipazione operaia e popolare. Allo stesso tempo, l’Italia ha dato un’elaborazione teorica tutta sua di quegli eventi e della loro novità: l’operaismo, le cui propaggini si estendono fino a oggi. In retrospettiva, l’operaismo e le organizzazioni da esso influenzate (Potere Operaio, Lotta continua, poi Autonomia operaia) sembravano occupare tutto lo spazio a sinistra del PCI, vista anche la scarsa importanza che ebbero maoisti e trotzkisti, diversamente dagli altri paesi europei. In effetti, esiste ormai una ricca letteratura sull’operaismo. Tuttavia, a margine c’erano altre correnti che si volevano più radicali e che si ispiravano soprattutto ai situazionisti francesi e alla tradizione anti-leninista dei Consigli operai. Questa piccola area di “comunisti eretici”, che spiccava più per lucidità che per impatto immediato sulle lotte sociali, va sotto il nome di “Critica radicale”. Il suo raggruppamento più importante fu Ludd. Benché sia esistito per appena un anno, dal 1969 al 1970, coinvolgendo solo alcune decine di persone, soprattutto a Genova e Milano, e ne rimangano essenzialmente tre bollettini e alcuni volantini, Ludd è diventato nel corso del tempo una “leggenda” per quegli ambienti della critica sociale che si richiamano alle idee situazioniste, oggi forse più numerosi che quarant’anni fa.

Per la prima volta, una larga documentazione su Ludd e i suoi “precursori” è disponibile su carta stampata (il materiale era già disponibile sul sito nelvento.net). Un’utile introduzione di Leonardo Lippolis spiega il contesto storico. Quasi metà del libro è occupato da un saggio di 200 pagine di Paolo Ranieri, ex membro del gruppo, che mescola ricordi personali con commenti allo stato attuale del mondo, offrendo informazioni preziose, ma anche alcuni deplorevoli scivoloni. L’interesse principale risiede nella parte documentaria: documenti (soprattutto volantini) del Circolo Rosa Luxemburg, della Lega degli operai e degli studenti e del Comitato d’azione di lettere che si sono succeduti a Genova, nonché i tre bollettini di Ludd e i suoi volantini, con in più alcuni documenti interni.

Gli antecedenti si trovano in quei circoli che a partire dal 1960 si collocavano alla sinistra del PCI, dal quale si distanziavano sempre più nettamente: dapprima i Quaderni rossi di Panzieri, poi Classe operaia dove Antonio Negri e Mario Tronti gettavano le basi del futuro operaismo. Di fronte a quello che consideravano come una rottura ancora insufficiente con il leninismo, alcuni collaboratori di Classe operaia come Gianfranco Faina e Riccardo d’Este, futuri protagonisti di Ludd, ne uscivano per fondare il Circolo Rosa Luxemburg a Genova. Scoprivano la rivista francese Socialisme ou Barbarie (che aveva appena cessato di uscire), la cui figura centrale era Cornelius Castoriadis e che costituiva la punta più avanzata in Europa di una critica del leninismo e del progetto di un’“autonomia operaia” di fronte ai partiti e sindacati. A partire dalla fine del 1967, la situazione italiana si radicalizza rapidamente per culminare nell’”autunno caldo” del 1969: non solo nelle università, ma anche nelle fabbriche. La sinistra “extraparlamentare” passò da ultra-minoritaria a essere l’area più in sintonia con delle lotte che sfuggivano al controllo del PCI e della CGIL, e anche alle categorie interpretative tradizionali. Allo stesso tempo, il Maggio francese elettrizzò gli animi e comportò una maggiore diffusione delle tesi situazioniste, soprattutto la “critica della vita quotidiana”. 

Dai vari contatti nacque nell’estate 1969 “Ludd – Consigli proletari” in una riunione al Film Studio di Roma. Ebbe almeno quaranta partecipanti distribuiti tra Torino, Genova, Roma, Milano e Trento, tra cui si possono ricordare, oltre a Faina e d’Este, Giorgio Cesarano, Pier Paolo Poggio, Mario Lippolis, Piero Coppo, Eddie Ginosa, ma anche Mario Perniola (tutti maschi, come ricorda Ranieri nella sua introduzione che contiene anche molti spunti autocritici). Una sezione italiana dell’Internazionale situazionista si era già formata all’inizio di quell’anno e mantenne altezzosamente le distanze. Nello stesso anno si formavano anche Potere operaio e Lotta continua – oggetti di forte polemiche da parte di Ludd che li accusava di voler dirigere nuovamente dall’esterno la spontaneità proletaria, di avere dei “capi” e di essere disponibili a una “modernizzazione” o “democratizzazione” del capitalismo. Ludd invece mirava a una “rivoluzione totale” che includeva anche una rottura esistenziale a livello individuale con il modo di vita vigente: la rivoluzione della vita quotidiana.

Il nome era già un programma: il movimento dei “luddisti”, gli operai inglesi che all’inizio del Ottocento distruggevano i telai meccanici, passava nella tradizione marxista come l’espressione di una tendenza infantile o reazionaria del nascente movimento operaio. Il libro dello storico inglese E. P. Thompson sulla formazione della classe operaia inglese, tradotto in italiano nel 1969, ne aveva invece rivelato l’importanza. Aveva ispirato il nome ai giovani rivoluzionari italiani. In generale, il loro orizzonte si muoveva tra marxismo e anarchismo, con uno spiccato interesse per il “consiliarismo”: quella tendenza eretica del movimento operaio che si rifà ai primi soviet e ai consigli durante la rivoluzione tedesca del 1919 nonché alle organizzazioni che ne continuavano il programma tra le due guerre, soprattutto in Germania e Olanda. In Italia questa tradizione di autoorganizzazione operaia fuori dai partiti e sindacati era del tutto assente e veniva scoperta attraverso la Francia. Divenne per Ludd (come per l’I. S.) uno spartiacque nella polemica contro l’operaismo nascente e le sue volontà “politiciste”. 

Ludd intervenne con volantini spesso sarcastici e improntati al pamphlet situazionista “Della miseria nell’ambito studentesco”, tra cui una progettata contestazione del festival di Sanremo. Ma il più notevole fu il volantino “Bombe, sangue, capitale” distribuito qualche settimana dopo la strage di Piazza Fontana (12 dicembre 1969) e dove Ludd indicava – primi a farlo dopo il volantino “Il Reichstag brucia” della sezione italiana dell’I.S. – nello Stato il mandante della strage, in un momento in cui anche a sinistra regnava la più grande confusione.

Ma quello che può interessare maggiormente il lettore di oggi, perché meno legato al solo clima di quell’epoca, sono alcuni aspetti degli articoli più teorici del bollettino. Vi si ritrova anzitutto il rifiuto del lavoro e dell’”ideologia”. Gli autori, che si rivendicano «estremisti», constatano che ormai il proletariato è una categoria ben più vasta dei soli operai: l’alienazione e lo spossessamento si estendono alla vita intera, non solo al lavoro, sotto forma di una “colonizzazione della vita quotidiana”. Notano che ormai molti operai agiscono in modo del tutto diverso dai canoni del movimento operaio tradizionale. Ludd fa allora un elogio costante delle “lotte anti-economiche” del nuovo proletariato, del “sabotaggio”, della negazione tanto dell’economia quanto della politica, in nome del rifiuto dei “feticci della merce e del capitale”. La lotta di classe rimane un argomento onnipresente, ma assume i tratti di uno scontro generalizzato tra chi difende il modo capitalista di vivere e chi lo vuole abolire. Non la trasformazione graduale dell’esistente è l’orizzonte, ma la sua distruzione sotto forma di un’insurrezione, rifiutando tutte le mediazioni istituzionali. Ludd polemizza costantemente contro il militantismo e lo spirito di sacrificio: nell’azione rivoluzionaria, mezzo e fine, vita personale e azione collettiva devono coincidere (naturalmente, come ricorda l’introduzione, i membri di Ludd trovano grandi difficoltà a vivere veramente questa rottura e ne derivano forti frustrazioni e tensioni nel gruppo). 

Un’altra preoccupazione costante è l’opera dei “recuperatori” (il Movimento studentesco di Mario Capanna è uno dei loro bersagli preferiti) che vogliono canalizzare l’energia negativa del proletariato verso delle riforme, promuovendo al contempo il proprio statuto di leader – non si può negare un grande valore profetico a questi attacchi! Altre volte, le critiche appaiono alquanto ingenerose, per esempio quando; parlando di psichiatria, mettono Franco Basaglia e Ronald Laing nel novero dei “rivoluzionari parziali” che non fanno altro che rafforzare il sistema.

Pur continuando a guardare all’operaio di fabbrica, Ludd elogia le nuove forme di opposizione al capitalismo: le rivolte dei neri negli USA, il sabotaggio, i saccheggi, l’assenteismo, l’illegalità, e anche la criminalità, la malattia mentale, la marginalizzazione. Come i situazionisti italiani, si entusiasmano per il sollevamento popolare di Battipaglia nell’aprile del ’69. Nel bollettino numero 3 (gennaio 1970), Piero Coppo, futuro antropologo e etnopsichiatra, espone una critica della medicina e della psichiatria come strumenti di dominio che critica la stessa antipsichiatria. Ma nonostante il nome, in Ludd si trova appena un inizio di una critica approfondita della scienza, della tecnologia e del regno degli esperti. 

Più sorprendente, vista la sua evoluzione successiva, è la partecipazione di Mario Perniola (che era stato in contatto diretto con i situazionisti francesi tra il ’66 e il ’69); il suo contributo sulla “creatività generalizzata” anticipa il suo libro L’alienazione artistica.

Un particolare rilievo assume la figura di Giorgio Cesarano. Aveva già quarant’anni nel 1968, era poeta e faceva parte del mondo culturale milanese. La sua partecipazione agli eventi del ’68 lo scosse durevolmente (la sua elaborazione letteraria di quegli eventi sotto forma di diario, pubblicata nello stesso anno come I giorni del dissenso e La notte delle barricate, è stata riproposta nel 2018 dall’editore Castelvecchi, che ha ugualmente pubblicato uno studio di Neil Novello su Cesarano dal titoloL’oracolo senza enigma). Un suo saggio intitolato “L’utopia capitalista. Tattica e strategia del capitalismo avanzato nelle sue linee di tendenza” apparve nel terzo bollettino. In uno stile a volte pesante (in generale bisogna dire che a Ludd mancava lo stile brillante, caustico e spesso divertente dell’I. S.) vi espone delle idee sviluppate da lui negli anni successivi in Apocalisse e rivoluzione (Dedalo, 1973), Manuale di sopravvivenza (Dedalo 1974) e nell’incompiuta Critica dell’utopia capitale (Colibrì, 1993). Vi espone l’idea di una “rivoluzione biologica” che a partire dal corpo si opporrà a tutte le alienazioni, perfino al linguaggio. 

Nel saggio su Ludd, Cesarano sottolinea il ruolo del credito: ormai è socializzato, cioè viene concesso ai proletari, e facilita l’invasione della merce in tutto lo spazio sociale. Lo sfruttamento non si limita più allora alla vendita della forza-lavoro, ma invade tutto lo spazio e tutto il tempo. A causa del debito il proletario è ancora più in ostaggio dei dominanti. Scrive: “Ciò che in realtà l’individuo consuma nella società capitalista è sempre e solo merce e cioè capitale, lavoro morto, organizzato in modo da riprodursi e da accrescersi, e che si riproduce e si accresce proprio nella misura in cui viene consumato”. L’accento messo sulla “merce” come categoria centrale della critica sociale era poi destinato a un importante futuro. La lotta di classe non si presenta infatti più nei termini tradizionali: “Il ribaltamento ideologico operato dai sociologi ‘operaisti’ di ridurre la portata del processo di proletarizzazione universale all’aspetto di una ‘operaizzazione’ di nuovi ceti, da affrontare nei termini di un’analisi sociologica di ‘ricomposizione di classe’, si rivela ormai per quello che è: l’ultimo trucco, l’ultima mistificazione per nascondere al proletariato se stesso”. Diventare proletari non significa dunque più diventare operai. Riprendendo spunti situazionisti, Cesarano afferma che il “proletariato non è più identificabile in entità sociali parcellizzate e statiche – ma poiché ‘o è rivoluzionario o è nulla’ è lo stesso movimento che tende verso la totalità”. (Una definizione talmente “soggettivista” del proletariato comporta, è chiaro, ugualmente dei problemi – ma aveva un’importante funzione in quel momento storico in cui l’operaio di fabbrica cominciava da un lato a perdere la sua centralità, e dall’altro il suo aspetto necessariamente rivoluzionario). Infatti, Cesarano propone di abbandonare “l’immobile personificazione del proletariato” e di valorizzare l’”eterogeneità delle masse che colmano i ghetti dei disadattati, le carceri, i manicomi”, di tutti coloro cioè che non sopportano più le condizioni di vita che vengono loro imposte. Ma questo significa – altra idea assai importante – che “quando la classe tende all’universale e universale si fa la proletarizzazione imposta dallo sviluppo capitalistico, il fronte della lotta di classe passa ormai all’interno delle persone”: se (quasi) ognuno può essere un po’ proletario, in cambio ognuno partecipa anche al dominio e ne riproduce i meccanismi (una conseguenza era, nei gruppi radicali, la ricerca spesso ossessiva e denunciatoria di atteggiamenti “borghesi” in se stessi o negli altri membri del gruppo). 

Cesarano articola la critica dell’ideologia che sottrae il significato a ogni atto della vita e del lavoro, ma anche della scienza che perde di vista la totalità. Bisogna far cadere tutta la divisione tra struttura e sovrastruttura (ideologia). Lui oppone, in modo poco dialettico, a dire il vero, il valore d’uso come l’aspetto vivo, da rivendicare, al valore di scambio come aspetto mortifero della produzione e si spinge molto lontano nella ricerca delle origini ultime dell’alienazione, in termini che ricordano talvolta la Dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno: le trova nella preistoria, nel linguaggio e nella natura. “Prima che materializzarsi nel denaro, il valore di scambio si materializza, sacralizzato, nel sacrificio, nel mito, nel linguaggio come accumulazione seriale di significati”. La colonizzazione dei significati conta tanto quanto lo sfruttamento economico: “Qualsiasi forma di schiavitù, prima che misurabile in termini di quantificazione (termini di economia), è sempre qualificabile in termini di subordinazione dell’attività umana allo stato delle cose; così come qualsiasi forma di dominio, prima che quantificabile in termini di accumulazione di valore, è qualificabile in termini di gestione dei significati cui fa capo lo stato delle cose”. È allora logico che per Cesarano si deve arrivare alla “distruzione definitiva del regno delle cose” (qualunque cosa questo possa significare), ad opera della “spontaneità proletaria” fortemente elogiata.

Questo tentativo di rintracciare le cause della non-vita contemporanea fino alla sua dimensione più profonda, biologica e linguistica, porta Cesarano a una febbrile attività di scrittura negli anni successivi, ma anche al suo tragico suicidio nel 1975.

Nell’estate del 1970 Ludd decide di sciogliersi, senza drammi. L’incapacità di andare oltre la teoria e di implicarsi realmente nelle lotte collettive era uno dei motivi messi in avanti. I suoi membri più attivi continuano quasi tutti la critica sociale, ognuno a modo suo, e evitano le compromissioni con il sistema capitalistico cosi come con le organizzazioni “recuperatrici”. 

Che cosa se ne può ritenere oggi, a parte il tassello che completa un quadro storico? Il Sessantotto mondiale, questa insurrezione contro il “vecchio mondo”, appare in retrospettiva ben diverso da quello che erano le intenzioni dei suoi protagonisti: ha prodotto non l’abbattimento della società borghese e capitalista, ma la sua modernizzazione. I contestatari hanno aiutato, volenti o nolenti, la società della merce a liberarsi di una serie di anacronismi e di superstrutture obsolete e incrostate, laddove i suoi stessi gestori non erano in grado di operare un tale aggiornamento. Questo fatto è ormai risaputo. Molti si sono accontentati dei cambiamenti – d’altronde grandi – che il “capitalismo progressista” ha introdotto negli anni settanta in tutte le sfere sociali. Ma come in ogni rivoluzione, c’erano stati i momenti dell’”assalto al cielo” in cui sembrava possibile di volere tutto, non soltanto delle briciole. La poesia, ma anche una parte dell’importanza perdurante di questi picchi della storia risiede in quella ricerca dell’assoluto, che sia realizzabile o no. Ludd, per quanto minoritario, e con tutti i suoi limiti, faceva parte di questi “momenti trascendenti” della storia di cui possono nutrirsi i ribelli ancora per diverse generazioni.

Interessante, utile e articolata recensione. Rimane la curiosità: quali saranno i deplorevoli scivoloni cui si allude nei primi paragrafi? Saperlo, potrebbe consentire un efficace dibattito che, così, rimanendo all’oscuro, risulta impossibile. (Paolo Ranieri, 4 febbraio 2019)

Quali sono gli scivoloni nell’introduzione di Ranieri? Il più grave è la difesa di Paul Rassinier che sarebbe stato “calunniato”. Bisogna sapere che Paul Rassinier (1906-1967), presunto anarchico, è stato il “padre” del negazionismo “di sinistra” in Francia, cioè della negazione della realtà storica della Shoah. E’ stato l’ispiratore di Robert Faurisson. Se poi si leggono sull’ultima pagina dell’introduzione delle frasi sul presunto vittimismo degli ebrei, ci si rende conto che una parte dell’ultrasinistra non ha mai fatto i conti con il negazionismo, cui avevano partecipato diversi suoi esponenti, né con l’antisemitismo che ne costituiva la base. Se questo non permette di gettare l’obbrobrio su tutto quello che ha fatto l’ultrasinistra francese e italiana prima della fine degli anni settanta, dovrebbe però essere oggetto di una critica più che vigile.
Un altro scivolone, di un genere ben diverso, è la qualificazione di “Il Reichstag brucia”, lo storico volantino dei situazionisti italiani distribuito subito dopo le bombe di Piazza Fontana, come ambiguo e ipocrita e la qualificazione delle prese di posizione successive di Gianfranco Sanguinetti in Del terrorismo e dello Stato (1980) come espressione di un “delirio cospirazionista”. Tutto questo sente troppo il regolamento di vecchi conti.
(Anselm Jappe, 8 febbraio 2019)

Franco Senia – La Critica Radicale ed io, e il giocoliere!

Tratto da francosenia.blogspot.com, 21 giugno 2018.

 

Evidentemente, invecchio, e quindi mi ripeto. Ragion per cui, per l’ennesima volta prenderò a prestito da Majakovskij la sua brillante frasetta di circostanza a proposito del fatto che anche stavolta, piuttosto che abbandonarmi ai ricordi, «Preferirei indire una mattinata di supposizioni». Ma ahimè la situazione lo richiede, ragion per cui non posso esimermi dall’usare l’unica Macchina del Tempo di cui dispongo per ri-andare alla mia “prima volta“. Naturalmente, quando parlo di “prima volta” voglio riferirmi alla prima volta in cui sono venuto a contatto con il concetto di “critica radicale” italiana (la notazione geografico-nazionale è voluta); e nel caso addirittura esercitata propriamente nei “miei” confronti!
Mi ricordo – credo sia questo il giusto incipit – di essere allora appena arrivato da pochi giorni a Firenze, quando il destino volle che mi capitasse di leggere su un volantino – la cui firma non mi sovviene – che il gruppo anarchico, al quale da poco facevo riferimento, sarebbe stato sicuramente composto di «figli di Failla e della Coca-Cola».
Ora, per quel che riguarda l’attribuzione del patronimico che mi veniva dato in allegra compagnia, confesso che a quel tempo ciò avrebbe potuto essere per me anche motivo di vanto e di orgoglio (e se consideriamo il fatto che, tutto sommato, “cambio poco” – e da costà provengo, un po’ probabilmente continuerebbe tuttora ad esserlo, a mo’ di curriculum). Ma gli è che dalla cocacola, per allora, mi ero già svezzato, ed indugiavo a ben altre bevande, per non restare un po’ risentito da quella palpabile malignità sottesa. Insomma, per farla breve, il primo approccio non fu affatto idilliaco, e così accadde che le rispettive strade continuassero a procedere, ciascuna per il loro proprio conto, senza mai arrivare, per diverso tempo, ad incontrarsi realmente.
Ci fu, un paio d’anni dopo, un’altra volta, il 1° maggio del 1972, quando durante il corteo del 1° maggio diffusero fra gli astanti – fra cui io – il volantino “comontista” che si può vedere riprodotto qui sotto, e che lessi con non malcelato interesse.
Ammetto sinceramente il fatto che loro, sulla tematica della critica del lavoro, per lo meno a livello teorico, fossero allora un bel pezzo più avanti a me, ma non posso però fare a meno di sottolineare che – diversamente da quanto afferma il mio amico Dino Erba (nella sua recensione a questo stesso volume, e si tratta di recensione fresca di stampa arrivata nella mia casella e-mail questo stesso 21/6/2018) quando sostiene che «Ci volle un bel coraggio in quegli anni per resuscitare il capitano Ludd!» – sarebbe bastato andare a prendere in mano i libri di Edward P. Thompson sulla storia del luddismo. E poi, devo ammettere che alla fin fine quello che non mi convinceva troppo era proprio la loro “firma“, il modo in cui si definivano, quel “i comontisti“, ricavato in forza di un doppio e brutto salto mortale da saltimbanchi [*].
E così avvenne che bisognò aspettare ancora qualche anno, prima di poter arrivare a raggiungere un “accordo” con la “critica radicale” (ometto volutamente la notazione geografico-nazionale), nei panni di un amico di cui non dirò il nome e della rivista “Puzz“. La cosa si riferisce a quando, a Firenze, dopo la rapina di Piazza Alberti, quello che rimaneva del Collettivo Jackson ebbe bisogno di pubblicare e far girare la sua contro-inchiesta sul massacro del 29 ottobre 1974, e per poterlo fare trovò allora una sponda solo nella rivista “Puzz“; ché tutti gli altri si erano defilati!
Ah, dimenticavo (veramente no, non è vero, non dimenticavo affatto: la cosa me l’ero lasciata apposta per ultima!), la mia più recente esperienza con la “critica radicale” italiana (e qui devo riproporre la notazione geografico-nazionale) risale a qualche settimana fa, su Facebook, e si è estrinsecata nel corso di una diatriba (della quale confesso di non aver completamente compreso il senso) proprio con uno dei curatori del libro che (per chi non l’avesse capito) consiglio di leggere. In una discussione su Debord – in cui rispondevo a Gianfranco Marelli, a proposito di un suo commento sulla moglie di Debord, proponendogli la lettura di un mio post su questo blog a proposito delle “truffe” – venivo aggredito in malo modo con argomentazioni riferite al mio presunto “astio” e alla “invidia” – che secondo il più “grosso” dei curatori del libro oggetto di questa mia “recensione” trasuderebbe da quel mio piccolo testo “tanto più bilioso quanto proprio per questo ben documentato” – “contro il (o i) Debord“. A questo punto, pur confermando il mio giudizio sulla bontà dell’operazione editoriale, non posso fare a meno di considerarmi fortunato a non aver fatto parte di un simile milieu, dal momento che a giudicare da quelli che ora sono più di un esempio storico, appare quantomeno probabile che tale esperienza possa portare a soffrire di conseguenze psichiche non proprio felici.

[*] – IL COMONTISMO (traduzione di Gemeinwesen, da Com – ontos – dell’essere) non è altro che “movimento reale che sopprime le condizioni esistenti” (Marx), è la comunicazione dell’essenza umana, libera dall’alienazione, e l’essenza della comunicazione libera dalla ideologia. (da “Per l’ultima Internazionale“)

 

Geraldina Colotti – Tessere del domino capovolte

Tratto da Le Monde diplomatique, il manifesto, novembre 2018.

L’enorme quantità di esperienze che la lotta di classe ha prodotto in Italia fra gli anni Sessanta e Settanta non cessa di causare strani effetti sulla dimensione ambigua e malconcia della riflessione collettiva. Il passato viene rievocato quasi sempre sotto forma di mitologie corrive e addomesticate dal senno del poi. Il presente consuma la merce-memoria a distanza di sicurezza, allestendo infiniti tour del Novecento destinati a saziare la sete innocua di simboli ed emozioni tipica dell’ignavia contemporanea.

È difficile eludere questo meccanismo. Anche perché esiste pure una complicità del silenzio e della sottrazione che, a suo modo, finisce per rafforzare e confermare i dispositivi culturali prevalenti. Chi ha praticato il mondo per cambiarlo, esponendosi senza sconti o paracaduti alle conseguenze delle proprie azioni, conosce bene questi problemi. È una contraddizione che, a un certo punto, chiede di essere risolta di getto. Il passato esiste nei nostri racconti, nel nostro modo di far parlare le carte, nel refertare finanche nella maniera più sobria i nudi documenti dell’azione collettiva.

Qui non ti aiuta nessuno. Qui, volente o nolente, tenti di fare storia e di creare ponti. La tua sera ha ben poco in comune con il crepuscolo in cui spicca il volo la civetta di Hegel. Ma la tua verità è degna di essere pronunciata, ed è ancora e in ogni caso un gesto di lotta e una forma estrema di parresia.

Questo per dire che bisogna comprare e leggere con attenzione La critica radicale in Italia. Ludd 1967-1970, uscito da poco per le edizioni Nautilus. Si tratta del primo volume di una trilogia curata dal Progetto Critica Radicale, che intende dar conto del percorso e della influenza delle correnti situazioniste e consiliariste nel lungo Sessantotto italiano. Il secondo volume sarà intitolato Comontismo e coprirà il periodo 1971-1974. Il terzo andrà dal 1975 al 1981 e si chiamerà Insurrezione.

Quando si parla di situazionismo, in Italia e anche altrove, l’intellettuale si lecca i baffi e inizia a snocciolare collane di parole brillanti davanti a un uditorio complice e soddisfatto. Ma il merito principale di Ludd sta proprio nel restituire realtà ad esperienze che non ebbero nulla di narcisistico, e si pensarono e vollero come parti di un movimento il cui primo e più importante risultato era stato quello di ridare senso alla parola rivoluzione nei paesi a capitalismo avanzato.

Le lotte degli operai e degli studenti erano infatti interpretate dai situazionisti e dai consiliaristi come l’espressione di una tendenza diffusa all’insubordinazione da collocare nello specifico del capitalismo maturo e potenzialmente in grado di far saltare il tappo di ogni gerarchia. La fabbrica, la scuola, il carcere divenivano luoghi in cui sperimentare l’azione in senso eminente, intesa come produzione infinita di libertà collettive e individuali.

La critica di ogni trascendenza e di ogni separatezza evolveva pertanto in critica feroce della forma partito e delle burocrazie cristallizzate o in gestazione nella vecchia e nella nuova sinistra. Un bisogno lucido e disperato di coerenza rendeva intrinsecamente provocatorie queste posizioni. Non c’era terzomondismo. Non si rendeva ossequio a Lenin, a Mao o a Guevara. Gli stessi riferimenti agli anni Venti, a Pannekoek, a Görter, alla Luxemburg, presentavano un connotato “operaio” che finiva per stare stretto a una idea polimorfa di proletariato destinata a entrare in rotta di collisione anche con le tesi dei Quaderni Rossi e di Classe Operaia.

Il fascino delle esperienze del comunismo libertario sta tutto qui. Come scrive Paolo Ranieri nel lungo saggio contenuto in Ludd, si trattava di un ircocervo. Si trattava di porsi davanti, con un massimo di esposizione teorica ed esistenziale, «al fatto che non è mai possibile agire senza disporre di un potere adeguato». Da questo punto di vista, la traiettoria di marginalizzazione presto conosciuta da tutto l’ambiente consiliare e situazionista nella vicenda dell’estrema sinistra italiana può anche produrre strane forme di orgoglio e malinconia. Ma la lingua difficile dei documenti che Ludd propone al lettore può essere decifrata. E le parole e le azioni tornano a scintillare. Per chi vuole vivere adesso.

Il libro verrà presentato a Roma (presso Zazie nel Metrò, via Ettore Giovenale, 16), lunedì 19 novembre.

Giorgio Sacchetti – L’esperienza di Ludd alla fine degli anni ’60

Tratto da ‟A rivista anarchica” n° 428, ottobre 2018.

«…Le donne e gli uomini che si unirono in quei gruppi sono stati i primi e gli unici a porre come criterio, per cogliere il senso di un vissuto rivoluzionario, diversi concetti che oggi sembrano evidenti: l’ideologia interpretata come merce e la merce come ideologia, l’analisi e la critica delle relazioni sociali basate sullo scambio di apparenze fantasmatiche, la critica dei ruoli e dello spettacolo sociale…» (Progetto Critica Radicale).

Abbiamo tra le mani un grosso tomo (Leonardo Lippolis, Claudio Ranieri, La critica radicale in Italia. Ludd 1967- 1970, Nautilus, Torino 2018, pp. 570. ill., € 25,00) senz’altro di indiscutibile valore documentario, che – come in genere si dice in questi casi – non può mancare nelle biblioteche di studiosi e specialisti. E si fa soprattutto apprezzare quale ricca rassegna di fonti soggettive (tale di fatto è, almeno per una buona metà delle 570 pagine), peraltro di difficile reperimento. Esso si presenta quindi, in netta prevalenza, come strumento euristico utile ad imbastire altre eventuali narrazioni, ad avanzare magari nuove ipotesi interpretative su quell’intenso, creativo, incredibile e anche per certi versi angosciante quadriennio italiano (1967-1970), qui ricompreso sotto la denominazione di lungo termine e onnicomprensiva di “Critica radicale”. Bene poi precisare, sia sul piano generale del metodo e anche come nostro particolare punto di vista, che comunque le fonti si prendono come sono e non ci interessa certo in questa sede ingaggiare, a distanza di mezzo secolo, una qualsiasi confutazione ex-post di quei contenuti, che risulterebbe insomma fatta con gli occhi di oggi e il senno di poi.

La riproduzione, anche anastatica, di una miriade di documenti è preceduta da saggi di Leonardo Lippolis e di Paolo Ranieri. Il primo autore (L’occupazione definitiva del nostro tempo) ci fornisce, in una sorta di sintesi storica, una mappa che si può rivelare di aiuto alla successiva lettura dei testi prodotti da gruppi, persone, situazioni e sigle varie.
Il secondo (Vecchie favole intorno a ungiovane fuoco. Ricordi del mio tragitto attraverso Ludd-Consigli Proletari, insieme con alcune riflessioni che ne ho ricavato) ci offre invece un’interessante riflessione autobiografica in chiave attuale su quei movimenti, che sono ritenuti a tutti gli effetti “precursori” dell’antipolitica e dell’approccio antiideologico contemporaneo, assunto su cui non tutti potranno essere d’accordo.
Questo lavoro fa parte di un ampio progetto editoriale di Nautilus che comprende ben tre volumi. Ludd è il primo e annovera la copiosa documentazione relativa al Circolo Rosa Luxemburg, alla Lega Operai Studenti, al Comitato d’azione di Lettere e, appunto, a Ludd con i vari bollettini. Il secondo sarà interamente dedicato al Comontismo coprendo il successivo quadriennio. Il terzo, infine, raccoglierà i documenti relativi a Puzz, Insurrezione, Azione Rivoluzionaria e altri sul periodo che va dal 1975 fino ai primi anni Ottanta.

Mettendosi nei panni dell’editore, sappiamo che la riproduzione integrale di fonti in cartaceo e in quantità così industriale comporta soddisfazioni ma anche enormi sacrifici. Poi c’è sempre il fisiologico rischio dell’incompletezza e della dimenticanza. Per questo, “per chi non si accontenta”, c’è la possibilità di usufruire del sito www.criticaradicale.nautilus-autoproduzioni.org dove verranno digitalizzati i documenti non pubblicati nei volumi. Ed è anche un modo per sopperire alla mancanza di indici di nomi, luoghi e soggetti notevoli che purtroppo non sono stati approntati.

Un libro non è mai un prodotto asettico, neutrale e a sé stante, esso è piuttosto la risultante di idee e miti che hanno circolato insieme a donne e uomini, diprogetti individuali e collettivi a lungo accarezzati, di situazioni ambientali e antropologico culturali favorevoli o particolari, di reti sociali di conoscenza che spesso hanno avuto una vastità concentrica inimmaginabile, che vanno ben oltre i rapporti interpersonali sedimentati nel tempo. Per avere – nel nostro caso – almeno un’idea di tutto questo e per capire l’esprit, oltre a leggere e soprattutto “compulsare” il volume di cui stiamo ora scrivendo, oltre ad acquisire / aggiornare tramite web le normali info sull’editore e sulla produzione pregressa degli autori (tutti ineccepibili peraltro), suggeriamo ai lettori un inusuale “gioco” d’indagine conoscitiva.
Prendete i due elenchi che si trovano nelle prime pagine e studiateli, uno è relativo ai ringraziamenti (con una lista di una quindicina di nominativi, si va dai Clash a Joe Fallisi), l’altro riguarda la memoria di personaggi che ormai hanno concluso il loro viaggio e che hanno attraversato – certo con soggettiva determinazione – quegli anni così turbolenti, “tessere del dominio lasciate capovolte, quasi aspettassero ancora d’essere giocate”: Giorgio Cesarano, Eddie Ginosa, Mario Moro, Mario Perniola, Americo Sbardella, Carlo Ventura, Riccardo d’Este, Amerigo Ghigo Alberani, Gianfranco Faina, Giovanni Calamari. Tutti con una biografia militante parecchio originale e, in qualche caso, quasi da fiction.

