Circolo Rosa Luxemburg, opuscolo ciclostilato, Genova, novembre 1967.

– LA TECNICA CONTRO L’OPERAIO
– LA FUNZIONE DEI CAPI
– IL RIFIUTO IN FABBRICA
– OPERAI E SINDACATI
– GLI OPERAI NON HANNO TUTORI

A passo d’uomo
Ci siamo mai chiesti cosa accadrebbe della produzione se applicassimo le norme emanate dalla burocrazia di fabbrica? Facciamo degli esempi. Qualunque gruista sa che a regolamento non deve fare tre manovre combinate contemporaneamente, né deve spostare vagoni o carrelli, né lavorare col cavo obliquo, né deve sorvolare persone nel suo raggio di azione, ma è notorio che se si rispettassero queste norme la produzione, organizzata per violarle, si bloccherebbe. Al laminatoio a freddo, ad esempio, il gruista osservando le norme impiegherebbe quattro minuti per liberare la macchina, ma poiché l’uscita di un rotolo si ha in media in tre minuti, dopo mezz’ora, lavorando a regolamento, si avrebbe l’intoppo della linea. Prendiamo la manutenzione. Avete mai osservato come viene effettuata su un piano di scorrimento? Le norme dicono che sono d’obbligo la bandiera rossa, come avvertimento visivo, i petardi come avvertimento acustico, gli staffoni di blocco come misura d’emergenza, oltre un lavoratore al fianco del gruista. Ebbene, come si lavora? La manutenzione viene fatta senza l’arresto del carroponte e senza le misure suddette. Il lavoro viene affidato, in genere, a operai delle imprese, ormai sinonimo di lavoratori da fatica e rischio.
Sempre per non arrestare la produzione o per anticiparla (questo, infatti, è il bene supremo della burocrazia) durante la demolizione dei forni Martin in acciaieria sempre gli operai delle imprese sono costretti ad entrare nei forni a temperature elevatissime, tanto è vero che per non “incendiare” le scarpe vengono stesi fogli di amianto. In questa maniera si capisce perché all’acciaieria si battono tutti i record di ricostruzione forni e via dicendo, ma chi potrà esserne orgoglioso?
Al molo il carico dei vagoni con bramme viene eseguito violando sistematicamente le più elementari norme di sicurezza. Gli imbragatori sono costretti a rimanere all’interno del carro per sistemare il carico in uno spazio massimo di quaranta centimetri. Infatti questo è lo spazio disponibile fra carico e sponda del carro, basterebbe il più lieve errore del gruista per creare un incidente mortale. È questo che si aspetta?

Dirà qualcuno che per certi lavori non esistono regolamenti scritti, ma facciamo il caso in cui un regolamento esiste. Al movimento ferroviario i capi fanno generalmente partire le macchine con trenta carri agganciati, sono troppi per due manovratori, alla prima curva il macchinista non riesce più a vederli, ed allora chi può rispettare la norma che obbliga a procedere con la piena sicurezza di fermarsi in caso di ostacoli se il macchinista non vede più il segnalatore? Se il movimento ferroviario lavorasse a regolamento, dovrebbe procedere a passo di uomo. Lavorando a regolamento, questo è il vero “passo” della Cornigliano. Siamo giunti al punto, insomma, che chi volesse rispettare le più elementari norme di sicurezza sarebbe considerato alla Cornigliano un sabotatore. L’insicurezza è diventata l’unica norma. È un fatto arcinoto, e ne sono tragica prova la serie ininterrotta di morti bianche ed infortuni gravi: operai carbonizzati, mutilati non si contano più; i grafici dell’infortunistica parlano chiaro per tutti fuori che per i responsabili; quasi tutti sono costretti a lavorare nel pericolo, molti, purtroppo, accettano la situazione come se fosse la condizione naturale.

Tutti i discorsi sulla civiltà occidentale, rivelano qui tutta la loro fragilità. Per vedere in quale considerazione è tenuto l’uomo, non occorre andare nel Vietnam ad assistere al massacro di intere popolazioni, basta entrare in una qualsiasi fabbrica della società industriale, è sufficiente recarsi alla Cornigliano.

Il fondamento è sempre lo stesso: la produzione è tutto, l’uomo è niente!

Questa opposizione tra uomo e produzione è ben riflessa nel peso rispettivo che hanno gli uffici di sicurezza e quelli di produzione. L’Ufficio di sicurezza è un ufficietto messo in piedi solo per rispettare il Codice penale, i quattro burocrati che lo occupano non contano niente, il loro potere di far rispettare le norme è nullo, rispetto al potere degli altri uffici di farle violare. Quante volte si sente un capo produzione mandare a farsi benedire le norme di sicurezza: “mi assumo io la responsabilità”, d’accordo, ma nel caso di incidenti chi è coinvolto nell’infortunio? Il capo che sta a guardare? Chi ci rimette la pelle sono sempre coloro che lavorano.

Abbiamo visto cosa succederebbe se si applicassero le norme, la produzione si bloccherebbe, invece essa regge e si sviluppa continuamente. Qual è il meccanismo che fa girare così bene l’ingranaggio? Alla base di tutto il potere del capo, il quale non solo fa violare le norme, ma si avvantaggia anche della loro esistenza, perché in caso di incidenti ha anche buon gioco nell’accusare i lavoratori per non averle rispettate! Le norme, in sostanza, sono pezzi di carta che servono ai parassiti dell’azienda per far sempre ricadere sul lavoratore la responsabilità in caso di incidenti.

