Circolo “Rosa Luxembourg”, opuscolo ciclostilato, Genova, 1966-1967

PROGRAMMA

Al contrario di quanto avveniva venti anni fa, oggi i gruppi minoritari di sinistra tendono ad organizzarsi in modo più ampio, con una dialettica interna più reale, stabiliti alcuni punti di accordo senza dei quali non ci si può organizzare. Questo fenomeno è nuovo per il nostro paese, ma non per altri, dove l’assenza di una forte tradizione staliniana ha favorito da tempo lo sviluppo di questa tendenza.

La rilevanza del fenomeno italiano è attestata dalla sua crescita su scala nazionale, nonostante l’assenza di organizzazione, Circoli simili al nostro si sono formati in molte città italiane, in modo spontaneo. Con ciò non si vuole avanzare alcun modello di organizzazione, si vuol dire soltanto che questo tipo di organizzazione appare, nel momento che stiamo vivendo, come il più idoneo a raggruppare i militanti politici e ad estendere i nuovi rapporti con la classe operaia.

Sul piano internazionale, nonostante la differenza di tradizioni, le singole esperienze minoritarie rivelano maggiori affinità di quanto si creda comunemente. Se la tradizione socialdemocratica ha avuto peso in alcuni paesi (Nord Europa, Inghilterra, Germania, ecc.), mentre quella staliniana ha pesato in altri (Italia, Francia, Spagna, Est europeo), il risultato alla fine è stato lo stesso: bloccare ogni autonomia rivoluzionaria della classe operaia a livello internazionale. Mentre i limiti dell’internazionalismo socialdemocratico non hanno sollevato gravi controversie all’interno del mondo operaio, gravi sono quelle sorte sui limiti dell’internazionalismo comunista, subordinato alla politica estera dell’URSS, limiti che hanno sollevato la questione della natura sociale dell’URSS. Molte formule sono state elaborate per spiegare questa natura, da quella ufficiale di Stato Socialista, a quella del Collettivismo burocratico, a quella del capitalismo di stato, a quella del capitalismo tecnocratico, ecc.

Questo problema è tuttora aperto, ma su alcuni aspetti fondamentali si è ormai realizzata una profonda concordanza di vedute nei vari gruppi della sinistra: assoluta mancanza di potere nelle mani della classe operaia sovietica, forte differenziazione di classe, incentivazioni al lavoro di tipo borghese, persistenza delle categorie proprie dell’economia capitalista. Il fatto che la classe operaia sovietica non abbia alcun potere di decisione, al pari di quella occidentale, è alla base di quei limiti che si sono riscontrati nell’internazionalismo sovietico.

Assai più gravi sono stati i limiti internazionalisti dei vari Partiti comunisti. Identificare il socialismo con uno Stato, e l’internazionalismo con la sua politica estera, è stata una tragedia sulla quale sarebbe ormai ozioso discutere, se lo stesso errore non venisse riproposto oggi, a proposito della Cina. Come nel passato la politica estera sovietica ha condotto gran parte del movimento operaio alle giravolte dei vari Fronti e del Socialfascismo, così oggi la strategia mondiale contadina cinese potrebbe condurre nello stesso vicolo cieco. Il che non deve precludere, ovviamente, la necessaria considerazione degli aspetti internazionalisti, che si possono ritrovare nella posizione cinese.

La ripresa dell’internazionalismo deve basarsi anzitutto sullo scambio di esperienze strategiche e tattiche tra gli operai e gli intellettuali politicamente attivi nei vari Paesi; uno scambio di esperienze che appare oggi preliminare a qualsiasi ricostruzione di una nuova Internazionale.

In questa direzione è necessario fare un lavoro preliminare, cioè l’analisi della situazione di classe dei vari paesi dell’occidente al fine di appurare il livello politico della lotta operaia e localizzare le zone di maggiore tensione politico-rivoluzionaria, e ivi far convergere l’attenzione, l’analisi, le esperienze.

A questo fine, il Circolo pubblicherà periodicamente un Bollettino che informi su questo livello politico delle lotte operaie. Implicitamente questo lavoro è diretto da un’ipotesi-guida, che cioè l’anello più debole della catena imperialista sia costituito dai Paesi in cui è più forte e organizzata, per varie condizioni, la classe operaia.

Ciò non significa un rifiuto aprioristico delle tesi classiche avanzate: ad esempio, quella affermante che le lotte operaie in occidente trovano il loro limite nel permanere dei Paesi arretrati sotto pieno controllo del nuovo imperialismo, con conseguente permanere di larghi sovraprofitti e di zone privilegiate di classe operaia, tesi che spiega apparentemente la diffusione della socialdemocrazia in occidente, nella funzione di gestore democratico del capitale (Nord Europa, Inghilterra, Germania, Italia); oppure la tesi leninista, che concentra la strategia rivoluzionaria nei Paesi più deboli da un punto di vista imperialistico (esperienze della guerra russo-giapponese del 1904), tesi che apparentemente spiega, ad esempio, la crisi belga del 1960 in relazione con la perdita del Congo (e si possono fare tanti altri esempi), ma trascura la possibilità di ripresa neoimperialista (ad esempio, i rapporti Francia-Repubblica algerina), fondata com’è su una concezione delle borghesie nazionali, che sopratutto le esperienze dell’ultimo decennio mettono per lo meno in dubbio.