Sandro Moiso – LUDD ovvero dell’insurrezione permanente

Tratto dal sito carmillaonline.com, 25 luglio 2018.

In questi giorni bui, in cui di fronte al riproporsi di un governo reazionario e razzista l’antagonismo sociale non sembra saper far altro che riproporre modelli di azione politica e di organizzazione ripescati pari pari dai vecchi Fronti popolari e dalla peggiore tradizione catto-comunista e stalinista, questo primo volume del progetto destinato a ripercorrere le vicende della critica radicale italiana dalla fine degli anni Sessanta alla fine degli anni Settanta costituisce un’autentica boccata d’aria pura. Un po’ come aprire una finestra di un appartamento situato al centro di una grigia e inquinata metropoli per scoprire, inaspettatamente, che questa si affaccia su un magnifico paesaggio montano di nevi eterne, dirupi scoscesi e boschi verdissimi e selvaggi.

Le edizioni Nautilus che fin dai loro inizi pubblicano e ripubblicano testi di quel pensiero radicale che ha avuto nel Situazionismo una delle sue massime espressioni ma che, prima di tutto, affonda le sue radici nella insorgenza giovanile e proletaria che ha contraddistinto da sempre e, in particolare, fin dal secondo dopoguerra la “naturale” reazione di classe rivoluzionaria sia al capitalismo occidentale che al suo mostruoso alter ego rappresentato dal cosiddetto “socialismo reale”, con questo volume iniziano un’operazione che più che d’archivio pare essere più di riscoperta (per i lettori più giovani) e rivendicazione di un pensiero e di una pratica che dell’insorgenza continua contro ogni forma di potere costituito e ogni formulazione teorica tesa alla conservazione dell’esistente hanno fatto la propria ragione d’essere.

I due volumi che sono annunciati per il prosieguo dell’opera si occuperanno successivamente dei testi, giornali, bollettini e volantini prodotti all’interno del Comontismo, di Puzz, Insurrezione e Azione Rivoluzionaria e si intitoleranno Comontismo 1971-1974 e Insurrezione 1975-1981 e andranno ad affiancarsi ai due testi già precedentemente editi che raccoglievano tutti i numeri della rivista prodotta dall’Internazionale Situazionista e tutti i bollettini pubblicati dalla precedente Internazionale lettrista.

Se, però, l’esperienza dell’Internazionale Situazionista è stata in qualche modo parzialmente digerita dal sistema mediatico e politico attuale, ben diversamente potrà avvenire per una produzione testuale e, lo ripeto ancora una volta, per una pratica militante che fin dagli esordi furono tacciate sia dal PCI che dai gruppuscoli nati alla sua sinistra (in primis l’orrido Movimento Studentesco di Mario Capanna) come provocatorie, irresponsabili e, in alcuni casi, “fasciste”.

Anche se l’opera non intende affatto costituire una celebrazione di pratiche e militanti come Giorgio Cesarano, Riccardo D’Este, Eddie Ginosa, Gianfranco Faina, Mario Perniola e molti altri ancora, senza dimenticare la vicinanza con Danilo Montaldi, poiché come afferma Paolo Ranieri nella sua introduzione:

«È ora, infatti, di dire basta alla moltiplicazione incessante e interessata di manifestazioni “in memoria”. Come il Primo Maggio […] ideato per essere l’appuntamento annuale con quel vagheggiato sciopero generale che spostava la presenza potenziale dell’insurrezione possibile insieme con l’assenza di rivoluzione attuale: da quando, con l’iterazione e la corrosione del tempo passato e il sequestro della produzione di memoria da parte delle istituzioni, ci si è scordati di questo, si è definitivamente degradato in una sorta di Pentecoste, rito lagnoso di una neo-religione per schiavi, aspiranti schiavi e liberti, meritevole di essere fuggito come la peste […] E lo stesso si può affermare senza esitazioni per il 25 aprile, il 12 dicembre, il 14 luglio […] ciascuno con le precise specificità che gli valgono un posto in questo martirologio della laica religione della disfatta, celebrata senza posa e senza vergogna dai voltagabbana incartapecoriti dalla nostalgia e dai militanti del conformismo.»

Come si può ben comprendere fin da queste poche righe, che danno la cifra esatta del discorso anti-retorico e di rottura che la critica radicale italiana ha portato avanti fin dai suoi albori, non vi è possibilità di mediazione, di reciproco seppur parziale coinvolgimento e neppure di pace armata tra una miserabile concezione della politica di “sinistra” che ha fatto della sconfitta e della collaborazione di classe la sua terra d’adozione ed una visione che dell’iniziativa rivoluzionaria ed insurrezionale dal basso, proletaria e giovanile, ha fatto la sua ragione di esistere.

Continua, anzi anticipa, poi ancora Ranieri:

«Non possiamo nascondere a noi stessi che operazioni-memoria come la presente – intese a isolare una vicenda del passato raccogliendone i documenti in un’edizione che, elaborata dai superstiti stessi, aspira a mostrarsi critica, completa, definitiva, TOMBALE – rappresentano uno dei mille espedienti che l’universo delle merci adotta per frenare la propria inarrestabile entropia.»

Sì, perché è proprio l’universo mercantile, con la rapida diffusione della sua capacità di affascinare e addomesticare l’immaginario proletario e sociale, l’altro obiettivo della critica radicale che, però, non intende semplicemente destrutturarne le basi e i principi ma, molto più semplicemente, distruggerlo insieme ai rapporti sociali e di produzione che lo alimentano. La necessità potrebbe rivelarsi essere proprio quella, già enunciata da De Sade, che l’insurrezione debba costituire la condizione permanente di ogni repubblica.

La sintetica ricostruzione storica della formazione, a Genova, prima del Circolo Rosa Luxemburg e poi di LUDD – Consigli proletari fatta da Leonardo Lippolis permette al lettoremilitante di riscoprire le origini di tali formulazioni ed ipotesi non solo a partire dalle occupazioni studentesche delle Facoltà universitarie fin dal 1967, che impressero una spinta decisiva in quella direzione, ma fin dalle insurrezioni operaie e proletarie di Berlino Est nel 1953, dell’Ungheria nel 1956 e nelle rivolte italiane del luglio del 1960 e di Piazza Statuto nel 1962 a Torino.

Insieme alle interpretazioni che sorgevano dalle riletture dell’esperienza rivoluzionaria sulle pagine di “Socialisme ou Barbarie”, nei primi numeri dei “Quaderni Rossi” e successivamente dell’Internazionale Situazionista si evidenziava però sempre il fatto di come l’insorgenza proletaria fosse una costante, dalla Comune di Parigi in poi e allo stesso tempo come le trame “partitiche” finissero sempre con l’ingabbiare e limitare l’espressione del desiderio di rivoluzione e superamento dell’esistente compreso all’interno dell’esperienza dei Consigli.

Anche se proprio la scelta del nome del gruppo di cui sono raccolti principalmente i materiali in questo primo volume, LUDD, rinvia ad esperienze precedenti ed egualmente radicali. È proprio sulla tracci dell’interpretazione data dallo storico inglese Edward P. Thompson, nella sua opera più importante, del luddismo che si forma la convinzione che la rivolta spontanea del lavoratori delle campagne inglesi contro l’introduzione delle macchine fosse tutt’altro che una forma primitiva, arretrata e tutto sommato conservatrice di lotta di classe. Negando così un’interpretazione “progressista” del capitalismo che nelle sue conseguenze ha finito col trasformare i partiti “socialisti” o “comunisti” che la sostenevano in strumenti di conservazione politica, economica e sociale. Insomma i proletari inglesi dell’epoca delle guerre napoleoniche erano già più avanti di coloro, ad esempio i cartisti, che si sarebbero poi fatti loro portavoce e rappresentanti come tutta la deriva tradunionista, socialdemocratica e infine stalinista che ne sarebbe poi conseguita.

È proprio per questo motivo che i fondatori del movimento andarono progressivamente allontanandosi da quella componente operaistica di cui avevano inizialmente condiviso una parte del cammino. E che contribuì ad allontanare alcuni di loro anche da Raniero Panzieri che, proprio a proposito della rivolta di Piazza Statuto, in un primo momento aveva commentato la giovanile rivolta operaia come “quattro meridionali che tirano le pietre”.

Questa memoria, contenuta nella ricostruzione di Lippolis, mi fa ha fatto tornare in mente che fu proprio in occasione di quella rivolta, e degli atteggiamenti assunti nei suoi confronti da Pajetta e dal PCI, che due proletari come Sante Notarnicola e Giuseppe Cavallero decisero di stracciare la tessera del Partito. Mentre esponenti dell’operaismo come Antonio Negri e Mario Tronti decidevano in quegli stessi anni di praticare una forma di entrismo nello stesso. Come dire che l’istinto proletario batte la riflessione filosofica 1 a 0.

«La Lega operai-studenti, che rivendicava l’eredità dei Consigli operai, insisteva invece sulla necessità di trovare nuovi canali di insubordinazione, non necessariamente legati alla fabbrica, rigettando l’impostazione gerarchica e centralizzatrice leninista. La Lega operai-studenti negava ogni valore alla lotta rivendicativa di natura economica a scapito di una critica radicale del lavoro salariato, bollato come inumano e assurdo […] “La critica rivoluzionaria – recita il significativo passaggio di un manifesto del gruppo – deve interessarsi di tutti gli aspetti della vita. Denunciare la disintegrazione delle comunità, la disumanizzazione dei rapporti umani, il contenuto e i metodi dell’educazione capitalistica, la mostruosità delle città moderne” (I 14 punti della Lega degli operai e degli studenti)».

I documenti riportati in più di trecento pagine sono innumerevoli ed interessanti: dai testi prodotti dalla Lega degli operai e degli studenti che si andò formando nella cerchia di militanti del Circolo Rosa Luxemburg a quelli prodotti dal Comitato d’azione di Lettere fino ai tre bollettini prodotti da LUDD e all’Appello al proletariato infantile contro l’infantilismo borghese passando per il testo di critica ai gruppuscoli scritto da Jean Barrot: Sull’ideologia ultrasinsitra.

Non costituiscono però tutto il materiale raccolto nel sito Nel Vento, nato a partire da un progetto contenuto nel preambolo a Psicopatologia del non vissuto quotidiano di Piero Coppo nel settembre del 2006. In cui si affermava:

«Dalla metà degli anni ’60 si è sviluppato in Italia un movimento che, sotto diversi nomi e sfumature differenti, ha condotto una battaglia teorico-pratica per l’affermazione di una rivoluzione che, nella propria concezione, non poteva che avere come base la critica della vita quotidiana. Precursori dei tempi, questi gruppi inquadrarono la questione della rivoluzione in termini anti-ideologici fuori e contro il militantismo caratteristico di quegli anni e del decennio successivo.

Le donne e gli uomini che si unirono in questi gruppi sono stati i primi e gli unici a porre come criterio, per cogliere il senso di un vissuto rivoluzionario diversi concetti che oggi sembrano evidenti […] Il Progetto Critica Radicale è di raccogliere e pubblicare i materiali prodotti dai gruppi e dagli individui che si sono riconosciuti in quelle idee.»

Idee, non dimentichiamolo mai, che non si espressero in spazi angusti o in eburnee ed intellettualistiche torri, ma sempre direttamente sul fronte del cambiamento esistenziale e politico, giorno per giorno nelle lotte e in una pratica che vedeva nel PRESENTE e non in un lontano passato oppure in un altro ancor più lontano futuro la possibilità di realizzare il cambiamento sociale necessario alla piena realizzazione dell’essere umano. Sia come singolo individuo, sia come specie.

Indispensabili, a parere di chi scrive, ancora oggi, nonostante alcune iperboli linguistiche ed alcune ammaccature dovute al trascorrere del tempo, per una discussione ed una pratica sociale e politica che non voglia rimanere chiusa all’interno della rappresentazione spettacolare dei valori borghesi travestiti da antagonismo e delle merci ideologiche che ne derivano.

Proposta 1

Questo testo suscitò un sacco di prese per il culo, e veniva definito il manifesto del socialmasochismo. (P. R.)

Limiti della teoria radicale. 2005

Limiti della teoria radicale. Contributo di Valerio Bertello – Torino 2005

I.COMONTISMO

1. La prospettiva

Gli atteggiamenti, cui corrispondono altrettante teorie, che in generale si possono adottare di fronte alla questione della rivoluzione e in generale del mutamento sociale si possono ridurre ai seguenti.

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Maelström n° 3 (1987)

Maelström n° 3

  • Su Wolf Woland ‟TEORIA RADICALE LOTTA DI CLASSE (E TERRORISMO)”
  • NOTE SULLA CLASSE PROLETARIA COME ESPERIENZA
  • PASSATO PROSSIMO
  • APPUNTI
  • DOCUMENTI
  • ABBIAMO RICEVUTO

Maelström n° 2 (1985)

Maeltröm n° 2

1 – Su Wolf Woland ‟Teoria radicale Lotta di classe (e Terrorismo)”

2 – Passato prossimo

3 – Critica alla Osservazioni critiche sul libro ‟Del Terrorismo e dello Stato”

4 – Appunti

5 – Abbiamo ricevuto

Maelström n° 1 (1984)

Maelstrom n° 1

  1. Perché
  2. Modo d’uso
  3. Passato prossimo
  4. A proposito di Ludd
  5. Appunti
  6. Lavori in corso
  7. Documenti
  • schede bibliografiche

MARX BUSINESS

Volantino anonimo, senza data, probabilmente coevo a ‟Parigi: capitale mondiale della prostituzione intellettuale”.

MARX BUSINESS

Sotto certi aspetti, dopo Marx il mondo è cambiato molto poco: le idee dominanti sono sempre le idee della classe dominante. Ma soprattutto, le idee che dominano oggi sono le stesse che dominavano al tempo di Marx, il che non fa meraviglia, dato che la classe che domina oggi è la stessa che dominava al tempo di Marx. Ciò che invece è cambiato è che queste stesse idee dominanti dominano oggi molto più di quanto non dominassero al tempo di Marx. E neanche questo fa meraviglia, dato che la classe dominante domina oggi molto più di quanto non dominasse al tempo di Marx. Il che comporta che tanto la classe dominante quanto le idee della classe dominante siano più prossime alla fine del proprio dominio di quanto non lo fossero al tempo di Marx poiché, se dominano più efficacemente dominano anche più esplicitamente, quella come classe, queste come idee. L’economia è il pensiero della classe che dominava al tempo di Marx e che continua a dominare. L’economia è il pensiero che dominava al tempo di Marx e che continua a dominare. Malgrado le apparenze – e si conosce la funesta forza pratica di queste apparenze – Marx non ha mai criticato l’economia.

L’economia è per la merce ciò che la religione fu per lo Stato. Dopo la religione, l’economia è la menzogna più efficace mai elaborata da una classe dominante, cioè la menzogna che ha raggiunto la massima forza pratica tramite penetrazione nel massimo numero di menti. Così come la religione pretende di por rimedio ai brutti aspetti del mondo senza por rimedio al mondo stesso, l’economia ha come scopo di eliminare i brutti aspetti della merce senza eliminare la merce stessa. Ma mentre la religione pretende di por rimedio ai brutti aspetti del mondo soltanto nell’aldilà, l’economia pretende di por rimedio ai brutti aspetti della merce quaggiù in questo mondo. Così come la funzione reale della religione (la funzione reale non è più la funzione autoproclamata) è di interdire la critica reale del mondo reale di questa terra, la funzione reale dell’economia è d’interdire la critica reale della merce. Così come la critica dello Stato da parte di Marx fu possibile solo attraverso la critica della religione, la critica della merce è possibile solo attraverso la critica dell’economia. Ma come Hegel, l’Ateo e l’Anticristo, per aver criticato la religione da un punto di vista religioso non poté criticare lo Stato, così Marx, il rivoluzionario, per aver criticato l’economia da un punto di vista economico non poté criticare la sua vecchia nemica la merce. La critica dell’economia è il presupposto di ogni critica moderna della merce.

Se il rivoluzionario Marx non ha potuto criticare l’economia, non è per non aver tentato. Il fine della teoria è di dare una forma criticabile a tutto ciò che esiste, quindi una forma criticabile alla teoria – che esiste. E Marx ha saputo almeno dare una forma perfettamente criticabile alla teoria dominante. S’egli non è riuscito a criticare l’economia, se non è riuscito, quindi, a dare una forma criticabile alla merce stessa, egli ha saputo dare questa forma criticabile all’economia. Così come uno dei meriti di Hegel è d’aver dato una forma perfettamente criticabile alla teoria della religione e dello Stato, uno dei meriti di Marx è d’aver dato una forma perfettamente criticabile all’economia, d’aver spinto l’economia nei suoi ultimi trinceramenti e di averle dato così una forma perfettamente inaccettabile, salvo che per i manipolatori sociali e per i poliziotti. Come al tempo di Marx e di Feuerbach, e grazie a Hegel, la critica della religione e dello Stato consistette nella critica del pensiero di Hegel, così oggi, e grazie a Marx, la critica dell’economia consiste nella critica del pensiero di Marx. La critica del pensiero di Marx è il presupposto di ogni critica.

Parigi, capitale mondiale della prostituzione intellettuale

Traduzione dal Francese, Milano, marzo 1978.

PARIGI: CAPITALE MONDIALE DELLA PROSTITUZIONE INTELLETTUALE

Con gran vergogna della nostra epoca, 100 e 150 anni dopo la loro morte, Marx ed Hegel sono sempre d’avanguardia, poiché ciò che era criticabile nelle loro teorie rimane sempre non criticato e ciò che nelle loro teorie era rivoluzionario è sempre rivoluzionario, perché non è stato verificato da nessuna parte.

L’unico uso reale della teoria – in contrapposizione al suo uso spettacolare apologetico – è la critica della teoria. L’unico uso di ogni pensiero che sia degno di questo nome è la critica di questo pensiero. Il fine del pensiero è di dare una forma perfettamente criticabile a tutto ciò che esiste, dunque una forma perfettamente criticabile al pensiero – che esiste. L’unico uso reale del pensiero di Marx è la critica del pensiero di Marx. L’unico omaggio che si possa rendere a un pensiero è di criticarlo, di provare quindi che esso è criticabile, di provare così che esso è un pensiero degno di questo nome.

Se il pensiero di Marx non è stato criticato – qui non parliamo neanche del pensiero di Hegel – non è perché il pensiero di Marx sia incriticabile, ma perché sono dei poliziotti, dei manipolatori sociali e le loro prostitute intellettuali che si sono impadroniti del pensiero di Marx. Oggi si trovano dei giovani intellettuali* che vengono a spiegarci che se del pensiero di Marx si sono impadronite delle baldracche è perché il pensiero di Marx era il pensiero di una baldracca. E che in un modo o nell’altro, è grazie al pensiero di Marx che queste baldracche hanno annientato il proletariato o hanno approfittato del suo annientamento da parte di altri. Secondo loro quindi, Marx sarebbe responsabile della non critica del proprio pensiero. Ovviamente, delle baldracche non si sarebbero arrischiate a criticare il pensiero di una delle loro.

Evidentemente, la verità è un’altra. Se dei poliziotti, dei manipolatori sociali e le loro prostitute intellettuali si sono impadroniti del pensiero di Marx, non è perché il pensiero di Marx sia poliziesco o perché Marx stesso fosse un manipolatore sociale o una prostituta intellettuale – non ha mai insegnato all’università di Besançon, non è mai stato maoista, non ha mai tenuto conferenze al museo Pompidou, non ha mai seguito i corsi di Althusser – ma perché coloro che potevano criticare il pensiero di Marx e che comunque lo criticheranno, erano stati annientati. Al contrario, sono stati proprio coloro che non hanno criticato il pensiero di Marx a schiacciare il proletariato o ad approfittare del suo annientamento da parte di altri. Ma non è grazie al pensiero di Marx che hanno schiacciato il proletariato, è grazie all’annientamento del proletariato che essi hanno potuto far sì che tale pensiero restasse non criticato, così come hanno potuto fa sì che restasse non criticato questo mondo. Se non hanno criticato il pensiero di Marx, non è perché Marx fosse una baldracca. È perché sono loro delle baldracche che non hanno criticato il pensiero di Marx. Al contrario, proprio perché il pensiero di Marx è non soltanto eminentemente criticabile, ma anche eminentemente criticabile da parte dei proletari, era vitale per i loro dominatori che questo pensiero rimanesse non criticato, ed era vitale per questi ultimi impadronirsi proprio di questo pensiero e non di un altro qualsiasi. Per quanto concerne la teoria così come per quanto concerne tutto ciò che esiste, il fine delle classi dominanti è che nulla venga criticato. Così, dopo l’annientamento di coloro che potevano criticare il pensiero di Marx – e non soltanto questo pensiero ma il mondo che lo contiene – fu compito essenziale per le classi dominanti tentar di dare a questo pensiero stesso una forma incriticabile. Per dare una forma incriticabile al mondo avevano già la loro polizia. Per dare una forma incriticabile ai pensieri stessi – due precauzioni sono meglio di una – hanno avuto le loro prostitute intellettuali.

Esiste nella nostra epoca qualcosa di ancora più vergognoso dell’epoca stessa, sono le prostitute intellettuali, quei famosi intellettuali di sinistra pagati sottobanco dalle classi dominanti – molto male d’altronde, ed è in questo che consiste principalmente la loro ignominia – per produrre escrementi intellettuali che, quanto ad essi, sono incriticabili, avendo per fine, al contrario della teoria, di essere incriticabili, di mantenere la confusione e di dichiarare incriticabile ogni pensiero degno di questo nome. Tra le grida di contestazione, le classi dominanti sanno riconoscere immediatamente quelli che non chiedono altro che un impiego. Sono le generazioni di prostitute intellettuali che non hanno criticato il pensiero di Marx, sono le generazioni di prostitute di sinistra il cui mestiere è consistito positivamente nel non criticare il pensiero di Marx, perché il loro mestiere consisteva nel non criticare nulla di questo mondo e nel vegliare, almeno per quanto concerne le idee, a che nulla venisse criticato; e tutto ciò perché ricevevano i loro salari – ben magri salari del resto, perché consistevano in poveri impieghi guarniti di vane speranze di poter un giorno dominare in prima persona quel proletariato tanto agognato, vane speranze oggi del tutto svanite – da coloro il cui fine è di non criticare nulla di questo mondo perché è quello in cui si dispiega il loro dominio.

Oggi, la critica del mondo da parte dei proletari è ripresa malgrado tutte le polizie di sinistra e malgrado tutte le menzogne di sinistra. È ripresa la critica stessa del pensiero di Marx, ed essa minaccia addirittura di minacciare coloro che impunemente e per così tanto tempo hanno lavorato ad ostacolarla. Le menzogne da collegiali dei giovanotti della rue d’Ulm si prefiggono quindi di evitare – ferma restando la salvaguardia del loro impiego – delle domande imbarazzanti e le loro non meno imbarazzanti risposte. Perché, ad esempio, una volta – al tempo in cui erano giovani “vecchie puttane intellettuali” – non hanno criticato questo pensiero di Marx così nefasto e malefico? Questa domanda ammette soltanto due risposte. O non hanno criticato questo terribile pensiero perché esso è terribilmente incriticabile oppure non hanno criticato questo terribile pensiero perché erano terribilmente puttane intellettuali. Evidentemente, la risposta giusta è la seconda. Un’altra domanda: perché oggi fanno soltanto finta di criticare il pensiero di Marx? Anche questa domanda ammette soltanto due risposte. O fanno soltanto finta di criticare il pensiero di Marx perché, trattandosi del pensiero di una baldracca, esso non merita altro trattamento se non quello che si riserva agli escrementi incriticabili delle puttane intellettuali: e in questo caso gli insulti sono più che sufficienti. Oppure fanno soltanto finta di criticare il pensiero di Marx perché sono sempre delle puttane intellettuali il cui scopo è che questo pensiero continui a non ricevere critiche degne di esso; perché sono pagate per questo e perché è il solo lavoro che sappiano fare. Anche qui, la risposta giusta è la seconda. Ma queste domande sono solo casi particolari di una questione più generale: perché non criticano mai nulla di questo mondo se non illusoriamente? O perché questo mondo è incriticabile o perché sono delle puttane intellettuali. Anche in questo caso la risposta giusta è la seconda. L’I.S. e gli operai di Danzica, di Budapest, di Soweto, di Dakar, di Radom, del Portogallo, d’Italia e di molti altri paesi hanno ampiamente dimostrato la falsità della prima, tanto sul piano teorico che sul piano pratico. Per criticare il pensiero di Marx, non bisogna soltanto conoscere questo pensiero, bisogna criticare il mondo che lo contiene. Soltanto se si critica questo mondo si possono criticare le teorie di questo mondo. E criticare realmente questo mondo quando si è un intellettuale significa – come Marx fece esemplarmente – risolversi ad essere assente là dove sono assenti i nemici reali di questo mondo, ad essere assente dunque là dove pullulano le puttane intellettuali. Come potrebbe una puttana intellettuale criticare il pensiero di Marx, cioè criticare una parte di questo mondo, quando essa accetta tutto il resto di questo mondo, con una marcata predilezione per ciò che vi è di più ignobile e di più vergognoso? Se a rigore si può rimproverare a Marx di non essere stato più critico – il che sarebbe un po’ come rimproverare a Beethoven di non aver fatto lui il silenzio nella musica o a Rembrandt di non aver dipinto lui il Quadrato nero su fondo bianco, ciò che suppone si abbia qualcosa per sostenere il confronto, con Beethoven e Rembrandt – non si può in alcun caso rimproverare a Marx d’aver elaborato un pensiero incriticabile, a meno di non essere una puttana intellettuale, poiché non esiste pensiero degno di questo nome che sia incriticabile, e solo le puttane intellettuali vengono pagate per non criticare. Marx non ha mai praticato la teoria assieme alle puttane intellettuali, né assieme ai padroni delle puttane intellettuali.

I tempi son troppo mutati. Interi reggimenti di puttane intellettuali giovani o vecchie non impediranno che il pensiero di Marx venga criticato, e con esso il resto del mondo. Le puttane intellettuali giovani o vecchie possiedono in proprio e in esclusiva la loro ignominia. Esse costituiscono di per sé sole la vergogna della nostra epoca. È solo perché le contiene che la nostra epoca è vergognosa. Nulla ha mai impedito loro di criticare, nulla se non i posti vergognosi che occupano nel mondo o i posti vergognosi che bramano di occupare. Si potrebbe essere tentati di obbiettare che qualcosa impedì, una volta, alle puttane intellettuali di criticare il pensiero di Marx; se non questo pensiero stesso, almeno la loro stupidità personale legata alla durezza di un’epoca che vedeva il proletariato ridotto al silenzio. Ma quand’anche fosse così, nulla allora obbligava le puttane intellettuali ad aprire il becco per diffondere delle porcherie marxose, nulla se non le piazze vergognose che bramavano, perché il prezzo che dovevano pagare per ottenere queste piazze in un incerto futuro era appunto di diffondere delle porcherie marxose. Al contrario, la loro vergogna risulta accresciuta dal fatto di aver scelto, per aprire il loro becco di baldracche di sinistra, un’epoca in cui milioni di uomini erano ridotti al silenzio. E ancora, è precisamente questo silenzio che ha permesso loro di aprire il becco, così come è il contrario di questo silenzio che glielo farà chiudere. Si comprende perciò la loro smania recente di far condividere, o addirittura di addossare interamente la propria ignominia al pensiero di Marx – quando non è alla persona di Marx, come vorrebbe la puttana intellettuale femmina Françoise Levy. Perciò si comprende anche come le “nuove” puttane intellettuali siano più portate ad intrattenerci su qualsiasi cosa nel loro stile abituale da puttana intellettuale, piuttosto che sulla loro ignominia personale del tempo in cui erano giovani “vecchie puttane intellettuali”. Ecco almeno un punto del pensiero di Marx che si trova perfettamente verificato: ciò che le persone pensano viene determinato dal posto che esse occupano nel mondo o che bramano d’occupare. Le persone che occupano i posti di puttana intellettuale hanno pensieri da puttana intellettuale. Tuttavia, le sole persone che in questo mondo siano costrette a fare ciò che fanno e ad occupare i posti che occupano sono i lavoratori costretti ad andare nelle fabbriche e negli uffici. D’altronde, per le classi dominanti e per le loro puttane intellettuali tutto il problema consiste nel costringerveli. Nulla dunque ha mai obbligato una puttana intellettuale ad occupare un posto di puttana intellettuale, nulla se non la sua stessa bassezza, la sua stessa puttaneria, il suo stesso gusto per i posti vergognosi. Nulla dunque potrebbe cancellare la vergogna di una puttana intellettuale.

* Si tratta delle neo-puttane intellettuali Benoist, Dollé, Glucksmann, Jambet, Lardreau, Le Bris, Lévy, Lévy, Sollers, ecc. uscite per la maggior parte dal celebre bordello della rue d’Ulm che vide passare tante puttane intellettuali ora invecchiate. Queste giovani puttane intellettuali hanno precipitosamente abbandonato senza alcun riguardo le loro vecchie maîtresse Althusser e Mao. Se non son tutte poi così giovani, sono però tutte molto puttane. Bisogna comunque riconoscer loro un vantaggio: alcune riescono se non altro a farsi pagare meno mediocremente i propri servizi, ed in questo sono già meno disprezzabili di quelle più anziane. Se si fa un mestiere sudicio, almeno farlo sudiciamente. D’altra parte questo cambiamento si spiega col fatto che le speranze chimeriche di dominare un giorno in prima persona il proletariato che servivano da compensazione alle magre sinecure degli intellettuali di sinistra sono completamente svanite. Quindi, già che si batte, almeno farsi pagare bene e in contanti. D’altronde, questo spiega l’amarezza che si è impadronita della prostituzione intellettuale parigina. Tanta ingratitudine ha pagato tanti buoni servizi vergognosi. Davanti al musetto fresco di una prosperosa giovane puttana intellettuale, ogni vecchia puttana intellettuale viene colta dall’angoscia. È questo l’unico aspetto divertente dell’affare, perché le vecchie puttane intellettuali hanno difeso ferocemente il loro angolo di marciapiede intellettuale, il che ha dato luogo a pittoreschi battibecchi intellettuali. Come diceva Villon di Parigi: «Lingua lunga è solo qui».

Traduzione dal Francese – Milano, marzo ’78.

Fuori dal carcere. Estate 1973.

commento di Sergio:
lo scrivemmo con Mario Moro e lo facemmo entrare clandestinamente alle Nuove nel fondo di una teglia di lasagne, ma molto probabilmente fini repentinamente nel cesso della cella, le lasagne però furono molto apprezzate. Credo che si possa considerare l’ultimo volantino con riferimento a comontismo. Diffusione zero.

 

Hop Frog

Milano, 24 ottobre 1972.

Il mercato delle vacche continua. Chiusi nell’immobilità di RUOLI-Bare, le MERCI-UMANE sfilano intoccabili lungo i marciapiedi. Da una parte, confezioni splendenti racchiudono il VUOTO, fra tette-coscie di plastica, chiedendo per sé il prezzo più alto, mercato permettendo. La “bellezza” estatica della MORTE raggiunge l’apice nel trionfo dell’inorganico sull’umano. Trucchi, nylon, vestiti, avvolgono in un abbraccio perenne. La carne è intoccabile (lo sarà ancora per poco). Solo l’apparenza, la forma divenuta contenuto, ha diritto di esistere in un mondo che allontana da sé la vita vedendo in essa il pericolo della sua distruzione. Dall’altra parte, i miti virili pagano la propria affermazione negando l’esistenza all’uomo, inventando il MASCHIO e conquistando nidi-tomba in cui giocare per sempre la macabra farsa dei “sentimenti”.

Oggi, l’unico rapporto permesso all’interno del regno dell’economia, è il reciproco scambio ed acquisito. La mia morte mi acquista il diritto eterno sulla tua. CREPATE finalmente vecchie baldracche & squallidi play-boy. Non ci interessano le vostre luride merci, né siamo più disposti a pagare alcun prezzo per la paraffina che vi riempie i cervelli.