Facciamo degli esempi pratici; qualche tempo fa si sono scontrati al movimento ferroviario due locomotori, pochi danni, molta paura; i macchinisti sono stati chiamati ed apostrofati: “siete dei criminali, non rispettate il regolamento; come dice l’articolo 3 l’equipaggio deve procedere con la piena sicurezza di poter tempestivamente fermare in caso di ostacoli improvvisi, siete quindi passibili di provvedimenti disciplinari.” Nel caos di norme e regolamenti vari rientra anche il caso di quell’operaio rimasto carbonizzato nel carrellone della cockoria. Venne ritenuto responsabile l’addetto all’apertura dei portelli di scarico della cockoria, fu processato. Due sono le conclusioni possibili: o gli operai sono dei criminali, come diceva quel capo, oppure criminali sono i dirigenti.

Vediamo un po’ allora cosa accade quando gli operai cercano di rispettare norme e regolamenti. Generalmente, quando si procede a “passo” d’uomo, in conformità alle norme, immediatamente i capi ravvisano nel comportamento di questi lavoratori gli estremi per caricarli di provvedimenti disciplinari. Quando ciò non è possibile, si mettono gli operai in condizione di violare le norme non organizzando il lavoro né concedendo l’attrezzatura necessaria, per coloro che insistono c’è poi l’arma del ricatto: dalle ferie non concesse, alla provocazione, ed infine, in caso di resistenza, c’è sempre la porta aperta del licenziamento per scarso rendimento (chi contesterà il giudizio dei capi? Forse la Commissione Interna?).

Ecco cosa succede quando gli operai osservano le norme. È chiaro allora che esse vengono tirate in ballo dai dirigenti solo per far ricadere addosso agli operai le conseguenze e le responsabilità degli incidenti. Ma questo avviene quando chi si impunta a rispettare il regolamento è un operaio isolato. Quando invece l’osservanza del regolamento è collettiva, il comportamento dei dirigenti è ben diverso: hanno paura. L’osservanza diviene allora una forma di lotta: tipica la lotta portata avanti dai gruisti del molo, per farsi assegnare un gruista in più. Allorché ricevettero responso negativo procedettero una decina di giorni a lavorare con le norme alla mano: le navi aumentarono giorno per giorno in attesa dello scarico che quasi si dimezzò.

Solo allora la direzione decise di concedere un uomo in più, ed ora guai a chi lo tocca. È il caso dei conduttori talbot che, osservando le norme, fecero cadere il trasporto di minerali di circa la metà.

Notevole infine l’esempio offerto dagli operai MOV della SIAC. Alcuni giorni dopo l’unificazione dei gruppi SIAC, Cornigliano, Italsider Ilva, l’ingegnere capo-sezione, a caccia di gloria, si presentò nei locali della mensa e disse: “Da oggi si cambia sistema! Provocate troppi danni, lavorate male, non osservate le norme! Quindi, da oggi, si lavora otto ore su otto e si osservano le norme”. (È chiaro che egli si riferiva a quelle norme che non rallentano la produzione). Immediatamente gli operai si consultano e decidono:
1) rispetto rigoroso di tutte le norme
esistenti
2) velocità massima: sei Km orari
3) massimo da spostare: 8 carri.

Le decisioni prese vincolavano tutti, e furono immediatamente messe in opera. Un giorno, un altro. La situazione si faceva molto grave: la produzione rallentava, in alcuni casi veniva bloccata. Il braccio di forza tra operai e direzione cominciò a pendere a favore degli operai. È da notare che la lotta fu continuata ed intensificata, nonostante le avverse condizioni in cui si svolgeva. Si era in pieno inverno, molto rigido, e tutti possiamo immaginare cosa significava per dei manovratori, costretti a lavorare otto ore al freddo e alla pioggia rinunciare a tutte le pause di cui avrebbero goduto in condizioni produttive normali. Eppure non ci fu il più piccolo cedimento, nessuno mollò, e la lotta continuò per ben otto giorni. Alla fine l’ingegnere tornò nello stesso posto dove aveva pensato fosse il punto di partenza per una rapida avanzata di carriera, e invece, proprio lì, dovette calare le braghe: “Lavorate come volete, ma smettetela di osservare tutte le norme, altrimenti mi mettete nelle grane”.

Fu una lotta decisiva, effettuata e vinta senza l’intervento della C. I. di fabbrica. Si pensa infatti cosa avrebbe portato l’intervento della C. I.?
Sospensione della lotta per trattare.
Qualche fesseria in più (scarpe, indumenti)
Grandi paroloni, e, sicuramente, un aumento dei ritmi di lavoro.
Quali sono stati invece i risultati ottenuti dai lavoratori?
Lavorare in modo da respirare.
Dimostrare la propria autonomia di operai contro i padroni, senza la tutela del sindacato.

Ma ciò è possibile quando gli operai fanno saltare la divisione che la direzione cerca di seminare ovunque, anche attraverso la paga di classe. Infatti la paga di classe, secondo gli inventori del suddetto sistema, deve servire a mantenere divisi di operai. Essa prevede ben ventiquattro tipi di salario diverso, quindi una grande scala dove collocare gli operai

Ventiquattro scalini, ventiquattro tentativi di divisione!

