Relazione sulle “linee” delineatesi al convegno di Venezia, organizzato dal Movimento studentesco di Torino e Trento (Genova, 1968).

Sunto parziale delle risultanze del Convegno di Venezia. Emerge la macchinosità della relazione fra movimento reale e ideologia classista dominante: in breve si sarebbe compiuto un grandissimo passo innanzi affermando la definizione di “proletariato come classe universale”. (P.R.)

 

Il Convegno di Venezia, organizzato dal movimento studentesco di Torino e Trento, con l’esclusione dei filocinesi marxisti leninisti, e la partecipazione con riserva dei due Potere operaio e di Scalzone e Piperno di Roma, ha visto delinearsi due tendenze fondamentali, una tendenza portata avanti dagli organizzatori volta a far crescere un movimento politico di massa nelle Università e nelle scuole impostato essenzialmente sulla lotta antiautoritaria. Le condizioni perché la lotta antiautoritaria acquisti un diretto carattere rivoluzionario sono ricercate in un ampliamento dell’analisi della società capitalistica, in cui il fenomeno autoritario non è solo una manifestazione del potere accademico né soltanto una manifestazione sovrastrutturale ma è inerente alla struttura stessa dei rapporti di produzione, che si configurano sempre più come rapporti antagonistici fra coloro che hanno l’autorità sui mezzi di produzione e sulla forza lavoro e quelli che tale autorità non l’hanno. In questo senso la lotta all’autoritarismo conserva il suo valore strategico fondamentale per la crescita di un movimento politico di massa, che non coinvolga soltanto gli studenti ma anche strati importanti di classe operaia. La lotta antiautoritaria e antiburocratica, è stato sottolineato, se non vuole rimanere una critica moralistica contro i burocrati deve concretarsi in organizzazione dal basso delle lotte, nell’università e fuori.

In questa prospettiva acquistano importanza decisiva i fenomeni di autorganizzazione che si manifestano a livello operaio come sottrazione alla logica burocratica del sindacato o del partito, come rifiuto della critica sterile al sindacato e al partito; a questo riguardo tutti i gruppi presenti si sono trovati concordi nello stimolare comitati di base, comitati unitari ecc., con differenze però nella concezione di questi comitati. Mentre Trento e Torino vedevano la funzione del movimento studentesco come stimolo e aiuto ai comitati di base perché conquistassero una completa autonomia politica, ideologica e organizzativa, riconquistassero la dirigenza politica delegata sinora al partito o al gruppo esterno, altri compagni, Potere operaio, PSIUP di Torino ecc. ne vedevano la funzione limitata a una maggiore efficacia rivendicativa rispetto al sindacato, come organi tecnici e non ancora politici, cinghia di trasmissione quasi dei gruppi esterni. In questa concezione, forse involontariamente i compagni di Potere operaio, arrivavano a una collusione con la tendenza più o meno esplicita del PCI di riprendere il controllo della base operaia.

La precarietà delle esperienze sinora condotte ha portato però a una valutazione più cauta dell’esistenza di una effettiva tendenza all’autorganizzazione nella classe operaia. Per questo Rieser, dopo un’analisi delle lotte alla Fiat, ha concluso che il movimento studentesco dovrebbe essenzialmente creare momenti di tensione sociale, una manovra di accerchiamento della fabbrica onde coinvolgerla nella lotta; la Lega operai studenti esprime questa difficoltà dell’autorganizzazione operaia alla Fiat e nasce da uno stato di necessità e non costituisce alcun modello organizzativo.

La pericolosità di simili forme organizzative è stata rilevata da Rostagno, non solo perché costituiscono cristallizzazioni le quali più o meno limitano la spontaneità di altri rapporti, ma perché costituiscono quasi una funzione delegata del movimento studentesco a un’avanguardia che fa il “lavoro operaio”, pericolo insito anche nelle commissioni operai studenti, che hanno raccolto più o meno i quadri dei gruppi minoritari.

Circa i rapporti fra avanguardia e massa la tendenza si è orientata verso una concezione dell’avanguardia come minoranza agente la quale tenda soprattutto con l’azione ad allargare il campo antiautoritario, svelando, con l’azione, il carattere repressivo delle istituzioni. Anche i compagni del Potere operaio hanno rifiutato l’autoidentificazione nel partito, dichiarandosi disposti a sciogliere il proprio gruppo ove si creassero le condizioni di un’organizzazione rivoluzionaria. Circa i caratteri di questa organizzazione non sono però andati molto a fondo, delineandosi all’interno oscillazioni fra la creazione di un partito leninista e la creazione di un partito di massa (!).

L’altra tendenza, che chiameremo operaistica, tende a vedere il movimento studentesco come un movimento direttamente al servizio delle lotte operaie, ritmato sulle scadenze della lotta operaia. Nega che la lotta antiautoritaria sia oggi una lotta classista, per cui la caratterizzazione classista del movimento studentesco dovrebbe emergere dal rifiuto studentesco della scuola in quanto scuola dei padroni, selezionata secondo una logica classista. Non si deve insistere tanto sui motivi di disagio propri della condizione studentesca in rapporto con un’organizzazione autoritaria degli studi quanto su un rifiuto che è soltanto ideologico della propria condizione di selezionati, in tal modo però il movimento studentesco pare nascere non da condizioni di disagio materiale e morale quanto come un movimento di militanti che si pone come avanguardia ideologica, come un movimento che fornisce quadri per la direzione politica del movimento operaio. Anche se la tendenza non ripropone più obiettivi di lotta di tipo sindacalistico come il salario generalizzato, tuttavia lo scadimento della lotta studentesca a questo livello appare inevitabile nella misura in cui l’avanguardia politica rinuncia a sviluppare le contraddizioni proprie del mondo studentesco, distaccandosi dalla massa studentesca. Questo pericolo è stata avvertito sensibilmente dal gruppo di Potere operaio di Porto Marghera e di Pisa i quali cercano di rompere l’isolamento del movimento studentesco in cui si sono trovati, dal movimento nazionale ma anche locale, affidando ai compagni di Roma di colmare questo vuoto e cercando così di avere un potere “contrattuale” all’interno del movimento studentesco. Questa tendenza guarda sostanzialmente al movimento studentesco come a un movimento da cui estrarre quadri per l’organizzazione politica rivoluzionaria da destinare al lavoro operaio, di sostegno alle lotte operaie impostate essenzialmente come lotte rivendicative, salariali, interpretate come lotte politiche nella prospettiva del contropiano.