Supplemento a COMONTISMO

cicl.in pr. 24.X.1972

via ausonio 8 MI

Facciamola finita col mondo delle merci. Costruiamo la comunità umana

Volantino, ottobre 1972.

FACCIAMOLA FINITA COL MONDO DELLE MERCI.

COSTRUIAMO LA COMUNITÀ UMANA

Usciamo dai ghetti che il capitale ci costruisce attorno. La nostra passività è il cemento che ancora sostiene l’edificio barcollante. Rifiutiamo per sempre le false alternative gentilmente offerte dalla Ditta:

la politica, che altro non è se non il pubblico osceno dei capi merdosi di domani, la masturbazione perenne che nello spettacolo delle miserie generali, nasconde le nostre e ce le amministra. Usciamo dai luridi cessi dell’intellettualismo degli scemi, COMINCIAMO A VIVERE distruggendo tutte le IMMAGINI-RUOLI ed i loro amministratori “sapienti”.

la triste farsa della bara-A-DUE-O-PIù-PIAZZE, l’isolamento dei “sentimenti”, che altro non è se non l’ibernazione perpetua dei nostri desideri in ghiacciaie compiacenti. In esse, l’incapacità a riconoscere nell’altro qualcosa di più dell’OGGETTO, presupposto e prodotto essenziale dei rapporti socialmente permessi, diventa la “normalità” amministrata e coltivata.

i ghetti sessuali (femminismo, omo-etero-sessualismi…), che, nella falsa immagine di una liberazione parziale, racchiudono e soffocano la possibilità dell’emancipazione totale.

Per la disumanità del Capitale-Uomo, per l’“amore” cieco e pietrificante fra merci, l’AMORE DESIDERIO rivoluzionario è totalmente incomprensibile (non recuperabile) È IL CRIMINE DEL PIACERE E IL PIACERE DEL CRIMINE RIVOLUZIONARIO!!!

NON facciamoci più imporre i luoghi, i tempi, i modi della prassi mortale del mondo mercantile, usciamo fuori dalle nostre immagini-ruoli, ritroviamo nella CREATIVITà SFRENATA delle situazioni che sapremo e vorremo creare la ragione unica del nostro essere: IL PIACERE SFRENATO.

Troviamoci FUORI e CONTRO le scuole e i luoghi di lavoro.

Creiamo nella STRADE la NOSTRA COMUNITà, negazione violenta di quella esistente.

Solo nella continuità del rapporto rivoluzionario e nella sua realizzazione coerente sarà possibile ritrovare l’essenzialità della nostra esistenza… e … GODERNE

Volantini comunisti antiscolastici. 1972

 

i primi tre sono le matrici di un unico volantino

la quarta immagine si riferisce ad un altro volantino o a una sua parte.

Commento di Paolo:
a me pare che la prima e la terza e la quarta costituiscano il noto volantino sulla scuola distribuito il giorno di apertura dei licei (primo ottobre?) del 1972 a Torino, la seconda invece é la pagina conclusiva di un altro volantino.

L’ATLETA CADAVERE È IL MIGLIOR ATLETA

Nota storica: Olimpiadi di Monaco, 5 settembre 1972: un commando di otto combattenti palestinesi fa irruzione nel villaggio olimpico. Due atleti israeliani vengono uccisi immediatamente, gli altri nove sono presi in ostaggio. Dopo 21 ore di estenuanti trattative, seguite in diretta dalle tv di mezzo mondo, il massacro: il maldestro tentativo di blitz da parte della polizia tedesca finisce in un bagno di sangue. I nove membri della squadra olimpica saranno trucidati dai palestinesi e tre fedayn saranno arrestati.


Volantino fatto a Firenze, sospetto da Alfredo, che allora era particolarmente bilioso e ostile verso gli umani. (Paolo Ranieri)

L’ATLETA CADAVERE È IL MIGLIOR ATLETA

Adolfo Brandt ha realizzato il suo sogno: nel SUPER-LAGER di Monaco milioni di spettatori hanno potuto seguire dal vivo l’unico sport che realmente interessa: nella MORTE degli altri la propria MORTE.

Il superamento tecnologico del nazional-socialismo, ormai insediato a livello mondiale, ha permesso per la prima volta di vedere in DIRETTA il COLORE del sangue, riempiendo di giubilo le folle.

Tutti aspettavano il momento in cui il mistero si sarebbe svelato agli occhi dei fedeli adoranti: l’ideologia, finalmente nuda, appare per quello che è: AGONISMO, AGONIA, CACCIA.

Ognuno ha potuto vivere in privato, grazie all’interessamento di tante AUTORITà riunite, il vero sport internazionale, riscoprendo il gusto che dà l’appartenenza alla squadra vincente, quella POLIZIESCA.

Il turbamento è solo un gioco sottile, dietro cui si maschera la vera gioia di vedere-godere l’immenso funerale dell’umanità teletrasmesso e gioire insieme dell’immancabile VITTORIA.

La squadra palestinese, non invitata perchè miserabile e sporca, troppo attaccata alla vita bestiale, e quindi non disposta allo SPETTACOLO NAZISTA della FRATELLANZA in cui si traveste l’odio e dell’AGONISMO in cui si traveste la concorrenza nella società degli atleti dell’autosoppressione, la squadra palestinese, ha comunque voluto aderire a suo modo.

L’unico sport che gli ebrei loro permettono è la soppressione armata che gli fanno subire, ripetendo con mezzi moderni le gesta dei loro MAESTRI-ASSASSINI. I palestinesi hanno così pensato di aderire alla bella manifestazione proponendo ai sionisti una sfida nello sport che essi più amano.

Purtroppo per loro quello sport ha da tempo trovato fedeli praticanti in ogni parte del globo che sono corsi a dare man forte nel modo che meglio potevano, contribuendo così alla riuscita dello spettacolo; la strage, il vero trionfo dello spirito olimpico in cui i vincitori e vinti sono finalmente legati dal VINCOLO ETERNO.

I risultati raggiunti però, per quanto vivificati dal colore e dalla trasmissione in diretta, sono assai lontani dai RECORD di Città del Messico in cui per la prima volta si raggiunsero ragguardevoli cifre in fatto di CADAVERI.

IL MIGLIORE ATLETA È L’ATLETA MORTO

1° maggio: il lavoro salariato non si festeggia. Si abolisce

Questo é il volantino distribuito ai primi di maggio 1972: la descrizione della vicenda sta nella Cronologia di Comontismo scritta da me mentre ero carcerato al Bassone di Como e pubblicata su Maelstrom 2 (Paolo Ranieri).

1° MAGGIO: IL LAVORO SALARIATO NON SI FESTEGGIA. SI ABOLISCE

All’inizio del secolo la brutalità del lavoro salariato e la logica spietata delle merci diede il via ad appassionanti ammutinamenti anticapitalisti. Il proletariato individuando il lavoro come fonte di tutte le sue miserie poneva in pratica la sua distruzione.

Oggi gli eredi degli artefici dell’annientamento proletario nel periodo fra le due guerre (p.c.i., sindacati, etc.) spacciano il lavoro come ultimo ritrovato ai mali del proletariato. Il dominio dei burocrati-stalinisti è fondato sulla menzogna e non possono tentare di conservarlo se non continuando a mentire.

Attenti burocrati stalinisti!

Il volto ghignante del proletariato che risorge ridicolizzerà tutti i tentativi di recuperarlo alla logica della merce e del lavoro. Sadico come dovrà essere il Proletariato se la prenderà per primo con quelli che vogliono parlare per lui senza essere lui. La liberazione dal lavoro è la condizione preliminare per superare la società dei consumi e per l’abolizione nella vita di tutti della separazione tra tempo di lavoro e tempo libero, settori complementari di una vita alienata in cui si proietta all’infinito la contraddizione interna della merce tra valore d’uso e valore di scambio. La concentrazione capitalistica dei mezzi materiali e ideologici di produzione e la sua distribuzione sociale si trova di fronte sempre più minacciosa l’insoddisfazione crescente di tutti.

La società del capitale promette, ma non può mantenere. Non può mantenere alcuna promessa di felicità poiché il suo fine stesso (produzione) ed i suoi mezzi (lavoro, etc.) sono chiaramente oppressivi.

I proletari stanno lanciando la sfida alla società e non per una società diversa o migliore ma per l’abolizione di ogni società (intesa come agglomerato di individui-merci retti da uno scopo ad essi superiori).

La felicità in armi esige di prendere il posto dell’infelicità oggi esistente. La distruzione del dominio del capitale e dei suoi strumenti è l’unica festa che il proletariato può desiderare.

È tempo di iniziare concretamente la lotta per un 1° maggio permanente, cioè per l’abolizione del lavoro e del tempo capitalista.

CHI AMA IL LAVORO

È UN MASOCHISTA

O SI CHIAMA CAPITALE

L’ULTIMA INTERNAZIONALE

Comontismo – per l’ultima internazionale (maggio 1972)

Stampato a Firenze, maggio 1972. Hanno collaborato Gigi Amadori, Giulio Dessi, Valerio Bertello, Riccardo d’Este, Dada Fusco, Roberto Ginosa, Gianni Miglietta, Alfredo Passadore, Paolo Ranieri, con la partecipazione involontaria di Nicola Adelfi.

Comunicato stampa dei comunisti.

Presentato alla sede de “La Nazione ” quotidiano di Firenze Firenze – 25 marzo 1972. Dall’appunto che accompagna la fotocopia: “Ci negarono la pubblicazione e schiaffeggiammo il direttore Domenico Banoli“.

  

 

Feltrinelli. 2 volantini 1972.

Commento di Paolo:
sono le tre versioni di volantino in merito, di Torino, Milano e Firenze. Precisazione importante: se su un volantino c’è scritto, Torino oppure Firenze, non solo non é un dato attendibile ma é solitamente falso e la stesura e la distribuzione é stata fatta altrove.

IL DOMINIO REALE DEL CAPITALE È MORTE

Feltrinelli è stato assassinato
Non a caso
Continua la strage voluta ed organizzata dai politici di tutte le risme.
La rivolta proletaria organizzata e radicalizzata fa tremare il mondo dei fantasmi dediti al culto del dio MERCE.
La merce stessa (nelle persone fisiche degli amministratori e servi del suo potere) si organizza per respingere l’assalto proletario e per PERPETUARE il suo dominio.
Il dominio del mondo delle merci si fonda sulla MORTE, sulla morte di tutti, asserviti al lavoro e all’infelicità, produttori-consumatori di ideologia ( nuova forma di equivalente generale che si affianca alla vecchia – il denaro – per poter avviluppare globalmente gli uomini nella miseria della produzione e della non vita ).
La morte non è solo metafora, espressione emblematica.
È morte materiale, concreta!
E’ la non-volontà di vivere i propri desideri, di produrre non merci ma doni ( il valore d’uso ritrovato sulle ceneri del valore di scambio ), di esprimere la TOTALITA’ insopprimibile di ciascuno nell’organizzazione della felicità collettiva.
È il dominio dell’irreale fantasticamentre incastrato nella vita (SOPRAVVIVENZA) di uomini OGGETTI-MERCI-PRODUTTORI-RUOLI-IMMAGINI-DELIRI.
È il potere dell’economia-ideologia politica.
Talora diviene ASSASSINIO particolare, che si aggiunge agli omicidi ” indolori ” che tutti siamo costretti a subire e che tutti – TRANNE I RIVOLUZIONARI COERENTI – ripropagano giornalmente sulla pelle degli altri.
L’operaio ucciso in fabbrica dalla miseria del lavoro diventa assassino nella perpetuazione della miseria della famiglia.
Il professore ucciso dalla cultura amministrante uccide giornalmente con l’amministrazione della cultura.
L’impiegato morto nel suo impiego di sottomissione-noia diventa crudele maniaco assassino nel RUOLO DEL PRIVILEGIO.
E avanti così.
Sino agli pseudo-rivoluzionari che muoiono-uccidono nell’adempimento di un dovere gerarchico-ideologico che non porta alla rivoluzione, ma alla rotazione del potere, dei ruoli, delle immagini fissanti.
Il capitale è un ASSASSINO continuo.
Ma è un assassino che ha paura di essere scoperto e giustiziato dall’ orda proletaria che più che mai mostra il suo volto TOTALE E CRIMINALE nelle lotte operaie anti-lavorative come nelle esplosioni di una delinquenza che non è altro che l’inumanità totalmente vissuta e che comincia a stravolgersi, e a volgersi contro l’organizzazione dell’inumano sociale.
La paura rende più che ma assassini.
Feltrinelli è l’ultimo morto ( ma ce ne saranno ancora se non spazziamo via assolutamente gli assassini organizzati in rackets-politici, poliziotti, spie, preti, intellettuali, ruolificati di buon grado, etc.) di questa GUERRA di classe.

Noi non abbiamo particolare rispetto per la morte, poiché abbiamo rispetto REALE per la VITA.
Per cui oggi NON diciamo che Feltrinelli era un compagno.
Non lo era, non NOSTRO, non dei rivoluzionari coerenti.
Era un politico e la POLITICA lo ha ucciso.
L’hanno ucciso le elezioni ( il blocco d’ordine di destra-centro-sinistra ).
L’hanno ucciso le difficoltà economiche italiane e la strategia USA dell’organizzazione dei mercati ( rinnovo dei contratti, pace sociale che il capitale internazionale cerca di ottenere anche in Italia, volontà di incastrare le future lotte proletarie e già ora di distruggere una sua forma: la “delinquenza”, ecc.)
Chi accetta la morte quotidiana e la perpetua è un CORREO.
Sul traliccio l’hanno ficcato i luridi bastardi del SID, la polizia o simili: tutti i servi di una polizia ultranazionale con a capo la CIA.
Ma costoro sono soltanto il braccio materiale, seppur talora autonomizzatto.
Tutti i politici, SENZA ESCLUSIONI, ne sono i mandanti ( basta vedere il congresso del PCI difensore ed organizzatore dell’ordine quanto l’ MSI).
I gruppetti sono, masochisticamente o interessatamente, degli spettatori acquiescenti. Accettano di fare il GIOCO POLITICO e non iniziano una effettiva pratica di DISTRUZIONE, di GUERRA RIVOLUZIONARIA, riproducendo ancora una volta schemi retorico-politici ( elettorali il Manifesto ) che non possono scalfire la spirale dei ruoli della morte, ma la riaffermano riproducendo al proprio interno e propagando la GERARCHIA-IDEOLOGIA che è un’essenza del potere.
La morte di Feltrinelli esige vendetta. Non la vendetta di una cosca mafioso-politica.
La VENDETTA PROLETARIA, poiché uccidendo Feltrinelli si è voluto ricordare pesantemente a tutti che fuori dall’accettazione della sopravvivenza non ci può essere che MORTE VIOLENTA ( ma la sopravvivenza è morte dolce? ).
Feltrinelli non era un rivoluzionario più che altri ideologi -di-sinistra, ma la vita che poteva guizzare in lui e che noi DESIDERIAMO esige più forte-violenta che mai la RISPOSTA rivoluzionaria e l’ORGANIZZAZIONE che ne è l’indispensabile supporto.
È necessario organizzarci immediatamente per colpire con estrema durezza sia i SICARI che i MANDANTI di questo assassinio poiché sono gli STESSI che intendono conservare il loro dominio di morte.

I COMONTISTI
Fi. 21. 3. 72. cicl. in prop.

Votiamoli tutti.

12 dicembre ’69 – 7 maggio ’72 – STRAGE PARLAMENTARE

Volantino comontista del 15 marzo 1972 a proposito delle elezioni del 7 maggio in cui venne candidato Pietro Valpreda.

La comunità dei fantasmi operosi

Volantino comontista distribuito a Firenze nel marzo 1972 in occasione della ‟Giornata del mutilato e invalido del lavoro”.

Domenica 19 marzo

Giornata del Mutilato

e Invalido del Lavoro

La Comunità dei Fantasmi Operosi

Festeggia e premia

i membri che maggior numero di

pezzi hanno dedicato alla

Sua perpetuazione nel

nome del Lavoro

Si rallegra inoltre

delle sempre più numerose

adesioni al Suo Progetto di

Unificazione di tutti i

produttori-consumatori di

merci materiali e di deologiche

(studenti impiegati operai hippie

politici parlamentari ed extra)

che sempre maggiori quantità

di energia e pezzi umani

mettono a disposizione

del Capitale

costituitosi

in Comunità Materiale

TUTTI ALLA PASSERELLA DEI MUTILATI

PER MEGLIO SOPPORTARE LA PROPRIA

MUTILAZIONE QUOTIDIANA

Nella fase attuale di dominio, Il Capitale giunge ad affermarsi come essere totale, completamente introiettato da ciascuno come modo sociale di produzione e di vita. La generalizzazione alla stragrande maggioranza degli uomini del lavoro, in quanto lavoro salariato necessario alla perpetuazione del Capitale (produzione di merci ideologiche), segna la totale capitalizzazione dell’uomo: la legge del lavoro viene ad essere considerata e vissuta come legge naturale ineluttabile.

Questa malefica allucinazione, e la sua amministrazione, sta alla base dello spettacolo miserabile della Giornata del Mutilato del lavoro; ognuno mistifica e si rende più tollerabile il peso della menomazione della propria reale essenza umana, in quanto puro oggetto nella produzione-consumo, alla vista di aborti più orribili di lui quantitativamente, ma qualitativamente eguali nell’asservimento alla legge del lavoro (guadagnare per vivere-vivere per guadagnare).

Lo scopo dei COMONTISTI come rivoluzionari coerenti è la distruzione della comunità fittizia del capitale nella sua esistenza materiale e ideologica (fissazione di ruoli al cui interno ciascuno amministra in modo schizofrenico la separazione, imposta dalla società delle merci come momento necessario all’annullamento della persona e la costituzione del legame (che nulla ha da spartire con i vari modelli di organizzazione politica del recupero) che porterà all’instaurazione della reale comunità dell’essere (Gemeinwesen).

                                                        i comontisti

cicl. in proprio, via Verdi 4

Torino in stato d’assedio.

Commento di Paolo:
é il primo volantino comontista a Torino, scritto da Paolone insieme con qualchedun altro (Valerio? Consalvi? Enrico?) : ne nacque una feroce polemica epistolare, di cui ho in archivio qualche brano, iniziata da me e in genere dai milanesi che si dissociarono
pesantemente dallo sdoganamento dei delitti sessuali. … Read More

L’ordine regna in Polonia

Organizzazione Consiliare, Torino, dicembre 1971.

L’ORDINE REGNA IN POLONIA!

L’ordine regna in Polonia: questa è la dichiarazione dei ministri polacchi che stanno assassinando la rivoluzione proletaria che sta sconvolgendo il loro potere così come lo mise in discussione a Poznam nel 1956. Nessuna speranza per gli idioti fascisti e reazionari di utilizzare per i loro loschi fini questa lotta rivoluzionaria: la violenza teppista dei proletari polacchi, così come di tutti i proletari attualmente in lotta, spazza in un colpo solo ogni ideologia, prima tra tutte quella reazionaria che vuole mantenere intatta la miseria sociale su cui può inserirsi la loro provocazione.
Ma, nello stesso tempo, nessuna speranza neppure per i porci pro­gressisti che chiedono – come fa il PCI – la “democratizzazione” delle strutture polacche: il proletariato sta mettendo alla gogna la burocrazia mondiale ed il sangue non può che rendere più rossa la prospettiva della RIVOLUZIONE MONDIALE ATTRAVERSO L’INSTAURAZIONE DEL POTERE ASSOLUTO DEI CONSIGLI PROLETARI, così come era avvenu­to in Polonia ed in Ungheria nel ’56.

Così facendo i proletari polacchi si sono collegati praticamente con le lotte rivoluzionarie di tutto il mondo: le rivolte dei neri americani, gli scioperi selvaggi degli operai inglesi, l’insurrezione armata di Reggio Calabria.
I rivoluzionari polacchi, realizzando la critica concreta della merce e del lavoro, indicano ancora una volta ai proletari coscien­ti la via da seguire e smascherano definitivamente, coll’incendio e la messa a sacco delle sedi politiche e sindacali, il vero volto dei sedicenti “comunisti” che, fingendo oggi di opporsi all’oppressione del capitalismo italiano ed internazionale, si preparano in realtà ad adottarne gli stessi metodi nel momento della loro ascesa al potere. Per questo sono i COMPLICI attuali della POLIZIA che ha assassinato i compagni di Milano e si preparano a diventare i BOIA DI DOMANI in emulazione all’operato dei loro complici polac­chi.

I BUROCRATI DI TUTTI I PARTITI E DI TUTTI I SINDACATI NON SONO COMPAGNI!

I VERI COMUNISTI devono distruggere il potere del capitale, dello Stato e dei suoi servi, siano essi fascisti, poliziotti, burocrati dei partiti e dei sindacati. I sistemi di lotta impiegati dai compa­gni polacchi contro costoro (saccheggi, incendi, devastazioni, uso delle armi contro la polizia) devono essere attuati subito dai com­pagni italiani.

COMPAGNI RIVOLUZIONARI, incontriamoci in ASSEMBLEA
martedì 22 dicembre alle ore 15 all’Università (Palazzo Nuovo: via S. Ottavio angolo via Verdi) per decidere forme pratiche di assalto al capitale (e realizzarle immediatamente) in modo da collegarci con­cretamente alle lotte eversive dei compagni polacchi.

La merce, il lavoro, la politica vanno aboliti, compagni, ed i loro servi sciocchi spazzati via.

ORGANIZZAZIONE CONSILIARE

Dylan Cream

Volantino per annunciare la proiezione di due film / concerto.

Genova, 17 novembre 1971.

UNDERGROUNDDDD

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Il provocatore Giorgio Rosario Mondì

Comunicato della libreria “La vecchia Talpa”, Milano, 13 ottobre 1971.

Commento di Joe Fallisi:

«Il volantino fu scritto da me immediatamente dopo un VERO tentativo di infiltrazione-provocazione subìto e sventato. Durante il 1971 ebbi a Milano, in corso Garibaldi 44, una libreria, La Vecchia Talpa, che rappresentò anche la prosecuzione sui generis delle mie (nostre) attività rivoluzionarie del 69-70 e riuscì a sopravvivere solo, anch’essa, poco più di un anno (quel che rimase del materiale lo passai al mio amico Primo Moroni ‑ costituì la base del settore ‟radicale” della Calusca). Tenevamo quasi unicamente libri, riviste e opuscoli di estrema sinistra antistalinista. La libreria rappresentò, logicamente, un punto d’incontro di vari compagni anarchici (ricordo Steve Del Grosso) e dell’ex-Ludd (Roby Ginosa, per esempio). A una certa epoca, com’è scritto nel volantino, giunse quell’anima nera, SICURAMENTE inviatoci dalle forze statali. L’unica cosa che mi rincresce, e non poco, è che, nell’urgenza di ‟far pulizia” e sventare possibili provocazioni anche peggiori, accomunai (accomunammo) al nome di costui come suo ‟collaboratore”, quasi fosse anch’egli senz’altro un infiltrato, un ragazzo di Parma, ‟Emiliano”, che invece, me ne convinsi poi, era stato solo plagiato dal Mondì. Cosa che successe d’altronde anche a qualcun altro del nostro giro a Milano senza tuttavia condurre a nessun esito catastrofico, perché l’infame, prima che accadessero fatti irreparabili, venne alla fine individuato e allontanato per sempre, durante una notte di tregenda ancora vivissima nel mio ricordo e, ne sono certo, anche in quello di Roby.

Avviso ai proletari del centro storico – Società per il mantenimento del carattere criminale del centro storico

Programma dello spettacolo secondo i suoi veri scopi, ossia AVVISO AI PROLETARI DEL CENTRO STORICO. Genova, settembre 1971.

DI SEGUITO: Alla rappresentazione del ‟Genovese liberale” gazzarra indegna e aggressioni questa notte nel centro storico.

Articolo tratto dal Corriere Mercantile, Genova, 17 settembre 1971.

PROGRAMMA DELLO SPETTACOLO SECONDO I SUOI VERI SCOPI

ossia: AVVISO AI PROLETARI DEL CENTRO STORICO

Amici, questi riflettori che gettano luce su di voi sono qui perché le potenze dominanti della città vi hanno messo gli occhi addosso e vi si sono coalizzate contro.

La farsa a cui assistete non deve farvi soltanto ridere. Se delle marionette teleguidate vogliono farvi partecipare al loro teatro di burattini è perché gli affaristi che tirano i fili della città hanno deciso che era ora che anche il centro storico venisse a vivacizzare la trama dei loro affari.

Vogliono farvi recitare come comparse nello spettacolo della lotta di classe antica perché hanno paura che viviate da protagonisti la realtà della lotta di classe moderna.

Come i mercanti dei secoli passati mandavano i preti del buon dio a preparare il terreno alle guerre di conquista per le proprie merci, così gli affaristi di oggi mandano ad aprire il passo alle retate di polizia ed alle loro speculazioni i preti della cultura e dell’arte. Al posto di dio, lo spettacolo è diventato il ruffiano del capitale e dello stato, il cavallo di Troia di tutte le più immonde operazioni di commercio e di polizia, che vogliono ridurre ogni istante della nostra vita a un ghetto da cui sia eliminato tutto ciò che non è la compravendita.

È un pezzo ormai che i cani da guardia del capitale vanno richiamando l’attenzione sui “centri storici”. Ciò significa che la società capitalistica europea si sta accorgendo che è fallito il suo tentativo di abolire la storia come il proletariato, e riscopre l’evidenza che esso appunto è il “centro storico” della sua dissoluzione.

Gruppi di intervistatori, commissioni di studio, fotoreporters scorrazzano da tempo nei quartieri al seguito dei poliziotti e dei metronotte e poi abbaiano nei loro ambienti: “zona di disgregazione sociale” per indicare la disgregazione delle loro vecchie bande di affari legali ed illegali, “sentina di vizi” come chiamano la nostra ricchezza di desideri umani, “decadimento del centro storico” ossia decadimento degli investimenti dei loro padroni.

Sociologi, preti, uomini di cultura progressisti, e ultimamente politicanti di “estrema sinistra” predicano sui “disadattati”, “emigrati”, “criminali”, “capelloni”, “travestiti”, “esclusi”: sono i nomi con cui la loro ridicola cultura si maschera gli esseri umani radicalmente proletarizzati che questa società produce.

Come tutti i progressisti ed i falsi rivoluzionari essi «nella miseria non devono che la miseria, senza scorgerne il lato rivoluzionario, sovvertitore, che rovescerà la vecchia società» (Marx).

Il basso prezzo delle case, la forma delle vie e delle piazze che tiene lontano il mostruoso traffico delle automobili, rende facile la protezione dalla polizia e favorisce l’incontro e la comunicazione, la posizione centrale che evita la dispersione del pendolare, fanno del centro storico il centro di una comunità proletaria radicale nel cuore della città degli affari e della politica su cui tende a riversarsi.

Per questo i porci delle classi dominanti odiano il centro storico. Non odiano le miserie che la loro civiltà gli fa subire: le case fatiscenti, la mancanza di luce e di spazio, la vita imprigionata nel lavoro o nella disoccupazione. Essi odiano i suoi abitanti perché ne hanno paura e perché con la loro presenza la vita dell’essere umano contrasta il dilatarsi della vita del capitale.

Quindi quando i porci parlano di “valorizzare” il centro storico, essi non intendono dare ai suoi abitanti i mezzi di affermare il proprio valore realizzando positivamente la propria infinita ricchezza di bisogni umani, ma vogliono dare alle case, ai loro edifici i mezzi di realizzare il loro valore mercantile, facendo aumentare gli affitti fino ad espellerne gli attuali abitanti.

Quando i porci parlano di “risanare” il centro storico è perché vogliono trasformarlo in un cimitero. Musei, Università, botteghe di antiquariato e d’arte, “istituzioni culturali” dovranno venire a rinsanguarne il commercio col commercio che oggi ha più ricche prospettive, quello della cultura morta e surgelata di cui stasera vi offrono un assaggio. I vermi che vivono nel suo cadavere puzzolente, mercanti di desideri morti, pensieri morti, morte sensazioni, mercanti d’arte e di cultura, professori, studenti dovrebbero sostituire gli attuali abitanti e i loro vivi desideri rivoluzionari. E questi dovrebbero essere dispersi nelle periferie, confinati ed isolati nei nuovi lager dell’edilizia popolare.

Amici, non è del domani che stiamo parlando, ma dell’oggi. Gli abitanti della zona di via Madre di Dio stanno già subendo questi progetti: una nuova funebre Piccapietra sorgerà al loro posto. Dovunque il progetto dei porci è lo stesso: distruggere ogni struttura che rende ancora possibile la vita sostituendovi puri canali di circolazione del denaro; distruggere la vita, essiccarla per sostituirvi la morte.

Non vogliamo più essere spettatori di un’apparenza di vita che si basa sulla nostra passività, sia che tale vita apparente venga rappresentata nella cultura, sia che venga incarnata nelle nuove città dove chi non ha denaro da spendere è superfluo.

Rifiutiamo oggi l’invasione dello spettacolo per essere pronti a respingere l’invasione della speculazione mercantile e poliziesca.

VIVA i rivoluzionari messicani che nel ’68 cercarono di distruggere il grottesco spettacolo delle olimpiadi, farsa della comunità internazionale!

VIVA il proletariato cinese che approfittando della farsesca “rivoluzione culturale” tentò di distruggere (oltre al partito) l’arte, la cultura, i loro specialisti.

VIVA i compagni detenuti che in America stanno distruggendo la farsa del diritto, della giustizia e con essa l’industria delle carceri.

VIVA il proletariato dei centri storici d’Irlanda, che col derisorio pretesto della religione sta minando le basi della rinomata democrazia inglese.

Società per il mantenimento del carattere “criminale” del centro storico

Genova, sett. 1971

I PROLETARI vogliono il comunismo subito!

Volantino firmato “i compagni consiliari”, Torino 31 maggio 1971.

I PROLETARI VOGLIONO IL COMUNISMO SUBITO!

Sabato è stato un giorno di festa proletaria. Per diverse ore abbiamo attaccato la realtà di merda che tutti (capitale, burocrati e falsi rivoluzionari) vorrebbero imporci. Il solito corteo del sabato pomeriggio è stato stravolto dall’intolleranza di un migliaio di proletari che si sono posti nella linea di lotta rivoluzionaria che da tempo si sta aggirando per il mondo e che come Detroit Stettino e Reggio insegnano, non dimostra il minimo rispetto per gli schemi ‟civili e democratici” imposti dal capitale ed accettati dagli pseudo‟comunisti”. Il proletariato crea nei momenti più alti delle sue lotte delle forme di autogestione comunista che indicano come la distruzione di tutto il vecchio mondo per la realizzazione del comunismo passa attraverso la violenza collettiva, il gioco della devastazione liberatoria e la rivoluzione nella propria vita quotidiana.

I proletari non vogliono riforme ma l’abolizione del lavoro.

I proletari non vogliono tutto (merda compresa) ma il meglio assoluto.

i compagni consiliari

cicl. in proprio

Torino 31.5.71

(la sede non è indicata per evitare devastazioni dei carabinieri)

DIDASCALIA IMMAGINE:

IL VOLTO OSCENO E GHIGNANTE DEL PROLETARIATO DISTRUGGE CON IL SUO APPARIRE IL MONDO MARCIO DELLA IDEOLOGIA

‟Di fatto, il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità e dalla finalità esterna; si trova quindi per sua natura oltre la sfera della produzione materiale vera e propria” (K. Marx, Il Capitale)

SUL RETRO:

IL CAPITALE SGUINZAGLIA I SUOI CANI DA GUARDIA: LA STAMPA – IL P.C.I. – I SINDACATI E TUTTI GLI SCIACALLI CHIEDONO LA REPRESSIONE VIOLENTA DELLA FELICITÀ IN ARMI

7 MAGGIO – un giorno qualunque – La scuola non si frequenta ma si abolisce

I compagni consiliari, Torino, maggio 1971.

7 MAGGIO un giorno qualunque LA SCUOLA NON SI FREQUENTA MA SI ABOLISCE

APPELLO ALLA LATENZA RIVOLUZIONARIA DEI GIOVANI AFFINCHÉ, ROTTI I CEPPI CHE ANCORA LI TENGONO AVVINTI ALLA MISERIA DELLA SOPRAVVIVENZA, INAUGURINO LA GIOIA COLLETTIVA NELLA DISTRUZIONE DELLA MODERNA SOCIETÀ AL FINE DI APPROPRIARSI DELLA VITA.