Questa sarebbe la famosa carriera operaia, dove per percorrerla occorrerebbero, secondo la valutazione dei burocrati di fabbrica, alte capacità tecniche.

Vediamo subito un esempio.

Un manovale al laminatoio a freddo, con paga di classe 6, dà il cambio, durante la giornata, per circa tre ore per turno, ad altri operai con paghe di classe varianti dalla seconda alla diciassettesima piazza.

Ecco che un semplice manovale diventa improvvisamente operaio specializzato. Ma si sa, le più alte classi vengono assegnate a chi, nel processo produttivo ha mansioni da cui dipende il ritmo di lavoro di altre mansioni. Ma tale meccanismo è già saltato: infatti al laminatoio a freddo i capi macchina operai da classe 15 a classe 20, misurano il tempo sulla fatica dei compagni di lavoro, non sugli interessi produttivi dei capi.

La tecnica e l’operaio
Si è fatto un gran parlare del progresso tecnico, che dovrebbe alleggerire lo sforzo fisico dei lavoratori. Le parole sono belle ma i fatti parlano un altro linguaggio. Quale è stata l’innovazione tecnica più importante in questi ultimi anni? Hanno installato un cervello elettronico, di quelli che controllano addirittura il volo dei missili.

Si sono recati in America presso il Pentagono ad istruirsi. Nelle intenzioni delle alte burocrazie lo strumento avrebbe dovuto essere usato per controllare e programmare la produzione quasi giornalmente, la macchina non ha funzionato molto, per una serie di ragioni che i capi conoscono benissimo. Ma un risultato lo ha dato, ha scoperto che al laminatoio le perdite produttive erano date non da lunghe fermate per manutenzione, ma dalle brevissime fermate di un minuto o poco più che però erano frequentissime. Cosa ne seguirà? Si cercherà di razionalizzare maggiormente la produzione con ritocchi al treno, altrimenti una maggiore vigilanza sugli operai. La morale della favola: il cervello elettronico diventerà, almeno nelle intenzioni dei dirigenti, un raffinato strumento di controllo e di sfruttamento.
Ove non si tratti di controllare meglio, l’innovazione tecnica, cade addosso agli operai per alzare la loro produttività, operazione abbastanza facile, il risultato è il solito: produttività operaia = alto sfruttamento + profitti. Caso tipico le due nuove gru che al molo sostituiscono le quattro precedenti sono riuscite a raddoppiare lo scarico di carbone e di minerali. Forse di questo ne hanno beneficiato gli operai del molo?

Sono stati ridotti gli organici ed è aumentata la produzione. Forse il pericolo della silicosi è diminuito nelle stive?

Quando mai gli operai si accorgono che qualcosa cambia in meglio per loro nonostante i grandi cambiamenti? Il cervello elettronico controlla con regolarità gli operai e cerca di programmare il loro lavoro. Infatti l’uomo accetta più facilmente che a controllarlo sia lo strumento, in questo caso la macchina che non la presenza fisica del capo-spia. È per i sociologhi avanzati, allorché preparano le loro belle richieste, piacevole per il loro confort mentale entrare in un reparto e vedere come l’operaio lavori in modo quasi regolare, malgrado non sia presente il capo, ma questi venga sostituito dalla macchina. Ma gli operai dalle macchine, come dai capi sanno difendersi.
Per osservare come il progresso tecnico venga usato per sollevare l’uomo dallo sforzo fisico, basta il caso della acciaieria, dove, qualche anno fa, i forni colavano ogni sei o sette ore. Dopo l’immissione dell’ossigeno ai forni, colano ora ogni tre ore e mezzo. È servito questo ad alleviare la giornata lavorativa? A migliorare le condizioni di vita? Niente affatto. Gli organici sono anzi diminuiti, la giornata di lavoro si è fatta più pesante, in sostanza, l’innovazione tecnica è servita sola ad accrescere lo sfruttamento operaio.

Ancora in tutti locomotori e autocarri potete vedere degli strani e piccoli aggeggi a forma di orologio, gli “zenit”. Essi rappresentano la spia in macchina. Segnano i più piccoli spostamenti fatti dalla macchina, le più piccole pause effettuate, poi fanno il conto e indicano, ad esempio, che una macchina è saturata ottanta per cento; a questo punto i Soloni del reparto possono fare i loro conti: se, a sei macchine saturate all’ottanta per cento, ne sottraiamo una, rimangono cinque macchine saturate al cento per cento, levano quindi una macchina e con essa le pause delle altre cinque. Ecco il vero progresso tecnico per i dirigenti, togliere le pause di lavoro, ecco una tecnica al servizio della società, ma non al servizio degli operai, che tutta la società mandano avanti.

Ma le invenzioni non finiscono qui, il MOV, dopo che sono stati installati su ogni macchina i radiotelefoni, si è trasformato in una specie di battaglione mobile, con i capi che ti cercano in ogni momento e segnano sulle loro carte tutti gli spostamenti, come se dirigessero una battaglia. Certo il loro ideale sarebbe di costruire cinquemila radiotelefoni portatili, uno per ogni operaio, magari installato nell’elmetto (è un’idea che trasmettiamo a qualche ditta costruttrice). Già li vediamo i capi, in un’immensa camera di controllo, dove giungono le informazioni sui lavoratori di tutta la fabbrica; e le frasi di soddisfazione “finalmente abbiamo il controllo di tutta la zona operativa, tutti sono al loro posto di combattimento”. E di combattimento si tratta, perché i lavoratori sanno difendersi dal progresso tecnico.