Il Circolo ritiene opportuna la discussione su queste tesi, ma ritiene di doversi impegnare più direttamente in un lavoro che appare preliminare a qualsiasi tentativo di ricostruire l’internazionalismo operaio.

è necessario tenere presenti anche esperienze che, pur non derivando dalla matrice marxista, hanno un orientamento classista, e con le quali pertanto è opportuno collegarsi.

Se si tengono poi presenti posizioni come quelle assunte da J. P. Sartre verso il gollismo e le guerre algerina e vietnamita, si comprende come sia necessario collegarsi anche con tutti quegli intellettuali che rifiutano ancora la programmazione delle teste e delle idee, che non entrano o non aspirano ad entrare nei carrozzoni unificati.

La ripresa dell’internazionalismo operaio in Europa sembra possa essere di fatto agevolata dalla ristrutturazione del capitalismo continentale nel MEC, al cui livello occorre ormai considerare ogni questione.

Si tratta di fenomeni di concentrazione (ad esempio, l’industria automobilistica), di liquidazione di interi settori (ad esempio, quello minerario), di concentrazioni che vengono dissolte da una parte, per concentrarle in un’altra (ad esempio, l’industria navalmeccanica). Questi fenomeni di modificazione strutturale si risolveranno in una più accentuata concentrazione oligopolistica, che si avvicina molto a quella americana. Si ritiene dunque opportuno esaminare con maggiore attenzione i caratteri dello sviluppo capitalistico americano, in particolare alcune tendenze al ristagno economico messe in luce da vari economisti, al pari dello sviluppo delle burocrazie aziendali e statali, che inglobano un’aliquota sempre crescente del reddito e del plus-lavoro operaio.

La tesi del ristagno, con ciò che in essa è implicito, cioè possibilità di controllo della crisi attraverso la sottoutilizzazione della tecnica e della forza-lavoro, può costituire una utile base di approccio al problema della lotta di classe nelle grandi concentrazioni operaie, dove esiste una maggiore stabilità di occupazione per la forza-lavoro. Si tratta di inquadrare il livello della lotta operaia in una situazione nuova rispetto al passato, caratterizzato da fenomeni di crisi che investivano anzitutto le grandi concentrazioni operaie. Nel complesso, è più chiaro lo sviluppo della lotta delle masse operaie non-concentrate, la cui occupazione è fluttuante tra le varie fasi del ciclo economico.

Il Circolo ritiene quindi della massima importanza valutare il livello politico delle lotte nelle grandi concentrazioni, un livello che è stato rilevato insufficientemente, come risulta dalle opposte tesi sull’argomento: il potere come ulteriore bene di consumo, l’estrema politicizzazione delle masse operaie concentrate, l’inevitabile trade-unionismo delle masse operaie concentrate (collegato al sovraprofitto imperialistico), ecc.

Identica attenzione sarà dedicata, nell’analisi, alle lotte delle masse operaie non-concentrate (che hanno espresso le lotte più violente in questi anni), e dall’aspetto ideologico espresso da queste forze (diffuso atteggiamento di rifiuto globale dell’inquadramento nei Sindacati, nei Partiti e nell’organizzazione capitalista del lavoro). Di grande importanza appare anche la attenta valutazione delle modificazioni professionali della forza-lavoro e della portata politica di esse.

Si ritiene che soltanto un esame serio delle tendenze operanti all’interno dello sviluppo capitalistico, con le dislocazioni delle varie forze sociali che esso comporta, e della loro portata politica sul livello delle lotte operaie, si potrà restituire alla classe operaia una critica materialistica del riformismo e dei suoi Partiti.

Soltanto allora si potrà chiarire il significato dei vari programmi proposti dai gruppi minoritari: partito di avanguardia, potere operaio, controllo operaio, ecc. L’impressione dominante è che le minoranze di sinistra abbiano ricavato questi programmi dalla tradizione, anziché da un’analisi attenta delle tendenze della lotta di classe contemporanea.

La crisi del movimento operaio è caratterizzata chiaramente dall’affermazione, all’interno di tutto il movimento, di forze riformiste che hanno raggiunto il loro primo momento organizzativo nel Partito socialista unificato, e si preparano ad un’operazione a più largo raggio, coinvolgente anche strati, già oggi maggioritari, del Partito comunista. L’affermazione di queste forze non ha trovato all’interno del Partito comunista una forte opposizione: tale infatti non può dirsi l’opposizione equivoca compiuta dalla cosiddetta sinistra di Ingrao, subito debellata e privata dello scarso potere che aveva.

La debolezza dell’opposizione interna non riflette probabilmente la reale consistenza delle forze contrarie all’operazione riformista, sia perché le forze riformiste hanno sistematicamente impedito alle altre forze di organizzarsi, sia perché le forze non-riformiste nascondono le loro posizioni in un sostanziale immobilismo politico e nella totale mancanza di iniziativa.