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Appare chiaro a tutti che l’individuazione del nemico è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, affinché ciascuno prenda coscienza dei propri compiti e quindi inizi a lottare.
Gli studenti, nella storia di questi ultimi anni di lotte, hanno individuato vari nemici, volta a volta con discreta lucidità o con cecità ideologico-corporativa assai grave.
Tuttavia, per lo più, non si sono resi conto che il primo nemico da battere è dato da LORO STESSI, dalla grossa parte di miseria che ancora li pervade e rende schiavi supini della sopravvivenza imposta, se non idolatri dell’adulterato mondo di quei fottuti storici che essi considerano adulti.
Gli studenti (cioè tutti coloro che accettano il proprio ruolo sociologico datogli dall’andare in una scuola) sono in pratica i complici dell’OPPRESSIONE QUOTIDIANA che viene perpetrata nei loro confronti.
Costoro, merci da raffinare per essere immesse nel mercato del consumo di ideologia e di consenso, subiscono passivamente anni di sudditanza famigliare (il ricatto affettivo impedisce loro di vedere l’identità tra il poliziotto ed il padre sempre pronto ad adottare i metodi tipici delle polizie di tutto il mondo ogni volta che le cose non vanno come vuole lui, cioè ogni volta che il figlio non si presenta come capitale variabile nell’accumulazione accelerata di “riconoscenza famigliare”).
Costoro, del pari, sono incasellati sin dall’infanzia in quegli schemi di repressione sessuale che li accompagneranno per tutta la loro esistenza e che essi stessi dovranno aver ben cura di riprodurre (la sessualità orale ed anale che fino all’età prescolare si manifestava libera ed aggressiva, castrata con l’inizio delle scuole, si ripresenta in squallide pratiche ideologizzate dalle quali il piacere è bandito e che sono il tremulo fantasma della reale espressione dell’attività genitale di individui liberi).
Costoro infine, per ottenere la dignità dell’esser VISTI e cioè USATI nella società, sono costretti a percorrere un iter scolastico aberrante che significa la peggiore DEFORMAZIONE degli individui messa in atto da quegli infelici sbirri che sono i professori (e lo sono tutti coloro che accettano il ruolo sociale di “insegnante”). Tutta questa merda da ingoiare sorridendo serve loro come PREPARAZIONE per inghiottire di buon grado lo stronzo più grosso che gli viene approntato: l’ergastolo del LAVORO.
Ma la complicità degli studenti con l’oppressione che subiscono (e che subiranno sempre più nella misura in cui diventeranno UOMINI, cioè, per la società del capitale, delle MERCI utilizzabili per il loro valoro di scambio) risulta del tutto evidente quando, allorché genuini sentimenti di rivolta nascono dall’insopportabilità della loro condizione, non sanno far di meglio che affidarsi ad altri infelici loro pari – i cosiddetti parlamentariextra che, da allievi un po’ somari, non sanno far di meglio che sognare di prendere il posto dei loro padroni-professori per cui Mao, espressione della massima concentrazione di spettacolo burocratico, è l’oggetto delle loro eiaculazioni penose –. In questo modo essi pongono se stessi NON come soggetti una RIVOLTA GENERALIZZATA ma come, e nuovamente, MERCI nel mercato della CONTESTAZIONE. E il poter urlare nelle strade slogans a dir poco raccapriccianti è il loro unico modo per sentirsi vivi, mentre sono dei FANTASMI.
È ORA DI AVERNE LE PALLE PIENE DI TUTTO CIÒ.
È ORA CHE GLI STUDENTI, NEGANDOSI COME TALI (E CIOÈ AFFERMANDOSI COME PERSONE, COME PROLETARI RABBIOSI) IMPONGANO LOTTE CHE ABBIANO PER FINE LA FELICITÀ COLLETTIVA ATTRAVERSO LA DISTRUZIONE DELLE STRUTTURE REPRESSIVE (scuola, famiglia etc.).
L’INTOLLERANZA È FONDAMENTALE PER LA VITA.

i compagni consiliari

A.A.A. Cercasi letterati

A.A.A. CERCASI LETTERATI, INDISCUSSA FEDE PROLETARIA, QUINQUENNALE ESPERIENZA NON MILITANTE, POSSIBILMENTE LOGORATI IN PRATICHE GRUPPUSCOLARI, ATTUALMENTE IN PREDA A PROFONDA DISPERAZIONE, REFERENZE POLIZIESCHE CONTROLLABILI, FAMA DI PROVOCATORE GRADITA, PER LA STESURA DI SCRITTI CONCERNENTI I MOMENTI NODALI DELLA VITA QUOTIDIANA. INVIARE CURRICULUM PENALE.

Scritto di 5 pagine a opera di Valerio Bertello e Pier Franco Ghisleni.

LE BOMBE DI CATANZARO SONO ESPLOSE CONTRO IL PROLETARIATO

Testo firmato Gli amici dell’INTERNAZIONALE, Torino, 4 febbraio 1971.

Volantino infarcito di elementi linguistici tardosituazionisti. Non è un elaborato dell’Organizzazione Consiliare. Potrebbe essere attribuito ad un cenacolo di 3-4 persone, allora attivo in un appartamento del Lungo Dora torinese, animato da una giovane donna, tale C.M. (P.F.G.)

LE BOMBE DI CATANZARO SONO ESPLOSE CONTRO IL PROLETARIATO

“Lo stato è sempre al di sopra di ogni sospetto” (da un diario segreto di un agente di P.S.)

Compagni,

lo sciopero generale, lo scatenamento della guerriglia, le barricate permanenti, ancora una volta suonano a morto alle orecchie sensibili della borghesia e dello stato capitalista. In questi giorni il governo, spalleggiato dal partito cosiddetto comunista, specializzato in repressioni proletarie (esperienze accumulate in oltre 50 anni di complicità con le dittature sul proletariato dei partiti comunisti nei paesi cosiddetti socialisti e di astuzie sindacali repressive), ha già fatto scattare il suo goffo e macabro piano di annientamento della rivolta di Reggio.

Sono di questi giorni le intimidazioni violente, le bombe provocatorie e poliziesche destinate a tramortire la rivolta per il tempo necessario a ripristinare l’ordine. La borghesia italiana, dopo avere tentato invano una repressione a freddo, è costretta a iniziare una strage a caldo.

Per la prima volta, dopo le episodiche rivolte di Avola e Battipaglia, una intera città, nel cuore dello sfruttamento capitalistico, ha organizzato in modo permanente la propria insurrezione.

Nello scandalo permanente di una città che, mantenuta in un vero e proprio stato d’assedio si è selvaggiamente ammutinata, annientando ogni potere statale ed amministrandosi da sola, i padroni di oggi vedono minacciosamente prefigurarsi la loro sconfitta di domani. Gli organi burocratico-amministrativi del dominio capitalistico sono stati ripetutamente saccheggiati e ridicoleggiati dai proletari rivoluzionari di Reggio. E così l’apparato propagandistico borghese (radio, televisione, stampa di destra e di sinistra), nel tentativo disperato di dare a tutti i costi una ragione per lui accettabile del crollo degli organismi burocratici, economici e sociali, s’invischia in penose contraddizioni e ricorre a calunnie sempre più spinte. I proletari di Reggio devono essere trasformati in “squadracce fasciste” (che terrorizzerebbero i bravi cittadini desiderosi di riprendere al più presto il loro onesto lavoro); si tenta così di prendere sempre lo stesso piccione con due fave: utilizzando propagandisticamente il miserabile tentativo di strumentalizzazione da parte di neo-fascisti e contemporaneamente accreditando la versione interessata degli stalinisti del P.C. sul pericolo fascista, come arma per coprire ogni voce che non sia quella al soldo dei padroni.

La smentita di queste calunniose mistificazioni è venuta cori l’adesione massiccia allo sciopero generale, con il corteo di diecimila persone sanguinosamente attaccato da polizia e carabinieri e con le scritte popolari contro lo stato e la polizia.

I due poli dell’ideologia capitalista, quello padronale e quello riformista, si completano a vicenda. Insieme all’Unità è il giornale di Agnelli il più coerente ed ostinato nel dipingere la rivolta di Reggio con le tinte dell’arretratezza semifeudale e del nostalgico impossibile ritorno al passato. La borghesia di oggi rispolvera l’ideologia dell’arretratezza ideologica del Sud, in nome della quale lo stato capitalista borghese, meno di cento anni fa, represse coll’esercito i contadini insorti contro la condanna allo sfruttamento e alla miseria che i padroni del nord avevano decretato per loro.

Allora l’unità d’Italia serviva ai padroni capitalisti per unificare lo sfruttamento, articolando territorialmente i modi dello sviluppo industriale sulla base delle esigenze del profitto.

Oggi invece è contro l’unità reale del proletariato rivoluzionario che è costretta a difendersi la borghesia attuale.

L’ideologia borghese dell’arretratezza del Sud mostra di essere in realtà l’arretratezza dell’ideologia.

La nuova epoca rivoluzionaria riporta sulle strade e sulle piazze i vecchi nodi storici, perché solo i problemi più antichi permettono di scoprire le soluzioni più moderne e radicali.

COMPAGNI OPERAI, nella ripresa produttiva e delle altre attività burocratico amministrative, governo e padroni concordano nel riconoscere il “ritorno alla normalità”; il ritorno cioè dell’unica normalità che essi ammettono: quella che li mette in condizioni di sfruttare ed esercitare un dominio totalitario.

PROLETARI RIVOLUZIONARI ! non lasciatevi ingannare né da chi vi sfrutta in luoghi di pena chiamati fabbriche, né dalle canaglie del P.C., le quali hanno mostrato sì di essere all’avanguardia, ma non della classe operaia, come sostengono, bensì della repressione ad ogni costo e della menzogna sistematica.

Il potere ha oggi bisogno di falsi nemici per nascondere quelli veri che annienteranno ogni potere separato: i proletari-rivoluzionari.

Reggio, a tre riprese successive, sia pure tollerando troppe confusioni al suo interno, si è ammutinata cancellando il potere dello stato e dei partiti, calpestando e prendendosi gioco dei recuperatori e becchini della sua rivolta (il Poliziotto Santillo ha difeso Ciccia Franco che, cercando di placare le acque, è stato scavalcato più volte dalle assemblee popolari; l’armatore Matacena che ha partecipato al corteo delle diecimila persone è stato spazzato via dai proletari allorché cercava di fermare la folla scatenata contro la polizia. Per questo gesto “civile” il “Corriere della sera” lo ha elogiato.)

È perché i proletari di Reggio hanno messo praticamente fuori legge i partiti e lo stato, che lo stato e i Partiti sono costretti a dichiarare Reggio intera fuori legge. In realtà è loro esistenza legale che sono costretti a difendere.

L’esempio di Reggio che oggi angoscia il fronte unito della borghesia italiana, non mancherà di essere raccolto e sviluppato dagli operai selvaggi del Nord.

I giornali fascisti, citando le scritte dei cartelli sulle barricate: “Reggio come Praga e Danzica”, ostentano per Reggio la stessa stupida allegria che ostentavano pochi giorni fa per la rivolta di Danzica e Stettino. S’illudono certamente che il proletariato rivoluzionario annienti la dittatura del partito cosiddetto comunista per sostituirne una più congeniale alla loro ideologia. Ma il Soviet operaio che per tre giorni a Stettino ha riunito in sé tutti i poteri di decisione e di esecuzione, organizzando l’armamento del proletariato contro la polizia e i burocrati del P.C., s’incarica di schernire i miserabili tentativi di recupero ideologico di destra e di sinistra.

A Stettino, come già a Kronstadt, a Torino nel 1921 e in Ungheria nel 1956, si è dimostrato quale forza i proletari rivoluzionari possano avere riuniti insieme in consigli operai autonomi, ma anche (poiché la rivoluzione non ha vinto definitivamente) i limiti che questi hanno avuto nella misura in cui non si è riusciti a generalizzare questa esperienza e a smascherare tutti i burocrati, sindacalisti, leaders-vedettes o sedicenti avanguardie, come ultimi rigurgiti del vecchio mondo che tenta il loro di sopravvivere, cacciandoli definitivamente.

Compagni, le bombe di Catanzaro costituiscono un’ulteriore articolazione del piano di annientamento premeditato della rivolta di Reggio. Se la strategia delle bombe non sarà sufficiente a tramortire la rivolta, l’esercito è già pronto. A CATANZARO, COME GIÀ A MILANO, LE BOMBE SONO ESPLOSE CONTRO IL PROLETARIATO ITALIANO.

VIVA i proletari rivoluzionari di Reggio Calabria!

VIVA lo sciopero selvaggio dei ferrovieri!

VIVA il granducato di Sbarre!

VIVA il granducato di Sbarre!

VIVA i compagni che nelle fabbriche di tutt’Italia stracciano la tessera del P.C.I. e del sindacato!

VIVA le lotte selvagge degli operai nelle fabbriche del nord!

VIVA IL POTERE ASSOLUTO DEI CONSIGLI OPERAI!

Compagni: non lasciatevi fermare qui: il potere e i suoi alleati hanno paura di perdere tutto; noi non dobbiamo avere paura di loro c soprattutto non dobbiamo averne noi stessi: “non abbiamo da perdere che le nostre catene e tutto un mondo da guadagnare”.

Torino, 4 febbraio 1971.

Gli amici dell’INTERNAZIONALE.

Con il sindacato il comunismo nel 2071

Volantino fronte/retro. Al recto violenta polemica per un accordo Fiat-sindacati, con insulti al direttore del personale pro tempore, Umberto Cuttica, ed ai sindacati che hanno approvato l’accordo per un aumento salariale di 5mila lire. Al verso surreale strip antisindacale, presa da qualche magazine satirico francese (Hara-Kiri? Charlie Hebdo? Actuel?) ma con lettering modificato. Diffuso agli stabilimenti Fiat di Lingotto e Mirafiori. (P.F.G.)

Studenti dell’Alfieri

Due volantini indirizzati agli studenti del lieo classico Alfieri di Torino; il secondo è un invito allo sciopero generale.

Comunicazioni di due assenti forzati e delle loro compagne ai membri tutti dell’Organizzazione consiliare

Lettera senza data. Scritta dalla latitanza da Carlo Ventura, Riccardo d’Este, Ada Fusco e M. Repetto, per il nucleo viaggiante ‟Agostino ’o pazzo” aderente all’Organizzazione Consiliare.

COMUNICAZIONI DI DUE ASSENTI FORZATI E DELLE LORO COMPAGNE AI MEMBRI TUTTI DELL’ORGANIZZAZIONE CONSILIARE

La nostra assenza forzata, resasi necessaria onde sottrarsi al braccio della legge con i suoi intenti provocatori, non deve assolutamente influire in modo negativo sull’attività teorico-pratica dell’O.C. Deve invece indurirei e spingerei in modo ancora più reiterato e rivolto in maniera non equivoca alla completa realizzazione del progetto di distruzione del sistema sociale esistente.

È pertanto buona cosa che dei compagni debbano latitare perché si sono dimostrati coerenti con le tesi formulate; sarebbe però pessima cosa se questo portasse ad una stasi (momento di riflusso) sia nei latitanti sia in coloro che restano. Il nostro essere “organizzati” deve saper far fronte a questa contingenza, ed uno dei nostri maggiori compiti è quello di stravolgere il disegno poliziesco che, colpendo coloro che  essi – con ottusità tipica dei servi – considerano i “capi”, vorrebbe costringere così tutti gli altri ad una posizione di difesa. Bisogna pertanto inficiare il programma repressivo il cui fine non è necessariamente quello di sbatterci in galera (ma anche questo, beninteso, se gliene si offre la possibilità) ma quello invece di togliere fuori dalla mischia coloro che, a loro avviso, sono tra i più facinorosi onde acquietare la virulenza rivoluzionaria dell’O.C. tutta.

D’altra parte noi tutti ci attendevamo la risposta dura del sistema non appena la nostra azione si fosse misurata direttamente con il reale, cercando di smuoverlo ed attaccarlo. Ed oggi sarebbe errato meditare su eventuali “errori tecnici”, poiché solo con una continuità eversiva sempre più dura ed organizzata sarà possibile evitarli e darci quella struttura per nuclei violenti che tutti aspettiamo e che la situazione storica presente sempre più richiede.

È importante quindi assumerci sino in fondo la paternità rivoluzionaria (ma non soltanto coram populo, ma ancor più nell’intimo dei nostri cuori) dei gesti sinora compiuti e di tutti quelli che, con una giusta scalata, vorremo compiere. Così come è indispensabile vigilare sulla teoria affinché essa sia sempre uno strumento affilato nelle mani dei rivoluzionari e non si trasformi nell’ideologia della “lotta politica” e nello spettacolo di noi stessi, quali attori qualsivoglia sul palcoscenico del sinistrismo e del recupero. La disfatta dei recuperatori è possibile solo avendo sempre reazioni spropositate (in base alla spropositatezza delle nostre posizioni teoriche) rispetto a ciò che si attendono i registi della politica. Sconfiggiamo dunque il disegno poliziesco (cui si prestano i politici, nessuno escluso) continuando in maniera pertinace la critica teorico-pratica di tutto l’esistente e dimostrando al capitale ed ai suoi cani da guardia che la contingenza (due membri coscienti latitanti) non muta l’essenza dell’O.C. il cui compito rimane la vigilanza teorica e l’eversione violenta, non trasformando la pratica dell’omogeneità in un “soccorso rosso” sterile ed impotente.

A questo punto però è necessario realisticamente trovare le nuove articolazioni, nuove perché la situazione è diversa, con le quali sia noi che voi possiamo collaborare attivamente e creativamente al medesimo progetto.

I nostri compiti nella situazione attuale potrebbero essere:

– elaborazione di testi fondamentali (opuscoli etc.) ed articoli per Acheronte non esclusi i compiti più squisitamente redazionali (ci è possibile farlo data la grossa quantità di tempo, sia pur borghesemente inteso, che abbiamo a disposizione).

– contatto con consiliari incoerenti e gente varia in diverse città d’Italia (Genova, Roma, Firenze etc.), onde addivenire alla formazione di O.C. sul tessuto nazionale. A questo proposito non sarebbe cattiva cosa se vi deste da fare per reperire il maggior numero di indirizzi e notificarceli o, addirittura, ci fissaste voi direttamente degli incontri (ciò per essere certi di trovare qualcuno e non perdere tempo, oltre al rischio di dormire negli alberghi). (Nota: se il progetto riesce dovremo ringraziare il sistema che con un’azione di forza ci ha sradicati da Torino in cui, bene o male, c’era il rischio di fossilizzarci, di porci in una condizione paraburocratica e di chiudere un po’ troppo il nostro orizzonte (che invece, come tutti sanno, non è altro che una linea immaginaria).

I vostri compiti, evidentemente, non possono mutare da quelli già precedentemente e comunemente fissati. D’altra parte (e lo faremo presto con testi acconci) pensiamo sia corretto che noi stessi, nella n1isura possibile, partecipiamo alle vostre scelte non solo teorico-metodologiche, ma anche pratico-organizzate. Questo per mantenersi comunque conformi, nonostante le difficoltà, alle tesi relative alla trasparenza ed all’interscambiabilità dei membri.

Comunque, per ora, pensiamo che sia indispensabile:

1) far funzionare immediatamente i nuclei di intervento, collegandoli al più generale problema dei nuclei abitazionali. Sarà necessario interrompere sine die i rapporti con tutti coloro, che, pur manifestando simpatia o addirittura adesione all’O.C., non si impegnino (secondo le proprie capacità ed inclinazioni) attivamente al programma dell’O.C.

2) rendere sempre più autonomo il lavoro di nucleo, ferme restando scadenze comuni (che vanno peraltro intensificate) come assemblee, azioni collettive, pubblicazioni etc. A questo fine sarà inevitabile una ristrutturazione quantitativa dei nuclei (quello di intervento operaio contro il lavoro ed il suo tempo morto, ad es., è insufficiente) e soprattutto una intensificazione degli interventi, in modo da non cadere nella trappola burocratica delle “scadenze politiche” ma imponendoci noi stessi le nostre scadenze.

3) svolgere un fitto lavoro di propagazione di teoria con azioni idonee e diffusione di testi, non soltanto per “reclutare’” compagni ma soprattutto per impedire la messa in atto di calunnie che vanno respinte con il massimo rigore, così come tutte le provocazioni anticonsiliari (contro tutta l’O.C. o contro suoi membri) vanno soffocate con la violenza pratica, nonché teorica.

4) intensificare la vigilanza all’interno dell’O.C., non solo per smascherare con metodi acconci (il migliore evidentemente è quello della massima socializzazione della propria creatività) delatori, provocatori, infiltrati vari, ma, del pari, per smascherare, bollare e quindi scacciare i pavidi, i volontariamente inetti, gli ottenebrati cronici, gli ideofagi, i “compagni di strada” (peggio delle troie), gli opportunisti, i dogmatici etc.

Su tutti questi argomenti (e molti altri, più specifici ancora) ritorneremo più diffusamente altre volte, con regolare periodicità (2-3 lettere settimanali, più i vari testi teorici).

Al fine del regolare svolgimento dei nostri rapporti epistolari vi consigliamo, per non oberare eccessivamente alcuni compagni più diligenti, di nominare un nucleo ruotante di corrispondenza ed informazione, in modo che più persone, volta a volta, si impegnino in questo tipo di lavoro che, se andassero a buon fine i contatti con altre città, potrebbe diventare un punto essenziale.

È peraltro evidente che tutti coloro che intendono scriverci per loro conto ci faranno molto contenti.

W LA TEPPA ROSSA ORGANIZZATA

W IL POTERE ASSOLUTO DEI CONSIGLI PROLETARI

W IL PIACERE DELLA RIVOLUZIONE E LA RIVOLUZIONE DEL PIACERE.

Per il nucleo viaggiante “Agostino ’O PAZZO”

aderente all’Organizzazione Consiliare:

C. Ventura, R. d’Este, A. Fusco, M. Repetto.

P.S. Gradiremmo notizie sulla lotta antiGennero del nucleo Babeuf.

((POSTILLA IMPOSTA DA CARLO:

Nel caso la latitanza perdurasse per molto tempo (un mese o più) potremo svolgere, e di questo se ne occuperebbe Carlo in maniera specifica, una“consulenza” sui problemi personali e di vita quotidiana di qualunque genere.

1) un aiuto concreto a voi nella vostra continua critica del vecchio mondo e delle sue miserie, vista la provata esperienza di Carlo e Riccardo e la loro continua disponibilità ad aiutare ogni compagno che si trovi in difficoltà, poiché essi pensano che la risoluzione di un problema, anche se “personale”, superi la contingenza della persona stessa e debba venir socializzato tra tutti i rivoluzionari.

2) servirebbe inoltre a rendere meno isolati due “esiliati” ed a far loro sentire più da vicino la presenza dell’organizzazione la quale li tiene in considerazione non soltanto per motivi squisitamente politici.

PERCIÒ SCRIVETECI.

P.P.S. Mandateci l’indirizzo di Sergio ed altri indirizzi che voi reputiate a noi utili.

CHE SI FORMINO DELLE SQUADRE DI SCRITTORI!

1970 – DANZICA E STETTINO COME DETROIT

Il testo è stato redatto a Genova nel gennaio 1971, immediatamente dopo i fatti di Polonia. Stampato dalle Edizioni international, Savona, presso la Tipografia Gazzo, Genova Sampierdarena, Gennaio 1972.

Volantone, fronte retro, allegato al volume.

Tesi per la liberazione dal lavoro

Piccolo foglio murale a stampa, su carta rosa, tirato in mille esemplari ed affisso in diversi siti di Torino, in particolare Gran Madre, via Po e Palazzo Nuovo, Porta Palazzo, Piazza Crispi, Lingotto, nell’ottobre del 1970.

TESI PER LA LIBERAZIONE DAL LAVORO

  1. L’ideologia del lavoro è lo stratagemma con cui la società repressiva riesce a ritardare il trapasso generalizzato già ora possibile ad una società senza classi e libera dalla schiavitù del lavoro.
  2. Il mercato mondiale nella sua ultima fase: lo scambio dei prodotti materiali sussiste solo come forma economica in via di superamento; la forma più evoluta ed ormai realizzata su scala planetaria è lo SCAMBIO DI MERCI IDEOLOGICHE.
  3. Le ideologie, fondamento dell’attuale ricchezza delle nazioni, sono le merci nella loro moderna versione: il loro valore è dato dal tempo di consenso che riescono a garantire. Esse sono la forma in cui si manifesta il capitale ed è attraverso esse che si esercita il potere.
  4. L’ideologia scambiata tra gli stati, quelli comunisti non esclusi, viene poi distribuita al minuto al proletariato per essere consumata. Viene imposta sotto forma di LEGGE NATURALE: il lavoro come maledizione continua e la produzione come necessità ineluttabile.
  5. La logica del lavoro contiene però le condizioni per il suo totale superamento. Il capitale potrebbe oggi ridurre il tempo di lavoro della metà: le forze sedicenti rivoluzionarie includono nei loro obiettivi la riduzione progressiva del tempo di lavoro poiché rappresentano il dissenso concesso.
  6. La produzione imposta di merci materiali ed il consumo imposto di merci ideologiche si identificano e il salariato occupa le sue 24 ore alternativamente nell’una o nell’altra forma. La giornata lavorativa è ormai di 24 ore: vita produttiva e vita quotidiana coincidono ormai per la loro miseria.
  7. Nessuna forma di lavoro salariato, sebbene l’una possa eliminare gli inconvenienti dell’altra, può eliminare gli inconvenienti del lavoro salariato stesso. Perciò è indispensabile che il pensiero si armi nelle strade.
  8. Nella rivolta proletaria di Reggio Calabria, come prima di Caserta e Battipaglia, ciò è avvenuto. Il proletariato si è costituito in TEPPA per lanciare la sua sfida cosciente all’incoscienza dell’ordine costituito. La solitudine del proletariato ed il volto osceno e ghignante delle sue insurrezioni lasciano costernati i suoi oppressori ed i suoi falsi protettori.
  9. Gli amici napoletani di Agostino ed i devastatori calabresi hanno chiarito, per l’ultima volta, che la nuova lotta spontanea comincia sotto l’aspetto criminale e che si lancia nella DISTRUZIONE DELLE MACCHINE DEL CONSUMO PERMESSO.
  10. Oggi a Reggio i motivi di rivolta sono definiti “futili”. Infatti il proletariato non ha particolari motivi per ribellarsi poiché li ha TUTTI; non ha richieste particolari da rivolgere al potere poiché il suo obiettivo è la distruzione di OGNI POTERE che non sia quello esercitato dai CONSIGLI PROLETARI.
  11. I Consigli Proletari non chiederanno nulla di meno della distruzione di questa società, dell’abolizione del lavoro, dell’eliminazione violenta di ogni istituzione separata (scuola, fabbrica, prigione, chiesa, partito, etc.) poiché esisterà il potere decisionale di ciascuno nel potere UNITARIO ED ASSOLUTO dei Consigli.
  12. I Consigli Proletari non saranno nient’altro che l’inizio della costruzione da parte di tutti della VITA libera e felice oggi relegata nei desideri e nei sogni prodotti dall’infelicità dell’attuale SOPRAVVIVENZA.
  13. Proletari coscienti, che la maledizione del lavoro sia maledetta, che l’ineluttabilità della produzione diventi il suo lutto.

ORGANIZZAZIONE CONSILIARE

Torino, ottobre 1970.

A tutti i condannati all’ergastolo sociale – Movimento Martellista

Volantino firmato Movimento Martellista. Milano, 23 luglio 1970.
(Supplemento n° 3 alla Nuova Gazzetta Renana, dir. resp. Karl Marx).

A TUTTI I CONDANNATI ALL’ERGASTOLO SOCIALE

“La rivolta carceraria è la rivolta contro il carcere quotidiano della nostra sopravvivenza”

Da tempo nelle galere definite “fabbriche” gli operai coscienti (FIAT, Alfa, Pirelli, ecc.) hanno rifiutato la schiavitù quotidiana del lavoro scatenando “teppisticamente” (come giustamente sostengono i giornali borghesi) lotte sempre più radicali contro il sistema di produzione e di sopravvivenza. La “rivendicazione” operaia finalmente non è più stata recuperata all’interno della logica religiosa del lavoro: è stato negato il “potere” tutto il potere perché ciascuno ha capito che solo la rivolta ininterrotta può condurre al potere reale sulla propria vita.

Le mafie burocratiche si sono amaramente pentite di aver fornito con le loro beghe il pretesto ai proletari di Reggio Calabria per scatenare la loro rabbia globalmente negatrice del vecchio mondo contro lo spettacolo accumulato del sottosviluppo e dello sviluppo economico, del sottogoverno e del governo, negando praticamente la merda dell’ideologia e l’ideologia della merda imposta al nord come al sud, ponendo solo più per gli idioti e i burocrati del sottosviluppo mentale differenze economicistiche tra “aree avanzate” e “aree arretrate”. I rivoluzionari del Sud hanno saputo, pur nella loro limitatezza teorica cogliere gli aspetti essenziali della rivoluzione moderna: hanno saputo insomma porsi come teppisti reali, come negatori effettivi della merce, saccheggiando, incendiando, distribuendo gratuitamente merci rubate, pestando i questurini, hanno deriso l’amministrazione della giustizia colpendo l’ingiustizia dell’amministrazione.

Ieri l’incendio della lotta sovversiva è divampato nel caseggiato di P.za Filangeri (comunemente chiamato S. Vittore) rompendo finalmente il compromesso continuo che pratichiamo nel lavoro nel “tempo libero”, in ogni momento in cui ci sacrifichiamo, annoiamo, per garantirci un avvenire ancor più miserevole e infelice di quello attuale; esso è stato spezzato dalla risposta di un mondo liberato. I detenuti, parte della classe dei disadattati collettivi che sarà l’ultima in quanto sceglie il rifiuto del sistema e la rivoluzione come fine di ogni separazione, stanno instaurando una condotta sovversiva lanciando una sfida globale alla repressione ed al film delle gioie fasulle del sistema che li obbliga ad essere spettatori infelici di un destino da altri compiuto. Tutto ciò se lo sono costruiti nelle rivolte degli anni scorsi, riconoscendosi nella rivoluzione solitaria e senza volto che cresce in tutte le galere, anche se chiamate case, “fabbriche”, “scuole”, e così via. I detenuti non lottano contro tori particolari poiché subiscono il torto assoluto della sopravvivenza senza vita, della merda oppressiva fattasi cibo quotidiano.

Ma noi non siamo diversi, il carcere si estende a tutta la società come privazione del consumo di libertà, così come la società è un carcere poiché si pone unicamente come libertà di consumo. A questo punto bisogna praticare l’intolleranza. CI SIAMO ROTTI I COGLIONI. Ribelliamoci.

Non si può piangere sui morti arsi vivi di S. Vittore. Bisogna ardere tutti i nemici, dai funzionari del capitale sociale ai preti alle infami spie ai lavoratori ciechi e asessuati, ai mestruati cronici di tutti i movimenti studenteschi e sedicenti operai, ai burocrati e ai becchini del movimento reale.

Rendiamo la lotta criminale: questo sarà l’assalto presente al mondo delle merci.

Da tempo, democraticamente ci siamo posti come gli aguzzini di noi stessi, imprigionandoci in casa, in famiglia, nel lavoro.

Gli operai della Fiat non sono riusciti a sconfiggere la separazione tra lotta di fabbrica e lotta contro tutta la miseria quotidiana, poiché non hanno praticato sino in fondo il rifiuto della fabbrica e del lavoro, lasciandosi castrare nel momento isolato della fabbrica. Solo rompendo il culo a tutti i mistificatori di professione, ai burocrati, ai fasulli “amici” del proletariato e riconoscendosi in tutte le lotte che hanno un carattere antisociale e dissacratore, gli operai potranno costruire la loro felicità nella rivoluzione.

I teppisti di Reggio Calabria sono stati fottuti poiché gli è mancato il collegamento reale con le lotte proletarie del Nord e una chiara prospettiva organizzativa sovversiva, fondata sulla negazione di ogni potere per l’invenzione del COMUNISMO COMPLETO E SUBITO.

San Vittore è un punto ancora alto della lotta. I detenuti, incendiando e spaccando le loro celle, ci obbligano a compiere delle precise scelte ed a metterci in marcia per distruggere definitivamente le sbarre giornaliere dell’infelicità cui ci obbliga questo vecchio mondo asmatico.

La lotta di San Vittore non deve restare isolata: ROMPIAMO LE NOSTRE CARCERI LAVORATIVE, FAMILIARI, SESSUALI, IDEOLOGICHE, POLITICHE.

IMPARIAMO A CONSIDERARE NOSTRO NEMICO TUTTO CIÒ CHE NON CI OFFRE GIOIA E TENDE AD INCATENARCI ALL’ODIOSA DROGA DELLE MERCI E DELL’ABBRUTTIMENTO DATO DALL’OSCENA PRATICA DEL LAVORO.