Lo zenit funziona sempre, ma cosa puoi indicare in caso di deraglio? I radiotelefoni si possono anche spegnere e hanno bel sbraitare i capi, quando salgono sui locomotori sono sempre accesi… e poi, quando i capi parlano in modo poco urbano, possono anche prendersi delle pernacchie da forare i timpani.

Eccezionalmente alto è il numero delle fermate accidentali in tutta la fabbrica durante le ore critiche in cui gli operai hanno il maggior interesse a fermarsi. (Vedi ora del pasto). ecc…

La tecnica, dunque, è usata solo per fini di classe; sono impensabili, oggi, macchine che liberino l’uomo dalla fatica. Quando ciò avviene è sempre in seguito a lotte che strappano qualche miglioramento: un aspiratore qua, un ventilatore là, ma non sono che gocce nel deserto. Guardiamo all’acciaieria: la tecnica è giunta ai satelliti artificiali, ma non è stata mai usata per impedire agli operai dell’acciaieria e dell’Altoforno di prendersi la silicosi. Uno fra cento esempi. Le invenzioni ci sono, ma sono orientate a senso unico, si inseriscono in una società divisa in classi e vengono introdotte dalla burocrazia solo per intensificare lo sfruttamento, ridurre i costi di manodopera, controllare meglio gli operai, conservare lo stato di cose esistenti.

Un esempio ancora.
I gruisti del laminatoio a caldo lavoravano con una temperatura nella cabina di 47° C e 37 % di umidità. Ebbene tutti lo sapevano ma non si faceva niente. C’è voluto che un operaio scendesse completamente nudo dalla gru. Quella volta capi chiamarono l’autoambulanza di fabbrica per portarlo al manicomio ma il dottore su insistenza di quell’operaio fu costretto a salire nella cabina, dalla quale scese immediatamente fradicio di sudore dopo solo un minuto. Altri gruisti si fermarono bloccando o rallentando la produzione, solo così riuscirono a far installare l’impianto refrigerante ad aria nella cabina. Ora il caldo non si soffre più, in compenso un potente getto d’aria fredda indirizzato nella schiena causa l’artrosi.

Tutti gli operai possono notare come le autoambulanze di fabbrica passino silenziose quando vanno nei reparti a caricare gli operai infortunati o morti. Non è un caso che queste autoambulanze non adoperino mai la sirena anche quando queste sono bloccate da qualche passaggio di convogli ferroviari. Non è un caso, si ripete, ma fa parte di uno schema ben preciso, esse non devono mai allarmare gli operai; devono scorrere vie silenziose, discrete altrimenti gli operai si turbano, altrimenti gli operai pensano come sia duro il prezzo che devono pagare allo sfruttamento, se no questo può diventare un motivo per cui gli operai possono bloccare la produzione. No: tutto deve procedere liscio, la produzione non si deve mai bloccare essa è “sacra”, essa è “santa”; se poi un operaio muore non fa niente, lo si corica e lo si fa morire all’ospedale. Altrimenti la produzione costretta a fermarsi.

Ma anche qua qualcosa sta cambiando. Bene hanno fatto gli operai della scriccatura che hanno bloccato la produzione quando morì quell’operaio colpito dalla gru, malgrado che forti pressioni furono su di essi esercitate da parte di ingegneri.

Come il giudizio sulle macchine, anche il giudizio sui capi deve essere un giudizio di classe. Gli articoli che si leggono sui giornaletti che ci invia a casa la burocrazia aziendale, fanno capire che il capo ideale per comandare gli operai è colui che comanda col sorriso sulle labbra, colui che “non salta alla minima provocazione, abitua i subordinati al lavoro di gruppo, si mostra interessato al loro contributo, accetta sportivamente l’ostilità altrui, sa esprimere con tatto la propria ostilità sottolineato”, (vedi Lettera ai capi). Tuttavia la burocrazia dimentica che i capi più odiati sono proprio quelli che applicano alla lettera il manuale della direzione, la politica del sorriso, dell’ipocrisia, della cautela ed è facile capire perché. Gli operai li identificano subito come gli esecutori più zelanti della politica delle alte gerarchie di fabbrica. Ogni politica richiede i sui capi, ma ciò che li accomuna tutti è la solidarietà col potere costituito nel controllare che il processo di assoggettamento degli operai continui e si intensifichi. Come dice il giornaletto aziendale: “l’identificazione dei propri obiettivi con quelli di certi gruppi, offre evidentemente ai capi un senso di sicurezza e di stabilità”. Di quali gruppi si tratta è facile capire, poiché, salvo rare eccezioni, i capi si identificano sempre con le alte gerarchie e di queste hanno assorbito la caratteristica essenziale, cioè, la completa indifferenza ai problemi dell’uomo: per il potere l’uomo è uno strumento intercambiabile.