La paralisi politica ed organizzativa del Partito comunista favorisce di fatto l’operazione riformista, forse nell’attesa che lo sviluppo capitalistico maturi un programma di riforme più sostanzioso di quello attuale: a quel punto, le forze riformiste del Partito comunista saranno pronte per il famoso Partito unico di tutte le forze democratiche e socialiste… Nel frattempo, non è da escludere uno sviluppo simile a quello del Partito comunista francese, vera e propria riserva di forze congelate, con continue scissioni a sinistra: tuttavia, la diversa situazione della democrazia borghese nei due paesi suggerisce uno sviluppo disuguale con più ampie possibilità di inserimento democratico nel regime per il Partito comunista italiano, rispetto a quello francese.

è comunque prevedibile l’enuclearsi di forze importanti alla sinistra del PCI; lo sviluppo politico ed organizzativo di queste forze di sinistra sarà deciso sia dal livello delle lotte operaie, sia dallo stato politico ed organizzativo delle forze che attualmente operano all’esterno del PCI. Di qui deriva la particolare responsabilità che compete a queste forze esterne nel periodo attuale: da esse dipende, in buona parte, la possibilità che la crisi politica ed organizzativa del movimento operaio si risolva in un processo positivo di ricostruzione di una nuova sinistra, anziché in una sterile disgregazione di forze politiche, aggravata dalla notevole organizzazione delle forze riformiste.

Il Circolo ritiene pertanto necessario il contatto più esteso possibile con queste forze, al fine di accelerare la reciproca conoscenza e la ricostruzione, al di là di inutili settarismi velleitari, di un discorso strategico e tattico che si possa misurare con le realtà delle lotte operaie, e possa organizzare intorno a sé le forze attualmente inoperanti del movimento operaio. L’intervento politico nelle lotte operaie costituisce un obiettivo realizzabile e tanto più necessario, quanto più emerge con chiarezza la tendenza di parti importanti della classe operaia a dissociarsi dai Sindacati e dai Partiti, e ad attestarsi su posizioni di rifiuto che non troveranno sbocco alcuno a livello sindacale, ma potrebbero trovarlo a livello politico.

Circolo “ROSA LUXEMBURG”

via Buranello 34/6

Genova-Sampierdarena

PROGRAMMA DI ATTIVITÀ

PER L’ANNO 1967

1) Ciclo di conferenze dei rappresentanti di giornali ed organizzazioni politiche della sinistra: La SinistraClasse OperaiaQuaderni RossiBandiera RossaLotta ComunistaQuaderni Piacentini – Centro Frantz Fanon – Il Programma Comunista – Partito comunista d’Italia (marxista-leninista).

2) Ciclo sulla natura sociale dell’URSS e della Cina: la rivoluzione culturale in Cina – il potere nell’URSS – la formazione dei prezzi nell’URSS.

3) Ciclo sul riformismo in Italia: dibattito operaio sul rapporto fra sindacato e lavoratori – la politica dei porti – la programmazione democratica ed il ruolo delle industrie di stato – la politica comunista delle alleanze.

4) Ciclo di analisi della situazione di classe in Europa e in America attraverso la recente letteratura (recensioni e presentazioni di opere):

Tronti, Operai e capitale

Cardan, Capitalismo moderno e rivoluzione

Mallet, La nuova classe operaia

Marcuse, Il marxismo sovietico

Ossowski, Struttura di classe e coscienza sociale

Bendix-Lipset, Classe, condizione sociale e potere

Carria, Proletari senza rivoluzione

Zweig, L’operaio nella società del benessere – Vita di famiglia e industria

Autori vari, Classe operaia, partiti politici e socialismo nella prospettiva italiana

Mills, Colletti bianchi

Solmi, La nuova sinistra americana

Baran-Sweezy, Il capitale monopolistico – Saggio sull’economia e l’ordine sociale in America

Riflessione collettiva molto utile per verificare lo stato della consapevolezza, e delle relative lacune, alla vigilia del Sessantotto.
Da una parte, analisi evoluta del ruolo del “campo socialista”, grande attenzione (con alcune osservazioni acute) per il quadro internazionale, alcune intuizioni: “il potere come ulteriore bene di consumo” come pure “L’impressione dominante è che le minoranze di sinistra abbiano ricavato questi programmi dalla tradizione, anziche da un’analisi attenta delle tendenze della lotta di classe contemporanea”. Dall’altra, nessuna critica del militantismo, dell’intervento politico dall’esterno (“rapporto con la classe operaia”, “gli intellettuali politicamente attivi”), ingenua condiscendenza verso personaggi come Sartre e generoso ecumenismo verso le più disparate sette di sinistra, non esclusi neppure i maoisti; una poco chiara indicazione di quali sarebbero state le tesi non-riformiste. In sostanza, viene elusa la questione leninismo sì/leninismo no, che si scioglierà (e nemmeno del tutto) solo dopo il riconoscimento del consiliarismo come stella polare teorica, negli anni successivi.