Questa sera, 23 luglio, tutti i proletari coscienti possono trovarsi alle 18,30 in Piazzale Baracca per iniziare la risposta alla merda di tutte le galere.

MOVIMENTO MARTELLISTA

“Compagni, lasciate la falce ed iniziate con il martello a distruggere la società”

MI – 23.7.70 – suppl. al n° 3 della Nuova Gazzetta Renana, dir. resp. K. Marx

Sull’ipotesi di scioglimento di Ludd

Sull’ipotesi di scioglimento di Ludd. Dichiarazione di Mario Lippolis, manoscritto in quattro punti.

Genova, inizio giugno 1970.

I) Sono stato informato degli ultimi avvenimenti dai compagni: Luigi, Giovanni, Giorgio, Andrea, Claudio e Sergio R. Richiesto di esprimere un parere sulla sorte del gruppo per la riunione di giovedì 11 giugno, nel caso non abbia puro carattere amministrativo, lo faccio.

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Pensieri commessi dai mille rivoltosi delle Nuove

La sentenza per l’ammutinamento alle Carceri Le Nuove (scoppiato il 12 aprile 1969) fu resa alla fine di giugno 1970. Alcune decine di detenuti risultarono assolti, 14 condannati per il reato di danneggiamento, dopo la derubricazione dalla imputazione (più grave) di “devastazione e saccheggio”. Chi scrive e Riccardo d’Este furono sentiti, in aula, come testimoni, convocati dagli avvocati di qualche imputato. Le testimonianze risultarono ininfluenti. La datazione del documento risale alla prima metà del mese di maggio 1970. (P.G.)

Il Festival come festa della mercificazione

Proposta di un intervento contro il Festival della canzone di San Remo, 1970.

 

IL FESTIVAL COME FESTA DELLA MISTIFICAZIONE

1 – l’ideologia che diventa mitologia

Il festival e un’ “Avvenimento”  troppo importante nella liturgia della vostra vita borghese, abbarbicata ai miti che vi vengono quotidianamente somministrati, perché non si colga l’occasione per porvi di fronte alla miseria del vostro essere ed agire quotidiano. La vostra falsa coscienza (che e quella di noi tutti: vi odiamo perché purtroppo ci riconosciamo in voi) non può essere così profondamente deformata da non giungere al punto di esplosione quando l’ideologia della società borghese vi viene propinata a dosi così massicce; cioè ad un tale punto di concentrazione da degradare in mitologia. Noi non crediamo che i falsi contenuti che vi vengono trasmessi in questi riti barbarici non possano rivelare il loro vero scopo, quando ciò comporta, come nel Festival della Canzone, il regredire della vostra coscienza a livelli primordiali.

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Gianni Collu – Transizione (1969-70)

Tratto da Apocalisse e rivoluzione di Giorgio Cesarano e Gianni Collu (Dedalo, Bari, 1973)

Una prima stesura di ‟Transizione” apparve, in francese, nel numero 8 della rivista Invariance (ottobre-dicembre 1969). Riscritto e integrato della nota aggiuntiva, il testo apparve poi nella Antologia di Invariance, pubblicata in italiano dalle edizioni La vecchia talpa di Napoli nel 1971.

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Memorandum – a cura di Leonardo delle Tenebre

Leonardo delle Tenebre, Gennaio 1970

Documento interno, redatto da Mario Lippolis: intelligente proposta di intervento mediante la diffusione di testi classici, aggiornati. Il testo di Lafargue è Diritto all’ozio; idelogia del lavoro era un termine usato dai luddisti per indicare contro cosa lo pubblicavano, e il titolo con cui verrà edito sarà Storia di un incubo. (P.R.)

(intervento scritto, per la prossima riunione)

… nell’illusione che scripta maneant plus quam verba…

MEMORANDUM

La fine dell’autunno semifreddo apre un periodo di disorientamento per quella piccola massa di persone che dall’interno o con l’“appoggio” esterno e con l’“identificazione psicologica” hanno voluto illudersi sul suo carattere miracolosamente rivoluzionario.

Tutti i discorsi populisti e operaisti, dominanti nel “gauchisme” italiano entrano in crisi. Vedi il disorientamento e le incredibili gaffe dell’ultimo (speriamo) numero di Lotta Continua.

Naturalmente tutte le principali vedette non si scoraggeranno per così poco: sono già lì, v. l’opuscolo di Samonà e Savelli, a millantare vittorie e nello stesso tempo a spiegare ai loro creduli gregari perché le mirabolanti vittorie promesse non si sono realizzate.

C’è da giurarlo, tutto ciò non fa che confermare (che altro fa del resto la controrivoluzione da 50 anni?) che l’unico rimedio, e guarda un po’ l’unica via è… l’Organizzazione.

In questa situazione di disorientamento e di ripensamento (per quelli che non si sono ancora fatti privare di tale facoltà) si offre forse l’ultima e la migliore occasione di dare un immediato spicco e una particolare evidenza alle iniziative di pubblicazione che sono già in piedi – si fa per dire! – e che vengono, se opportunamente tagliate, assolutamente a proposito, con una coincidenza che probabilmente non si ripeterà più.

È cioè l’occasione di una pubblicazione di testi non conosciuti e non diffusi, che però non sia genericamente utile dal punto di vista teorico ma acquisti insieme il valore di un intervento diretto: due piccioni con una fava e formula nuova di editoria politica rivoluzionaria.

Occorre però deciderlo e… farlo, con tempismo.

Il testo (I) di Lafargue, Ideologia del lavoro. Storia di un incubo, opportunamente adattato all’attualità italiana deve servire e serve a sviluppare, anche se in forme talvolta ellittiche, il discorso contro il lavoro e la produzione, che già gruppi come Potere Operaio e Lotta Continua sono stati costretti ad accettare (e ciò rappresenta il loro unico interesse), ma nello stesso tempo a distruggere l’illusione, da essi condivisa, del carattere rivoluzionario del neo-sindacalismo salariale “contestativo-e-di-base” (Linea Agnelli-Fim-Espresso-Manifesto-Gauchisme trotzko-maoista vario). La fine di questo blocco recuperatore, (già realizzatosi durante il maggio, v. Charlety) di democratismo (consigli democratici di fabbrica) e rivendicazioni abusivamente presentate come rivoluzionarie è preliminare ad ogni sviluppo del movimento radicale apparso a Battipaglia e alla Fiat.

Parallelamente deve essere attaccato a fondo l’altro “atout” della sinistra più sinistra e livida: il discorso fascista, che: “ora il vero problema è l’Organizzazione” (v. linea di Potere Operaio). In questo senso affiora e si impone anche la critica del consigliarismo.

Ad esso serve bene la Risposta a Lenin (II) di Gorter già pronta cui però va aggiunto il saggio di risposta a Lenin di Pannekoek Lo sviluppo della rivoluzione mondiale e la tattica del comunismo (1920) che il Gorter ampiamente cita, che è ottimo e quasi senza bisogno di commenti (lunghezza 30 pagine ciclostilate, traduzione incominciata e da suddividere). Aggiungendo i 2 brevi quanto definitivi testi di Barrot e Guillaume il conto al leninismo dovrebbe essere regolato.

In qualche modo questo discorso contro il feticismo dell’organizzazione burocratica e/o democratica deve essere accompagnato, eventualmente in separata sede, da un discorso sul banditismo politico che vi si accompagna, in quanto ritorno dell’essenza del capitalismo dove il contenuto, l’essenza del comunismo è lasciata da parte.

Dato che si tratta di testi già quasi tutti pronti ormai da tempo e di idee che abbiamo già presenti in forma chiara e presentabile (e non bisogna continuare a procedere come se fossero già scontate e schiarite pubblicamente) mi sembra che, se si vuole, e se il problema finanziario lo consente, la pubblicazione di questi 2 testi, prima il Lafargue e poi il Gorter/Pannekoek potrebbe farsi nel termine di 1 mese e mezzo, se ci fosse un accordo e una collaborazione col gruppo nazionale disponibile, da convocarsi a tal uopo al più presto, sulla base dell’accordo primigenio.

Liquidati così i conti con i nemici più vicini e coi testi la cui presenza ormai ci perseguita, potremo dedicarci a smettere di definirci soprattutto in rapporto alla coglioneria degli altri, per cominciare a definirci in rapporto alle nostre esigenze, sia dal punto di vista teorico (es. testo di Pierpaolo-Gianni) che pratico (es. ad libitum).

Testo tratto da “LES VRAIES PROFETHIES” di NOSTRADAMUS,

a cura di Leonardo delle Tenebre

BOMBE SANGUE CAPITALE. 17 morti di P.za Fontana non hanno ristabilito l’ordine

Volantino fronte/retro. Consigli proletari, Milano, gennaio 1970.

Un volantino distribuito a Milano pochi giorni dopo l’attentato, si dice a partire dal 19 dicembre. Opera della sezione italiana dell’Internazionale Situazionista. Per essere stato il primo intervento dell’area radicale e in particolare la prima affermazione della responsabilità dello Stato, gode da sempre di grande reputazione e, fin dal primo momento, riscosse grandissima condivisione. A un esame successivo, frutto di una più approfondita riflessione, è possibile cogliere varie manchevolezze, anche gravi. Innanzi tutto, il titolo stesso come pure diversi passaggi del testo, fanno pensare che l’incendio del Reichstag sia stato causato da un machiavellico intervento del Potere (anche questo concetto, personificato con la maiuscola, appare inesorabilmente datato), e non già – come già allora i non disinformati sapevano – l’azione spontanea di un anarchico, Marinus Van der Lubbe. E la medesima ambiguità serpeggia nel testo, avanzando una cinica analisi omnibus, buona sia nel caso gli anarchici fossero stati incastrati ingiustamente, sia nel caso fossero stati gli autori dell’attentato, strumentalizzati. Da una parte urta un certo filisteismo, inteso a non sbilanciarsi; da un’altra emerge un primo sintomo del delirio complottista che troverà piena espressione nell’infelicissimo testo di Gianfranco Sanguinetti, Del terrorismo e dello Stato. (P.R.)

BOMBE SANGUE CAPITALE

17 morti di P.za Fontana non hanno ristabilito l’ordine

Le possibilità della rivoluzione in Italia, maturate negli ultimi due anni non hanno potuto essere scongiurate dalla violenza “naturale” quotidiana del sistema. Ma proprio quando la sua violenza si esercita “eccezionalmente”, quando l’organizzazione del consenso recupera la paura, il potere di classe deve svelare tutta la sua cinica brutalità per perseguire esplicitamente la repressione di massa del movimento rivoluzionario (con i cani poliziotto del sistema sguinzagliati alla disperata ricerca di capri espiatori) e ristabilitre l’ordine “senza il quale non c’è democrazia”: ormai è evidente che i morti di P.za Fontana sono il primo bilancio di un nuovo “incendio al reichstag”. Le lotte d’autunno, rovesciando gli argini istituzionali di recupero dell’autonomia operaia, hanno espresso un primo diretto attacco all’organizzazione capitalistica del lavoro. L’accordo contrattuale stipulato dai sindacati non significa affatto la fine di tutto, anzi è la premessa alla fase direttamente anti-capitalistica e anti-sindacale della lotta. L’autonomia operaia, il proletariato come soggetto storico della propria azione eversiva, con la semplice coerenza di una lotta che, costando il meno possibile, reca il maggior danno possibile all’Economia esprime, per il solo fatto di esistere, la critica radicale alla società della sopravvivenza, l’attacco al lavoro salariato e alla scienza, alle strutture gerarchiche della produzione e del consumo, all’organizzazione capitalistica del consenso, a tutte le forme della sopravvivenza con l’estraniazione cosciente al linguaggio e ai comportamenti alienati, che sostituirà con il piacere ininterrotto e con la gioia di vivere. Se le lotte di autunno hanno posto chiaramente al presente l’alternativa proletaria della rivoluzione lo stato socialdemocratico ha tentato di far precipitare lo stato reale delle cose nel “transfert” collettivo dell’apocalisse. Il tempo della storia del capitale è discontinuo e anticipabile: discontinuo perchè le accelerazioni prodotte dal proletariato premono avvicinandolo sempre più alla sua fine, verso la realizzazione di un tempo ludico e irreversibile; anticipabile dalla manipolazione organizzata dal sistema per congelare lo slancio rivoluzionario della vera storia delle lotte proletarie. Così si è preteso di mostrare in una prospettiva falsa e distorta che l’inevitabile sbocco della violenza è l’orrore di”una strage degli innocenti”. Così dopo la strage l’azione quotidiana che promuoveva la lotta doveva essere sentita come infantile nel momento in cui il gesto disinvolto e pericoloso (quello che blocca la catena di montaggio) doveva assumere i tratti di una complicità negli attentati. No: la violenza che produrrà l’abolizione della società di classe sarà al contrario la fine del dominio della morte sulla vita. NOI VI ACCUSIAMO SICARI BUROCRATI CAPITALISTI DI FRONTE AL TRIBUNALE DELLA LOTTA DI CLASSE DAL QUALE SOLO IL PROLETARIATO ASPETTA GIUSTIZIA, DELLA STRAGE DI PIAZZA FONTANA E DELL’OMICIDIO DEL COMPAGNO ANARCHICO PINELLI. Il vostro potere, il potere dello stato, l’unico che avesse un interesse decisivo, è anche l’unico al riparo da ogni inchiesta perchè esso rappresenta il potere delegato della falsa coscienza che può fare sparire tutte le prove (la morte di Pinelli, la bomba alla Banca Commerciale fatta brillare). Il potere dello Stato e dei suoi servizi segreti ha le spalle coperte dalle menzogne esibite come dalle verità dette a mezza voce: così i giornali della sedicente “sinistra” fanno circolare voci su un possibile colpo di stato di destra. L’ideologia sviluppa la sua offensiva sublimando la lotta di classe nello scontro ideologico fra capitale “progressista e arretrato”. Contemporaneamente la sedicente “estrema sinistra” parlamentare ed extraparlamentare rispolvera il mito riformista del fronte unito anti fascista in cui sfruttati e sfruttatori dovrebbero unirsi in nome della concessione di nuove fette di potere alle burocrazie pseudo-operaie del P.C.I. e dei sindacati. Ma il colpo di Stato non avrà certo per protagonista le frange più reazionarie della Confindustria, bensì sarà quello che porterà democraticamente al potere la nuova maggioranza formata dalle burocrazie di ricambio socialiste. Il contrasto tra i vari livelli di sviluppo capitalista parte da un minimo sancito e irrinunciabile : l’organizzazione del consenso allo sfruttamento estorto al proletariato, la partecipazione simbolica alla democrazia formale e parlamentare, la dinamica interna salari-profitti. Lo scontro non esaurisce, né lo vuole, questa dialettica che permette la sopravvivenza ad entrambi e l’esaurimento invece dello scontro tra progresso e reazione. Il grande revival dei moralismi che accompagna l’offensiva dell’ideologia svela gli obbiettivi veri della farsa-inquisitoria sugli attentati, nella quale sono impegnati polizia e stampa, e l’unità di intenti dal “Corriere” all'”Unità”, tutti decisi a far luce sul sottobosco politico negli ambienti dell’estremismo di sinistra. “Il quadro degli arrestati e dei loro amici anarchici delineato dai verbali non fa che ribadire quanto già si sapeva di quel sottobosco dell’estremismo: sbandati dalle idee confuse, alla disperata ricerca di un lavoro stabile, sempre alla caccia delle mille lire per mettere insieme il pranzo colla cena, locali fumosi per le riunioni, amicizie strane con personaggi dell’internazionale anarcoide (nel modo di vita più che nelle idee politiche). Sul piano strettamente politico una risultanza chiara c’è già: a Roma come a Milano e in altre città d’Italia la degradazione nella frangia estremista nata dalla contestazione studentesca, avevaraggiunto un punto critico, quei circoli eranoormai dei centri d’infezione, aperti a tutto, alla violenza senza ideale, allo squadrismo, alla provocazione, alla delazione. La tragedia di Milano almeno questo obbiettivo ha raggiunto: metterne allo scoperto la miseria morale e la bassezza politica” (IL “GIORNO” 13 GENNAIO 1970). I morti sono morti perchè la borghesia potesse vomitare la sua anima e spacciarla per l’anima dell’estremismo dandolo per spacciato. Invece la coscienza della provocazione accumula la rabbia proletaria, la spinta latente della sua collera, globalmente negatrice dello stato di cose, l’unico capitale che il proletariato abbia accumulato nella storia. E’ chiaro, per chi non abbia il cervello più spappolato della merda o non sia completamente arruffianato ai padroni che la violenza apocalittica del sitema è l’ammissione della sua crisi irrimediabile. Ai sindacati che s’incaricano di difendere di fronte ai lavoratori le ragioni dell’economia spiegando che non si può tendere troppo la corda, i proletari rispondono: “i padroni non possono forse pagare di più, ma possono scomparire”. L’apertura del fronte continuo dell’insubordinazione generalizzata, che consente nello spazio aperto dell’autogestione delle lotte la sostituzione immediata del valore d’uso al valore di scambio, inaugurando apertamente nello sciopero, più o meno clandestinamente nel lavoro, il regno della gratuità, organizzando nei grandi magazzini la distribuzione delle merci, appropriandosi collettivamente dei prodotti del lavoro, liquidando le gerarchie e lo spirito di sacrificio, incoraggiando la creatività di tutti con l’invenzione di manifesti, canzoni etc.. – è già stata inaugurata eccezzionalmente nelle lotte più radicali del ’68 e del ’69. Il sabotaggio va condotto nel futuro permanentemente, nella fabbrica e a tutti i livelli della società, fino ad instaurare, laddove le lotte abbiano già avanzato la critica della Scienza, della Merce, del Lavoro, il caos permanente nell’organizzazione capitalista della “pace sociale”.

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Tesi sul crimine

Manifesto, cm. 34×50, b/n, che non reca né indicazioni di stampatore né firme di paternità. Esso è stato prodotto ed affisso a Torino, in un periodo compreso tra gennaio e marzo 1970. Pertanto non è possibile attribuirne la paternità all’Organizzazione Consiliare, che ancora non era stata costituita. Al più le “Tesi sul Crimine”, possono essere considerate un “antefatto” alla costituzione della stessa.

TESI SUL CRIMINE

– Il disadattato mette in crisi, per il fatto stesso di esistere, l’ideologia della società tecno-burocratica, unico argine al movimento della storia.

– I detenuti violentano ogni giorno con le loro lotte la società esistente dall’interno delle galere.

– I detenuti, parte di una classe che sarà l’ultima, realizzano ogni giorno quello stile di vita rivoluzionaria che operai e studenti solo a sprazzi riescono ad esprimere.

– I criminali, esercitando il reato nelle sue forme individuali, hanno saputo, una volta divenuti carcerati, praticarlo nella sua forma collettiva ed organizzata: l’insurrezione.

– Le lotte dei detenuti non mirano alla razionalizzazione del sistema carcerario all’interno di questa società; esse la negano praticamente pur manifestandosi inizialmente in uno dei suoi settori più isolati.

– I detenuti hanno già rifiutato lo spettacolo del consumo di libertà che il capitale somministra ogni giorno; hanno capito che il sogno della “libertà” con cui lo Stato vuole costringerli a subire disciplinatamente l’indegnità della pena non è altro che la concessione di praticare la libertà di sognare.

– I detenuti hanno anche negato praticamente l’allettamento della libertà di consumo; sia nei loro reati individuali contro la proprietà privata (furti, rapine, estorsioni) che in quelli collettivi contro la proprietà dello Stato (il saccheggio) hanno realizzato violentemente il principio “a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Il loro è stato ed è assalto proletario alla ricchezza sociale.

– La vita dei criminali è la negazione delle pretese qualità liberatorie del lavoro salariato. Il rifiuto del lavoro conduce alla galera, il timore della galera assoggetta al lavoro.

– La feccia della società di classe ha già adottato le proprie lotte in carcere e fuori la sola organizzazione che muova efficacemente alla distruzione del vecchio mondo. Rifiutando nei fatti lo spontaneismo sottoanarchico degli impotenti e il centralismo gerarchico (codificato o informale) dei mistici della milizia rivoluzionaria ha saputo e sa organizzare il disordine strutturandosi in bande criminali.

– L’amnistia che il Parlamento sta concedendo è un’arma demagogica dello Stato. Di essa è però possibile fare un impiego proletario. Alcuni detenuti saranno scarcerati; la loro liberazione coinciderà con la commissione sempre più vasta e diffusa di crimini proletari e la realizzazione della rivoluzione richiederà, è chiaro, la violazione massiccia di ogni articolo della legge borghese. La liberazione dei detenuti porterà alla costituzione delle prime bande di devastatori e saccheggiatori. Altri, esclusi da un avvenire di integrazione del resto consapevolmente rifiutato, resteranno in carcere, spina nel fianco di un sistema che sapranno rovesciare.

– Il proletariato libero dalla galera ma incatenato alla linea di montaggio deve appoggiare subito le lotte dei criminali con la pratica quotidiana del teppismo e la commissione del reato comune.

Chi ha vinto è la merce

A cura di un gruppo di operai del C.A.P.Genova, novembre 1969.

È stato scritto in assoluta autonomia da alcuni portuali genovesi in contatto con i ludditi, nell’autunno del 1969. Ludd si era limitato a fornire l’uso delle macchine e, forse, a suggerire il bel titolo che risulta un poco calato sul testo. Ma Dellacasa, ai tempi, aveva sostenuto che anche il titolo se l’eran fatto da soli. (P.R.)

CGIL CISL UIL CISNAL – ACCADEMIA SINDACALE DI POLIZIA

Manifesto-detournement-disvelamento del Sindacato di Polizia.

Roma, 10 ottobre 1969.

OPERAIO!!

Vieni con noi, nella nuova POLIZIA OPERAIA. Essa è moderna ed efficiente, usa la discussione contro i timidi, il manganello contro i decisi.
Essa è economica: non spreca le pallottole ma uccide più in fretta la rivolta operaia.
La vecchia polizia, i PS e i carabinieri, potevano essere sconfitti, poiché, al di là delle loro divise, l’operaio vedeva la propria libertà
Tutti ci hanno visti al lavoro mentre ti intruppavano, impedendoti di vedere le cose da distruggere: la fabbrica e i suoi servi, la morte quotidiana.
Tutti riconoscono la nostra efficienza: la “Stampa”, il “Secolo”, “L’Unità”, Donat Cattin e i prefetti.
Noi siamo il nuovo cordone sanitario. Noi ci poniamo fra gli operai e l’Ordine per difenderlo; noi difendiamo la Produzione contro chi la può distruggere; noi difendiamo l’Economia, lo Stato.
Operaio, Ricorda!
Noi non ti uccidiamo

NOI TI CASTRIAMO!

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La rivolta nelle carceri e la merda nelle Università

Gruppo socialista libertario della Statale, Gruppo socialista libertario della Casa dello Studente e del lavoratore. Milano, 15 aprile 1969.

LA RIVOLTA NELLE CARCERI E LA MERDA NELLE UNIVERSITÀ

“VOGLIAMO GLI STUDENTI DI TUTTE LE PROVINCIE” “LIBERTà” “BATTIPA­GLIA” “LA GIUSTIZIA DEVE ESSERE RIFATTA DAGLI UOMINI” “NO ALLE SBARRE LIBERTÀ”.
Queste e molte altre frasi ci gridavano stanotte i carcerati men­tre un fuoco ininterrotto di bombe lacrimogene e di pallottole andava ad accarezzarli sui tetti e all’interno di San Vittore. Avola, Viareggio, Roma, Battipaglia, Torino, Genova, Milano… ad ognuna di queste date la lotta è scoppiata e si è mostrata esemplarmente più dura. Per i qualunquisti mascherati e non, i moderati maledetti gli eterni confusi e attendisti, la situazio­ne pare in fondo essere sempre la stessa. Rapportandosi ogni volta, nelle loro analisi di castrati (che in quanto tali non posso­no che propagare la loro castrazione) al Movimento Studentesco Panacea universale, Nuovo Padre Protettore e ormai giustificazio­ne della loro nullità, dalla constatazione del suo naturale flusso e riflusso (al quale ultimo effetto soltanto collaborano ormai attivamente) concludono inevitabilmente, quando non anche nelle parole certamente nei fatti, che il nostro compito è solo quello 1°) di un ipotetico e non mai realizzato lavoro paternalistico nei quartieri operai ecc. ecc. 2°) di una comoda contestazioncina interna che naturalmente finisce a lungo andare, essendo l’unica azione che si fa, per divenire sindacalismo spicciolo.
In effetti, al di là di tutte le loro palle, coglionate e mistificazioni, la verità lampante è una sola: che le situazioni rivo­luzionarie costantemente li scavalcano e costantemente delle si­tuazioni rivoluzionarie essi non riescono ad essere che le misera­bili sanguisughe.
Uno dei tanti esempi è il comportamento di questi burocrati e “leaderini” schifosi (non è un caso che siano sempre i burocrati e i leaderini ad essere i più moderati) nella riunione di ieri sera al Poli per l’organizzazione della “settimana di lotte”. Comuni­cata la notizia della grande rivolta di San Vittore e la volontà da parte dei compagni più radicali che l’assemblea decidesse imme­diatamente il comportamento da prendere in merito alla nuova si­tuazione, e proposto di scendere subito in piazza e di portare la nostra presenza ai compagni in lotta e poi ritornare nella notte stessa per fare il lavoro di stampa o propaganda (o almeno parte di esso) e l’indomani mattina mobilitare le sedi universitarie e le Scuole Medie, è stato risposto che prima ci voleva il “discorso sui carcerati”. In realtà queste caricature di burocrati avrebbe­ro avuto tutto da imparare dal discorso che in quel momento i carcerati facevano con gli atti e con le parole. Così non c’è stato da meravigliarsi quando qualcuno di questi assurdi rimasugli di fogna aggiungeva l’odioso al ridicolo definendo addirittura (come un qualsiasi borghese) i detenuti in rivolta “ladri” “assassini” “delinquenti comuni”.
È stato fatto il “discorso”. A questo punto già parecchio tempo era passato e molti compagni di base hanno espresso il loro desi­derio di andare accettando la prima proposta. Ma ecco ricompari­re i “leaderini”, che sviano di nuovo la discussione, si contrad­dicono, inventano problemi che non esistono (almeno nei termini in cui li intendono loro), cioè fanno perdere tempo e intanto la gente di­minuisce. E all’una e dieci dopo una lurida azione di pompieraggio e di sbollimento saltano fuori facendo interventi a catena per dire che ben altri compiti più importanti ci attendono, che andare davanti a San Vittore è “spontaneistico”, “avventuristico” e “turistico”(!).
Al che la maggioranza dei presenti (ormai pochi), sentendosi così pacificata la coscienza da una giustificazione così rivoluzionaria della loro inazione, applaude e non si mette neanche a fare, immediatamente, il tanto rimenato lavoro di organizzazione, ma se ne va tranquillamente a nanna.
Però non tutti hanno concluso così miseramente la loro giornata di frustrati. I compagni più radicali, che avevano fatto la proposta, concretamente l’hanno attuata stando tutta la notte e la mattina in piaz­za a comunicare coi compagni carcerati, a manifestare il loro appoggio e a sensibilizzare la gente, dimostrando fra l’altro che: I) era possibilis­simo andare, II) che non si trattava affatto di “spontaneismo avventuri­stico e turistico”, ma il discorso politico c’era e, incominciando su­bito, si poteva e doveva fare, III) che se fossimo stati in tanti, quanti ne contava l’assemblea cittadina al momento della proposta, la nostra azione avrebbe avuto un peso politico ben maggiore.
Compagni della base, è giunta l’ora che veramente noi ci liberiamo una volta per tutte dei pesi morti, degli affossatori, degli eterni confusi, che non hanno cambiato niente della loro vera essenza borghese e che in effetti la borghesia – tollerandoli benissimo – giorno per giorno sempre più recupera, anche per mezzo della loro acquiescenza (le parole non contano, contano i fatti) alla prassi ideologica degli pseudo rivoluzio­nari, dei nemici del proletariato, cioè dei riformisti reazionari del P.C. e dello P.S.I.U.P.
In questa situazione specifica prendiamo noi, la base, la decisione in assemblea di fare oggi stesso una manifestazione di massa e il lavoro di stampa e propaganda per la lotta dei compagni che si stanno rivoltan­do nelle carceri italiane.
Noi sappiamo che i detenuti, i “delinquenti comuni”, sono in verità un prodotto sociale emarginato di questa società fondata sul profitto, sulla burocrazia, sull’egoismo, sulla corruzione, e sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
«La rivoluzione si preannuncia sempre sotto l’aspetto criminale» (Karl Marx).
Ed ora il rifiuto, la rivolta individuale che ha portato questi uomini nelle prigioni compie un salto qualitativo nella pressi e nella coscien­za della rivolta collettiva. Qui infatti non si tratta solo della crisi delle carceri che genera la rivolta dei carcerati contro la loro condizio­ne di detenuti, bensì della crisi del capitalismo che genera una rivolta esemplare, una rivolta di uomini che non hanno niente da perdere e un mondo da guadagnare.

SIAMO REALISTI: NEGHIAMOCI COME “STUDENTI” – VIVIAMO COME RIVOLUZIONARI

È davvero chiederci
L’IMPOSSIBILE?

GRUPPO SOCIALISTA LIBERTARIO DELLA STATALE
GRUPPO SOCIALISTA LIBERTARIO DELLA CASA DELLO STUDENTE E DEL LAVORATORE

15/4/69 – cicl. Proprio

Ai lavoratori consortili

Volantino, Genova 15 aprile 1969.

A proposito di un’assemblea svolta il 10 aprile nell’officina del C.A.P., «per decidere l’atteggiamento da assumere dopo i gravi fatti di Battipaglia». Firmato da Manstretta e altri.

Volantino sulla rivolta alle Nuove

Firmato Movimento studentesco (Torino, 14/4/1969).

Da due giorni infuria la rivolta alle Nuove. I detenuti hanno preso possesso della prigione che per anni li aveva costretti ad un quotidiano abbruttimento, hanno cacciato dai bracci del carcere i secondini da cui erano stati costantemente insultati e sopraffatti senza poter reagire neanche con una parola, hanno incendiato i laboratori e la falegnameria in cui avevano lavorato per anni per 8 ore al giorno per una paga schifosa di 8.000 lire al mese, sottoposti allo sfruttamento più schifoso, hanno divelto le inferriate dietro le quali i secondini li hanno rinchiusi ogni giorno. Con grande maturità politica hanno organizzato un comitato di base che ha elaborato e ciclostilato all’interno una serie di rivendicazioni. Migliaia di poliziotti che per due giorni hanno assediato le carceri sparando in continuazione granate lacrimogene, non sono per ora riusciti a reprimere la rivolta. Da Corso Vittorio, centinaia di persone hanno assistito e hanno potuto vedere le fiamme divampare dalle carceri, le nuvole dei gas lacrimogeni, hanno potuto ascoltare le minacce e gli insulti dei poliziotti che dall’alto dei muri di cinta sparavano direttamente sui carcerati.

CHI SONO I DETENUTI?

La Stampa Serva di oggi risponde: “rapinatori, ladri e sfruttatori”: troppo comodo!!! In realtà appartengono quasi tutti agli strati sociali che i padroni hanno condannato alla vita più misera e disperata: sono i meridionali cacciati dalle loro terre dalle rapine dei latifondisti, sono gli immigrati attirati a Torino dalla FIAT che succhia mano d’opera al Sud per tenere bassi i salari e realizzare un più efficace sfruttamento, per poi lasciarli disoccupati alla prima occasione; sono le migliaia di persone confinate nei ghetti di Via Artom, di Porta Palazzo, delle Vallette, sono quelli che per avere una stanza dove vivere con la famiglia sono costretti a sottostare ai furti del padrone di casa.

Ma la rapina, lo sfruttamento, il furto che i padroni compiono quotidianamente non li portano in galera. I codici li hanno fatti i padroni e hanno considerato reati tutte quelle rapine, quelli sfruttamenti, quei furti che essi non avevano nessun vantaggio a commettere. E hanno messi nei tribunali giudici come loro; che non hanno mai vissuto in un ghetto, che non hanno mai conosciuto la galera, né la disoccupazione.

Una volta messi in prigione, i detenuti vengono sottoposti a un costante controllo e un costante processo di abbruttimento e disumanizzazione. Isolati dall’esterno senza poter leggere il giornale (salvo l’Italia, per giunta censurato), costretti a vivere in condizioni igieniche spaventose sottoposti alle quotidiane prevaricazioni dei secondini (che devono essere chiamati “superiore”), trattati con indifferenza e sospetto dai giudici, essi sperimentano direttamente la “funzione RIEDUCATIVA della pena”. E infatti ne escono rieducati: escono veramente ladri, rapinatori e sfruttatori come i padroni avevano voluto che fossero fin dall’inizio.