In questo quadro rientra giudizio che gli operai danno sull’operato dei vari uffici burocratici.
L’ufficio S.Y.N.: il tribunale speciale di
fabbrica;
” T.C.O.: come si può sfruttare i
malati e gli infortunati;
” V.I.G.: la celere di fabbrica;
” S.I.L.: che controlla, quando un
operaio muore, che lo stesso ab bia scarpe di sicurezza, occhiali, elmetto, per poter così emettere il giudizio di morte regolare;
” Qualità: serve a controllare che
gli operai non danneggino la
produzione;
” R.E.P. : la farsa di rapporti umani.
L’infermeria merita un posto particolare, giacché ha funzioni speciali. Ne sanno qualcosa gli operai di ACC e AFO che hanno contratto la silicosi e sono stati costretti a rimanere negli stessi reparti, ad aggravare la loro malattia, quando, s’intende, la malattia viene scoperta. Perché si sa di operai che da poco avevano effettuato l’esame schermografico ed erano stati giudicati sani quando, rifatti i raggi presso medici privati si videro accertare i primi gradi di silicosi. Sempre, l’infermeria i suoi dottori, servono a mantenere al loro posto di lavoro quegli operai che hanno subito gravi incidenti, contratte malattie. Qual è quel turnista che non ha gravi disturbi all’apparato digerente? Quanti hanno visto negata la richiesta di passare ad un orario normale? Anche l’infermeria, dunque, è al servizio della produzione, altro che scienza medica al servizio dell’uomo!

Da questo quadro, in parte drammatico ed in parte farsesco, esci il conflitto continuo, inconciliabile dell’operaio con la burocrazia. Certo non è un conflitto salito all’onor della cronaca, i giornali non amano parlare di cose serie, per loro, come per i sindacati tutto si può risolvere con qualche lira in più. Quello che non sanno mai spiegare è perché questo conflitto con la burocrazia si faccia sempre più acuto proprio in quei paesi dove gli operai sono meglio pagati; parliamo di Stati Uniti e Inghilterra.

Alla Cornigliano, dunque, esiste un conflitto tra operai e burocrazia, per documentarlo abbiamo scelto 23 operai a caso, e abbiamo chiesto che ci parlassero delle sanzioni disciplinari e di ciò che le aveva causate. È risultato che contro questi 23 operai, con una media di anzianità di lavoro da uno a dieci anni, sono stati spiccati ben 84 provvedimenti disciplinari. Di questi 84:
39 per insubordinazione grave e rifiuto di ordini;
5 insubordinazioni leggere, ordini non eseguiti perfettamente;
13 assenze mutua;
10 scarso rendimento;
10 negligenza, ovvero sospetto sabotaggio
4 ritardi continui;
3 licenziati per insubordinazione ed insulti.

Quindi un totale di 44 punizioni con tre licenziamenti, 30 giornate di sospensione e molte ore di multa. Saltano subito all’occhio le 42 punizioni per insubordinazione grave, cioè, per conflitto con la burocrazia.

Abbiamo visto come la gerarchia aziendale, per portare avanti la produzione, voglia che l’operaio sia uno strumento docile, che obbedisca a tutto e, contemporaneamente, che questo strumento abbia caratteristiche di superuomo, perché la produzione non si blocchi completamente. Abbiamo visto come l’operaio alla Cornigliano in realtà organizzi da sé il suo lavoro, come solo lui possa deformarlo, come lui solo possa farlo saltare. Abbiamo visto come i capi abbiano essenzialmente funzioni politiche e di controllo e usino la loro tecnica solo per meglio sfruttare o far lavorare.

Abbiamo visto come gli operai, possano, quando lo vogliano far saltare questo controllo, e sia esso opera di uomini e di macchine. Abbiamo visto le funzioni di alcuni uffici. Tutto ciò l’operaio l’ha capito e contro ciò avviene lo scontro: egli non può sopportare di essere costretto ad essere Superuomo per la tranquillità dei parassiti e nello stesso tempo strumento per garantire agli stessi il perpetuarsi del loro privilegio.

Non si può dire ad un operaio “Arrangiati, datti da fare” facendo appello alla sua intelligenza ed iniziativa, mettendolo, in una giornata di lavoro davanti a tutta una serie di problemi e difficoltà da superare (altrimenti la produzione si ferma) e considerarlo, poi, come uno strumento, che deve solo rendere ed obbedire, considerarlo come un subordinato, in balia della volontà e degli interessi di chi vive del suo lavoro.

Tutto quello che egli fa nella fabbrica come Superuomo lo porta poi, come naturale conseguenza a superare le barriere e i limiti in cui vorrebbe costringerlo la burocrazia aziendale. La risposta operaia a questa fondamentale contraddizione si sviluppa nelle sue varie forme, e queste forme di lotta è bene vederle un po’ meglio. Da calcoli fatti risulta, ad esempio, che l’assenza per malattia incide per un totale di circa due mesi annui per operaio. Si sa che buona parte di queste assenze sono dovute al grave logoramento mentale e fisico al quale sono sottoposti gli operai nel casino produttivo, ma per una parte esse non sono solo un mezzo per ritrovare le forze; l’operaio va in mutua quando gli vengono negate le ferie o quando viene spostato dal suo posto di lavoro… quando viene punito ingiustamente. L’operaio va sotto mutua quando ne ha le scatole piene. Mettersi sotto mutua è per l’operaio una forma di rifiuto e di resistenza contro la burocrazia di fabbrica (vedi rapporti disciplinari) è già una forma di ribellione.