Per questo LA LORO RIVOLTA È GIUSTA E NOI DOBBIAMO SOSTENERLA, impegnandoci a discutere in tutte le sedi: al Bar, per le strade, con i  propri compagni di lavoro, e cercando di organizzare assemblee di quartiere.

APPOGGIAMO LA LOTTA E LE RIVENDICAZIONI DEI DETENUTI DELLE NUOVE cercando di organizzare CONCRETE MANIFESTAZIONI DI APPOGGIO.

IL MOVIMENTO STUDENTESCO

Cicl. in propr. 14/4/69

Richieste formulate dal Comitato di base delle Nuove

Volantino diffuso nelle carceri Le nuove a Torino, 13 aprile 1969. (In calce, appunto di Panco Ghisleni)

1) Questo foglio deve venire pubblicato sui giornali locali nel suo testo integrale.
2) Si chiede che venga indetta domani una conferenza stampa di cinque detenuti per ogni braccio con i rappresentanti di tutti i giornali locali.
3) Si chiede che entro il 15 aprile c.a. sia inviato un rappresentante del Municipio e uno della Prefettura e siano introdotti in ogni singolo braccio a discutere pubblicamente con le varie commissioni.
4) Che le celle dei singoli bracci restino aperte sino alle ore 16 fino a quando che non verrà la commissione Parlamentare e che durante tutte le restanti ore sia aperta la porta in legno delle singole celle.
5) Che venga garantita ogni rinuncia a punizioni per i fatti avvenuti sino ad ora e relativi trasferimenti.
6) Domani stesso vengano indette elezioni a scrutinio non segreto controllate dalla Commissione Costituente di numero 5 detenuti per ogni braccio per la conferenza di cui al punto 2 e per prospettare i problemi carcerari.
7) Siano inviati dei membri della Commissione Parlamentare preposta alla riforma dei codici a venire entro 5 giorni alle Carceri Giudiziarie di Torino per sentire le richieste delle commissioni detenuti.
8) Oggi la commissione costituente deve poter girare liberamente per i bracci.
9) Che le commissioni elette come al punto 6 formulino a breve scadenza le modifiche a regolamento carcerario che si renderanno necessarie.
10) SI PROMETTE CHE ENTRO QUESTI CINQUE GIORNI NON VERRANNO COMMESSI ULTERIORI DANNEGGIAMENTI.
NEL CASO CHE TUTTI GLI ANZIDETTI PUNTI NON VENGANO INTEGRALMENTE ACCETTATI LA COSTITUENTE SI SCIOGLIE E NON RISPONDE IN ALCUN MODO A CIÒ CHE AVVERRÀ AL CARCERE.

Torino, 13 aprile 1969

Una rivolta esemplare (Battipaglia)

Un gruppo di compagni. Genova, 11 aprile 1969.

UNA RIVOLTA ESEMPLARE

La gente quando si rivolta conosce i suoi obiettivi: a BATTIPAGLIA non hanno portato petizioni al prefetto, ma hanno cercato di dare fuoco al municipio ed hanno devastato l’esattoria delle tasse, non hanno colloquiato con le forze dell’ordine, ma le hanno assediate nel cimitero ed hanno incendiato il commissariato, non si sono lamentati del prezzo delle merci, ma hanno saccheggiato alcuni negozi, non hanno infine fatto una processione ma hanno bloccato la ferrovia e l’autostrada e hanno continuato a battersi fino al rilascio dei fermati.

La gente quando si rivolta sa quello che vuole: farla finita con tutta l’oppressione e i suoi simboli odiosi, farla finita con lo sfruttamento ed i suoi gestori.

I borghesi si preoccupano e dipingono a tinte fosche la situazione: esasperazione, teppismo, confusione, anarchismo: NO, È MOLTO PIÙ SEMPLICE, LA GENTE VUOLE FARLA FINITA CON QUESTA SOCIETÀ. Ha intrapreso la strada che non ha sbocchi per chi segue la logica del bravo borghese o dell’ordinato cittadino; le azioni rivoluzionarie possono essere recuperate solo con la menzogna o col silenzio. A nulla servono gli appelli del governo alla calma, i telegrammi cinici di Saragat alle famiglie delle vittime… LA CALMA DOPO AVOLA È L’INCENDIO DI BATTIPAGLIA, e i sindacalisti non possono imporre rivendicazioni e devono solo gettare acqua sul fuoco.

E che fa l’opposizione? Quella seria, quella comunista? Cerca di far rientrare una vittoria all’interno della tradizione della sconfitta, cerca di circoscrivere l’incendio, collabora nel formare intorno a Battipaglia un solido cordone sanitario.

Ma gli obbiettivi veri, quelli della rivolta, dove sono andati a finire? Quelli vanno conculcati, respinti indietro. Delle vittorie, delle azioni reali, esemplari, chi parla? Non l’Unità che piange sui morti, unica vittoria degli avversari, e cerca di dare ai lavoratori solo l’immagine della loro impotenza, della frustrazione della sconfitta. È l’unico modo che le resta per tentare di far rientrare il movimento all’unico livello che essa conosce, quello della democrazia borghese.

Quotidianamente ci illudiamo – la società civile ci facilita in questa illusione – che le cose che ci circondano siano nostre, che il loro uso, il loro possesso ci sia permesso, sia pure mediatamente, attraverso il denaro, salario od altro che sia: è un’illusione che Battipaglia oggi distrugge.

Quando degli sfruttati negano e bruciano una società che li opprime ed affermano il loro potere reale sulle cose, si impadroniscono di una città, le forze di chi oggi ha in mano il potere distruggono gli uomini, li uccidono perché la società borghese, espropriatrice dell’uomo, non può tollerare di essere espropriata.

Di fronte agli sfruttati che guardano verso l’incendio di Battipaglia con speranza, non ci sono obbiettivi intermedi, richieste da fare alla democrazia. Poiché là non ci si difende – si attacca – non bisogna chiedere il disarmo del nemico, ma le armi per i compagni. E se per noi il momento non è ancora venuto, non bisogna versare lacrime di coccodrillo sui compagni di Battipaglia, ma imparare che il nemico o lo si attacca o la nostra sconfitta è permanente.

Un gruppo di compagni

Genova 11/4/69

Ai genitori degli allievi degli Istituti Professionali in lotta

Volantino dell’assemblea generale degli Istituti professionali in lotta.

Genova, 14 febbraio 1969.

AI GENITORI DEGLI ALLIEVI DEGLI ISTITUTI PROFESSIONALI

IN LOTTA

Informiamo i genitori degli allievi degli istituti professionali in lotta sui reali motivi che hanno portato i loro figli a scioperare
1°) Noi non abbiamo avuto nessuna garanzia di ottenere l’assemblea aperta a tutti coloro che riteniamo opportuno invitare, come ad esempio studenti di altre scuole che hanno i nostri stessi problemi e operai (ad esempio i nostri stessi padri) che ci possono informare sulle situazioni dell’occupazione dopo la scuola.
2°) le richieste non sono solo quelle dell’Assemblea, ma la prima cosa che chiediamo è il riconoscimento effettivo della qualifica, cioè che il diploma abbia valore concreto quando si trova un posto di lavoro.
3°) Possibilità di continuare gli studi con un 4° e un 5° anno senza bisogno di esami integrativi (in cui si boccia il 95% degli studenti) e che dia la possibilità di accesso alla Università.
QUESTI NON SONO CHE ALCUNI DEI PROBLEMI PER I QUALI SCIOPERIAMO CONTRO LO SFRUTTAMENTO DI OGGI E DI DOMANI SUL LAVORO.

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A chi credeva fosse un suo diritto vedere un film che lo interessava

Volantino, Genova, 8 febbraio 1969.

La proiezione del film sugli avvenimenti rivoluzionari del MAGGIO FRANCESE che doveva essere tenuta ieri al cinema Centrale, non ha avuto luogo! La polizia, nella persona del Dott. Catalano (noto pesce grosso dell’ufficio politico della questura) ci ha convocati ieri mattina, per farci sapere che anche lui è un “amante del cinema” e che, pertanto ci avrebbe mai proibito di proiettare i film, ma dovevamo valutare quali sarebbero state le conseguenze. Siamo stati invitati a capire da soli se ci conveniva rischiare il sequestro della pellicola, la chiusura del cinema, la denuncia dei “responsabili”.

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Della miseria dell’ambiente dei professori e di un atto che indica la strada per rimuoverla

Comitato d’Azione di Lettere. Genova, inizio febbraio 1969.

Documento relativo a un episodio non comune verificatosi a Milano. Si può osservare sia l’identità fra i concorsi di cinquant’anni fa e quelli di oggi, senza che il tempo trascorso abbia migliorato in nulla la condizione degli infelici insegnanti privi di ruolo. Ma occorre altresì osservare l’azione diretta degli insegnanti d’allora messa a confronto con la passività disperata di quelli di oggi. (P.R.)

 

DELLA MISERIA DELL’AMBIENTE DEI PROFESSORI E DI UN ATTO CHE INDICA LA STRADA PER  RIMUOVERLA

Venerdì 31 gennaio ’69, alle ore 8 del mattino, circa 200 abilitati in filosofia si avviavano al concorso a cattedre tenuto nella scuola media “Rosa De Marchi” di Milano. Questa è una delle sedi del concorso; le altre sono Roma, Cagliari, Firenze, Napoli e Palermo.

I candidati si sono seduti, carta e penna sul banco, in attesa del tema, proprio come a scuola. Alcuni ripassavano, altri erano autoironici. Poi, si sono guardati in faccia e hanno avuto tutti la chiara percezione del grottesco, del significato regressivo di quanto stavano per compiere. Allora si sono alzati, hanno respinto e deriso i “commissari” che li volevano trattenere nei banchi. Sono scesi nella palestra sottostante e vi hanno tenuto una prima assemblea, che ha deciso l’interruzione del concorso e l’occupazione dell’istituto, sede della prova.

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Chi piange su Praga…

Volantino dell’Assemblea permanente di Lettere. Genova, 25 gennaio 1969.

Uno dei titoli più famosi, e ricordati ancor oggi, di quegli anni. L’influenza situazionista si va facendo sempre più esplicita, molti capisaldi della teoria radicale appaiono dispiegati. Come dappertutto nell’Italia di quel principio del 1969, ci si attende dal futuro una crescita verticale del conflitto. Ludd nascerà sull’onda di questo stato d’animo. (P.R.)

CHI PIANGE SU PRAGA

Oggi a Praga centinaia di migliaia di persone manifesteranno nelle strade dietro il feretro di Jan Palach. Fu così che, dietro un funerale, iniziò nel ’56 a Budapest la rivolta contro il regime stalinista. Allora i carri armati di Kruscev spararono sul proletariato ungherese, autoorganizzato nei consigli operai. Si ripeterà lo scandalo alla rovescia dei carri “socialisti” che sparano nelle strade di Praga “socialista”?

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La rivoluzione scritta da lei stessa. Documenti del maggio

Comitato d’Azione di Lettere, Genova, inizio 1969.

Una delle pubblicazioni più importanti del movimento radicale di quegli anni, che ebbe un grande impatto. L’approfondimento teorico portato dalla diffusione di questi testi francesi diventerà evidentissimo nelle pubblicazioni successive. (P.R.)

IL CONSUMO DELLA, RIVOLUZIONE

1) Nella società dei consumi tutti gli aspetti della vita diventano altrettanti mezzi di accumulare profitti. In mancanza di rivoluzione lo spettacolo è stato basato principalmente sulla guerra e sul crimine ma oggi vediamo gli editori fare dei soldi a milioni a spese delle barricate.

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Lettera ai vecchi compagni su Ludd

Ai compagni e amici della ex Lega degli operai e degli studenti”. Con progetto casa editrice e Centro informazione e documentazione.

Lettera/bozza a firma Mario Lippolis, Gianfranco Faina, Gianni Walter Armaroli, Gianfranco della Casa, Giorgio Guano, Mario Moro, Ettore Astolfoni, Alfredo Passadore.

Passer Outre – Intervento di Lippolis e Moro (novembre 1968)

Passero Outre, versione PDF

Dalla rivista francese PASSER OUTRE, octo-semestriel n° 1, lunedì 25 novembre 1968. Si tratta di un periodico parigino nato nell’autunno 1968, diretto a dar voce ai comitati di base ancora operanti dopo il maggio, animato da membri che avevano fatto parte del Movimento 22 marzo, alcuni di Socialisme ou barbarie, eccetera. Traduzione di Mario Lippolis.

ITALIA

Il testo seguente contiene l’esposizione di due compagni italiani (Mario Lippolis e Mario Moro – N. d.T.) della ‟Lega Operai Studenti” durante una riunione di ICO* e la discussione che ne è seguita.

* Informations Correspondance Ouvrières. Gruppo nato all’origine da una scissione di«Socialisme ou barbarie» e destinato essenzialmente allo scambio di informazioni alla base tra lavoratori. – N. d. T.

LO SCIOPERO NELLE FABBRICHE FIAT
Sei mesi fa si è svolto uno sciopero molto importante nelle fabbriche Fiat di Torino, e in molte altre fabbriche del gruppo Fiat. La principale fabbrica Fiat di Miratori annovera circa 70.000 operai. È un autentico campo di concentramento con la sua cinta di filo spinato e innumerevoli guardiani alle 42 porte. In questa fabbrica, una vera scienza della repressione è stata sviluppata dopo gli scioperi selvaggi del 1960-62 ; un giornale di fabbrica pubblicava parole d’ordine di sabotaggio della produzione. La direzione adottò misure repressive ( denunce seguite da fermi ). Ci furono manifestazioni enormi :
davanti alla sede della Confindustria, davanti al quotidiano «La Stampa», davanti a quella del sindacato U.I.L. ( socialdemocratico ). Vennero assunti specialisti americani per cercare di instaurare con ogni mezzo una repressione scientifica all’interno della fabbrica.
Non vi erano più stati scioperi alla Fiat : i sindacati collaboravano ed era normale sentir dire : « quando Fiat farà sciopero, sarà la rivoluzione».
All’inizio, lo sciopero fu promosso dai sindacati che alla fine avevano dovuto cedere all’enorme pressione da parte degli operai. Non potevano fare altrimenti, a causa delle continue interruzioni del lavoro e della disaffezione verso i sindacati che si era tradotta in un importante numero di schede bianche e astensioni durante elezioni interne ( su liste sindacali come in Francia ). Le rivendicazioni riguardavano gli orari e le condizioni di lavoro – in sostanza 40 ore senza aumento dei ritmi e anche che i giorni di riposo fossero a data fissa, e non a discrezione della direzione. Non era uno sciopero generale illimitato, ma interruzioni del lavoro della durata di un giorno ogni settimana. Lo sciopero durò tre settimane. Gli scioperanti andavano dal 95 al 98%. Picchetti di sciopero si erano formati a ciascuna delle 42 porte della fabbrica di Torino. Ma la polizia intervenne per sgomberarli. Si ebbero scontri, nel corso dei quali gli operai mostrarono spontaneamente una capacità organizzativa tale che l’azione della polizia fu resa praticamente inoperante. L’intervento della polizia certamente ebbe il suo ruolo nella radicalizzazione della coscienza operaia. Ma sono da considerarsi anche molti altri fattori. Una gran parte di operai è formata da contadini emigrati dal sud del paese. Se hanno particolari problemi di adattamento, la presa dei sindacati su di loro ( quale che sia la loro età ) è inferiore che sugli operai di origine operaia più antica. Possono apparire passivi, ma nel corso dello sciopero si sono rivelati gli elementi più attivi, sia nell’organizzazione della lotta ( nei picchetti di sciopero ) che nella capacità di entrare in relazione con la realtà dello sciopero. Nel corso di questo, i rapporti di discriminazione, la mancanza di solidarietà erano scomparsi.

Nel corso di questo sciopero, studenti venuti da tutta Italia presero contatti con gli operai : discussioni ebbero luogo con i picchetti e rivelarono un alto livello di consapevolezza politica fra gli operai : per esempio nell’elezione di commissioni operaie che avessero il compito di controllare l’aumento dei ritmi. Questi legami furono molto estesi e i sindacati non erano abbastanza forti per opporvisi. Tutto ciò che furono in grado di fare fu di passare in auto con altoparlanti fra gli operai in sciopero per diffondere le proprie parole d’ordine senza fermarsi.

Dopo la seconda settimana, i sindacati organizzarono un referendum fra gli operai nella speranza che questi rinunciassero a proseguire lo sciopero ; ma fin dall’inizio dello spoglio, apparve che praticamente il 100% dei voti era per la continuazione ; arrivati a 20 000 ( su 70 000), i sindacati fermano tutto ; lasciano fare, l’indomani, un’ultima giornata di sciopero, e il giorno dopo firmano gli accordi con la direzione e ordinano la ripresa del lavoro. Se il 40% delle rivendicazioni iniziali era stato soddisfatto, tuttavia le rivendicazioni reali degli operai erano state lasciate completamente da parte.

Sulla scheda di voto, era stato riservato uno spazio bianco perché gli operai indicassero cosa volevano. Le risposte date escono, per lo più, dal quadro delle rivendicazioni particolari per toccare un livello politico, ponendo il problema della loro «dignità» in fabbrica e nella produzione. Dopo lo sciopero, i contatti operai-studenti presi durante il suo corso si sono materializzati con la creazione di un comitato di collegamento permanente cui partecipano 150 operai, che pubblica un bollettino. Ciò che è interessante notare è che tra operai che partecipano a questo lavoro, i rapporti di classe sono percepiti in modo nuovo, come un autentico rapporto di schiavitù totale. Ugualmente dopo lo sciopero, la situazione «politica» in fabbrica è molto più limpida, con i quadri che invitano apertamente a votare per i socialisti unificati ( Nenni ) e gli operai che mettono direttamente in discussione il ruolo dei sindacati e della politica tradizionale.

Sciopero in una fabbrica tessile a Valdagno ( Veneto ) – febbraio 1968

La fabbrica era la sola in città : mancava ogni politicizzazione degli operai, tutti votavano democristiano. Lo sciopero fu durissimo, gli operai misero sotto assedio le case dei principali dirigenti e manager, per impedir loro di raggiungere la fabbrica. Un incredibile dispiegamento di forze portò sul posto tutti i professionisti della brutalità poliziesca da ogni parte d’Italia. Bambini di dodici, tredici anni si mescolarono agli operai in lotta : una autentica guerriglia si diffuse in città, con distruzione di negozi e della statua del fondatore della fabbrica. ma l’azione della polizia badò a evitare incidenti troppo gravi che avrebbero potuto far conoscere altrove quella lotta. Degli studenti dell’università di Trento avevano cercato di prender contatto con gli operai, ma questi li mandarono indietro, perché in quel momento non volevano si potesse dire che ad aver scatenato tutto fossero stati elementi venuti da fuori e non gli operai da soli. Lo sciopero finì con incredibili negoziati. Perfino i sindacalisti locali non volevano riprendere il lavoro fino a quando la polizia non avesse lasciato la città. Furono i dirigenti del sindacato a concludere le trattative : questa poteva apparire una vittoria sul piano delle pure rivendicazioni, ma era una sconfitta in considerazione del livello della lotta. Gli scioperi di cui abbiamo parlato sono stati scatenati unicamente dai lavoratori, senza intervento degli studenti, su dei problemi rivendicativi di ordine economico, e sono stati controllati dall’inizio alla fine dagli operai. Gli studenti hanno preso contatto con i lavoratori in lotta e si sono messi a loro disposizione. Hanno trasmesso ovunque le informazioni. nell’attuale contesto italiano, il ruolo del movimento studentesco fu quello di creare una sorta di tessuto connettivo tra nuclei di contestazione sociale. Vuole definirsi come un movimento rivoluzionario continuo, antiautocratico, in costante collegamento con gli operai, che compia una lunga marcia attraverso le istituzioni, contestando il modo in cui vengono prese le decisioni insieme a coloro che quelle decisioni riguardano. Un compagno di I.C.O. sottolinea che in Italia come in Francia, l’intervento degli studenti nelle lotte pone un problema politico, quello della ricostituzione di una avanguardia, una nuova classe che tenterebbe di coordinare il movimento rivendicativo. Secondo i compagni italiani, fra le lotte citate nessuna ha avuto gli studenti come protagonisti : gli elementi più attivi fra gli studenti sono stati semmai influenzati dagli operai. Quando degli studenti di Genova che occupavano dei locali sono stati attaccati dai fascisti, sono stati gli operai a venire autonomamente a proteggerli. Da questi contatti è sorto un dialogo in cui ciascuno ha potuto apprendere parecchio dall’altro. Questi compagni sono ben consapevoli del ruolo di schermo che i gruppi polititici possono giocare nei confronti dei lavoratori in lotta : come esempio citano quello di un gruppo -Voce Operaia – che in una fabbrica Fiat di Pisa, durante lo sciopero della Fiat, continuava a discutere con gli operai della politica tradizionale, ma non parlava affatto di ciò che stava accadendo realmente a Torino, Per contro, si può indicare la creazione spontanea a Milano, alla Pirelli ( pneumatici, plastica ), e in altre imprese di elettronica, di comitati di base operaistudenti clandestini che discutono del sindacato, diffondono volantini e giornali. Non si tratta di un frutto del caso, né del risultato di una azione studentesca. Ciò testimonia della oggettiva tendenz
degli operai a trovare delle soluzioni al di fuori delle abituali strutture sociali : e può essere considerato come un tentativo di organizzarsi da sé.
I «gruppetti» in Italia sono praticamente inesistenti, non essendoci una tradizione «gauchiste».
Questo può spiegare l’esistenza attuale di un grande movimento studentesco, confuso, privo di una linea politica, ma che pratica la democrazia diretta e ha la volontà di gestire il potere di lottare. In questo modo il movimento si rifiuta di essere «politico» o corporativo e di lasciarsi intrappolare nella riforma interna al sistema.
Un gruppo di studenti che aveva partecipato alla pubblicazione di « Quaderni Rossi
» ( successivamente disciolto in una « Lega Operai Studenti » ) aveva sviluppato una teoria critica del ruolo di capi e sindacati. Questo gruppo rimase in contatto con gli operai della Fiat ed è all’origine del legame fra operai e studenti ( « Quaderni Rossi », per esempio, è stato in grado di pubblicare un giornale clandestino all’interno della Fiat). Per diecimila operai dei picchetti, vi erano ottocento studenti. Gli operai si recavano
spontaneamente alle assemblee nell’università e vi ponevano i problemi molto più chiaramente dei leader studenteschi. Sono stati gli operai a far comprendere agli studenti il ruolo esatto degli studi, della gerarchia, della funzione cui erano destinati. In queste discussioni si instaurava una vera condivisione e mai gli studenti giocarono un ruolo dirigente. Gli operai consideravano del tutto normale che gli studenti fossero al loro fianco e si mescolassero alla loro lotta.
Sembra che il movimento degli studenti nel suo sviluppo abbia portato una nuova nozione della politica con la diffusione del concetto di democrazia diretta. Questo si connette all’evoluzione del movimento operaio stesso. In Fiat e altrove gli operai nel corso degli anni si sono resi conto dell’inefficacia dell’azione sindacale quanto all’essenziale delle loro condizioni di lavoro, soprattutto per quanto attiene all’organizzazione di fabbrica e ai ritmi di lavoro. La debolezza del sindacato come organo di lotta di classe appare loro con nettezza di fronte al rafforzarsi dello tecniche di sfruttamento del padronato. La loro esperienza li conduce a una capacità di analisi dei rapporti di forza realmente esistenti. Nel corso dello sciopero si hanno discussioni in cui viene rimessa in causa la gerarchia, il controllo delle condizioni produttive, tutte cose che portano in direzione della gestione operaia, ma di cui non si parla mai con i sindacati o i gruppi politici. Ad esempio un gruppo di filogenesi parlava solamente dei tradizionali problemi politici e in definitiva non aveva niente da dire agli operai. Al contrario, i contatti con gli studenti si ponevano a tutta prima su quel terreno stesso della gestione.

La situazione in Italia paragonata a quella francese

Quel che è accaduto alla Fiat può essere paragonato a quel che è successo a Flint, alla Renault. Gli operai di Flins sono meno irregimentati che a Billancourt ( per via dell’origine contadina ). Ma per contro, la condizione dei lavoratori stranieri in Francia – e il loro intervento nelle lotte – non può essere paragonata a quella degli operai italiani originari del Sud che lavorano al Nord. Non si può dire che negli scioperi del maggio, gli operai stranieri siano stati i più attivi. per molteplici ragioni.
Ciò che per contro è vero, è la minore presa sindacale sui lavoratori di recente proletarizzazione e il loro maggior attivismo nelle lotte. Anche l’intervento della polizia può spiegare la radicalizzazione del movimento a Flint, ma questo intervento poteva altrettanto essere motivato dal fatto che la situazione vi sembrava più pericolosa per il potere, dato che i sindacati non controllavano lo sciopero. In genere, i contatti agevoli fra studenti e operai in Italia denotano una debolezza maggiore dei sindacati.
Secondo i compagni italiani, l’Italia si trova in una situazione paragonabile a quella della Francia di due anni fa circa. Sul piano economico e sociale non vi è ancora una situazione generale che possa condurre a un movimento generalizzato come in Francia. Fatta eccezione per il movimento degli studenti, tutti i movimenti di sciopero non hanno conoscenza gli uni degli altri : è un po’ per caso che si vengono a scoprire nuclei di raggruppamento, bollettini, eccetera.
Effettivamente, movimenti come quelli sopra citati restano isolati. Se ne possono dare svariate ragioni :
1) L’Italia resta in espansione in una fase ascendente del capitalismo. Non vi è rallentamenti economico : continuano a prodursi importanti trasformazioni economiche. Tuttavia, alcune enclave isolate possono essere colpite, sia da queste trasformazioni, sia da degli inizi di crisi, dal che gli scioperi localizzati.
2) L’Italia non è centralizzata come la Francia: Si tratta di un fattore storico non trascurabile. Le grandi città e le unità produttive che esse costituiscono sono praticamente indipendenti e quasi autonome : uno sciopero, anche importante, ha poca incidenza al di fuori della sua zona.
3) Gli scioperi in Italia sono sempre molto duri : i morti, i feriti vi sono «abituali». Cosa che in Francia al contrario è rara : dal ’50 al ’68 non c’è stata repressione violenta, che in Italia è sistematica.

Queste strutture, che possono spiegare l’isolamento delle lotte, non devono dissimulare il fatto che queste ultime, benché localizzate, si situano a un medesimo livello : non si constatano più i fenomeni locali che precedentemente potevano introdurre importanti differenze. Nessuna regione può essere considerata come «arretrata». Senza che ci siano collegamenti o influssi reciproci, si nota lo sviluppo oggettivo delle condizioni di lavoro e del livello della classe operaia, conseguenza di una medesima concentrazione capitalistica e di un medesimo sviluppo delle tecniche produttive.
In particolare è largamente superata la tradizionale divisione tra Nord e Sud.
Un compagno di I.C.O. sottolinea che è rischioso puntare sullo sviluppo dell’industrializzazione per attendersene uno sviluppo rivoluzionario. L’esempio tedesco ci mostra che non si tratta di una condizione essenziale. I compagni italiani indicano di aver soltanto voluto mostrare che esisteva una unificazione delle lotte e della «qualità» di queste lotte, indipendentemente da ogni propaganda e da ogni attività gruppettara, semplicemente in ragione della concentrazione del capitale in tutta Italia.

Boicottiamo un convegno indegno!

Lega degli operai e degli studenti, Genova, 9 novembre 1968.

Interessante notare l’opinione che già allora gli operai coscienti avevano dello Statuto dei Lavoratori, allora in gestazione e che oggi tanti si trovano ridotti a dover difendere contro un ritorno a condizioni pure peggiori. È del pari interessante lo spirito con cui ci si chiama vicendevolmente a raccolta, che ricorda un poco la sollevazione contro il G8 genovese del 2001. (P.R.)

BOICOTTIAMO UN CONVEGNO INDEGNO!

Oggi a palazzo San Giorgio, il Cardinale Siri (noto azionista, armatore, nonché ecclesiasta insigne) in compagnia di altri loschi personaggi (sindaco, magistrati semifascisti, presidente del CAP, docenti reazionari) presiederà un CONVEGNO NAZIONALE sul tema “TUTELA GIURIDICA DELLA SALUTE DEI LAVORATORI”. Questo convegno, come tutti i convegni, è nello stesso tempo una farsa e una provocazione per tutti, e in modo particolare per gli operai sulle cui gambe e mani rotte si brinderà a non finire, intrecciando squallide danze.

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Infortuniamoli

Volantino del Comitato d’Azione ‟Botte da orbi”, via Balbi 5. Genova, 9 novembre 1968.

Lettera di Mario Lippolis a Riccardo d’Este – Resoconto del secondo soggiorno francese dopo il maggio

Lettera di Mario Lippolis a Riccardo d’Este. Cicagna (GE), 6 ottobre 1968.

Resoconto del dopo Maggio in Francia e parzialmente in Italia, molto indicativo del linguaggio, della confusione e degli stati d’animo del tempo. (P.R.s

 

Mario Lippolis

Via Montallegro 40/17 – Genova

Caro Riccardo,

sono appena tornato dalla Francia dove sono rimasto assieme a un altro compagno della Lega, Mario Moro, per circa un mese. Con questa lettera intendo metterti sommariamente al corrente di alcune cose che ritengo importanti e riprendere almeno a livello personale i contatti che non so a livello di lega quanto funzionino (come tante altre cose del resto). … Read More

In nome del socialismo

Lega degli operai e degli studenti, Genova, 23 agosto 1968.

Testo veramente acuto, ricco di spunti teorici sotto un’apparenza piana. (P.R.)

IN NOME DEL SOCIALISMO…

La Russia con gli alleati tedeschi orientali, bulgari, polacchi e ungheresi ha occupato la Cecoslovacchia per “difendere il socialismo”.

Ma anche i cecoslovacchi, che si oppongono all’invasione, lo fanno in nome del socialismo. Tutto il mondo socialista si è quindi mosso in difesa del socialismo. Da che parte sta dunque il socialismo?
Il mondo borghese è scandalizzato perché un paese è stato occupato militarmente: i borghesi sono indignati in chiara difesa di un paese “socialista”.

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Compagni della Chicago

Volantino del Gruppo della Chicago-Bridge della Lega degli operai e degli studenti, Genova, 12 luglio 1968.

FALL OUT. Numero unico (Genova, 7 giugno 1968)

A pagina 10 articolo ‟la lega operai studenti”.

In basso, ricordo di Sergio Ghirardi e trascrizione articolo.

A PROPOSITO DI FALL OUT, di Sergio Ghirardi.

Tra il 1966 e 67, un clima sociale generale che cominciava a ribollire ha fatto sì che a Genova persino un giornale reazionario come il Corriere Mercantile fosse toccato dalla sensibilità montante di una possibile fine di un’epoca. Una Pagina dei giovani settimanale venne inclusa nella testata, totalmente autonoma dal resto del giornale e dalla sua linea editoriale. Questa iniziativa paternalistica aveva certamente anche un’intenzione di recupero mercantile ma esprimeva anche una sincera curiosità su quella che si chiamava genericamente contestazione e che affascinava anche quanti non si sognavano neppure di discutere un capitalismo dominante ma non ancora trionfante nel suo dominio reale.

Non si tratta certo di sopravvalutare la radicalità di quelle pagine e neppure la mia personale appena in via di formazione. Si è trattato tuttavia di un sintomo interessante.

La società dei consumi si illudeva allora semplicemente di poter consumare anche la giovinezza senza capire ancora quanto la rivolta, il rumore e il furore sarebbero di li a poco andati lontano.

Questa pagina era aperta senza preclusioni a chiunque si presentasse. Mi trovai dunque a parteciparvi, giovane studente di filosofia senza conoscenze altolocate né raccomandazioni di sorta, interessato al giornalismo e all’informazione, diventandone rapidamente un “redattore” accreditato. Le mie tendenze radicali appena nascenti ( avevo allora 19 anni e cominciavo a leggere Marx, Reich e compagnia tra un allenamento ed una partita di calcio, parecchi terzigli notturni nel bar e qualche effusione erotica) mi portarono a far circolare l’informazione su quel che mi sembrava più interessante del panorama genovese. Organizzai così, tra l’altro, in un primo tempo, un’intervista coi membri del circolo Rosa Luxembourg e operai poi, lungo tutto l’arco della mia collaborazione a quella testata sui generis, nell’intento, decisamente ingenuo, di radicalizzarne la funzione. Bisogna dire che allora tutto sembrava davvero possibile per chi avesse la coerenza e la voglia di non accettare compromessi di sorta.

All’interno della redazione c’erano naturalmente anche altre tendenze ben diverse: da quelle liberal-socialiste (di un Giulio Anselmi, per esempio, che imperversa ancor oggi su giornali e schermi come saggio giornalista di sinistra ultramoderata, immutato, con la stessa austera espressione da vecchio padre severo che già aveva allora nonostante la giovane età) a quelle burocratico ricuperatrici (comunisti, gruppuscolari vari e altri maoismi, teologie della liberazione e altri cristianesimi; anche Paolo Virno vi è passato). Claudio Tempo, ottimo musicista creativo e critico musicale con cui fui amico stretto per qualche tempo, ebbe un ruolo centrale in quella microcostruzione di situazione.

Sull’onda del maggio fu improvvisamente decisa una ristrutturazione della pagina, quasi che il giornale, ed i Fassio che ne erano i proprietari, cominciasse a temerla come un cavallo di Troia della contestazione. FallOut fu allora finanziato come una sorta di Potlatch con i fondi redazionali rimasti, come un baroud d’honneur che, componendo con le diverse anime di quel gruppo informale ed eterogeneo, cercava di esprimere il coacervo di tendenze e di rabbie, di desideri e di speranze, di confusioni e di lucidità nascenti che attraversavano un mondo in rapida mutazione. Proprio come in un fall out ognuno partì poi verso i propri diversi destini.

Con l’articolo sulla Lega operai e studenti, della quale del resto ho fatto parte con l’informalità che ha sempre caratterizzato tutte le mie partecipazioni, volevo testimoniare la presenza di una tendenza comunista radicale che avrebbe presto trovato nella teoria situazionista il suo riferimento centrale e soprattutto il suo superamento, la sua critica radicale.

A proposito di FallOut, mi sembra di ricordare – non ho qui sottomano un numero della rivista – che avevamo voluto dare un’idea di tutti i movimenti di rivolta e di resistenza che affioravano dappertutto e che costruivano quella dimensione euforica di una rivoluzione che sembrava ormai ineluttabile. Poi il principio di realtà ha servito diversi aces ed il principio di piacere, quaranta anni dopo, non sembra ancora pronto a rispondergli. L’allenamento comunque continua.

La lega operai studenti

La “Lega degli Operai e degli Studenti” è nata alla fine del 1967, in collegamento con le lotte studentesche nell’Università e nelle Scuole Medie della nostra città, che si legavano del resto a quelle del Paese in pieno svolgimento. Ma sarebbe un errore pensare che la “Lega” sia nata dall’idea, venuta ad alcuni studenti che partecipavano a quelle lotte, di collegarle alle lotte operaie in modo volontaristico e dovuto ad una convinzione esclusivamente ideologica.

In realtà, preesistevano gruppi di militanti rivoluzionari, operai e intellettuali, che da tempo lavoravano, con certe impostazioni politiche, alle fabbriche e ad essi si erano avvicinati gruppi di studenti che cercavano di condurre anche nella Università e nelle Scuole Medie cittadine, una lotta che si avvicinava, nella concezione generale, a quella che cercavano di stimolare e appoggiare nelle fabbriche i militanti, operai e intellettuali già riuniti ed operanti nel Circolo “Rosa Luxemburg”, cui pervennero i gruppi di studenti di cui abbiamo detto. Quando si svolsero le lotte studentesche nel novembre e dicembre del 1967, mentre si svolgevano altre lotte operaie, queste, in un settore dell’Italsider-Sci e alla Cressi-sub i militanti operai, intellettuali, studenti si trovarono insieme in tutte queste lotte. E da questa unione pratica, e dalla discussione politica dei metodi, delle motivazioni, degli obiettivi delle lotte, dalla necessità constatata di unificarle in una lotta comune contro un comune nemico nacque la convinzione della necessità di organizzarsi nella “Lega” in cui confluirono i militanti del Circolo “Rosa Luxemburg”.

Naturalmente, la chiarificazione politica e la organizzazione concreta sulla base della prima, non furono cose agevoli nella “Lega”, come invece era parso a molti dei suoi membri, se non a tutti, quando si risolse che era venuto il momento di costituirla. La provenienza politica e sociale, le esperienze, l’ambiente culturale e di lavoro ecc, erano molto differenti per i membri della “Lega” e fra alcuni gruppi (tra gli intellettuali di diversa formazione, e soprattutto fra gli studenti e gli operai) le differenze erano fortissime, come è comprensibile. Rendere omogenea la “Lega” non era un compito facile, e del resto è lontano dall’essere risolto. Ma alcuni principii unificatori sono divenuti comuni ai membri della “Lega”. Il primo è che nessun “fronte” di classe può sovvertire questa società, se non ha come perno la presenza attiva della classe operaia, sia a livello nazionale che internazionale, del resto inscindibili fra loro. E perciò le ideologie castrista, guevarista e maoista, sostenitrici della guerriglia e delle rivoluzioni contadine del Terzo Mondo che alla fine faranno esplodere le contraddizioni anche all’interno del capitalismo avanzato delle metropoli industriali, quando cioè la “campagna” internazionale (il Terzo Mondo) avrà assediato e costretto alla resa la “città” internazionale (il mondo capitalistico sviluppato), promovendo in essa la guerra civile fra capitalisti e operai. Queste ideologie, dicevamo, non sono le nostre, perché accantonano la classe operaia come soggetto storico centrale della rivoluzione capitalista. E’ una concezione meccanica, ci sembra, perché vede un fronte compatto nel Terzo Mondo contro il capitalismo imperialista., fronte che non è mai esistito in questa forma.

Nel Terzo Mondo esistono gli strati sociali (essenzialmente contadini) più sfruttati e oppressi della terra, ma esistono anche borghesie, burocrazie, ceti medi, che sono pronti ad ogni compromesso con l’imperialismo, quando la lotta contro di esso minaccia il loro potere di classe “in loco”. Le lotte del Terzo Mondo contro l’imperialismo non sono “funzionali” ad esso, come qualcuno sostiene (andando al polo opposto rispetto ai maoisti, guevaristi e castristi) perché l’imperialismo le eviterebbe volentieri, anche se i loro sviluppi non hanno mai compromesso radicalmente il capitalismo. Vederle come lotte “funzionali” significa immaginare omogeneo e compatto il fronte imperialista, cosa che non è, non solo per i contrasti fra i capitalismi, ma fra borghesia e burocrazia da una parte, e classe operaia con altri strati sociali dall’altra.

Non si tratta di creare una posizione equilibrata o mediana fra queste due, ma rendersi conto che il Terzo Mondo, è contraddittorio, sul piano di classe, né più né meno del capitalismo imperialista. E rendersi conto (se si mantiene la concezione della classe operaia come soggetto storico potenziale della rivoluzione anticapitalista) che la lotta di classe nel mondo capitalista è fondamentale, nel senso che ad essa diventerà funzionale la rivoluzione contadina del Terzo Mondo, e non l’inverso. Ma questo implica che non si consideri la classe operaia come integrata, cioè come incapace, da sola, di arrivare ad esprimere la coscienza della propria lotta e ad organizzarla nei Soviet, consigli, comitati ecc, organismi rivoluzionari di massa che non esprimano il potere degli operai, ma siano questo potere in atto. I sostenitori della seconda tesi di cui sopra, che vedono nel mondo capitalista un fronte compatto, almeno per ora, sostengono questo perché la classe operaia è in esso integrata, per loro, nel senso anzidetto. Ma, appunto, per questo, siccome la classe è incapace da sola di arrivare alla coscienza politica rivoluzionaria, questa coscienza è fuori della classe, negli “intellettuali-scienziati” e “rivoluzionari” di professione che costituiscono Il Partito, coscienza permanente della classe operaia e, naturalmente, scienza. Perciò, per questi gruppi politici, la compattezza del mondo capitalista non è dovuta alla mancanza o insufficienza di una autonoma azione ed organizzazione di classe (perché questa non ci sarà mai, secondo loro), ma alla mancanza del Partito, che cosciente della classe, la guiderebbe contro il regime capitalista ecc. ecc. Perciò questi gruppi politici, di matrice leninista in senso lato, pensano le stesse cose dei maoisti ecc., nei riguardi della classe operaia: integrata nel sistema, da cui una certa compattezza del mondo capitalista. Solo che i maoisti pensano che la classe operaia sarà spinta alla lotta dalle vittorie antimperialiste, e i “leninisti” dalla creazione del Partito. Entrambe le concezioni sostengono comunque che la classe operaia non ha, e non avrà, alcuna autonomia, ma si muoverà per cause esterne (la lotta del Terzo Mondo, l’azione del Partito).

Queste concezioni, da respingersi secondo la “Lega”, sono poi tutte definibili come burocratiche. Esse concepiscono la classe operaia come massa inconsapevole, che, deve essere guidata dagli specialisti (economicismi, politici strateghi, “professionisti” della rivoluzione) e naturalmente intellettuali borghesi o assimilati. Nella quale concezione si ravvisano tutte le teorie fondamentali del capitalismo che si vorrebbe combattere prima fra tutte la gerarchia.

L’organizzazione, nel capitalismo, non può che essere gerarchica, e così pensano anche questi “rivoluzionari”.

La borghesia è lo stato maggiore, di cui gli operai sono la truppa: entrambi sono necessari, il primo per sfruttare, e la seconda per essere sfruttata. E tutta la gerarchia della società capitalista, che ha come compito di imporre e sviluppare lo sfruttamento dei lavoratori, è l’unica forma di organizzazione della società. Ma i leninisti non pensano in modo diverso: il Partito (cioè la sua burocrazia, perché cosa sono i “rivoluzionari” di professione, gli “scienziati”, se non burocrati inamovibili perché “sanno”, mentre quelli che potrebbero o dovrebbero rimuoverli o controllarli non possono farlo perché, appunto, non “sanno”?) è lo stato maggiore, e gli operai la truppa. E se il Partito guida la classe al potere, una volta rovesciato il capitalismo privato, gli sostituirà un capitalismo burocratico, nel quale la burocrazia del Partito darebbe garanzie che questi fenomeni non si ripeterebbero, quando la concezione che lo anima, è la stessa che ha animato i vari Partiti, che hanno dato luogo al capitalismo burocratico.

Del resto, il Partito più illustre fra questi, quello bolscevico russo, ha lottato contro la tendenza a diventare classe dominante per anni, senza evitarla. C’era arretratezza russa, l’isolamento internazionale, ecc. ma anche se la rivoluzione, concepita in quel modo burocratico, si fosse estesa alla Germania o all’Europa occidentale, si avrebbe avuto un capitalismo burocratico lo stesso, senza gli errori dello stalinismo forse, ma non meno antioperaio, alla fine. Una concezione burocratica che nega ogni autonomia alle masse operaie, non può che portare ad un regime burocratico (cioè capitalista, cioè sfruttatore).

L’organizzazione, sia politica che sociale, non è necessariamente solo gerarchica (burocratica): ammettere questo, significa accettare il capitalismo come immortale.

Le masse operaie hanno dimostrato di sapersi organizzare esse stesse, coscienti ed autonome, dunque di essere rivoluzionarie.

La Comune del 1871, i Soviets del 1905 e del 1917, i Consigli tedeschi del 1918-19, i Comités Obreros y Campesinos del 1936 in Spagna, i Consigli operai ungheresi del 1956 sono esempi di ciò. La loro organizzazione non era gerarchica ma collettiva, ed essi aprivano la via alla costruzione di una nuova società, che non sarebbe stata il capitalismo burocratico ma il socialismo. Distruggere il potere della borghesia non basta, se poi l’apparato statale resta lo stesso nella struttura, l’organizzazione gerarchica e tecnologica del lavoro e della società restano con gli stessi principi: questo significa che la sostanza è rimasta, lo sfruttamento e la divisione in classi sono intatti, solo che una burocrazia già rivoluzionaria ha preso il posto della borghesia espropriata, trasformando il capitalismo privato in capitalismo di stato. Il dramma è poi ancor più grave, se tutto ciò viene mistificato definendo il capitalismo di stato come socialismo, come è regolarmente avvenuto dall’URSS in poi.

La “Lega” respinge l’organizzazione gerarchica burocratica: tutti i militanti decidono ed eseguono insieme l’attività comune, senza dirigenti stabili, né formali né di fatto, che finirebbero per pensare per tutti e dare degli ordini sulla base di conoscenze e capacità che magari sono anche reali, ma non per questo devono essere uno strumento di potere dirigente. Il monolitismo non esiste (esso è sempre imposto da qualcuno, in realtà), ma naturalmente in una organizzazione politica la volontà della maggioranza stabilisce l’azione per tutti, anche per la minoranza (la quale dal punto di vista delle idee mantiene le proprie, ma sul piano dell’azione è tenuta ad eseguire le decisioni della maggioranza). Diversamente, non sarebbe questione di organizzazione burocratica o antiburocratica, ma semplicemente non vi sarebbe organizzazione (il che è burocratico, perché lascia che la società ci organizzi in qualche modo, cioè in modo borghese).

La burocrazia non è uno stile di lavoro, ma uno strato sociale della nostra società che aumenta sempre più. In altre società essa è una classe dominante, sfruttatrice: e questo è l’obiettivo della burocrazia, compresa quella dei Partiti e Sindacati “di sinistra”:

Le burocrazie “operaie” non respingono nessuno dei “valori” della società capitalista, dalla divisione fra dirigenti ed esecutori, alla divisione gerarchica dei salari, alla struttura statale, al rapporto sociale oppressivo. Noi consideriamo le burocrazie “operaie” come parte del sistema di sfruttamento operaio. Ma esse, grazie ad una serie di avvenimenti storici, e grazie agli attivisti di fabbrica hanno ancora una certa influenza sugli operai, specie sul piano sindacale. Ignorare ciò significa non arrivare agli operai, o non essere compresi, perché è difficile sostenere che un attivista sindacale, operaio egli stesso, è inserito nel meccanismo dello sfruttamento. Nell’azione per stimolare o appoggiare lotte autonome operaie, da cui possa uscire un embrione di autorganizzazione di classe, non si può ignorare l’importanza delle rivendicazioni operaie né quelle dei sindacalisti di fabbrica, che bisogna coinvolgere in queste lotte, perché sono poi i sindacati che firmano i contratti di lavoro; e finché non esiste una organizzazione autonoma operaia che strumentalizzi i sindacati a suo vantaggio, essi non possono essere ignorati, dando per scontato ciò che per gli operai non lo è ancora, né può esserlo, se non sulla base di una esperienza di autonomia e di organizzazione operaia positiva, e non progettata. Questa esperienza non c’è ancora se non in momenti particolari, insufficienti a stabilizzarla.

La “Lega” non si pone come potenziale gruppo dirigente della classe operaia, per guidarla al socialismo, ma come gruppo di militanti che intervengono dovunque ci siano lotte o sintomi di lotte operaie o studentesche, per estenderle e rafforzarle per quanto è possibile, proponendo un tipo di lotta, di organizzazione, di scopi che è idealmente antiburocratico, ma che diventa tale praticamente solo se gli operai si riconoscono in esso.

Nessuna direttiva può essere portata dalla “Lega” agli operai, perché sarebbe inutile dire che cosa gli operai debbano fare, se sono convinti che gli operai possano trovarlo da soli (magari col nostro aiuto ma nulla di più). Noi possiamo avere una esperienza politica più o meno ampia, ma non possiamo sostituirla a quella operaia senza portarci su posizioni tradizionali, reazionarie. Noi appoggiamo e cerchiamo di sviluppare le lotte, ma non le inventiamo né le dirigiamo. Questo è ciò che è stato fatto per decenni, coi bei risultati che si possono vedere agevolmente: i padroni sono organizzati a tutti i livelli, gli operai sono isolati fra loro al massimo grado. Le loro “organizzazioni” politiche e sindacali hanno il compito di dividerli e non di unirli, perché inserite nel regime, che ha l’obiettivo di tenere divisi gli sfruttati, e cementare gli sfruttatori e i loro tirapiedi.

Il rifiuto degli studenti di trasformarsi in funzionari del capitale contro gli operai nelle fabbriche, sotto forma di tecnici, periti, ingegneri, pianificatori, relatori umani, psicologi e medici aziendali, ecc., dirigenti insomma, significa che il nemico è lo stesso, la società dello sfruttamento con le sue gerarchie apposite e funzionali.

Unire dunque la lotta operaia e studentesca appare necessario, anche se operai e studenti non sono nella stessa situazione e non possono muoversi con moduli identici. Il sistema delle assembleedi base studentesche, che discutono e decidono, non può essere esteso alle fabbriche per semplice proposta, perché nelle fabbriche questo sistema significherebbe la vigilia della rivoluzione, e la situazione non è questa. Così, l’ostruzionismo permanente all’attività reazionaria delle burocrazie accademiche, trasferito nella fabbriche sarebbe il potere nelle mani degli operai; il loro completo controllo sulla produzione, sui ritmi, sui tempi, sull’organizzazione del lavoro, cioè la vigilia della rivoluzione, anche qui. Ma l’obiettivo comune e i mezzi comuni, anche se usati in modi e tempi diversi per necessità, implicano la pianificazione delle lotte e l’organizzazione comune di esse. La “Lega” si propone anche questo compito unificatore, attraverso i suoi militanti operai e studenti.

Nessuno si nasconde le difficoltà della omogeneizzazione politica del movimento studentesco, per l’origine sociale, la situazione nella società, le caratteristiche stesse di vita degli studenti. Ma questa omogeneizzazione politica e il collegamento con le lotte operaie, devono essere obiettivi permanenti dei militanti rivoluzionari. Vanno rifiutate le posizioni che vedono negli studenti una masnada confusa ed ignorante, da cui però si possono trarre dei quadri peril fantomatico “Partito di classe” che si deve creare da sempre, e non si crea mai. Questo atteggiamento di disprezzo è simile a quello tenuto da questi “rivoluzionari storici” di stampo “leninista” verso gli operai: massa incosciente da cui si possono trarre alcuni elementi “buoni” e per il resto non può che essere guidata per mano verso le grandi mete…

L’atteggiamento burocratico è sempre lo stesso, e si manifesta in modo identico: lo stato maggiore osserva la truppa, anonima e senza anima, con occhio sprezzante, e ne trae qualche individuo per promuoverlo caporale o sergente perché “promette bene”. Questo, se è fatto dalla burocrazia sovietica, potente classe dominante, è un fatto importante, anche se va respinto politicamente: ma quando lo stesso atteggiamento distingue movimenti di poche persone, senza poteri nelle mani, che ne hanno davanti milioni, la cosa diventa delirante.

In una situazione come quella attuale, in cui il capitalismo si burocratizza (e cioè si organizza, dal suo punto di vista) sempre più, in cui la pubblicità e i consumi, la manipolazione e la propaganda, la privatizzazione e la sfiducia orchestrata, arrivano dovunque: in cui burocrazie di ogni genere si ampliano e si estendono dal movimento operaio alla produzione, alla cultura, all’amministrazione politica, ecc.; in cui la classe operaia non dà segni evidenti di autorganizzazione e di autonomia di classe; in cui l’atomizzazione è massima da ogni punto di vista; in questa situazione, dicevamo, cercare di mantenere e sviluppare posizioni antiburocratiche, rivoluzionarie, classiste, può apparire un compito disperato. E’ invece un compito che va assunto con serenità, modestia, coscienza delle difficoltà, e senza illusioni, facili entusiasmi o fanatismi: deve essere non un lavoro “straordinario” dopo le ore di fabbrica o d’ufficio, ma un modo di vivere.

La “Lega”

Facciamo nostro il grido dei compagni francesi

Lega degli operai e degli studenti, Genova, 4 giugno 1968.

Interessante la scelta di partecipare alla manifestazione CGIL sia pure da dissidenti. Rimarchevole in tutti questi volantini l’utilizzo di un frasario ancora interno alla tradizione marxista leninista, cui tutti, autori e lettori potenziali, erano avvezzi; ma parallelamente la grande cura nel non riproporre alcuna delle vecchie cianfrusaglie della sinistra. La lettura progressiva dei testi dell’epoca consente di assaporare la progressiva presa di coscienza teorica da parte dei compagni della Lega, frutto tanto delle letture (le cui tracce affiorano in certe locuzioni mai intese prima e oggi magari di uso corrente) quanto delle esperienze pratiche in seno al movimento. (P.R.)

MARTEDÌ ALLE 18/ TUTTI A CARICAMENTO.

FACCIAMO NOSTRO IL GRIDO DEI COMPAGNI FRANCESI: “POTERE ALLA PIAZZA, DELLE FRONTIERE CE NE FREGHIAMO”

Gli operai e gli studenti francesi in lotta ci insegnano che le strutture degli stati borghesi non sono così robuste come appaiono, la breccia aperta dalle lotte studentesche si è allargata sino al punto di minare l’intera struttura sociale.

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W la lotta del proletariato francese

Comitato genovese di solidarietà. Genova, maggio-giugno 1968.

SUL RETRO: Elenco parziale dei nomi degli universitari della Lega.

W LA LOTTA DEL PROLETARIATO FRANCESE

Operai!

Lo sciopero generalizzato degli operai francesi ha messo in crisi per la sua estensione e radicalità l’intero potere capitalista in Francia. Gli operai hanno abbandonato le forme usuali di lotta e hanno scelto l’occupazione delle fabbriche come generale strumento di lotta, opponendo alla violenza del capitale la propria forza sociale. Hanno abbandonato le forme di lotta settoriali ed articolate che le direzioni opportuniste dei sindacati hanno sempre portato avanti: in questo modo il movimento si è esteso a dieci milioni di proletari e si è centrato su obiettivi fondamentali di lotta allo sfruttamento:

1) Aumento del salario minimo a 1000 franchi (125.000 lire).

2) Riduzione dell’orario di lavoro settimanale da 46 a 40 ore.

Il capitale e lo stato francese sono stati appoggiati dalla forza politica e finanziaria del capitale internazionale, dai partiti opportunisti, dalle direzioni sindacali, che colla loro azione hanno soffocato e disperso la lotta e salvato il sistema capitalistico.

La risposta alla lotta del proletariato è stata estremamente violenta, nelle strade di Parigi la violenza poliziesca ha decimato le file degli operai e degli studenti rivoluzionari che erano scesi in lotta accanto a loro; le cifre sui morti ed i feriti sono state nascoste e falsate dagli organi di informazione, ma nessuno può negare che il sangue è stato sparso sulle barricate di Parigi, delle altre città francesi e davanti alle fabbriche rimaste in mano agli operai che continuavano in tutte le assemblee a rifiutare duramente le concilianti proposte degli opportunisti che dirigono i sindacati.

La democrazia borghese ha poi gettato la maschera ed ha aggiunto alla violenza sistematica contro il proletariato la messa al bando di quei raggruppamenti politici di avanguardia che rifiutano il riformismo e la pace sociale.

L’opposizione antiparlamentare francese è stata così colpita, ma non in modo mortale se tutte le forze rivoluzionarie in Francia e fuori sapranno rispondere a questo attacco; così come il proletariato francese non è stato sconfitto, ma ha aperto una più alta fase di lotta per tutta l’Europa.

SOLIDARIZZIAMO COL PROLETARIATO E CON I RIVOLUZIONARI FRANCESI

PARTECIPIAMO ALLA MANIFESTAZIONE CHE SARÀ TENUTA DOMENICA 7 ALLE ORE 10 IN VIA BALBI N° 6

SARANNO PRESENTI ESPONENTI DEI RAGGRUPPAMENTI RIVOLUZIONARI FRANCESI

Non isolare i rivoluzionari francesi! Battere gli affossatori della rivoluzione!

Lega degli operai e degli studenti, Genova, 31 maggio 1968.

Denuncia molto limpida del ruolo dei sindacati e dei partiti di sinistra, la cui opposizione al governo gollista viene smascherata come unicamente formale.
Si tratta di uno dei temi chiave del movimento di allora: se oggi appare come pacificamente noto a tutti, all’epoca si manifestava come un discorso nuovo e dirompente, tale era il peso dell’ipnosi parlamentarista tanto in Francia quanto in Italia.
Notare la dicitura “Supplemento a Il potere operaio”…, una tecnica usata all’epoca per scansare le leggi sulla stampa, che però comportava sovente antipatici scontri con i titolari dell’autorizzazione, che nessuno mai informava.
(P.R.)

NON ISOLARE I RIVOLUZIONARI FRANCESI! BATTERE GLI AFFOSSATORI DELLA RIVOLUZIONE!

Le ultime notizie che provengono dalla Francia ci dicono che le forze reazionarie stanno organizzando una repressione di massa. Finora la repressione era stata condotta solo contro il movimento studentesco, punta più avanzata dell’opposizione extraparlamentare, e non aveva ancora toccato la classe operaia controllata dal PCF e dalla CGT. Oggi, dopo il rifiuto della base operaia di aderire a qualsiasi negoziato, la repressione viene minacciata anche nei suoi confronti: De Gaulle ha fatto convergere su Parigi le truppe corazzate e i paras e si è appellato a tutte le forze reazionarie, perché esercitino il loro “dovere civico” contro l’opposizione extraparlamentare. Mentre De Gaulle organizza la repressione, tende anche una mano all’opposizione democratica controrivoluzionaria (PCF – Federazione della sinistra – sindacati) sciogliendo il parlamento e indicendo nuove elezioni.

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La strumentalizzazione come sistema – Partito Antielettorale Italiano

Genova, 16 maggio 1968.

LA STRUMENTALIZZAZIONE COME SISTEMA

 

«L’on. Codignola (PSU-2314) ha espresso alcuni giudizi che ci paiono degni della più attenta considerazione. Tra l’altro ha detto, rivolto ai colleghi comunisti: “Egregi Colleghi, in un primo momento avete ritenuto di poter avere in mano e di strumentalizzare l’insoddisfazione studentesca. … Read More

Il 7° giorno

Volantino del Gruppo operaio dell’Italsider della LEGA OPERAI-STUDENTI. Genova, 29 aprile 1968.

Compagni di lavoro

Volantino firmato Gruppo operaio Cornigliano Italsider e Lega operai studenti. Genova, 23 aprile 1968.

Sul caso di Paolo Carati

Testo scritto in seguito alla morte sul lavoro dell’operaio portuale Paolo Carati, avvenuta a Genova il 15 aprile 1968.

Il giornale della lega degli operai e degli studenti

Genova, aprile 1968.

SOMMARIO

  • Come noi la pensiamo.
  • Problemi operai: l’‟affare delle pensioni”.
  • DOCUMENTI – Il movimento politico degli studenti in Germania: Risoluzione della 22ª conferenza del S.D.S.
  • Le lotte studentesche: contro la scuola fabbrica di servi.
  • Notizie e interventi.

Convocazione per l’approvazione dei 14 punti costitutivi

Lega degli operai e degli studenti. Genova, 15 febbraio 1968.

 

 

 

 

Convocazione per l’approvazione dei 14 punti costitutivi.

La lega degli operai e degli studenti nasce dal comune riconoscimento dei seguenti punti fondamentali:
1) Come movimento organizzato, il movimento rivoluzionario deve essere ricostruito dalle fondamenta. Questa ricostruzione troverà una solida base nello sviluppo dell’esperienza della classe operaia. Ma essa presuppone una rottura radicale con tutte le attuali organizzazioni, loro ideologie, mentalità e metodi di azione. Tutto ciò che è esistito ed esiste nel movimento operaio (ideologia, partiti, sindacati) è irrimediabilmente e irrevocabilmente finito, integrato nella società di sfruttamento. Ma questa ricostruzione non avverrà nel vuoto. Essa partirà dall’immensa esperienza accumulata in un secolo di lotte operaie.

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Verbali assemblee Lega operai e studenti

Manoscritto dei verbali delle assemblee della Lega degli operai e degli studenti di lunedì 12 febbraio; lunedì 19 febbraio; 9 maggio; 13 maggio; lunedì 20 maggio; giovedì 25 luglio 1968.

Conclusione vergognosa alla Cressi-sub (Genova, 19/1/1968)

Lega degli operai e degli studenti, volantino, Genova, 19 gennaio 1968.

Conclusione vergognosa alla Cressi-sub

Lo sciopero degli operai della Cressi è durato 33 giorni. Essi lottavano perché fosse revocato il licenziamento di 5 loro compagni di lavoro, provocato del fatto che questi cinque operai volevano formare la Commissione interna.

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Una Lettera da Mosca

Per un’opuscolo sugli studenti dell’Est europeo. Stralci da una lettera di Lomonosov, studente dell’Università di Mosca, pubblicata sulla rivista autriaca Forum nel febbraio 1957. Documento incompleto.

Il convegno di Venezia

Relazione sulle “linee” delineatesi al convegno di Venezia, organizzato dal Movimento studentesco di Torino e Trento (Genova, 1968).

Sunto parziale delle risultanze del Convegno di Venezia. Emerge la macchinosità della relazione fra movimento reale e ideologia classista dominante: in breve si sarebbe compiuto un grandissimo passo innanzi affermando la definizione di “proletariato come classe universale”. (P.R.)

 

Il Convegno di Venezia, organizzato dal movimento studentesco di Torino e Trento, con l’esclusione dei filocinesi marxisti leninisti, e la partecipazione con riserva dei due Potere operaio e di Scalzone e Piperno di Roma, ha visto delinearsi due tendenze fondamentali, una tendenza portata avanti … Read More

Università autoritaria

L’assemblea interfacoltà degli occupanti di via Balbi 5, opuscolo ciclostilato. Genova, inizio 1968.

UNIVERSITÀ AUTORITARIA

«Se non siete soddisfatti da nessuno degli insegnamenti che

vi vengono impartiti, non dovevate iscrivervi alla facoltà…

se siete anarchici uscite dall’Università»

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Lettera aperta al Rettore

Volantino anonimo diffuso a Genova a fine 1968 dopo lo sgombero dell’università.
Se continuano a emergere le tipiche incertezze teoriche di quei tempi, va notata – come in quasi tutti gli scritti del movimento genovese – una leggerezza di toni che stride con le plumbee massime in auge in altre città, specialmente a Milano, dove stava già prevalendo il linguaggio mortifero dei craponi maoisti. (P.R.)

LETTERA APERTA AL RETTORE

Grazie, Rettore −

Grazie a Lei il nostro incipiente dialogo ha rapidamente assunto la grandezza delle cose schiette.

Grazie al Suo illuminato intervento abbiamo finalmente avuto modo di apprezzare le Sue virtù democratiche, tanto a lungo modestamente celate.

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Bozza di statuto della Lega degli operai e degli studenti

Bozza di statuto, foglio dattiloscritto. Genova, inizio febbraio 1968.

  1. L’Assemblea viene convocata una volta alla settimana, possibilmente in un giorno fisso.
  2. Le assemblee straordinarie possono essere convocate da qualsiasi membro della lega purché ne indichi l’ordine del giorno.
  3. Nel corso di interventi in cui sia richiesta la presenza di tutti i membri della lega l’Assemblea si considera convocata permanentemente nel luogo stesso dell’intervento.
  4. La sede della lega è aperta tutti i giorni feriali dalle 17 alle 19. Di questo sono incaricati due compagni per sera. Tutti compagni compagni della lega sono tenuti a partecipare ai turni, che verranno stabiliti una volta al mese.
  5. Durante le due ore i turnisti compiranno i lavori necessari al funzionamento della lega (pulizie-ciclostile-archivio).
  6. Tutti membri della lega che ne facciano richiesta possono avere le chiavi.
  7. Per le convocazioni straordinarie della lega e per altri lavori urgenti due compagni di turno sono incaricati di avvisare gli altri membri della lega.
  8. Per questo motivo si ritiene necessaria l’installazione del telefono. Finché questo non avverrà i compagni della lega saranno divisi per gruppi telefonici facenti capo a una persona.
  9. Il cassiere è un membro rotazionale della lega ed è estratto a sorte. La raccolta dei fondi viene realizzata durante le assemblee.
  10. Il volantinaggio viene organizzato durante l’assemblea.
  11. Tutti membri della lega dato il tipo di organizzazione sono ritenuti responsabili del funzionamento della Lega, devono quindi essere in grado di compierne tutte le funzioni in maniera continuativa.

Si considerano membri della lega tutti coloro che si impegnano concretamente a realizzarne le decisioni.

Tutti i membri della lega sono sollecitati a far circolare, sotto qualunque forma, ogni tipo di materiale che essi ritengono interessante.

Per tutti quei compiti che non possono essere svolti collettivamente l’assemblea designa con competenza specifica e mandato imperativo e revocabile (al termine del compito stesso) uno o più compagni della lega.

Agli operai genovesi!

L’assemblea degli occupanti la facoltà di lettere, via Balbi 5. Genova, dicembre 1967.

Volantino successivo allo sgombero dell’università.
Oggi riuscirebbe difficile immaginare di poter distribuire un volantino “agli operai”: dove se ne troverebbe riunito un numero sufficiente?
Testo non scevro da ingenuità ma che coglie bene la contraddizione tuttora dirompente fra le due pretese rivolte agli sfruttati: essere proni alla volontà di chi comanda; ed essere creativi, intelligenti, capaci.