La non collaborazione è già attacco anche se ancora si esprime, nella maggior parte dei casi, al livello individuale, quasi sotto l’impeto della rabbia, ed è una forma di lotta molto importante. Infatti, essa blocca la produzione, è difficilmente scoperta, costringe la direzione a grandi spese per ricercare macchine capaci di controllare il lavoro degli operai. Ed è una forma di lotta inconciliabile.

Sin qui si sono esaminati alcuni aspetti della condizione operaia alla Cornigliano, ma sarebbe un errore dimenticarne le origini, dimenticare la situazione economica, politica, i rapporti di forza tra le classi che hanno visto nascere la fabbrica. Dove sono stati scelti gli operai e perché? Questa è una domanda che gli operai si pongono quando vedono, gli ostacoli che si frappongono alla loro lotta. Tutti ricordano il nome che gli operai genovesi avevano dato allora all’Oscur, la chiamavano “Corea” e così sintetizzavano molto bene il clima in cui si svolgeva la costruzione della fabbrica. “Corea” era chiamata per i suoi morti quotidiani (chi non ricorda il dramma dei cassonisti, le morti immancabili ogni settimana?), per la vera e propria guerra che l’operaio doveva fare nell’arco delle otto ore per poter lavorare con un minimo di sicurezza, nel caos degli appalti, delle imprese, delle condizioni bestiali di sfruttamento.
Chi non ricorda le lotte formidabili che questi operai condussero? Tutta Cornigliano fremeva in quei giorni. La fabbrica nasceva col marchio più duro dello sfruttamento, della totale indifferenza alla condizione dell’uomo. I dirigenti di fabbrica ereditarono in tutto lo spirito dei loro colleghi costruttori. Iniziarono con le assunzioni discriminate, per umiliare sin dall’inizio lo spirito operaio: bisognava chinare la testa sin dall’inizio. Si curò che la composizione sociale fosse la più eterogenea possibile; la mano d’opera in quel momento non mancava, il “mercato” del lavoro era favorevole, alimentato dalle continue smobilitazioni delle fabbriche genovesi, ma i dirigenti si guardarono bene dall’attingervi quanto potevano. A parte il nucleo della manutenzione, e alcuni altri reparti di scarsa importanza numerica, i dirigenti non avevano alcun interesse ad assumere operai molto qualificati e forti di una lunga esperienza di lotte. Attinsero più facilmente tra gli artigiani, i commercianti coinvolti nel grande dissesto dell’economia ligure, ampiamente fra i contadini dell’entroterra. La diversità di esperienze, di modi di pensare, costituì un grosso ostacolo per le lotte operaie. Ma passati i primi anni, questi lavoratori cominciarono a prendere coscienza della loro condizione, iniziarono i primi scontri con la burocrazia di fabbrica, coi sindacati, coi partiti. Se quella eterogeneità costituì all’inizio un grosso ostacolo per il raggiungimento dell’unità di classe, oggi non lo rappresenta più. La realtà di fabbrica, lo scontro quotidiano con la burocrazia, sono diventati la realtà unica, che si impone su tutte le altre condizioni sociali particolari. Il naturale formarsi dei primi quadri operai nello scontro con la burocrazia ha agevolato questa crescita politica.

La CISL ha rappresentato per molti anni il primo filtro per l’assunzione; da lì passarono quanti aspiravano all’assunzione, un vero e proprio ufficio di collocamento, e anche un vero ufficio di informazioni per appurare l’appartenenza meno a partiti operai. Allora essere comunisti era ancora qualcosa, era pericoloso. Quei comunisti che volevano essere assunti dovevano stracciare la tessera. Chi non ricorda Santi? Il marchio di questa infamia è rimasto al sindacato nonostante tutte le giravolte successive. Per la UIL il discorso è più breve, un sindacato che va alla coda degli altri per ricavare le briciole dei loro fallimenti. Ma chi ha deluso di più gli operai è stata la FIOM. Già quando la CISL dominava, la FIOM taceva, non avanzando alcuna denuncia. Quando prese la maggioranza lo fece senza aver mosso un dito: il voto FIOM era un voto di protesta che gli operai esprimevano contro gli altri sindacati. I più delusi furono proprio gli attivisti della FIOM che si videro costretti a fare buon viso a cattivo gioco, ad accettare dalle dirigenze nazionali l’unità a tutti costi con gli altri sindacati e alla fine l’unità a tutti costi in ogni sorta di compromessi, ultimo quello del contratto. I più onesti si sono ritirati, altri si sono abituati al compromesso e hanno abbandonato ogni velleità riformistica. Tutti i sindacalisti sono abbastanza uniti nel giustificarsi: “in fondo, dicono, tutto questo succede perché siamo ancora divisi e poiché qualche operaio crede nel sindacato unico, val la pena spenderci qualche parola. Si deve subito rilevare che l’ultima lotta contrattuale è stata portata avanti in modo unitario al vertice, e se il contratto è il primo frutto dell’unità sindacale, questo ci indica molte cose sul sindacato unico. La prima risposta degli operai al contratto e all’unità sindacale è stata la frana di tesserati. Ma non viviamo in un’isola. Basta chiedere agli operai inglesi cosa pensano del sindacato unico. Valga un solo esempio: nell’ultima crisetta economica in Inghilterra, il governo laburista, per sostenere la sterlina ed aumentare la produttività, ha chiesto al sindacato centinaia di migliaia di licenziamenti. Il sindacato unico inglese, in nome della solidità della sterlina, ha acconsentito. La risposta operaia e nelle cifre degli scioperi: il 99% degli scioperi sono non ufficiali, cioè non proclamati dai sindacati ma dai lavoratori contro i sindacati. La verità di tutti quei discorsi che i sindacalisti mettono in giro è che la realtà per loro non è poi così cattiva, anzi, fra posti in parlamento, nelle burocrazie statali, sindacali, politiche bisogna proprio dire che per loro è una buona realtà.