AGLI OPERAI GENOVESI!

IL RETTORE DELLA UNIVERSITÀ DI GENOVA SI È RESO RESPONSABILE DELLA CACCIATA DEGLI UNIVERSITARI GENOVESI CHE OCCUPAVANO LA FACOLTÀ DI LETTERE, CIÒ È STATO POSSIBILE GRAZIE ALL’INTERVENTO CONGIUNTO E ARTICOLATO DI GRUPPI DI “POMPIERI” PICCOLI BUROCRATI DI PARTITO (…) E DI CARABINIERI, OLTRE IL SOLITO INTERVENTO DEI GRUPPI TEPPISTI DI ESTREMA DESTRA.

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Documento politico; programma d’attività per l’anno 1967

Circolo “Rosa Luxembourg”, opuscolo ciclostilato, Genova, 1966-1967

PROGRAMMA

Al contrario di quanto avveniva venti anni fa, oggi i gruppi minoritari di sinistra tendono ad organizzarsi in modo più ampio, con una dialettica interna più reale, stabiliti alcuni punti di accordo senza dei quali non ci si può organizzare. Questo fenomeno è nuovo per il nostro paese, ma non per altri, dove l’assenza di una forte tradizione staliniana ha favorito da tempo lo sviluppo di questa tendenza.

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Filosofia del massacro

Tazebao di La filosofia del massacro, giornale murale, bozza manoscritta, Genova, senza data.

Note di storia contemporanea

Bozza dell’articolo che comparirà con qualche modifica sul numero di Comontismo, con il titolo ‟Note di preistoria contemporanea”. Firenze, marzo 1972.

NOTE DI STORIA CONTEMPORANEA

Fare una genealogia del comontismo non ci interessa certo per riaffermare una continuità, ma anzi per mostrare come esso nasca proprio dalla necessità cosciente di una rottura con il passato in un superamento che, riconquistando i contenuti positivi, rinneghi le forme alienate in cui si manifestavano. In questo senso la risposta alla domanda chi “siamo” non è determinata in noi dall’esigenza di definirci come un “ismo” tra i tanti, merce ideologica più o meno nuova sul mercato del consumismo, e quindi di rivendicare novità sconvolgenti all’interno di vetuste tradizioni, ma dall’esigenza di chiarire cosa effettivamente significhi per noi il superamento di un passato recente che abbiamo vissuto in favore non di una “nuova” ideologia, ma di una riaffermazione coerentemente vissuta della teoria proletaria.
Poiché, se da una parte la critica di cui siamo i portatori riconosce come universalmente validi tutta quella serie di contenuti che la rivoluzione ha saputo esprimere di sé nel passato, e quindi riafferma di fatto la continuità ininterrotta della coerenza della teoria proletaria, d’altro lato il rifiuto delle forme in cui questi ideologicamente furono espressi (e che di fatto erano forme di contenuti opposti), produce una rottura cosciente coll’universo della politica, che altro non è se non produzione di merci ideologiche all’interno di strutture oggettivamente capitalistiche, e quindi il rifiuto di ogni continuità con il passato che ci ha preceduti, e di cui abbiamo fatto parte.

Le origini immediate di Comontismo risalgono, in generale, a tutti quei gruppi che genericamente si definirono, e furono definiti, consigliari. Genericamente poiché con i Consigli storicamente intesi ben poco dl fatto ebbero in comune, nella misura in cui le teorie che vi si affermavano, benché indicassero nei Consigli la forma storica dell’organizzazione del proletariato moderno, e di fatto la possibilità pratica dell’autogestione della società da parte dei proletari stessi, andavano poi ben al di là della semplice affermazione della tematica consiliare, anzi ne erano di fatto la negazione radicale, poiché aspiravano in realtà a forme di espressione ben più evolute e coscienti.
Di fatto però l’ambiguità fu mantenuta sino alle sue estreme conseguenze, poiché, se da una parte si riconosceva l’inadeguatezza della forma Consiglio rispetto elle esigenze della rivoluzione, e se ne vedeva quindi l’intrinseco significato recuperatorio, d’altra parte ne veniva riaffermata la necessità schematica poiché non si era in grado di praticare realmente i contenuti che si intuiva andarne oltre, e si preferiva quindi l’ideologia dei modelli formali alla praticità dei contenuti teorici e alle conseguenze che essi imponevano.
A questo proposito si impone come necessario un chiarimento minimo su cosa abbia effettivamente significato l’esperienza consigliare, prima ancora che per noi, in sé.

I Consigli proletari sono stati, all’interno della dinamica delle lotte anticapitaliste che sconvolsero l’Europa dagli inizi del 1900 sino alla caduta del Repubblica Bavarese dei Consigli, la prima forma teorico-pratica di organizzazione autonoma del proletariato come classe per sé. In quanto tale, loro presupposto fondamentale fa l’abolizione immediata, all’interno dell’organizzazione rivoluzionaria che allora per la prima volta si dava in forma cosciente, della reificazione capitalista fondata sulla divisione pratica delle funzioni.
Infatti il coniglio proletario nasce come momento autonomo unificante in cui si fondono dialetticamente, prima, all’interno della lotta, la funzione direttiva e quella esecutiva, il momento politico e quello economico, come conciliazione e superamento dell’antitesi tra scopo immediato e scopo finale; poi, all’interno della dittatura proletaria, il momento esecutivo con quello direttivo e legislativo, come conciliazione definitiva di funzioni non più separate, ma dialetticamente complementari e compresenti. In questo senso il consiglio rappresenta la prima forma autenticamente vissuta dagli scopi reali della rivoluzione: l’abolizione della divisione del lavoro, la riunificazione delle funzioni e il superamento della falsa antitesi voluta dal capitale tra “individui autonomi” e comunità sociale.
Il che, in altri termini, significa che il proletariato, nella misura in cui raggiungeva coscienza di sé all’interno della lotta, divenuta finalmente rivoluzionaria, esprimeva immediatamente come per sé necessaria l’esigenza di una comunità d’azione autenticamente proletaria, che risolvesse al proprio interno le contraddizioni del capitale, ponendosi contemporaneamente come momento di lotta autonoma e come superamento già in sé configurato della comunità reificata del capitale.
Ma nei Consigli ciò che contraddiceva a questo principio in maniera palese era, paradossalmente, proprio la forma storica del Consiglio stesso. Infatti essa, pur nascendo in seguito ad un’esigenza universalmente reale, restava comunque sul terreno del capitale, nella misura in cui poneva ancora il superamento nel regno del quantitativo più che in quello del qualitativo. Rispetto infatti alle esperienze burocratiche (dalla II Internazionale fino alle degenerazioni leniniste) che ancora vedevano la divisione tre essere e coscienza come necessaria ai fini della “lotta”, il Consiglio si poneva più come un allargamento quantitativo del principio democratico, che come un’estensione qualitativa del concetto di comunità.
Infatti si pensava che un’estensione della pratica di democrazia all’interno delle strutture organizzative avrebbe significato un sicuro baluardo alle infiltrazioni del pensiero borghese, dimenticando palesemente che la democrazia è un terreno borghese per definizione. Infatti essa nasce come risposta reificata alle esigenze di comunità autonomizzata, ponendo queste stesse sul terreno dello spettacolo vanificato di sé, in cui l’apparenza della comunità non é altro che la copertura reale dell’interiorizzazione divenuta cosciente del proprio sfruttamento, all’interno di strutture volte a pianificarlo e a mantenerlo.
In questo senso il Consiglio nasceva già in forma storicamente predeterminata e, in quanto tale, ebbe dalla storia la verifica della propria inadeguatezza rispetto al compito che si poneva.
La sconfitta dei Soviet all’interno dello stato bolscevico, dei consigli tedeschi a Berlino e a Monaco, è una conferma storicamente autentica della drammaticità di questo ritardo. Ciò permise, in ultima analisi, che i Consigli, da momento autonomo dell’organizzazione del proletariato, divenissero di fatto momento fondamentale del suo recupero e della sua sconfitta.
Da forma primitiva del superamento dell’ordine reificato del capitale, essi divennero forma definitiva del loro opposto, cioè dell’organizzazione del capitale stesso, nella sua fase più avanzata. In questo modo di Consigli oggi possono liberamente blaterare dalla Sinistra Nazionale (fascista) al recupero più avanzato: Manifesto e Potere Operaio.
La teoria dei Consigli ebbe comunque in Ludd e nell’OC una funzione puramente schematica, in quanto non fu mai organicamente connessa con la critica che in essi si praticava, e più che rappresentarne una conseguenza coerente, ne era il risvolto ideologico.

Al di là della tematica consiliare, Ludd rappresentò invece un tentativo, per altro ancora incoerente, di riscoprire e rendere cosciente il vero significato della rivoluzione moderna, riprendendo l’eredità del pensiero rivoluzionario che, nel frattempo, l’organizzazione del recupero istituzionale aveva cercato di occultare in ogni modo. Alla base della critica di Ludd restava come fondamento il riconoscere la coscienza (nel senso di possibilità oggettiva) come momento inseparabile della prassi, in quanto soggetto di essa, e quindi inconciliabile con ogni separazione (coscienza-proletariato, partito-masse, economia-politica).
Il che significa ricollocare il proletariato al centro del movimento che riconduce alla totalità, negando nella prassi tutti quei momenti fittizi che traggono origine proprio dalla parzialità (avanguardie & partiti).
In questo senso andava rifatta una lettura di Marx, attraverso le esperienze della Luxemburg, Korsch, Lukacs, fino a giungere alla tematica di Socialisme ou Barbarie, e alla identificazione dell’autogestione cosciente come momento di unificazione della classe. Ludd non poteva che negare la validità di qualsiasi esperienza che, non andando al di là della parzialità imposta dal capitale come momento necessario della produzione, teorizzasse la separazione come momento “necessario” dell’organizzazione, contrapponendo a ciò l’esigenza della riunificazione del proletariato non più come oggetto dell’organizzazione, ma come soggetto della propria emancipazione.
In questo senso il contributo dell’Internazionale Situazionista fu determinante, in quanto permise di individuare nella quotidianità immediata del mondo delle merci il momento fondamentale della lotta, che, non più rimandata ai massimi sistemi, diventa processo continuo, sviluppandosi dalla vita immediata degli individui, fino a ricongiungersi nella totalità dell’uomo, e della vita che prevale sull’inumano dell’alienazione del capitale.
Per cui le leggi indiscutibili della realtà mercificata, accettate come insostituibili presupposti di ogni sopravvivenza, a cui ossequienti si inchinarono generazioni di “comunisti”, non sono che i legami che la vita deve abbattere per potersi finalmente affermare.
All’interno di questa critica ogni tentativo di riportare la rivoluzione al livello dei suoi ritardi storici (dall’URSS alla Cina di Mao) assume il significato di riproduzione ideologica della realtà, mentre si riscoprono nella criminale sfrenatezza delle rivolte moderne le vere caratteristiche del movimento. La riscoperta della totalità, come momento fondamentale della lotta che distrugge il potere del capitale sulla vita, significa inevitabilmente la negazione di ogni politica all’interno dell’organizzazione del proletariato, in quanto politica è, per definizione, il terreno delle separazioni gestite e subite, mentre la lotta nasce appunto dalla riunificazione cosciente di ciò che la realtà impone come separato ed inconciliabile.

In Ludd queste affermazioni restarono però al livello di potenzialità inespresse, nella misura in cui non trovarono mai gli sbocchi pratici che le rendessero operanti nella realtà. In questo senso la critica, divenuta formale, poté spesso trasformarsi nel suo opposto apparente: i “Ludditi” da distruttori dell’universo reificato delle macchine, poterono diventare senza rottura di continuità difensori “radicali” del loro possesso.
Ludd, nonostante la critica della politica e dell’ideologia dominanti, restò un gruppo sostanzialmente politico e, in quanto tale, la teoria praticata restò nel campo della pura ideologia autogratificante.
Infatti, non solo i rapporti tra gli individui restarono al livello dell’inesistenza offerta dall’inorganicità del capitale, ma, di conseguenza, anche la capacità di incidere aggressivamente la realtà rimase al livello di potenzialià inespressa, e, non a caso, Ludd fu «storicamente» del tutto inesistente.1
Per questo i comontisti, se da una parte rivendicano la continuità dei contenuti della teoria, d’altra parte affermano la sostanziale rottura con una realtà, che, se da una parte seppe riaffermarne la validità, dall’altra non trovò mai in sé la volontà di praticarne le conseguenze.
Infatti la possibilità di esistenza di una reale comunità d’azione effettivamente operante passa attraverso la negazione di qualsiasi esperienza parziale, per porsi immediatamente come punto di unificazione coerente in cui tutti i momenti della critica rivoluzionaria trovano la loro sintesi dialettica nella pratica di una comunità di individui, la cui esistenza è già in sé la negazione della reificazione del capitale.
Solo all’interno della comunità infatti vengono abolite realmente le differenze teorico-pratiche immediate della realtà oggettiva, mentre si riscopre positivamente l’unità come momento fondamentale della totalità.
Comunità intesa sia come finalità del movimento rivoluzionario, che come struttura immediata della lotta, quindi come riunificazione totale tra immediatezza pratica e finalità teorica.
Solo in questo senso all’interno del comontismo non può esistere né politica né ideologia, mentre la lotta a queste realtà del capitale diventa momento fondamentale del rovesciamento del presente e della sua distruzione positiva.

Lo scopo di questo articolo è limitato ad una parziale esposizione di alcuni di momenti fondamentali del nostro passato (Ludd & OC), e non può andare al di là di questo suo compito. Sui vari argomenti che qui sono appena accennati non è possibile in quest’ambito pronunciarsi se non in modo evidentemente generico. Sarà comunque compito della nostra pratica riaffermare e riscoprire nella realtà quei contenuti di cui ci riconosciamo in teoria i portatori coerenti.

NOTA

– Anche l’OC, che per altro cercò di andare al di là dell’inesistenza pratica Ludd, restò prigioniera delle medesime contraddizioni (anche se apparentemente opposte), riproducendo al proprio interno la dinamica di un gruppo militante, più che quella veramente nuova di una comunità agente.

Firenze 25 Marzo 1972

Un gruppo di operai dell’O.S.

Volantino firmato Un gruppo di operai dell’O.S.”. Genova?, senza data.

Compagni operai,

Al Mof di fronte a rappresaglie politiche di vario tipo, una avanguardia operaia ha finalmente risposto con lo sciopero. Quale era stato invece, di fronte a questa politica della direzione l’atteggiamento sindacale? Quello della collaborazione più o meno aperta; di fronte alle richieste precise di lotta della base sono state addotte le scuse più strane e la lotta aperta, il solo fatto concreto che avrebbe cambiato le cose nel reparto, è stata sempre rinviata. I risultati di tutto questo si profilano oramai chiaramente: gli operai meno disposti ad accettare le prepotenze padronali, quegli elementi di avanguardia che hanno deciso di rompere gli indugi e scendere in lotta per difendere i concreti interessi di tutti, non tutelati dal sindacato, vedono ormai pendere sulle loro teste la minaccia del licenziamento.

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La passività non paga

Volantino diffuso alla FIAT dall’Organizzazione Consiliare. Torino, senza data.

LA PASSIVITÀ NON PAGA

L’arresto dei tre compagni è l’ultima provocazione che i padroni hanno messo in atto contro gli operai del Lingotto perché si sono finora dimostrati incapaci di reagire.
L’aumento continuo dei ritmi di lavoro, gli infortuni sempre più numerosi che causano spesso invalidità permanenti, i trasferimenti, i provvedimenti disciplinari, l’oppressione dei capi, lasciano indifferente questa classe operaia dell’OSA, sempre più sottomessa.
I Sindacati, espressione di questa “base” remissiva, si comportano coerentemente e non cercano di svegliare il leone che dorme perché sarebbe pericoloso per essi stessi; invitano a rispondere ogni volta solo con proteste formali, con qualche volantino “indignato”, con qualche ora di sciopero che oltre a fallire miseramente non cambia nulla rispetto al potere in fabbrica che resta sempre in mano al padrone.

BISOGNA CAMBIARE SISTEMI, IL PADRONE CI PROVOCA, CI VUOLE TEPPISTI E NOI LO DIVENTIAMO, CONTRO DI LUI.

Certi sindacalisti sono poi dei porci ed il giorno in cui gruppi di operai delle presse decisero di fermarsi (come è capitato alcune settimane fa) per difendere dei delegati trasferiti sono riusciti a bloccare questa lotta dicendo falsamente che tutto quanto era sistemato. Ecco i nomi per ricordarceli al momento opportuno: Meloni (membro di commissione interna), Amata (delegato delle presse), Gallo Gerardo (delegato della manutenzione), tutti della UIL. I sindacalisti della CGIL e della CISL sono ugualmente responsabili, perché conoscevano il fatto e non hanno avuto il coraggio di denunciarlo agli operai.

La passività operaia, gelosamente custodita dal sindacato, è il migliore strumento che diamo al padrone per rafforzare sempre più il suo potere ed accrescere i suoi profitti. Gli operai in lotta senza alcun controllo da parte dei sindacati riescono invece a bloccare ogni provocazione anti proletaria e a diventare essi stessi provocatori contro il padrone.

1 – I volantini non devono più esprimere una solidarietà a parole con i compagni colpiti. Essi devono divulgare i nomi di tutti i bastardi che opprimono gli operai, i loro indirizzi, le loro abitudini, i loro spostamenti, le spiate e le infamie di cui si sono macchiati. I volantini sono gli atti istruttori del processo che il tribunale proletario continuerà con le opportune sanzioni.

2 – Già fin d’ora vanno colpite le carogne che ci mandano in carcere e ci sfruttano. Spie, ruffiani, poliziotti crumiri, giudici (si chiama Barbaro quello che ha fatto incarcerare i compagni di Lingotto), padroni e sindacalisti devono stare attenti, guardarsi le spalle, a costoro va tolta ogni possibilità di manovra.

3 – Gli scioperi devono danneggiare i padroni e non gli operai. Bene agli scioperi, ma occorre anche usare altri mezzi.

4 – In ogni momento il vandalismo contro la produzione e contro le macchine va bene. L’importante è non farsi prendere.

I PADRONI DICONO CHE GLI OPERAI IN LOTTA SONO DEI TEPPISTI, EBBENE DIVENTIAMOLO CONTRO I PADRONI, I LORO SERVI, I LORO BENI

ORGANIZZAZIONE CONSILIARE

Le ‟Nuove” in rivolta. Contro il capitale lotta criminale

LE NUOVE IN RIVOLTA
Contro il capitale lotta criminale

I compagni che il capitale ha incarcerato alle Nuove stanno ancora una volta dimostrando con la loro rivolta che rifiutano lo schifoso sistema che li ha costretti in carcere.
L’ideologia della pena e dell’espiazione, cioè l’accettazione della colpa, viene rifiutata dai collettivi di lotta che rivendicano la libertà assoluta per sé stessi e per la società, contro l’assoluta schiavitù imposta dal lavoro e dalla sopravvivenza alienata.
La campagna ordita dalla stampa e dagli organi di informazione tutti contro l’ondata “CRIMINALE” tende a strumentalizzare a scopo repressivo l’intolleranza proletaria: il CRIMINE GENERALIZZATO, espressione cosciente e radicale del rifiuto all’ordine costituito, viene presentato all’opinione pubblica come novello spauracchio – la contestazione era stata prospettata in modo analogo – onde ottenere l’inasprimento delle misure repressive.
I detenuti in rivolta non pretendono nulla di meno che l’abolizione del carcere ed esigono la libertà perché i fatti da loro commessi

 NON COSTITUISCONO REATO.

Il furto, la rapina, il danneggiamento sono buona cosa perché costituiscono lo strumento che il proletariato tutto adotta onde espropriare gli espropriatori.
Non è un caso che contemporaneamente alla rivolta delle Nuove ci sia la ripresa della lotta contro il lavoro alla FIAT Mirafiori, carcere quotidiano di 60.000 proletari; infatti gli uni e gli altri rifiutano la schiavitù imposta loro dal lavoro, dall’obbligo al consumo, dalla non vita organizzata come unica forma di sopravvivenza.
EBBENE BASTA! Noi proletari tutti non dobbiamo restare inerti di fronte a questo stato di cose, ma reagire violentemente SACCHEGGIANDO ed appropriandoci di tutto ciò che ci serve e che ci è finora stato negato. Distruggiamo ogni concetto di bene e di male lasciando ai borghesi il falso moralismo: DIVENTIAMO TUTTI CRIMINALI, non esiste altro modo di essere veramente solidali con i compagni carcerati; non solo intensificando la nostra attività antisociale, non solo estendendola a tutti i compagni – è assurdo che gli studenti comprino i libri quando è possibile rubarli, che le massaie acquistino le merci quando è possibile saccheggiare i supermercati – ma rendendola realmente rivoluzionaria, ossia collettiva, al fine del rovesciamento di qualsivoglia carcere, sia esso chiamato scuola, famiglia, fabbrica, sistema, o qualsiasi altra puttanata.
I detenuti non vogliono autogestire il carcere, così come i proletari non intendono dirigere questa società di merda ma DISTRUGGERLA: tutti vogliamo vivere la nostra libertà assoluta che è possibile ottenere solo attraverso la rivoluzione violenta ed armata e l’instaurazione dei CONSIGLI PROLETARI come organo di decisione di tutti.

ORGANIZZAZIONE CONSILIARE

Porta Palazzo è un ghetto

Volantino di O.C. o parte di esso.

Commento di Sergio: ricordo quando sui muri di Porta Palazzo si andava scrivendo notte tempo ‟Abbasso i leader W i lader”, riscuotendo molta simpatia tra i pochi astanti.

Contro il capitale lotta criminale

Volantino O.C. distribuito a Torino – Porta Palazzo, senza data.

CONTRO IL CAPITALE LOTTA CRIMINALE

“NIENTE SCHERZI O VI FACCIAMO FUORI… Sappiamo che avete in casa tre milioni, metteteli qui e non vi accadrà niente di male.”

Con queste parole il 15 febbraio alcuni proletari, come già altri prima di loro, hanno stravolto i termini della contrattazione mercantile, praticando invece il furto come unica possibilità di sopravvivenza in questa società che non offre alternativa se non la propria prostituzione nelle fabbriche.

Il rifiuto della schiavitù del lavoro, cioè della vendita della propria giornata in cambio di merci necessarie alla propria sopravvivenza ed al decoro del proprio rango sociale, viene praticato attraverso il furto di tutto ciò che faccia parte del fabbisogno quotidiano di ciascuno.

Il crimine individuale e separato, ultimo prodotto della società repressiva, va man mano scomparendo per lasciare il posto alla criminalità collettiva la quale, manifestando una sempre maggior intolleranza ad ogni forma di assoggettamento alle norme ed ai codici borghesi, si presenta come unica forma radicale di lotta rivoluzionaria.

La risposta alla società che tollera anzi tutela il furto sulla pelle dei proletari si fa man mano più cosciente: dal furto del singolo per sfuggire alla schiavitù del lavoro salariato cade di fatto in una forma altrettanto alienante anche se non legalizzata di schiavitù, si è giunti oggi alla generalizzazione del crimine, del saccheggio o della distruzione di tutto ciò che venga ad impedire la libertà individuale e collettiva.

Questo dimostra come il proletariato moderno, rifuggendo ogni forma di lotta legalizzata, inizia organizzandosi l’assalto a tutto ciò che determina la miseria della sua esistenza.

COMPAGNI PROLETARI RINUNCIAMO AI REGOLAMENTI DI CONTI TRA BANDE RIVALI

L’UNICA BANDA DA SCONFIGGERE È LA SOCIETÀ!

FACCIAMO ESPLODERE LA POLVERIERA DI PORTA PALAZZO – TRASFORMIAMO QUESTO GHETTO NEL QUALE IL CAPITALE FA IL BELLO ED IL CATTIVO TEMPO IN UN LUOGO NEL QUALE I PROLETARI POSSANO LIBERAMENTE ORGANIZZARSI PER EVERTERE LA SOCIETÀ TUTTA.

ORGANIZZAZIONE CONSILIARE

Liquidiamo i bugiardi

Volantino di Organizzazione Consiliare distribuito in occasione di un intervento presso l’Unione Culturale a Torino.

Cottimo garantito, fatica garantita

COTTIMO GARANTITO,
FATICA GARANTITA

Nelle assemblee sindacali a proposito della piattaforma rivendicativa si discute del cottimo e si insiste sul fatto che il guadagno sarebbe garantito in qualunque modo anche se la produzione dovesse calare per cause che non dipendono dagli operai. Ma si tace su un’altra questione. Nessun sindacalista infatti osa dire che è falsa la promessa di poter fare la produzione a nostro piacere ed avere ugualmente il salario garantito. Vediamo in concreto le proposte sindacali:

1) Convalida dei ritmi di lavoro da parte degli operai. I sindacati sostengono che i ritmi attuali dovremo farli perché li facciamo già. I ritmi che il padrone ci ha imposto con continui tagli di tempi, minacce, pressioni, multe, etc. li renderemo LEGITTIMI e daremo il nostro consenso a tutto quello che il padrone ha fatto contro di noi da sempre.
2) Guadagno uguale sia per gli operai diretti che per quelli indiretti. Questo vuol dire che i carrellisti, i magazzinieri, gli addetti alla manutenzione, alla riparazione e tutti quelli non legati direttamente alla produzione che godevano rispetto agli altri di un lavoro più calmo, saranno sottoposti sicuramente ad una razionalizzazione e saranno costretti a correre perché i sindacati ancora una volta li hanno venduti per poche lire. I sindacati vogliono livellare gli operai ai livelli più bassi.
3) Quando i tempi, gli organici, le pause, i rimpiazzi e la produzione saranno convalidati non avremo mai la possibilità di scendere al di sotto del rendimento prestabilito dal padrone e dai sindacati se non a rischio di multe, sospensioni, licenziamenti per scarso rendimento e questa volta con l’approvazione del sindacato.
4) A questo punto il delegato ed il rappresentante sindacale non diventano altro che i cani da guardia che il padrone impiega per la garanzia del suo potere, cioè della produzione.

Di fronte a questo inganno non possiamo che rispondere in questi due modi:
A) per ciò che riguarda il salario, non rifiutiamo certamente ciò che ci viene offerto; lasciamo fare ai sindacati il loro mestiere di mercanti delle nostre vite. Il problema è altro. Sappiamo che il padrone è disposto a pagarci molto, ma a patto di chiederglielo con le dovute maniere e di sottoporci ai suoi piani produttivi.
B) Quello che ci importa è non garantirgli mai la produzione: contrattare i tempi significa garantire il nostro lavoro ed una certa produzione. Garantire la produzione al padrone vuol dire garantirgli il suo potere su di noi e sulla nostra fatica. La nostra fatica non la garantiamo a nessuno, né ai padroni, né ai sindacati. La fatica vogliamo abolirla e lavoriamo o no, secondo come ci fa comodo. Questo finché la nostra forza sarà tale da NEGARE AL PADRONE TUTTA LA PRODUZIONE, TOGLIENDOGLI TUTTO IL POTERE.

  • Boicottiamo le assemblee sindacali non andando ai refettori oppure andiamoci ma per togliere la parola ai sindacalisti ed ai loro leccaculo. Respingiamo ogni piattaforma.
  • Decidiamo per nostro conto tutte le azioni che blocchino la produzione. LA POCA PRODUZIONE CHE ESCE DEVE ESSERE SABOTATA.
  • IL RIFIUTO DEL LAVORO DEVE COMINCIARE CON UNA LOTTA PERMANENTE E QUOTIDIANA CONTRO IL LAVORO CHE CI È QUOTIDIANAMENTE IMPOSTO.

ORGANIZZAZIONE CONSILIARE

Il tarzan della produzione

Ritaglio per un volantino. Senza data.

Su retro c’è scritto:
Indirizzare a:
Gianni Armaroli ‑ C.P. 1853 ‑ Genova
LUDD

Giustizia è fatta…! Il Comitato di solidarietà con Borghini e Pietrosillo

Genova, senza data (Presumibilmente, tra fine 1970 e inizio 1971).

Volantino in solidarietà ad Antonio Borghini e Vincenzo Petrosillo. Arrestati a fine ottobre 1967 per l’omicidio del padre adottivo del primo, il primo processo si era concluso il 29 ottobre 1969, quando la corte di assise li aveva condannati rispettivamente a 22 e 14 anni per «omicidio a scopo di rapina». Il pubblico ministero era Sossi. Questo volantino è successivo, quando la sentenza è stata confermata in Appello.

Declino e caduta del movimento studentesco

Declino e caduta del movimento studentesco, a cura del Centro di rianimazione del Movimento studentesco. Genova, senza data.

Volantino diffuso all’università di Genova ad opera dei ludditi Mario Lippolis e Alfredo Passadore, probabilmente al principio dell’anno scolastico del 1969. Raramente si è veduta un’aggressione più brutale della condizione studentesca, cui ci si propone di rimediare con una cura composta di schiaffi, sputi, scoregge, cagate in faccia e cazzi nel culo. Il limite di questo tipo di interventi consiste nel fatto ben noto: chi legge pensa che quel trattamento sia azzeccatissimo per gli studenti… salvo che lui personalmente non si percepisce come tale.
Questo, di considerarsi quelli che hanno capito, e di trovare ascolto solo fra quelli che ritengono a loro volta di avere capito, sarà regolarmente un tallone d’achille della critica radicale. (P.R.)

Contributo di alcuni compagni, premessa sostanziale a qualsiasi discorso sulla ricostruzione del movimento studentesco.

TENTATIVO DI RIANIMAZIONE

Bene, io lo stendo sul canapè, voi amabile Juliette, inginocchiata davanti a lui, continuerete a riscaldare nella vostra bocca di rosa il membro gelido del mio povero signore. Io so che nessuno meglio di voi riuscirebbe a riportarlo in vita. Voi ragazze bisogna che veniate, l’una dopo l’altra, a fare tre cose assai singolari su di lui: schiaffeggiarlo prima con forza, sputargli in faccia, scorreggiarli poi sul naso: appena avrete finito di fare ciò, vedrete gli effetti sorprendenti di questo rimedio.

La vecchia comanda, tutto viene eseguito, ed io confesso che resto confusa dalla superiorità di questo sistema mangereccio: il pisello si gonfia nella mia bocca al punto che appena riesco a contenerlo. È vero che non ci si poteva rendere conto della rapidità con cui tutti i fatti comandati venivano eseguiti sul povero vecchio, e nulla era piacevole come i differenti rumori che riempivano di volta in volta l’aria, la molteplicità di quelle scorregge, di quegli schiaffi, e di quegli sputi. Infine il pigro strumento si gonfia al punto che io temo che scoppi tra le mie labbra, quando, alzandosi in fretta, Mondor fa segno alla sua governante di preparare tutto per la conclusione: al mio culo è riservato l’onore. La vecchia mi mette nella posizione adatta alla sodomia: Mondor, aiutato e guidato dalla sua governante, si affonda all’istante nel tempio dei più dolci piaceri di questa passione: ma non ho ancora detto tutto.

Questo non sarebbe riuscito senza l’episodio crapuloso con cui Mondor coronò la sua estasi. Accade mentre il vecchio mi inculava:

1° – Che la sua governante, armata di un immenso cazzo finto, gli rese il medesimo servizio che lui mi rendeva.

2° – Che una delle ragazze, inginocchiata sotto di me, facesse fare molto rumore alla mia fica masturbandola con la lingua.

3° – Che un bel culo si offrisse a ciascuna delle mie mani.

4° – Infine che le due ragazze che restavano sollevate a cavalcioni, la prima sui miei reni, la seconda sui reni di questa, cagando insieme, inondassero di merda, l’una la bocca del vecchiardo, l’altra la sua fronte.

SCHEMA DI RICOSTRUZIONE

Elisabetta, stesa sul dorso, ai bordi del letto; Delbene, stesa tra le sue braccia, si fa sfregare il clitoride. Flavia in ginocchio e, con le gambe sul letto, la testa all’altezza della figa della Delbene, la solletica con la lingua, schiacciandole le cosce. Sotto Elisabetta, Saint-Elme, con il viso sotto il culo di quest’ultima, prestava in pieno la sua figa ai baci della Delbene, che Vomar inculava con il suo clitoride infuocato. Mi si attendeva per completare il gruppo.

Stesa un po’ oltre la Saint-Elme, io le offro da leccare il contrario di ciò che lei si faceva succhiare sul davanti. Delbene passava con incostanza e rapidità dalla figa della Saint-Elme, al buco del mio culo, leccando, pompando ardentemente l’uno e l’altra.

De SADE, “Juliette, les prosperités du vice”

a cura del Centro di Rianimazione del Movimento Studentesco