Alcuni diranno che tutto questo è vero, ma non siamo in Inghilterra. Il sindacato, dicono, è ancora necessario, ad esempio, per proclamare un’assemblea dei lavoratori; gli operai altrimenti non si radunano. Ebbene cosa è successo ultimamente al movimento ferroviario? Gli operai del reparto discutevano da tempo alcune rivendicazioni “indispensabili”: aumento degli organici, indennità polvere, ma soprattutto un nuovo regolamento che non scaricasse sui lavoratori la responsabilità dei dirigenti. Alcuni di loro chiesero al sindacato la convocazione di un’assemblea che effettivamente si svolse e che fu molto critica e combattiva. Vennero fuori rivendicazioni precise e la richiesta di scioperare se entro una settimana non fossero state accolte. I sindacalisti, nel corso dell’assemblea fecero ovviamente il possibile per svuotare le rivendicazioni, ma si trovarono presto a mal partito, di fronte alle precise accuse di collaborazionismo. L’assemblea si sciolse con la promessa di riconvocarla la settimana successiva allo scadere dell’ultimatum. Di qui ha avuto inizio la lunga marcia di gruppi di operai da un sindacato all’altro, per preparare la seconda assemblea. La FIOM diceva: noi siamo d’accordo ma cosa ne pensa la CISL? La CISL diceva, noi siamo d’accordo, ma cosa ne pensa la C. I.? La C. I. era d’accordo, ma cosa ne pensava la UIL? La UIL era d’accordo, ma bisognava prima vedersi con gli altri sindacati. Di qui ricominciava il giro. La FIOM era d’accordo ma doveva prima riunire gli attivisti, E poi si sa i funzionari sono due, uno è socialista, l’altro è comunista, uno è al governo, l’altro all’opposizione, quindi…. si ricomincia a girare. Il funzionario della CISL, non c’è, chissà dov’è, ci sarà domani, ma domani quello della FIOM non c’è. La C. I. non si trova come fare? Gira e rigira, è passato qualche mese. E gli operai devono ancora rivedersi in quella seconda assemblea, convocata il giorno stesso della prima. Certo, si è chiarito quello che era fin troppo chiaro all’assemblea che cioè i sindacati hanno paura dello sciopero. Chi è quel sindacalista che ha tanto “coraggio” da rischiare la sua luminosa carriera nella burocrazia sindacale per una lotta operaia, sentita e voluta dagli operai? Si fanno solo le lotte decise dal vertice sindacale, il dirigente locale allora è al coperto, mette la sua buona firma alla pratica e cerca di archiviarla alla bellemeglio. Da parte sua il dirigente nazionale non sbaglia mai, chi va a sindacare sugli atti? È così lontano, in qualche ufficio romano o magari alla televisione a parlare della durezza della condizione operaia, che nessuno lo vede mai; E un po’ come il dirigente dell’Italsider…

Questa comunque è un’altra esperienza che i lavoratori stanno facendo, con tutti vantaggi ma anche i limiti di delegare ancora al sindacato quello che dovrebbero sbrigare loro. Certo non è facile organizzarsi in modo autonomo: il blocco delle gerarchie aziendali e sindacali è un blocco potente ma quale alternativa c’è? O va avanti la loro politica, o quell’operaia, ormai è chiaro.

Prospettive di lotta
Non c’è che una lotta unica CONTRO TUTTE LE BUROCRAZIE.
Lo scontro che l’operaio ha in fabbrica con la burocrazia aziendale, che lo vuole strumento e nello stesso tempo superuomo, si ripropone anche a livello sindacale e di partito; i burocrati sindacali di partito dicono al lavoratore: “tu sei la forza, tu sei la volontà, prendi la tessera e vieni alle riunioni”, e poi? il poi è chiaro, l’assemblea del MOF e mille altre ripetono alla monotonia: “poi obbedisci”. Le rivendicazioni sono decise dall’alto, le forme di lotta sono decise dall’alto. Puoi criticare, ma devi sempre fare quello che dicono i dirigenti, essi sono la “guida”, quelli che fanno le scelte. Tu devi obbedire, puoi criticare ma mai decidere, altrimenti salta la gerarchia. E non è lo stesso con la burocrazia aziendale? Anche qui la critica alla produzione e ai capi, a un certo livello, è sollecitata, migliora l’organizzazione del lavoro, i capi vengono a sapere cosa bolle in pentola, altrimenti come farebbero a sapere cosa pensa l’operaio? Ma il fine è identico: conoscere meglio l’operaio per “controllarlo” meglio, dominarlo di più. La democrazia che vanno sbandierando a dritta e a manca è tutta qui, libertà di criticare ma non di decidere, questa va esercitata per via gerarchica, se sei un semplice iscritto non conti niente, se sei solo un operaio non conti niente. L’autorità è tutta degli altri. Ma è proprio qui che nasce il conflitto. La differenza fra la fabbrica, il sindacato e il partito è che dal sindacato e dal partito, per non farti comandare da quattro rimbecilliti dalle pratiche burocratiche, te ne vai, e quando parlano ci fai sopra una risata. In fabbrica invece, bisogna andarci per vivere, e li devi sopportarti l’autorità di persone, alle quali fuori non daresti due soldi. Chi tiene su tutte le burocrazie sindacali e politiche non è altro che il rapporto burocratico di fabbrica, questo lo devi subire per vivere, le altre vivono per fartelo subire. Il nodo di tutte le trasformazioni reali è la fabbrica, il socialismo comincia di qui. Per questo noi diciamo: il socialismo deve ancora nascere, il socialismo significa abolire l’organizzazione burocratica del lavoro, della vita sindacale, politica. Gli operai sovietici, polacchi, ungheresi questo lo sanno perché hanno lottato e lottano tuttora contro l’organizzazione burocratica del lavoro e della società, là come qua il socialismo devo ancora nascere, e non sarà un’evoluzione pacifica.

Certo i ragionamenti dei burocrati sindacali e di partito circolano fra gli operai, altrimenti cosa ci starebbero a fare? Quello più diffuso è che alla Cornigliano gli operai non sono ancora maturi, in altre parole sono “integrati”, si identificano con i loro capi. Se a questo ragionatore dimostrate, coi dati alla mano, gli scontri quotidiani con la burocrazia, vi ripeterà che non hanno coscienza di classe, se gli chiedete cosa intende dire, capite subito la fonte, vi dirà che coscienza di classe significa appartenere alla FIOM o al PCI. I “dirigenti” politici che si fanno passare per rivoluzionari hanno assorbito così bene lo spirito burocratico, che identificano i progressi della lotta operaia, con i progressi delle loro organizzazioni di cartapesta: tante tessere, tanti bollini, tanti voti, tanti volantini insulsi distribuiti. Man mano che le tessere diminuiscono, diminuisce anche la “coscienza”. Mai che a costoro venga un dubbio sulla politica che fanno, questa per definizione è sempre la migliore possibile; e se chiedete perché, vi sentite rispondere che è la migliore perché i dirigenti nazionali hanno deciso che è così.

Ma non girano solo i discorsi dei burocrati. Girano anche discorsi disinteressati, il cui fondo è sempre lo stesso: un senso di profonda sfiducia nella propria capacità di agire autonomamente. Le frasi che girano di più: “siamo tutti pecore”, “siamo una massa di ignoranti” esprimono si una realtà disperata dell’organizzazione di classe inesistente, esprimono di appartenere ad una classe subordinata, ma significa soprattutto: oggi siamo incapaci di dirigerci da soli, oggi che non c’è più alcuna direzione esterna, in cui soltanto la nostra direzione potrebbe salvarci.

E qui sembra che veramente esista il muro che non si riesce a superare, perché lo scontro continuo che esiste in fabbrica con la burocrazia non diventa un fatto collettivo? perché la lotta è contenuta entro i limiti individuali? la risposta non è semplice. Innanzitutto la lotta contro la burocrazia aziendale è lotta politica, è lotta per il potere, è la lotta del XX secolo, dell’epoca del capitalismo burocratico. Tutte le organizzazioni ufficiali, dai comunisti sino ai democristiani, accettano nella sostanza il modello del capitalismo burocratico della società dominata da una ristretta burocrazia, quale sussiste in Unione Sovietica o negli Stati Uniti. Per loro, questa lotta che gli operai conducono, che è la lotta fondamentale del nostro tempo, non ha senso, anzi va rifiutata.

E questo è logico, visto che tale lotta è destinata a rivolgersi prima o poi anche contro di loro. Basta pensare agli scioperi non ufficiali inglesi o ai consigli operai, creati in Polonia e Ungheria durante la rivoluzione dell’Ottobre 1956. In questa lotta quindi gli operai sono attualmente privi di organizzazione, e questo stato durerà ancora, almeno fino a quando non avranno inteso a fondo che i loro obiettivi di lotta non hanno nulla da spartire con quelli dei partiti e dei sindacati esistenti, di qualsiasi colore siano.

Quando gli operai capiranno di essere soli allora la lotta operaia acquisterà tutto un altro peso, politico più che rivendicativo sindacale e non ci saranno controlli sindacali e aziendali che terranno.

L’esempio dei negri americani è oltremodo significativo. Finché non hanno rotto completamente con i capi pacifisti, integrazionisti, fautori di diritti civili (che sono soltanto chiacchiere e pezzi di carta). Finché non hanno rotto con i vari Luther King tanto esaltati dalle nostre parti, la loro è stata una lotta monca, frazionata, non politica, destinata alla sconfitta. Quando le masse negre hanno scoperto la contraddizione fra la loro lotta e quella perseguita da questi sedicenti organizzatori, la rottura è stata completa: il grande incendio che sta bruciando l’America ne è stata la conseguenza. I negri hanno capito che i diritti civili non risolvevano nulla; l’obiettivo del “potere negro” ha fatto rompere tutti gli indugi e i legami con la “vecchia società industriale americana” che tutti i burocrati nostrani portano a modello.

Gli operai, cioè i negri del nostro tempo, capiranno prima o poi che il riformismo imperante non risolve nulla, allora……
Supplemento di “Potere Operaio” – Autorizz. n° 449 del Trib. di Modena